Le relazioni industriali alla prova delle trasformazioni: la nuova sfida del settore telecomunicazioni

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Bollettino ADAPT 23 maggio 2022, n. 20

 

L’istituzione del Fondo di Solidarietà Bilaterale per la Filiera delle Telecomunicazioni

 

Dopo un lungo percorso, iniziato formalmente con il rinnovo del contratto nazionale del 2020, il 20 aprile 2022 è stato istituito, con l’accordo siglato a Roma da Assotelecomunicazioni-Asstel e Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil e Ugl Telecomunicazioni, il “Fondo di Solidarietà Bilaterale per la Filiera delle Telecomunicazioni”.

 

L’accordo segnala una sfida importante per gli attori delle relazioni industriali del settore delle telecomunicazioni, caratterizzato da profondi processi di trasformazione, legati alle nuove esigenze del mercato dei servizi digitali e che richiede oggi una sempre più ampia combinazione e integrazione tra politiche attive e passive. Non si tratta dell’unico passaggio di rilievo sul tema nell’ultimo periodo – come dimostra l’ampio ricorso delle principali aziende delle telecomunicazioni a strumenti nuovi quali il Fondo Nuove Competenze e il contratto di espansione (Cfr. gli specifici approfondimenti nell’VIII Rapporto Adapt sulla contrattazione collettiva in Italia) – ma senza dubbio questo nuovo step mostra elementi innovativi e di particolare interesse.

 

Il ruolo dei fondi bilaterali nel solco della Legge di Bilancio 2021

 

Di rilievo è innanzitutto l’aspetto temporale. L’istituzione del fondo giunge infatti nella prima fase di attuazione di una riforma degli ammortizzatori sociali, introdotta dalla Legge di Bilancio 2021, che, nell’ottica di promuovere un “universalismo differenziato” valorizza il ruolo proprio quei fondi di solidarietà bilaterali che sono istituiti e regolamentati dalle parti sociali, talvolta attraverso la contrattazione collettiva di settore, talaltra con accordi separati.

 

La garanzia di un sostegno al reddito per i lavoratori interessati da sospensioni e riduzioni dell’attività lavorativa non è però l’unica missione di questi fondi, che possono altresì rivestire ulteriori funzioni, quali ad esempio la riqualificazione professionale dei dipendenti, anche uscendo dal perimetro dei settori già coperti dalla normativa in materia di integrazioni salariali (cfr. M. Squeglia, La “previdenze contrattuale”. Un modello di nuova generazione per la tutela dei bisogni previdenziali socialmente rilevanti, Giappichelli, 2014, pp. 70 ss.).

 

Sotto questo aspetto, analizzare sinteticamente i principali punti dell’accordo istitutivo del fondo permette non solo di indagare in quali ambiti tali fondi possono intervenire, ma anche, più in generale, quale spazio di autonomia venga lasciato a tali organismi (e quindi alla stessa contrattazione collettiva) e quanto invece l’azione pubblica arrivi a conformare le iniziative dell’autonomia collettiva, nell’ottica di una sua più ampia funzionalizzazione al perseguimento di fini pubblicistici.

 

Prestazioni e finanziamento

 

In primo luogo, emerge il vasto campo di applicazione del fondo, dato che gli interventi da esso previsti potranno essere rivolti a un ampio insieme di imprese, elencate all’art. 1 dell’accordo, che possono essere destinatarie o meno delle prestazioni dell’art. 10 del D. Lgs. n. 148 del 2015, ossia i trattamenti ordinari di integrazione salariale. Questa differenziazione della platea dei destinatari appare dirimente, nel momento in cui, all’art. 5, vengono individuate le prestazioni e il relativo finanziamento.

 

Da una parte, infatti, per la totalità delle imprese il fondo può erogare una serie molto variegata di misure, che toccano aspetti differenti legati alle diverse esigenze a cui devono far fronte le varie realtà. Possono infatti essere finanziati, in primo luogo, programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, eventualmente anche in concorso con fondi nazionali o europei. Centrale è poi la funzione del fondo per fornire prestazioni integrative o aggiuntive rispetto ai trattamenti di integrazione salariale in costanza o in caso di cessazione del rapporto di lavoro. Nel primo caso, si tratterà di un’integrazione esclusivamente sul piano degli importi, mentre nel secondo potranno essere fornite anche prestazioni aggiuntive in termini di durata rispetto a quanto previsto ordinariamente dalla legge. Infine, il fondo potrà erogare prestazioni di sostegno al reddito per i lavoratori che raggiungano, nel quadro dei piani di esodo, i requisiti ordinari per il pensionamento nei 5 anni successivi, nonché, nell’ambito di processi di ricambio generazionale, per i lavoratori coinvolti in riduzioni stabili dell’orario di lavoro.

 

L’importo di questa prima area di prestazioni varia a seconda delle singole misure, e viene disciplinato nell’art. 9 dell’accordo. Per quanto riguarda invece le modalità di finanziamento, il contributo ordinario mensile – pari allo 0,45% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali di tutti i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato (inclusi gli apprendisti e esclusi i dirigenti) – è ripartito per due terzi a carico del datore di lavoro e un terzo a carico del lavoratore. Sono poi previsti specifici contributi addizionali a carico del solo datore di lavoro per le prestazioni integrative rispetto ai trattamenti di integrazione salariale previsti dal legislatore, nonché un contributo aziendale mensile straordinario, di importo corrispondente al fabbisogno di copertura, per tutte le ulteriori prestazioni, fatta eccezione per quelle a copertura dei programmi formativi.

 

Dall’altra parte, per le imprese che non rientrino nel campo di applicazione dell’art. 10 del D. Lgs. n. 148 del 2015, il fondo diventa il riferimento per l’erogazione di un assegno di integrazione salariale, in relazione alle causali previste dalla legge in materia di integrazioni salariali ordinarie. In questi termini, le prestazioni assegnate dal fondo ai lavoratori rappresentano un regime sostitutivo rispetto al regime della cassa integrazione straordinaria, del Fondo di Integrazione Salariale (FIS) e dei rispettivi regimi di contribuzione. Il fondo garantirà un importo almeno pari a quello previsto dall’art. 3, c. 1 del D. Lgs. n. 148 del 2015, per una durata almeno pari ai trattamenti di integrazione salariale, a seconda della soglia dimensionale dell’impresa e della causale invocata, nel rispetto delle durate massime previste fissate dal legislatore. Per il finanziamento di tali prestazioni, è previsto un contributo ordinario mensile dello 0,80%, calcolato e ripartito con le stesse modalità previste per le altre misure, nonché un contributo addizionale a carico del datore di lavoro, nella misura dell’1,5%, calcolato con riferimento alla somma delle retribuzioni perse dai lavoratori interessati dalla misura.

 

Ulteriori aspetti

 

L’intesa disciplina poi, nello specifico, le modalità di amministrazione del fondo, che sarà gestito in via paritetica da rappresentanti delle parti sociali del settore, con la presenza di due Rappresentanti del Ministero del Lavoro e del Mef. Di particolare rilievo è anche la presenza, nelle riunioni del comitato amministratore, del collegio sindacale dell’INPS, nonché del direttore generale dello stesso Istituto (o di un suo delegato) con voto consultivo e con la facoltà di sospendere l’esecuzione delle decisioni del comitato, qualora siano ravvisati profili di illegittimità. Sono inoltre disciplinate le procedure di accesso e i criteri di precedenza per le misure, nonché i limiti di valore delle prestazioni. Infine, viene ribadito l’obbligo di pareggio di bilancio e l’impossibilità di garantire prestazioni in carenza di disponibilità per il fondo, il quale non ha personalità giuridica e gode di autonoma gestione finanziaria e patrimoniale presso l’INPS, del quale costituisce gestione.

 

Si tratta di elementi che, ancora una volta, evidenziano il complesso equilibrio da raggiungere tra autonomia collettiva e organizzazione amministrativa delle funzioni che i fondi sono chiamati a svolgere giacché si tratta pur sempre di fondi che non nascono e non vengono amministrati dallo Stato ma si sviluppano nell’alveo delle relazioni industriali e del loro tradizionale strumento, ossia la contrattazione collettiva. La sfida, carica di queste complessità, pare essere stata colta dalle parti sociali del settore delle telecomunicazioni. Occorre ora attendere i primi accordi aziendali del settore, per capire se aziende e parti sociali saranno in grado di cogliere le ampie potenzialità di questo strumento.

 

Michele Dalla Sega

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@Michele_ds95

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