Author: ADAPT

Uno sguardo oltre confine su politiche attive e parti sociali

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Bollettino ADAPT 7 marzo 2022, n. 9

 

Le politiche attive sono da tempo al centro del dibattito pubblico, talvolta invocate per affrontare le trasformazioni dell’economia, talaltra per giustificare, a livello comunicativo, l’ingente spesa pubblica per il sostegno al reddito e il contrasto alla povertà (sul punto si veda da ultimo F. Nespoli, Tra povertà e lavoro, le oscillazioni del Reddito di cittadinanza comunicato, in Bollettino ADAPT, 28 febbraio 2022, n. 8). È molto più recente, invece, l’attenzione degli operatori e dei commentatori sul ruolo che può essere giocato dagli attori delle relazioni industriali nell’implementazione di un moderno sistema di servizi per il lavoro.

 

Dopo un silenzio durato oltre un decennio a seguito della riforma Biagi che abilitava un ruolo concreto del bilateralismo nel governo del mercato del lavoro, crescono infatti gli interventi degli esperti e degli stessi rappresentanti sindacali e delle imprese a sostegno di un pieno protagonismo dei corpi intermedi sul tema. Basti pensare al recente «Manifesto sindacale per una stagione di diritti e tutele nelle transizioni lavorative» lanciato dalla Fim-Cisl lo scorso 3 marzo, con il quale la federazione dei metalmeccanici si è proposta come parte attiva nel disegnare linee di azione e strategie per sostenere le transizioni occupazionali.

 

D’altronde, complici anche le novità contenute nell’ultima legge di bilancio (si veda L. Valente, Transizioni occupazionali, politiche attive del lavoro e ruolo del sindacato nell’era del Governo Draghi, in Bollettino ADAPT, 21 febbraio 2022, n. 7), il coinvolgimento diretto delle parti sociali sta diventando necessario per attivare un numero sempre crescente di politiche attive definite dal legislatore nazionale. A una prima ricognizione, possiamo contare l’accordo di ricollocazione ex art. 24-bis, d. lgs. n. 148 del 2015, il contratto di espansione introdotto dall’art. 26-quater, comma 1, d.l. n. 34 del 2019, il Fondo nuove competenze introdotto dall’articolo 88, d.l. n. 34 del 2020 convertito in l. n. 77 del 2020 e il recente accordo di transizione ex art. 22-ter, d. lgs. n. 148 del 2015, appena introdotto dalla l. n. 234 del 2021 e rispetto alle quali le parti hanno già dimostrato interesse (ad esempio nella gestione della oramai quasi dimenticata vicenda GKN).

 

Più estemporanee, e legate all’iniziativa di operatori locali o alle peculiarità di alcuni contesti territoriali e aziendali, sono invece le azioni di politica attiva ideate, avviate e gestite autonomamente dalle parti sociali, senza la combinazione con le (pur spesso necessarie) risorse pubbliche o le cornici normative predisposte dal legislatore. È il caso degli accordi aziendali che definiscono politiche di outplacement, anche con la collaborazione di associazioni imprenditoriali o altre imprese a livello locale, impegnandosi per la ricollocazione dei lavoratori nei casi di ristrutturazione (si veda G. Impellizzieri, F. Seghezzi, Politiche attive, i rischi di un (auto)GOL, in Bollettino ADAPT, 13 settembre 2021, n. 31).

 

Per mostrare però come la progettualità delle politiche del lavoro può avvalersi in maniera più strutturata e complementare sia dell’attore pubblico che delle parti sociali, vale la pena richiamare alcune esperienze internazionali che si sono sviluppate grazie alla forza e alla proattività delle associazioni di rappresentanza nonché, talvolta, al sostegno di idonee cornici istituzionali.

 

L’esempio tipico e più noto in questo ambito è certamente quello della Svezia, che già da diversi decenni, ad integrazione delle tutele offerte dalla Legge sulla protezione occupazionale, ha visto la collaborazione di associazioni sindacali e datoriali nella gestione delle misure di sostegno ai lavoratori in esubero. Operano infatti in Svezia i cosiddetti Consigli per la sicurezza dell’impiego (Trygghetsråden): si tratta di fondi, costituiti a livello settoriale dalle parti sociali e finanziati dai datori di lavoro, allo scopo di anticipare e gestire i cambiamenti strutturali. Così, in totale autonomia rispetto all’intervento pubblico, realizzando anzi quello che i commentatori internazionali hanno definito «uno shift dallo Stato alle parti sociali per la gestione dei problemi del mercato» (A. Scott, Collective bargaining’s contribution to employment skill and transition, Labour & Industry, 31, 3, 301-311),  gli attori delle relazioni industriali svedesi assicurano ai lavoratori in esubero misure di politica attiva (come la partecipazione a percorsi formativi, il sostegno nell’avvio di un’attività imprenditoriale o nella ricerca di un nuovo impiego) e la continuità reddituale in attesa di una nuova collocazione, con risultati occupazionali intorno al 90% (Eurofound, European Monitoring Centre on Change – Job Security Councils, 2021). Uno dei Consigli settoriali più importanti in quanto a imprese e lavoratori coperti è sicuramente il Fondo per le transizioni occupazionali (Trygghetsfonden – TSL), creato nel 2004 dalla Confederazione dei sindacati svedesi che rappresenta gli operai (Landsorganisationen i Sverige – LO) e dalla Confederazione delle imprese svedesi (Svenskt Näringsliv). Tra le altre cose, l’accordo collettivo che ha originato il TSL prevede (in linea del resto con le deleghe legislative) che contratti collettivi aziendali possano deviare dal principio “last in-first out” che, secondo la legge, dovrebbe orientare i licenziamenti per motivi economici, consentendo invece alle aziende di trattenere i lavoratori che, a prescindere dall’anzianità aziendale, sono in possesso delle competenze di cui più hanno bisogno per la continuazione delle attività. E proprio grazie al ruolo attivo che il sindacato ha potuto e saputo giocare nella gestione degli esuberi, si è costruito e giustificato l’impianto di tutele offerto dal TSL e dagli altri Consigli per la sicurezza dell’impiego. 

 

Un’esperienza più recente e in un certo senso vicina alla nostra proviene invece dal Belgio, dove a maggio 2021, alla luce della crescente domanda di maggiori competenze tecniche e trasversali per l’impatto della digitalizzazione, i principali sindacati e l’associazione di rappresentanza datoriale per l’industria metalmeccanica hanno deciso di riprogettare il fondo interprofessionale di settore, istituito negli anni ‘80. Il nuovo fondo, denominato Mtech+, è stato quindi creato per supportare i lavoratori nella valutazione delle proprie traiettorie di carriera e nell’adozione di percorsi di sviluppo professionale, anche non limitati all’attuale posizione lavorativa, e volti a valorizzare talenti e interessi. Il fondo intende promuovere presso le imprese l’adozione di politiche a lungo termine, con attenzione all’occupabilità sostenibile dei dipendenti (sia dentro che fuori l’azienda), allo sviluppo di una classe manageriale responsabile e a condizioni di lavoro dignitose. Il finanziamento di Mtech+ è contrattato ogni due anni dalle parti sociali della metalmeccanica. Attualmente, lo stanziamento è pari allo 0,32% della retribuzione lorda di ciascun lavoratore, cui si aggiungono i valori ulteriori solitamente pattuiti a livello locale. Le risorse di Mtech+ sono volte principalmente a finanziare iniziative formative e di coaching in favore di singoli lavoratori (sia operai che impiegati), gruppi di lavoratori, persone in cerca d’impiego e studenti, in modo da facilitare transizioni occupazionali di qualità e sviluppi di carriera. In quest’ottica, in aggiunta al finanziamento di specifici progetti presentati dalle aziende o concentrati su alcuni territori, Mtech+ contiene anche soluzioni estese all’intero settore, quali: il c.d. “conto di carriera” da 1000 euro, attribuito a ciascun lavoratore per pagare corsi e altre iniziative formative e di coaching, liberamente individuate dagli stessi lavoratori e frequentabili al di fuori dell’orario lavorativo; e un fondo totalmente dedicato alla riqualificazione dei lavoratori in vista delle future sfide del lavoro.

 

Infine, guardando a un contesto molto diverso da quello italiano per i bassi tassi di sindacalizzazione e di copertura della contrattazione collettiva, merita attenzione quanto sta avvenendo in Bulgaria, dove cresce il coinvolgimento delle parti sociali nel governo degli effetti sul mercato del lavoro della transizione digitale. In particolare, nel contesto del programma operativo “Sviluppo delle risorse umane” (2021-2027) finanziato con il sostegno del Fondo Sociale Europeo, la confederazione sindacale CITUB, alcune associazioni datoriali e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, hanno avviato, a partire dal 2021, un’azione progettuale congiunta, volta a creare, nel corso di 20 mesi, 170 nuovi profili professionali dotati di competenze digitali all’interno di 17 settori economici. I profili dovranno essere testati nell’ambito di sperimentazioni settoriali su almeno 500 lavoratori. Una volta che le competenze saranno state individuate, verranno elaborati i curricula e i percorsi formativi coerenti alle professioni identificate. Curricula e percorsi formativi saranno poi implementati dai centri di formazione professionale, facenti capo alla pertinente agenzia nazionale, NAVET, mentre si svilupperanno alcuni modelli di dialogo sociale e contrattazione collettiva per sostenere la progettazione congiunta di percorsi di sviluppo e aggiornamento delle competenze digitali nei luoghi di lavoro.

 

Ilaria Armaroli

ADAPT Research Fellow

@ilaria_armaroli 

 

Giorgio Impellizzieri

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@giorgioimpe

La capillarità del bilateralismo nell’artigianato

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Bollettino ADAPT 28 febbraio 2022, n. 8

 

Il bilateralismo è un principio fondante delle relazioni sindacali nell’artigianato ed è anche del tutto peculiare. Consapevole della complessità della tematica, dovuta anche al forte radicamento del bilateralismo nel mercato del lavoro nel settore dell’artigianato, il contributo ha lo scopo di raccogliere i punti salienti del sistema.

 

Il sistema bilaterale previsto dagli accordi interconfederali e dai CCNL dell’artigianato si è, infatti, strutturato sulla base delle peculiarità del settore interessato, colmandole, fino a giungere ad un livello di capillarità tale da coinvolge tutti i datori di lavoro aderenti e non aderenti alle associazioni di categoria artigiane comparativamente più rappresentative, erogando prestazioni di welfare contrattuale che sono indispensabili a completare il trattamento economico e normativo del lavoratore previsto all’interno dei CCNL di categoria.

 

Il sistema della bilateralità coinvolge tutte le imprese artigiane ai sensi della L. n. 443/1985, nonchè le imprese inquadrate ai fini previdenziali come artigiane ai sensi della L. 389/1989, ma applicanti altri CCNL (circolare INPS del 9 settembre 2016, n. 176) e le imprese non artigiane che applicano i CCNL dell’artigianato. Restano, invece, escluse le imprese edili.

 

La capillarità è estesa anche ai molteplici settori coperti dal campo di applicazione dei CCNL artigiani: legno e lapidei; metalmeccanica, oreficeria e odontotecnica; tessile moda chimica ceramica (ceramica, terzo fuoco, occhiali, tessile abbigliamento calzature, lavanderie, chimica gomma plastica vetro); alimentazione a panificazione; acconciatura ed estetica; comunicazione; pulizie e autotrasporto. Ed è proprio mappando i campi di applicazione del CCNL menzionati che emerge ancora di più la ramificazione del sistema bilaterale in essi previsto: i CCNL artigiani sottoscritti dalle OO.AA. e OO.SS. comparativamente più rappresentative si applicano, ad eccezione del settore della metalmeccanica, sia alle imprese artigiane che non artigiane.

 

Grazie alla bilateralità contrattualmente prevista viene, quindi, garantita l’erogazione di prestazioni su base contrattuale, modello particolarmente conveniente nei settori ad alta frammentazione, che affidano all’ente bilaterale attività che sarebbero troppe onerose per un singolo datore di lavoro.

 

Il settore dell’artigianato è caratterizzato da una “forte polverizzazione del tessuto imprenditoriale, da una instabilità dell’occupazione, da un elevato turn over della forza lavoro, da una consistente diffusione del lavoro atipico o irregolare, oltre che da una difficoltà di effettivo radicamento delle organizzazioni sindacali. Il bilateralismo è dunque affermato quale strategia condivisa per la stabilizzazione del mercato e la protezione dei lavoratori attraverso la gestione paritetica e il governo dell’intero mercato del lavoro nonché come nuovo modello di relazioni industriali cooperative e collaborative.” (M. Tiraboschi, Bilateralismo e enti bilaterali: la nuova frontiera delle relazioni industriali in Italia, in E. Massagli e R. Caragnano, Regole, conflitto, partecipazione, 2013, ADAPT, pp. 646 – 647). Le peculiarità del settore comportano che “perfino la gestione dei diritti sindacali di tipo organizzativo è demandata agli enti bilaterali. Essi sono utilizzati soprattutto per la gestione congiunta della sicurezza sui luoghi di lavoro” (M. Napoli, Gli enti bilaterali nella prospettiva di riforma del mercato del lavoro, in Jus, 2003, p. 239).

 

Sono queste le circostanze in cui si è sviluppo il bilateralismo artigiano il quale, attraverso la gestione paritetica del mercato del lavoro, rappresenta una strategia condivisa per la stabilizzazione del mercato, un valore aggiunto a favore delle imprese e dei lavoratori. La bilateralità si pone, infatti, come modello di relazioni industriali di tipo partecipativo, per migliorare le condizioni dei lavoratori all’interno e all’esterno dei luoghi di lavoro e per aumentare la competitività delle imprese artigiane e delle piccole imprese, consapevole del “fondamentale ruolo del comparto artigiano nel contesto economico e sociale, per volume del valore prodotto, per la qualità e quantità dell’occupazione assicurata, per capillare diffusione nel territorio e per lo sviluppo delle economie territoriali” (Accordo interconfederale 21 novembre 2008, Linee guida per la riforma del sistema di assetti contrattuali, delle relazioni sindacali e della bilateralità nell’artigianato).

 

Il bilateralismo artigiano nasce negli anni ‘80 del secolo scorso, la cui istituzione e regolamentazione è racchiusa negli accordi interconfederali nazionali, ad opera delle parti sociali dell’Artigianato comparativamente più rappresentative, ad oggi, per parte datoriale dalle confederazioni Confartigianato, CNA, Casartigiani, CLAAI e per parte sindacale dalle confederazioni Cgil, Cisl e Uil, a partire da quelli del 21 dicembre 1983, del 27 febbraio 1987 e del 21 luglio 1988, i quali rafforzano il ruolo e l’autonomia della contrattazione artigiana. Tali accordi costituiscono i presupposti per la stipula dell’accordo interconfederale del 3 agosto 1992, il quale assegna alla competenza della contrattazione confederale nazionale la definizione degli strumenti bilaterali.

 

L’accordo interconfederale del 23 luglio 2009 ha poi stabilito il contenuto economico delle prestazioni erogate dal sistema di bilateralità, articolato a livello nazionale e a livello regionale.

 

Esso ha, inoltre, fissato le quote di finanziamento del sistema bilaterale, poi rideterminate con accordo interconfederale del 18 gennaio 2016 e, più recentemente, dall’accordo interconfederale del 17 dicembre 2021.

 

Con gli accordi interconfederali del 30 novembre 2012, del 31 ottobre 2013 e del 29 novembre 2013, prima, e l’accordo interconfederale del 10 dicembre 2015, poi, le parti sociali dell’artigianato hanno adeguato le fonti normative e istitutive del proprio fondo di solidarietà bilaterale alternativo (FSBA): “questa funzione appartiene al codice genetico degli enti bilaterali che si sono sviluppati nell’autonomia collettiva dei settori produttivi tradizionalmente non coperti dalle legislazione sul sostegno al reddito”, come è nel caso dell’artigianato (V. Bavaro, Gli enti bilaterali nella legislazione italiana, in L. Bellardi (a cura di), La bilateralità tra tradizione e rinnovamento, 2011). In ragione di ciò, a far data dal 01 gennaio 2016 le imprese aderenti all’EBNA, ai sensi dell’art. 2 dello Statuto EBNA e dell’art. 1 comma 2 dello Statuto FSBA sono associate al Fondo di Solidarietà al fine di usufruire delle prestazioni di cui all’art. 27 del D.lgs 148/2015. Il suddetto Fondo, in conformità agli Accordi Interconfederali del 10 dicembre 2015 e 11 gennaio 2016 e a quanto previsto dallo Statuto che lo regola, ha lo scopo di erogare prestazioni di sostegno al reddito nei casi di sospensione o riduzione dell’orario di lavoro, in costanza di rapporto di lavoro, a tutti i lavoratori dipendenti dell’artigianato e delle imprese che applicano i CCNL sottoscritti tra le Parti, non soggetti alla normativa in materia di integrazione salariale (Titolo I, D. Lgs., n. 148/2015), indipendentemente dai requisiti dimensionali dell’impresa.

 

Ai sensi dell’art. 2, lettera h, D. Lgs. n.276/2003, le attività del sistema bilaterale riguardano i sistemi di rappresentanza; la tutela in materia di salute e sicurezza (si pensi al servizio del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale, a cui possono accedere le aziende artigiane, nonchè le aziende non artigiane aderenti alle OO.AA. Confartigianato, CNA, CLAAI e Casartigiani; il sostegno al reddito dei lavoratori e delle imprese (Fondo di solidarietà bilaterale artigianato FBSB e Fondo di sostegno al reddito FSR); la formazione (Fondo artigianato formazione FONDARTIGIANATO); l’assistenza sanitaria integrativa (fondo SAN.ARTI); la previdenza complementare (fondo FON.TE); il welfare integrativo; nonché le attività di indagine e ricerca, lo sviluppo delle pari opportunità e il mercato del lavoro.

 

L’ente bilaterale di settore è l’EBNA Ente Bilaterale Nazionale Artigianato, con natura giuridica di associazione non riconosciuta e non persegue finalità di lucro, il cui Statuto (26 marzo 2014) prevede quali organi dell’ente il Presidente, il VicePresidente, il Consiglio Direttivo, l’Assemblea ed il Collegio dei Revisori dei Conti.

 

La bilateralità artigiana è fortemente sviluppata a livello territoriale, con l’istituzione di un ente bilaterale territoriale per ciascuna regione; essi trovano il loro fondamento negli interessi concreti del territorio dove agiscono imprese e lavoratori e proprio per questo, a fronte di specifica contribuzione, prevedono l’erogazione di specifiche prestazioni a favore delle imprese e dei lavoratori:  Ebab (Basilicata), Ebac (Calabria), Ebas (Sicilia), Ebas (Sardegna), Ebac (Campania), Ebap (Puglia), Ebram (Molise), Ebrart (Abruzzo), Ebam (Marche), Ebav (Veneto), Ebiart (Friuli Venezia Giulia), Bkh Eba (Prov. Autonoma Di Bolzano),Ebat (Trentino Alto Adige), Eblart (Lazio), Ebrau (Umbria), Ebret (Toscana),Eber (Emilia Romagna), Eblig (Liguria), Elba (Lombardia), Ebap (Piemonte), Ebava (Valle D’Aosta).

 

Confartigianato Imprese, CNA, Casartigiani, CLAAI, Cgil, Cisl e Uil, con l’obiettivo di potenziare il sistema del welfare contrattuale per i lavoratori del comparto, hanno previsto la contrattualizzazione del diritto alle prestazioni erogate dalla bilateralità nazionale, regionale e delle province autonome di Trento e Bolzano: le prestazioni presenti nei sistemi della bilateralità nazionale e regionale rappresentano, per l’appunto, un diritto contrattuale e normativo di ogni singolo lavoratore, il quale matura, esclusivamente nei confronti dei datori di lavoro non aderenti al sistema bilaterale, il diritto alla erogazione diretta da parte del datore di lavoro di prestazioni equivalenti. In questo senso, l’impresa aderendo alla bilateralità ed ottemperando ai relativi obblighi contributivi, assolve ogni suo obbligo nei confronti dei lavoratori.

 

Nonostante nei contratti collettivi di lavoro la bilateralità sia collocata nella parte obbligatoria, vincolante le parti firmatarie, la contrattualizzazione delle prestazioni bilaterali comporta la titolarità a favore del lavoratore del diritto alla prestazione erogata dalla bilateralità ed è per questo motivo che gli accordi interconfederali prevedono forme sanzionatorie in caso di inadempienza. In questo senso, si è espresso l’accordo interconfederale del 21 aprile 1997, che consente ai datori di lavoro inadempimenti di sanare le omissioni contributive nei confronti dell’ente bilaterale e di regolarizzare, in conseguenza, la loro posizione nei confronti dell’INPS.

 

In maniera più dettagliata, l’accordo interconfederale del 23 luglio 2009, recepito dai CCNL artigiani, stabilisce che “i trattamenti previsti dalla bilateralità sono vincolanti per tutte le imprese rientranti nella sfera di applicazione degli accordi e contratti collettivi nazionali, regionali e territoriali dell’artigianato, ove sottoscritti”.

 

Nell’affermare il diritto contrattuale di ogni lavoratore alle prestazioni previste dalla bilateralità, l’accordo interconfederale sopra citato dichiara che, in caso di inadempimento contributivo da parte del datore di lavoro, anche derivante dalla mancata adesione alla bilateralità, vi sia il diritto all’erogazione diretta da parte del datore di lavoro di prestazioni equivalenti a quelle erogate dal sistema bilaterale di riferimento, qualora si verificasse l’evento coperto dalla bilateralità. L’obbligo è forfettariamente racchiuso nella corresponsione a ciascun lavoratore un elemento aggiuntivo retributivo (cd. E.A.R.) pari a 25 euro lordi per tredici mensilità nonché. L’E.A.R. incide su tutti gli istituti retributivi di legge e contrattuali, compresi quelli indiretti o differiti, escluso il solo TFR. In questo senso, anche il Ministero del lavoro con la circolare 15 dicembre 2010, n. 43, per cui è garantita la libertà associativa per i datori di lavoro di non iscriversi ad associazioni sindacali o enti bilaterali, ma si conferma l’obbligo di garantire ai lavoratori le prestazioni previste nella parte economico normativa del contratto.

 

La contribuzione al sistema bilaterale prevede una quota EBNA, definita dall’atto di indirizzo del 30 giugno 2010 e dall’accordo interconfederale del 23 dicembre 2010, il contributo di solidarietà carico azienda da versare all’INPS ed esclusivamente per i datori di lavoro soggetti a FSBA la percentuale del 0,60% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per ciascun lavoratore, di cui 0,45% a carico del datore di lavoro e 0,15% a carico del lavoratore.

 

La contribuzione è, dunque, distinta a seconda che il datore di lavoro rientri o meno nel campo di applicazione del titolo I del D.Lgs., n. 148/2015. Peraltro la quota EBNA è stata recentemente elevata dall’accordo interconfederale del 17 dicembre 2021 a 139,80 € annui pari a 11,65 € mensili; accordo al momento unicamente recepito dai CCNL del settore alimentazione e panificazione, del settore tessile moda chimica ceramica, del settore metalmeccanica oreficeria e odontotecnica e del settore autotrasporto merci e logistica.

 

La quota EBNA comprende la rappresentanza sindacale di bacino, il rappresentante territoriale sicurezza e formazione sicurezza, EBNA e funzionamento FSBA, la rappresentanza imprese e contrattazione collettiva e le prestazioni e funzionamento degli enti bilaterali regionali.

 

Il sistema di adesione e contribuzione alla bilateralità artigiana poc’anzi descritto rappresenta un unicum nel panorama delle relazioni industriali italiane, poiché la raccolta della contribuzione è unica per tutte le voci della bilateralità artigiana, di cui la quota EBNA, in cifra fissa, deriva da un obbligo contrattuale, mentre la quota in cifra percentuale ad FSBA deriva da un obbligo di legge (art. 27, D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148). Ciò determina un particolare effetto sulla contribuzione della bilateralità artigiana, infatti la regola di un’unica obbligazione contributiva contiene in sé profili di controversia in merito all’obbligatorietà di contribuzione. A questo proposito non si può non citare la recente sentenza del Tribunale di Roma, 30 novembre 2021, n. 10087, in cui il giudice ha deciso per il versamento obbligatorio dei contributi a FSBA, affermando che anche i datori di lavoro che non abbiano aderito al sistema di relazioni industriali del comparto artigiano sono tenuti al versamento dei contributi in favore del fondo FSBA poiché questo realizza una tutela previdenziale. La sentenza differenzia fra l’adesione volontaria del datore di lavoro artigiano all’ente bilaterale e quella obbligatoria al Fondo di solidarietà bilaterale alternativo, chiarendo che “l’omessa adesione alla bilateralità giustifica senz’altro il mancato versamento della contribuzione dovuta all’EBNA, che trova la sua fonte non già nella legge bensì nell’adesione dell’impresa alla contrattazione collettiva (con operatività, per le aziende che applicano il CCNL, dell’obbligazione alternativa ivi contemplata), mentre in nessun caso la contribuzione dovuta al Fondo ai sensi dell’art. 27 D.Lgs. n. 148/2015 potrà dirsi condizionata alla volontaria adesione dell’impresa”.

 

Eleonora Peruzzi

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@PeruzziEleonora

 

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