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Il ruolo della contrattazione collettiva nelle proposte di legge sulla riduzione dell’orario di lavoro

Il ruolo della contrattazione collettiva nelle proposte di legge sulla riduzione dell’orario di lavoro

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

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Bollettino speciale ADAPT 10 luglio 2024, n. 4

 

l presente articolo studia la rilevanza che viene data alla contrattazione collettiva nella determinazione dell’orario di lavoro nelle più recenti proposte di legge sul tema. In effetti, trattandosi di un aspetto fondamentale e centrale per la contrattazione collettiva, risulta essenziale mettere in luce le possibilità e i limiti riconosciuti dalla legislazione a tale strumento di regolazione dei mercati del lavoro.
 
In particolare, sono stati analizzati i testi delle tre proposte di legge e la Documentazione per l’esame dei Progetti di legge del Servizio studi della Camera dei deputati, che si è occupata di analizzare destinatari, contenuto, campo di applicazione, nonché alcune delle materie considerate dalle proposte di legge (Dossier n. 272 – Schede di lettura 3 aprile 2024).
 
 
“Disposizioni per favorire la riduzione dell’orario di lavoro”, proposta n. 142 presentata il 13 ottobre 2022 dai Deputati Fratoianni e Mari
 

La proposta di legge “Disposizioni per favorire la riduzione dell’orario di lavoro” presentata dai deputati Fratoianni e Mari (proposta n. 142 presentata il 13 ottobre 2022) ha come oggetto principale la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. In particolare, la presente proposta di legge, a differenza delle altre analizzate nell’articolo, prevede la riduzione dell’orario normale di lavoro, attualmente stabilito dal d. lgs. n. 66/2003, portandolo da 40 ore settimanali a 34. Infatti, i promotori non vogliono incentivare sperimentazioni in merito alla riduzione dell’orario di lavoro in azienda ma intendono imporre per legge il limite normale di 34 ore settimanali a parità di salario.

 
La proposta di legge ricalca quindi la struttura del D. lgs. del 2003, anche nella parte in cui la contrattazione collettiva può derogare alla disciplina legislativa. In particolare, il rinvio alla contrattazione collettiva viene compiuto per regolare: la modulazione dell’orario settimanale di lavoro e la gestione negoziale della flessibilità oraria; le pause di lavoro e il riposo giornaliero; le ferie annuali; le attività usuranti; il lavoro straordinario; il lavoro notturno e le sanzioni in caso di violazione delle disposizioni.
 
Nello specifico, sono i contratti collettivi a dover «prevedere una riduzione dell’orario legale di lavoro fino a un orario medio settimanale di trentaquattro ore, fermi restando i vigenti limiti legali e contrattuali inferiori» (art.7). Pertanto, la contrattazione collettiva di settore resta la fonte competente a organizzare e modulare il nuovo orario di lavoro.  La distribuzione dell’orario normale di lavoro settimanale e giornaliero, anche su base multiperiodale, è stabilita in sede contrattuale, ma sono consentite variazioni successive nella distribuzione dell’orario previo confronto con le rappresentanze sindacali, anche aziendali, e il consenso del lavoratore interessato. Per quanto riguarda l’orario massimo, invece, è disposto che in nessun caso – salvo le eccezioni previste dagli artt. 10 e 11 del regolamento di cui al regio decreto 10 settembre 1923, n. 1955 – l’orario settimanale di lavoro, comprensivo delle ore di lavoro straordinario, può superare le quaranta ore settimanali o le otto ore giornaliere, prevedendo un limite legale inderogabile per l’autonomia collettiva. Rispetto alla disciplina vigente, pertanto, si introduce una soglia giornaliera e non più solo settimanale e viene eliminata la possibilità di calcolare la durata massima settimanale come media di un periodo superiore alla settimana. Attualmente, infatti l’art. 4 del D. lgs. n. 66 del 2003 prevede che la durata massima dell’orario di lavoro debba essere calcolata come media di un periodo non superiore ai quattro mesi, con la possibilità per il contratto collettivo di stabilire un tempo superiore in presenza di ragioni obiettive.
 
La proposta di legge mira, inoltre, a limitare il lavoro straordinario a un massimo di due ore al giorno e sei ore alla settimana. La contrattazione collettiva può stabilire il limite annuale, le maggiorazioni retributive e la procedura per il lavoro straordinario, garantendo in aggiunta, a livello di contrattazione nazionale, un minimo di maggiorazione almeno del 40% sulla retribuzione ordinaria, o del 50% per il lavoro festivo o notturno. Solo nel caso in cui non vi siano accordi collettivi (nazionali o aziendali), opera la disciplina legale.
 
Anche sulle pause di lavoro viene ricalcata la disciplina preesistente, ma viene aumentata la durata della pausa nel caso in cui l’orario di lavoro giornaliero ecceda le sei ore. Per quanto riguarda il riposo giornaliero, che la proposta eleva ad     almeno dodici ore consecutive nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore, è disposto che la contrattazione collettiva possa prevedere      deroghe, anche a livello aziendale, «per prestazioni di pronto intervento o di attesa nei servizi pubblici». Similmente, la determinazione della misura della retribuzione durante le ferie e delle modalità di utilizzo delle ferie viene demandata alla contrattazione collettiva nazionale, con il limite minimo di durata, stabilito ex lege, di almeno quattro settimane lavorative (art. 9).
 
La contrattazione collettiva è inoltre competente nella definizione della riduzione oraria per l’esercizio di attività usuranti di cui alla tabella A allegata al decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374 che deve essere almeno di ulteriori cinque ore settimanali rispetto all’orario normale di lavoro di 34 ore (art. 10).
 
Per quanto riguarda il lavoro notturno, la proposta di legge ricalca la disciplina preesistente circa la durata massima del lavoro notturno, aprendo qui alla possibilità – per previsione contrattuale, anche aziendale – di stabilire un periodo di riferimento superiore alle ventiquattro ore sul quale calcolare la media della durata della prestazione notturna. La norma, inoltre, sancisce che «l’orario notturno determina una riduzione della durata del tempo di lavoro settimanale e mensile e una maggiorazione retributiva» ed è la contrattazione collettiva, anche aziendale, a stabilirne i criteri e le modalità (art. 12) e a indicare i requisiti dei lavoratori esclusi dall’obbligo di effettuare lavoro notturno o prevedere trattamenti migliorativi a quelli previsti per legge (art. 13). Attenzione viene posta anche sul tema della salute e sicurezza delle prestazioni di lavoro notturno sul quale la contrattazione collettiva può prevedere modalità e specifiche misure di prevenzione per particolari categorie di lavoratori che eseguono prestazioni di lavoro notturno ed è competente anche per quanto riguarda il trasferimento al lavoro diurno nel caso sopraggiungano condizioni di salute che comportino l’inidoneità alla prestazione di lavoro notturno (artt. 15 e 16).
 
Particolarmente innovativa è l’attenzione che la proposta di legge rivolge alla conciliazione delle esigenze di vita-lavoro. Su questo tema, gli attori principali sono le parti sociali che possono stabilire tramite contratti collettivi, anche aziendali, orari individuali, collettivi, di gruppo e personalizzati in modo da diversificare la durata lavorativa, ad esempio, attraverso sistemi di banche di ore (art. 17). Per quanto riguarda la gestione della flessibilità dell’orario, l’art. 18 rinvia agli accordi sindacali aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale costituite nell’impresa o unità produttiva e amministrativa, o, in loro mancanza, dalle organizzazioni sindacali provinciali aderenti alle confederazioni stipulanti il contratto collettivo nazionali di categoria applicato nell’impresa o unità produttiva o l’accordo di comparto applicato nell’unità amministrativa. L’accordo può essere condizionato alla sua approvazione tramite referendum da parte della maggioranza dei lavoratori votanti tra i lavoratori interessanti nel caso di dissenso o di mancata sottoscrizione da parte di uno o più dei soggetti collettivi o nel caso lo richieda il 20 per cento dei lavoratori interessati.
 
Infine, le sanzioni amministrative e pecuniarie si applicano tanto in caso di violazione dei limiti legali quanto da quelli previsti dalla contrattazione. È poi la stessa contrattazione collettiva a dover adeguare la disciplina sull’orario di lavoro a quanto previsto dal disegno di legge alla prima scadenza contrattuale, comunque non oltre dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge (art. 21).
 
In conclusione, la contrattazione continua a svolgere un ruolo fondamentale in molti aspetti legati alla riduzione dell’orario di lavoro. Tuttavia, rispetto al D.lgs. 66/2003, sembra che questa proposta di legge ne limiti di fatto l’agibilità, introducendo numerosi vincoli precedentemente non previsti.


 
“Disposizioni sperimentali concernenti la riduzione dell’orario di lavoro mediante accordi definiti nell’ambito della contrattazione collettiva”, proposta n. 1000 presentata il 15 marzo 2023 dai Deputati Conte, Carotenuto e altri
 

La proposta di legge n. 1000 “Disposizioni sperimentali concernenti la riduzione dell’orario di lavoro mediante accordi definiti nell’ambito della contrattazione collettiva”, presentata il 15 marzo 2023, con primo firmatario il deputato Conte, mira ad incentivare l’adozione di forme di riduzione d’orario a parità di retribuzione mediante la stipula di specifiche intese da parte della contrattazione collettiva, allo scopo di adeguare l’attuale disciplina dell’orario di lavoro alle dinamiche sociali ed economiche, alle conseguenze dello sviluppo tecnologico sul mercato del lavoro, promuovere l’occupazione e incrementare la produttività del lavoro, migliorare la conciliazione vita-lavoro.
 
Nel merito della proposta, la contrattazione collettiva è quindi individuata quale strumento più idoneo per l’adozione di forme flessibili di organizzazione del lavoro concernenti una riduzione dell’orario settimanale a parità di salario. Più specificatamente, tale valorizzazione dell’autonomia contrattuale collettiva si evince già al comma 1 dell’art. 2, con il riconoscimento in capo alle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, nonché alle loro articolazioni territoriali o aziendali, la facoltà di stipulare «specifici contratti» per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di retribuzione.
 
La riduzione che si intende promuovere tramite la sottoscrizione di tali contratti riguarda l’orario normale settimanale (fissato in 40 ore dall’ art. 3 d. lgs. n. 66/2003), fino alla misura minima di 32 ore settimanali a parità di retribuzione (rinvio gruppo 2)È rimessa sempre agli attori collettivi la possibilità di stabilire, nell’ambito di tali contratti, i criteri e le modalità di individuazione dei lavoratori interessati all’applicazione (anche su base volontaria) di tali schemi di riduzione oraria (comma 2, art. 2).
 
La proposta di legge in esame attribuisce un ruolo di rilievo nella promozione di forme di riduzione oraria direttamente ai lavoratori e al datore di lavoro, seppur con un intervento che rispetto alla contrattazione collettiva è solo eventuale. Infatti, per sopperire all’eventuale inerzia da parte degli attori collettivi, è previsto che in mancanza di uno specifico accordo collettivo sulla riduzione d’orario, il 20% dei lavoratori dell’azienda o il datore di lavoro possono presentare una «proposta di contratto per la riduzione d’orario dell’orario», fino a 32 ore settimanali, a parità di retribuzione, da sottoporre a referendum dei lavoratori entro i 90 giorni successivi alla presentazione (comma 3).
 

Infine, un ulteriore esplicito rinvio alla contrattazione collettiva (tutti i livelli contrattuali) è sancito all’art. 5, ove è attribuito il potere di disciplinare ulteriori modalità di attuazione dei contratti per la riduzione d’orario.
 
 
“Disposizioni per favorire la riduzione dell’orario di lavoro”, proposta n. 1505 presentata il 20 ottobre 2023 dai Deputati Scotto, Schlein e altri

 
Il Disegno di legge “Disposizioni per favorire la riduzione dell’orario di lavoro”, proposta n. 1505 presentata il 20 ottobre 2023 dai Deputati Scotto, Schlein e altri si concentra sulla sfida della diversa organizzazione dei tempi di lavoro a parità di salario.
 
Il testo della proposta, in particolare, promuove la sottoscrizione di contratti collettivi tra imprese e le organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, volti a definire modelli organizzativi che sperimentino la progressiva riduzione dell’orario di lavoro mantenendo invariato il salario, anche tramite l’adozione di turni su quattro giorni settimanali.
 
Un elemento centrale del disegno di legge è, dunque, la promozione delle sperimentazioni di riduzione dell’orario di lavoro attraverso la contrattazione collettiva. In particolare, nella proposta in esame, la riduzione dell’orario di lavoro è demandata ai contratti stipulati tra le imprese e le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
 
Da queste prime evidenze emerge una differenza significativa rispetto, in particolare, alla proposta di legge “Disposizioni sperimentali concernenti la riduzione dell’orario di lavoro mediante accordi definiti nell’ambito della contrattazione collettiva” (proposta n. 1000, presentata il 15 marzo 2023 dai Deputati Conte, Carotenuto e altri). Mentre questa proposta di legge si concentra sugli accordi definiti dalle organizzazioni datoriali a livello nazionale, il disegno di legge presentato da Scotto, Schlein e altri sposta l’attenzione sulle imprese stesse come parti firmatarie dei contratti collettivi. Questo implica che il disegno di legge affida (quantomeno prevalentemente) alla contrattazione collettiva aziendale il compito di sperimentare la progressiva riduzione dell’orario di lavoro, mantenendo invariato il salario in cambio di un parziale esonero dal versamento dei contributi previdenziali previsti.
 
Il disegno di legge, quindi, non impone direttamente una riduzione dell’orario legale di lavoro attraverso i contratti collettivi, ma crea un sistema che incentiva tali sperimentazioni. Il disegno di legge dichiara infatti di voler sostenere la contrattazione collettiva che, rispettando il ruolo delle parti sociali, incentiva le soluzioni che permettono incrementi di produttività e riduzioni dell’orario di lavoro a parità di retribuzione. Emerge, in tal senso, una generale delega alla contrattazione collettiva aziendale rispetto alla ricerca e sperimentazioni di soluzioni che incentivino la riduzione dell’orario di lavoro tramite, ma non solo, la sperimentazione della settimana lavorativa di quattro giorni.
 
A differenza di altre proposte di legge, come il disegno di legge Fratoianni e Mari “Disposizioni per favorire la riduzione dell’orario di lavoro” (proposta n. 142 presentata il 13 ottobre 2022), la proposta in esame non entra nel dettaglio di questioni relative all’organizzazione del lavoro, sebbene queste siano tematiche rilevanti nel contesto della regolazione dell’orario.
 
In tal senso, si può altresì riconoscere una quasi totale autonomia conferita alle parti sociali, in particolare alle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative e alle imprese, riguardo alle modalità e ai contenuti delle disposizioni in merito alla riduzione dell’orario di lavoro. Questo implica che le parti coinvolte hanno la facoltà di negoziare e determinare specifiche soluzioni adattate alle loro esigenze e contesti operativi. La flessibilità concessa può consentire di sviluppare accordi che possano rispondere in maniera più efficace alle peculiarità dei singoli settori e delle diverse realtà aziendali. L’approccio adottato dalla proposta di legge, dunque, sembra mirare a garantire che le misure adottate siano non solo fattibili, in termini astratti, ma anche concretamente sostenibili, promuovendo così un equilibrio tra l’efficienza produttiva e la competitività delle imprese e il benessere dei lavoratori. In definitiva, la responsabilità di definire i dettagli operativi della riduzione dell’orario lavorativo è affidata direttamente ai soggetti che meglio conoscono le dinamiche e le necessità del proprio ambiente di lavoro, conferendo un ruolo centrale alla contrattazione collettiva aziendale come strumento di regolazione e innovazione nel mondo del lavoro.
 
Per concludere, è opportuno sottolineare che il disegno di legge contempla specifiche deroghe per il settore agricolo e domesticodecisione presumibilmente motivata dalle particolari caratteristiche delle attività svolte. Tuttavia, risulta evidente che assegnare alla contrattazione collettiva il compito di regolare la possibile normativa sulla riduzione dell’orario di lavoro renda tale specificazione apparentemente superflua, considerando che le parti sociali avrebbero comunque la facoltà di decidere l’applicazione della normativa per specifiche categorie professionali, escludendone altre in base alle peculiarità intrinseche del lavoro stesso.
 
 
Conclusioni
 
Rinviando ad altra sede per la trattazione su cosa s’intenda per riduzione dell’orario di lavoro, elemento che inevitabilmente incide su ciascuna proposta di legge, qui abbiamo voluto interrogarci su quale sia il ruolo attribuito dalle diverse proposte alla contrattazione collettiva, nel suo rapporto con la legge, in materia di governo del tempo di lavoro.
 
Guardando al primo disegno “Disposizioni per favorire la riduzione dell’orario di lavoro”, proposta n. 142 presentata il 13 ottobre 2022 dai Deputati Fratoianni e Mari, si nota come la fonte che introduce il nuovo limite orario settimanale ridotto sia la legge e non la contrattazione collettiva. Infatti, i promotori intendono imporre per legge il limite di 34 ore settimanali a parità di salario, lasciando invece alla contrattazione collettiva, principalmente nazionale, il compito di «prevedere una riduzione dell’orario legale di lavoro fino a un orario medio settimanale di trentaquattro ore, fermi restando i vigenti limiti legali e contrattuali inferiori» (art.7). Pertanto, la contrattazione collettiva di settore è, dopo la legge ed ex lege, la fonte competente a organizzare e modulare il nuovo orario di lavoro. Conseguentemente, la proposta prevede inoltre un rinvio alla contrattazione collettiva in merito a tematiche quali l’orario settimanale di lavoro, la sua modulazione e la gestione negoziale della flessibilità oraria; le pause di lavoro e il riposo giornaliero; le ferie annuali; le attività usuranti; il lavoro straordinario; il lavoro notturno e le sanzioni in caso di violazione delle disposizioni.
 
Differentemente, il disegno “Disposizioni sperimentali concernenti la riduzione dell’orario di lavoro mediante accordi definiti nell’ambito della contrattazione collettiva”, proposta n. 1000 presentata il 15 marzo 2023 dai Deputati Conte, Carotenuto e altri, nonché      il disegno “Disposizioni per favorire la riduzione dell’orario di lavoro”, proposta n. 1505 presentata il 20 ottobre 2023 dai Deputati Scotto, Schlein e altri incentivano la contrattazione collettiva quale strumento centrale per promuovere modalità di riduzione dell’orario attraverso sperimentazioni.
 
Dato il richiamo, seppur diversificato, delle diverse proposte di legge alla contrattazione collettiva, è opportuno in secondo luogo indagare quale livello di contrattazione sia promosso. Per quanto riguarda la prima proposta presa in considerazione, il livello privilegiato è il livello nazionale: è alla contrattazione collettiva di settore che si affida il compito di ridurre l’orario di lavoro settimanale lavorato. Invero, in merito a questioni complementari, si apre anche all’azione della contrattazione collettiva aziendale.
 
Se la seconda proposta di legge adotta una soluzione mediana, prevedendo un ruolo per la contrattazione di settore ma aprendo anche alla contrattazione collettiva aziendale, la proposta dai Deputati Scotto, Schlein e altri, incentiva invece il solo livello aziendale quale livello privilegiato per sostenere sperimentazioni di riduzione dell’orario di lavoro.
 
È opportuno, inoltre, chiarire che il rinvio di tutte le proposte di legge in esame, pur richiamando diversi livelli negoziali (ovvero quello nazionale nella prima e nella seconda proposta, quello aziendale nella terza), identifica quali soggetti abilitati alla stipula di tali intese i soli soggetti comparativamente più rappresentativi a livello nazionale (in particolare, le prime due proposte di legge fanno riferimento alle organizzazioni sindacali e associazioni datoriali comparativamente più rappresentative, mentre la terza richiama le sole organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, scelta motivata dal fatto che la proposta di legge Scotto, Schlein e altri, incentiva prevalentemente la contrattazione collettiva di secondo livello).
 
Infine, è opportuno evidenziare che tutti i disegni di legge delineano varie misure per incentivare la riduzione dell’orario di lavoro e l’aumento dell’occupazione, principalmente tramite incentivi fiscali e contributivi. La prima proposta, ad esempio, all’art. 6 introduce sgravi fiscali legati alla stipula di accordi sindacali per la riduzione dell’orario di lavoro. Analogamente, la seconda proposta stabilisce un sistema di incentivi per tali accordi, offrendo ai datori di lavoro esoneri dai contributi previdenziali e assicurativi. E ancora la terza proposta, oltre a incrementare la dotazione del Fondo Nuove Competenze, concede ai datori di lavoro privati, con l’eccezione del settore agricolo e dei contratti di lavoro domestico, un’esenzione parziale del 30% sui contributi previdenziali complessivi, esclusi i premi e i contributi all’INAIL, in proporzione alla riduzione dell’orario di lavoro concordata.
 
Dunque, quale il ruolo riconosciuto alla contrattazione collettiva dalle proposte di legge in esame sulla riduzione dell’orario di lavoro? Se, difatti, promuovendo la contrattazione collettiva (similmente quella nazionale e quella aziendale), si porta avanti un sistema di regolazione del lavoro “di sussidiarietà” e, quindi, flessibile alle nuove esigenze di imprese e lavoratori, anche con riferimento alle proposte in esame è necessario comprendere e meglio chiarire quale sia davvero il ruolo del collettivo – e quali materie ad esso delegate, nel difficile intreccio tra disciplina legale e spazi di agibilità per l’autonomia collettiva – nell’accompagnare le trasformazioni contemporanee nel mondo del lavoro.
 
Uno spunto di riflessione conclusivo deriva, infine, dalla proposta di legge Conte, Carotenuto e altri che prevede il meccanismo per cui l’efficacia dell’accordo in merito alla riduzione dell’orario di lavoro possa essere condizionata all’approvazione tramite referendum. Si tratta indubbiamente di un punto delicato, in quanto, se da una parte apre a una maggiore democratizzazione della materia, dall’altra si presta a possibili usi strumentali, rischiando altresì di favorire la disintermediazione anche nel campo delle relazioni sindacali. In questo senso, dunque, si auspica che questi progetti di legge, oltre a disciplinare e riattivare il dialogo su un tema certamente importante quale l’orario di lavoro, stimolino la discussione anche sul ruolo e la funzione del collettivo stesso.
 
 Giuseppe Biundo

Apprendista di ricerca presso FIM CISL Nazionale

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Federica Chirico

Apprendista di ricerca ADAPT

@fedechirico
 
Sara Prosdocimi

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

@ProsdocimiSara

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/218 – Il primo accordo del gruppo unificato Nestlé-Sanpellegrino

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/218 – Il primo accordo del gruppo unificato Nestlé-Sanpellegrino

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 8 luglio 2024, n. 27

 

Oggetto e tipologia di accordo

 

In data 7 maggio 2024 è stato sottoscritto l’accordo integrativo di 2° livello del Gruppo Nestlé-Sanpellegrino per il biennio 2024-2025, che definisce un unico sistema di relazioni industriali per le realtà italiane controllate dalla multinazionale svizzera Nestlè.

L’accordo disciplina istituti come il premio annuo variabile (PAV), il welfare nonché altri istituti previsti nei preesistenti e distinti accordi integrativi di Nestlé e Sanpellegrino.

L’obiettivo perseguito con il rinnovo è stato quello di trovare soluzioni in grado di tutelare dal punto di vista normativo e salariale le lavoratrici e i lavoratori e, allo stesso tempo, di salvaguardare le specificità, contenute nei due precedenti accordi di Gruppo (quello Nestlé e quello Sanpellegrino) ora unificati.

 

Parti firmatarie e contesto

 

A seguito di una lunga trattativa, l’accordo è stato rinnovato dalle Segreterie Nazionali e territoriali di FAI CISL, FLAI CGIL E UILA UIL, insieme al Coordinamento Nazionale delle RSU, con le società Nestlé Italiana, Sanpellegrino, Nestlé Purina Commerciale, Nestlé Shops e Nestlé Global Services Italy, assistite da Assolombarda. L’idea di definire un unico sistema di relazioni industriali era in discussione da tempo, visto che oramai molti istituti della contrattazione di secondo livello dei preesistenti accordi di gruppo di Nestlé e SanPellegrino erano di fatto sovrapponibili. Questo perché gli attori delle relazioni industriali, sia di parte sindacale che di parte datoriale erano i medesimi da diverse tornate contrattuali. La suddetta idea, condivisa dalle Parti sociali, si è concretizzata in un impegno contrattuale formalizzato in occasione di un apposito incontro il 13 giugno 2023. L’accordo di gruppo del 7 maggio 2024 nasce in attuazione del citato accordo del 2023.

 

Temi trattati / punti qualificanti / elementi originali o di novità

 

L’intesa raggiunta ha rafforzato il sistema di relazioni industriali implementando il coinvolgimento delle OO.SS., sia a livello centrale, istituendo un unico Coordinamento nazionale delle RSU, composto da 42 esponenti delle RSU dei siti del gruppo unificato, che di sito, competente per materie quali organizzazione del lavoro, orario di lavoro, inquadramento, ambiente, salute e sicurezza.

Le materie oggetto di informativa sono state ampliate aggiungendo un approfondimento sugli investimenti aziendali sulla sostenibilità sociale ed ambientale.

È stato, poi, ribadito il ruolo fondamentale del comitato aziendale europeo, denominato Consiglio Europeo Nestlé per l’informazione e consultazione (NECIC), che ha l’obiettivo di fornire informazioni sull’andamento dell’azienda e sulle decisioni di carattere transnazionale dell’intero Gruppo: per rendere ancor più efficace la partecipazione dei rappresentanti italiani, l’azienda metterà a loro disposizione dei corsi di lingua inglese e finanza e controllo.

In riferimento alle Commissioni Bilaterali, che si confermano uno strumento idoneo ad approfondire tematiche specifiche di notevole rilevanza, vengono elevati in via eccezionale per il presente contratto i componenti di nomina sindacale da 3 a 6 membri.

Inoltre, vengono rafforzati i confronti a livello di sito tra le RSU e la Direzione aziendale per l’approfondimento di tematiche attinenti alle problematiche di sito e della rete vendita che possono generarsi nel tempo.

Per quanto riguarda la Sicurezza, Salute e Benessere sul luogo di lavoro, è stata introdotta la garanzia riguardo il preventivo coinvolgimento degli RLS nella valutazione dei rischi derivanti dall’inserimento di nuove tecnologie produttive all’interno dei siti del Gruppo. Inoltre, per quanto riguarda il preposto, l’azienda si è impegnata a comunicare nel corso della prossima informativa al coordinamento in che forma attuerà l’obbligo di garantire una specifica assicurazione e/o l’assistenza legale a proprio carico, disposto in occasione dell’ultimo rinnovo del CCNL Industria alimentare (per un commento sul rinnovo, si veda M. Migliorino, Il rinnovo del CCNL dell’Industria alimentare: tra aumenti retributivi e novità normative, Bollettino ADAPT 15 aprile 2024, n. 1).

 

Con riferimento ai modelli organizzativi e gestione degli orari e occupazione si è inserita la possibilità di un confronto a livello di sito con la finalità di analizzare tematiche afferenti al ricambio generazionale, alla situazione dei contratti part-time e agli inserimenti lavorativi alla luce dell’evoluzione degli assetti produttivi e organizzativi.

Una delle peculiarità del gruppo Nestlé – Sanpellegrino era ed è il Nestlé Continuous Excellence (NCE), un programma di miglioramento continuo e di gestione operativa finalizzato al miglioramento costante dell’efficienza, della qualità e della produttività tramite l’implementazione dei principi della lean manufacturing. Con il nuovo accordo integrativo, nell’ottica di proseguire con l’utilizzo della metodologia NCE per analizzare lo sviluppo delle competenze professionali, l’azienda ha confermato la propria disponibilità, previa richiesta delle parti, a verificare di norma annualmente a livello di sito la corrispondenza tra gli inquadramenti in essere e gli eventuali nuovi profili professionali derivanti dalla progressiva implementazione dell’iniziativa NCE. Le parti effettueranno anche una ricognizione locale al fine di verificare l’efficacia delle iniziative istituite dalla Commissione paritetica ai sensi dell’accordo 27 giugno 2011, applicando altresì eventuali correttivi ove ritenuto necessario.

 

A differenza dei preesistenti accordi sottoscritti in Nestlé e Sanpellegrino, il nuovo integrativo accoglie un nuovo capitolo legato alla sostenibilità sociale con l’intento di costruire un ambiente lavorativo sano, inclusivo e sostenibile, migliorando la qualità della vita delle lavoratrici e dei lavoratori di Nestlé. Vengono confermate le iniziative in tema di work-life balance, fondata sugli accordi in tema di telelavoro, lavoro agile (Fab) o smart working. Tra gli elementi più significativi del rinnovo vi è la riconferma della validità dell’iniziativa Nestlé Baby Leave che consente al lavoratore padre/caregiver secondario di usufruire di un congedo retribuito di paternità di 12 settimane. Inoltre, vengono introdotte ulteriori 8 ore complessive di permesso annuo Family Care, totalmente a carico dell’azienda, e spendibili per l’assistenza intergenerazionale, assistenza di persone disabili e/o caregiver e malattia dei figli.

Un’importante novità, sempre in tema di sostenibilità sociale, riguarda la Banca Ore solidale alla quale, a seguito dell’accordo raggiunto, l’azienda contribuirà con un numero di ore pari a quelle versate dai dipendenti.

Per contrastare le violenze di genere e le molestie le parti hanno poi voluto sottolineare l’importanza di promuovere la diffusione di una cultura basata sull’inclusione, sulla tutela della diversità e il rispetto dei diritti umani, ponendo a disposizione dei lavoratori lo strumento di Nestlé Speak Up, un canale alternativo attraverso il quale si offre la possibilità di avviare delle segnalazioni riguardo a forme di violenza o discriminazione subite.

Al fine di migliorare ulteriormente il benessere psicofisico delle lavoratrici e dei lavoratori del Gruppo, è stato infine introdotto il servizio di telemedicina, che offre la possibilità di usufruire di assistenza medica generica o specialistica, effettuata attraverso video-consulenze che saranno totalmente coperte dai fondi dell’azienda.

 

Incidenza sul trattamento retributivo e sulle misure di welfare

 

Per quanto riguarda il Premio annuo variabile (PAV) sono, anche in questo caso, diverse le novità introdotte, che tengono conto delle peculiarità e diversità sul punto determinate dall’esistenza di due preesistenti Gruppi e quindi accordi integrativi in materia, e della opportunità di un allineamento.

 

A tal fine dal punto di vista economico, il PAV Nestlé e Sanpellegrino manterrà una differenza di valori nominali nel 2024 per convergere poi nel 2025.

Per realizzare tale obiettivo:

– il PAV Nestlé sarà incrementato di 75 euro nel 2024, arrivando così a un valore massimo raggiungibile di 2675 euro. Per essere ulteriormente incrementato di 225 euro nel 2025 e arrivare così a un messo in palio di 2900 euro.

– Il PAV Sanpellegrino sarà aumentato, invece, di 75 euro nel 2024, approdando così a un valore di 2825 euro per poi crescere di ulteriori 75 euro nel 2025 arrivando anch’esso a 2900 euro.

 

Considerando che il premio Nestlé viene incrementato di 300 euro nel biennio 2024/2025 mentre quello di Sanpellegrino di 150 euro, in un’ottica di equità le Parti hanno previsto l’erogazione di 150 euro in welfare a gennaio 2025 per i soli dipendenti Sanpellegrino.

 

Sono state poi introdotte diverse novità per quanto riguarda la struttura del premio. Innanzitutto, è stato previsto che a prescindere dalla tipologia contrattuale avranno diritto al premio tutti coloro che hanno lavorato in azienda almeno 1 mese e abbiano superato il periodo di prova. Per quanto riguarda il computo per l’erogazione del premio in favore dei part-time flessibili l’azienda si è impegnata, con una specifica lettera, ad affrontare il tema in un incontro che si terrà entro il mese di maggio nello stabilimento Nestlé – Perugina di Perugia, la cui piattaforma di rivendicazione sindacale presentava diverse istanze sul tema.

Importante, poi, la previsione secondo la quale l’erogazione del PAV, dell’Incentivo Vendita e di altro sistema incentivante sarà condizionata al miglioramento rispetto all’anno precedente di almeno uno degli Indicatori Cancello (legati a fatturato, overdue, investimenti pfme, lead time chiusura contestazioni, structural cost, sostenibilità ambientale) previsti dall’accordo. È così data la possibilità a tutte le lavoratrici e ai lavoratori del Gruppo di godere della tassazione di vantaggio e/o della conversione in welfare stabilita per il PAV.

Sono stati, inoltre, aggiornati e innovati i parametri sui quali fissare gli obiettivi da raggiungere per il conseguimento del PAV, sia andando a rivedere i pesi percentuali dei vari indicatori sia introducendo un nuovo obiettivo legato alla sostenibilità ambientale che rientrerà tra quelli da definire a livello di sito.

 

Valutazione d’insieme

 

In conclusione, l’accordo integrativo sottoscritto rappresenta un ottimo risultato che da una parte individua soluzioni economiche e normative di valore e direttamente efficaci e, dall’altro, individua dei percorsi di confronto che dovranno essere intrapresi nel corso di vigenza per ricercare ulteriori risposte alle esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori del Gruppo.

 

Massimiliano Abanese

Segretario nazionale Fai Cisl

@MaxAlbaneseFai

 

Alessandro Alcaro

Coordinatore nazionale Fai Cisl

@AlexAlcaro

La contrattazione come strumento per la gestione di flussi migratori regolari e qualificati

La contrattazione come strumento per la gestione di flussi migratori regolari e qualificati

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Bollettino ADAPT 1° luglio 2024, n. 26

 

La drammatica, inaccettabile morte di Satnam Singh, a seguito di un gravissimo infortunio sul lavoro nel mondo agricolo dell’Agro Pontino, ha scosso la coscienza dell’intero Paese.

Mentre è facile profetizzare che i riflettori mediatici sulle tragiche, scandalose e intollerabili condizioni in cui si trovano troppi lavoratori immigrati in Italia, non solo in quel settore e in quell’area geografica, le organizzazioni sindacali hanno il preciso dovere di mantenere alta l’attenzione e provare a costruire e a proporre contromisure efficaci e praticabili.

 
In questa sede non si intende discutere la necessità di un aumento dei controlli ispettivi e di sanzioni più incisive per il lavoro nero, lo sfruttamento e il caporalato: di questi temi, di assoluto rilievo, le organizzazioni sindacali possono essere portatrici e promotrici, ma la loro messa a terra dipende, pur sempre, da un intervento legislativo che renda norma effettiva la decisione.

Diverso è il caso nel quale le parti sociali hanno la possibilità di contribuire direttamente attraverso la contrattazione alla costruzione di canali di immigrazione legale e qualificata: infatti, ad esempio, nelle ultime settimane le parti sociali del settore della somministrazione di lavoro hanno cominciato a cimentarsi con l’applicazione pratica di un’opportunità offerta dal d.l. 20/2023, il cosiddetto “Decreto Cutro”.


L’art. 3 del suddetto testo legislativo, infatti, ha previsto la possibilità di ingresso, al di fuori delle quote dei decreti flussi, per i cittadini extracomunitari che completino un percorso formativo all’estero e siano, ovviamente, in possesso di un regolare contratto di lavoro.

Sulla scorta di tale disposizione relativa alla formazione, le parti sociali del settore della somministrazione di lavoro hanno sottoscritto i primi accordi relativi a percorsi formativi e professionali.

Le intese, che al momento riguardano lavoratori provenienti da Egitto e Filippine, si caratterizzano per alcuni punti qualificanti, nel tentativo di costruire un modello che porti benefici ai lavoratori, alle agenzie per il lavoro e all’intero sistema economico del nostro Paese.

 
In particolare, viene previsto il raggiungimento del livello A2 precedentemente all’ingresso in Italia, condizione migliorativa rispetto al livello A1 richiesto dalle linee guida del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (la diversa classificazione si riferisce al grado di apprendimento della lingua italiana).

Per quanto possa apparire quasi ovvio, di fronte all’ennesima morte sul lavoro in condizioni disumane, occorre ribadire ancora una volta che una comprensione accettabile della nostra lingua è presupposto indispensabile ed efficacissimo anticorpo nel costruire condizioni di lavoro dignitose e civili, con il pieno rispetto degli standard di sicurezza.

 
Proprio su questo aspetto, peraltro, gli accordi prevedono un preciso impegno, in seguito all’ingresso dei lavoratori sul suolo italiano, ad effettuare la formazione specifica con la massima celerità, certificandone successivamente l’effettivo svolgimento.

Inoltre, durante il percorso formativo precedente al trasferimento in Italia, sarà sempre assicurata la presenza di un mediatore culturale, nei casi in cui il team formativo appartenga ad una cultura differente rispetto a quella dei partecipanti.

Le agenzie per il lavoro si assumeranno, poi, l’intero costo del viaggio verso il nostro Paese e assicureranno ai lavoratori alloggi dignitosi, che saranno gratuiti per alcuni mesi.

 
Nei testi viene affrontato anche il fondamentale tema della continuità occupazionale: sarebbe paradossale, infatti, se persone coinvolte in questo percorso si trovassero, alla scadenza del proprio contratto o per qualunque altro motivo, ad aver perso il proprio titolo di residenza in Italia.

In questo senso, le agenzie per il lavoro coinvolte si sono impegnate a garantire una congrua durata dei contratti offerti e, soprattutto, a ricollocare i lavoratori altrove, nel caso in cui l’azienda utilizzatrice originaria non procedesse, al termine della somministrazione, all’assunzione diretta.

Tale ricollocazione potrà avvenire anche utilizzando gli strumenti offerti dal CCNL di settore e, in particolare, dagli articoli 25 e 32, che prevedono una indennità economica per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato in somministrazione posti in una condizione di nuova disponibilità al lavoro e la definizione di una procedura per mancanza di occasioni di lavoro, ovvero una serie di azioni e di politiche attive finalizzate a ricollocare i lavoratori.

 
Nella stessa direzione è stato previsto l’obbligo di dare notizia alle organizzazioni sindacali di tutte le situazioni (scadenza contrattuale, dimissioni, licenziamento ecc.) che possano portare al termine dell’esperienza professionale e possa mettere a rischio la permanenza legale del lavoratore in Italia.

Tutti gli accordi prevedono monitoraggi, effettuati congiuntamente dalle agenzie per il lavoro e dalle parti sindacali, in modo da verificare l’andamento dei progetti e i relativi risultati.
 
Di fronte al caporalato, allo sfruttamento e a morti come quella di Satnam Singh, il sindacato ha il dovere di alzare la voce, di denunciare e chiedere condizioni di lavoro degne.

Noi crediamo, però, che al sindacato competa anche il gravoso compito di provare a costruire, per mezzo della contrattazione e del dialogo sociale, un modello partecipativo che lo veda pienamente protagonista.

 

Daniel Zanda

Segretario Generale FeLSA CISL

@daniel_zanda

La maggiore rappresentatività comparata nel settore del commercio: si può ripartire da Campobasso

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Bollettino ADAPT 1° luglio 2024 n. 26

 
Una legge di una assoluta avanguardia. Questo il giudizio di Umberto Romagnoli, un indimenticato Maestro del diritto del lavoro, sulla riforma del processo del lavoro del 1973. A condizione, tuttavia, che il giudice del lavoro fosse messo in grado di conoscere le reali dinamiche delle relazioni industriali.

 
Anche per questo motivo Umberto Romagnoli suggerì di valorizzare l’art. 21, comma 4, della legge n. 533/1973, dove si affida al Ministro della giustizia di organizzare specifici corsi di preparazione per i magistrati che intendessero acquisire una particolare specializzazione in materia di lavoro e sindacato.

 
L’idea era quella di superare una certa autoreferenzialità del formalismo giuridico e integrare la classica formazione delle professioni legali con materie che ancora oggi non vengono prese in considerazione dai piani di studio delle facoltà giuridiche (U. Romagnoli, A cosa serve questa ricerca, in T. Treu (a cura di), Sindacato e magistratura nei conflitti di lavoro, vol. II, Il Mulino, 1975, pp. 197-212, spec. p. 205).

 
È in questa prospettiva che forse si può leggere il rebus interpretativo della maggiore rappresentatività comparata che potrebbe invero trovare facile soluzione partendo dai dati di realtà e anche nel buon senso visto che non è in discussione la rappresentatività di questo o quel sindacato, che oggi non si nega a nessuno o quasi, ma il criterio di selezione di un determinato contratto collettivo, a fini legali, in ragione della sua provenienza da un sistema di contrattazione collettiva che, comparato agli altri che insistono sullo stesso settore, risulta più rappresentativo.

 

Si pensi al caso in cui il datore di lavoro deve determinare la retribuzione imponibile ai fini previdenziali (art. 2, comma 25 della legge n. 549/1995), oppure quando lo stesso richiede il riconoscimento di particolari benefici economici e normativi (cfr. art. 1, comma 1175 della legge n. 296/2006); o, ancora, quando l’imprenditore vuole usufruire di particolari misure di flessibilità nell’impiego di tipologie contrattuali no-standard (cfr. art. 51 del d.lgs. n. 81/2015). Quale è il contratto collettivo di riferimento per il settore o, più precisamente, in caso di presenza di più contratti di settore quale è il contratto da applicare al caso concreto?

 
Sul punto compete indubbiamente al giudice il dovere di dirimere il dubbio su quale, tra più contratti, sia quello che è sottoscritto da organizzazioni sindacali (anche tra loro “coalizzate”) i cui indici di rappresentatività, messi in comparazione a quelli posseduti da altre organizzazioni sindacali sottoscriventi CCNL concorrenti, risultino superiori.

 

Di grande interesse, da questo punto di vista è la recente sentenza del Tribunale di Campobasso dello scorso 10 aprile 2024 che bene integra il ragionamento giuridico con una puntuale conoscenza dei dati di realtà del nostro sistema di relazioni industriali.

 

Esattamente come suggeriva Umberto Romagnoli e che, per questo motivo, potrebbe ora fornire un utile contributo per fare definitivamente chiarezza su una questione troppo a lungo gestita in modo distante dalla ratio legis e dalle dinamiche contrattuali in aderenza all’art. 39 della Costituzione che promuove il sindacato non in sé ma nella prospettiva della effettività della tutela dei lavoratori.

 

Il Tribunale di Campobasso, giustamente, sottolinea che “per stabilire la maggiore o minore rappresentatività non si deve considerare il CCNL bensì le parti sociali, sia dal lato datoriale sia dal lato lavoratori”.

 

Pertanto, al giudice del lavoro non può essere assolutamente indifferente se il contratto collettivo applicato dalla impresa sia sottoscritto da una organizzazione sindacale dei lavoratori o dei datori piuttosto che da un’altra.

 

Quando la legge lo richiede in modo specifico, la verifica della rappresentatività comparata deve riguardare pertanto sia la delegazione sindacale dei lavoratori che quella delle imprese considerando, quindi, non questa o quella organizzazione sindacale singolarmente intesa ma l’intera compagine sindacale (dei lavoratori e delle imprese) che partecipa alla gestione di un determinato sistema contrattuale.

 

In questo senso, il Tribunale di Campobasso ha puntualizzato che, ai fini dell’art. art. 2, comma 25 della legge n. 549/1995, il CCNL Commercio ANPIT-CISAL non può dirsi sottoscritto “dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria” poiché, seppure sia riscontrabile un certo grado di rappresentatività in capo alla CISAL attraverso l’esame di alcuni documenti istituzionali, non può dirsi lo stesso riguardo all’ANPIT, non citata nella documentazione acquisita agli atti del processo.

 

Per contro, il giudice osserva come dalla medesima documentazione allegata agli atti del processo emerga che il CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi sottoscritto dall’associazione datoriale Confcommercio e dalle organizzazioni sindacali Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil sia il contratto collettivo comparativamente più rappresentativo rispetto agli altri CCNL di categoria, in quanto l’organizzazione datoriale sottoscrivente sarebbe “rappresentativa del 97,23% delle Aziende del Settore” mentre la coalizione delle organizzazioni sindacali dei lavoratori sarebbe rappresentativa “del 95,04% dei lavoratori del settore, pari a 396.858 Aziende e 2.396.370 lavoratori del settore”.

 

Dati questi facilmente verificabili attraverso il codice alfanumerico dei rispettivi CCNL e i flussi Uniemens come riportato nell’Archivio nazionale dei contratti e accordi collettivi di lavoro del CNEL.

 

Ripartire da questa sentenza del Tribunale di Campobasso può, a nostro avviso, essere utile per due motivi. Da un lato, si chiude in radice e con trasparenza un labirinto interpretativo fondato su un equivoco fattuale con una posizione che non è certo strumentale a favore di questo di quel sistema contrattuale ma, più semplicemente, ad una corretta applicazione della legge per quello che espressamente afferma e per quella che è la sua ratio. Dall’altro, si apre la strada alla verifica della rappresentatività che tenga conto, più che delle singole organizzazioni sindacali, dei sistemi contrattuali che tali organizzazioni sindacali (delle imprese e dei lavoratori) generano e la relativa capacità di copertura (nei termini di numero di lavoratori e numero di imprese ai quali il CCNL viene applicato).


Giovanni Piglialarmi

Ricercatore in diritto del lavoro

Università di Modena e Reggio Emilia

@Gio_Piglialarmi


Michele Tiraboschi
Professore Ordinario di diritto del lavoro
Università di Modena e Reggio Emilia

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Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/217 – Il CCNL ANFFAS: un rinnovo all’insegna di novità normative e incrementi retributivi

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/217 – Il CCNL ANFFAS: un rinnovo all’insegna di novità normative e incrementi retributivi

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 1° luglio 2024, n. 26

 

Oggetto e tipologia di accordo

 

In data 23 aprile 2024 la rete associativa Anffas Nazionale e le Organizzazioni Sindacali FP Cgil, Cisl FP e Uil FPL hanno sottoscritto il rinnovo del CCNL ANFASS valido per il triennio 2023-2025.

 

Parti firmatarie e contesto

 

L’accordo per il rinnovo del CCNL Anffas, giunto dopo più di un anno dall’aperture del tavolo delle trattative, ha visto impegnate le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e il Consorzio la Rosa Blu, rappresentante degli Enti aderenti ad ANFFAS. L’intesa si pone come un punto di partenza volto innanzitutto a garantire un aumento retributivo per i lavoratori coinvolti oltre che a gettare le basi per successivi incontri al fine di raggiungere accordi su temi che non sono stati trattati all’interno del rinnovo del CCNL.

 

Temi trattati / punti qualificanti / elementi originali o di novità

 

Il contratto collettivo ANFFAS ha subito numerose revisioni che hanno riguardato sia l’impianto normativo che il trattamento retributivo. In ambito normativo, si riscontra una particolare attenzione al contratto di lavoro a tempo parziale e al contratto a termine. Nel primo caso ne vengono delineate le caratteristiche principali e soprattutto si pone l’accento sul diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale per determinate categorie di lavoratori, così come previsto dal d. lgs. 81/2015. Inoltre, il nuovo contratto collettivo riduce il periodo di prova per i nuovi assunti con contratto part time.

Nel caso dei contratti a termine, la novità riguarda l’inserimento di specifiche causali per la stipula di tale forma contrattuale, come la sostituzione di personale in permesso straordinario non retribuito oppure assente per una parte dell’orario lavorativo con diritto alla conservazione del posto.

 

Un ulteriore elemento di cambiamento riguarda l’istituto della reperibilità, inserito all’interno dell’art. 61, che prevede un innalzamento a €35,00 dell’indennità prevista per la reperibilità con vincolo di permanenza in struttura all’interno di una fascia oraria notturna ben precisa, ovvero tra le 24 e le 7. In aggiunta a ciò, le due fasce orarie che vanno dalle 22 alle 24 e dalle 7 alle 9 saranno considerate come normale orario di lavoro retribuito.

 

Centrale, nel nuovo accordo stipulato, è l’inserimento dell’art. 99 riguardante i cambi di gestione, volto a salvaguardare e tutelare la continuità dei rapporti di lavoro, sia a tempo indeterminato che a termine, a seguito di eventuali cambi di gestione che potrebbero riguardare i servizi erogati dagli Enti Anffas che spesso sono gestiti in regime di accreditamento, convenzionamento e/o contrattualizzazione con gli Enti pubblici.

A tale scopo viene stabilito come l’Ente uscente debba sia correttamente informare le organizzazioni sindacali oltre che predisporre tutto l’occorrente al fine di garantire l’assunzione del personale già in carico all’Ente. Altresì, l’Ente subentrante, in caso di assunzione di personale dall’Ente cessante, dovrà garantire il mantenimento della retribuzione contrattuale in essere.

Con l’accordo di rinnovo del 2024, inoltre, le parti recepiscono altresì quanto previsto dal legislatore in materia di congedo per le vittime di violenza di genere, disciplinando le modalità di fruizione e specificando la cumulabilità del periodo con l’aspettativa per motivi personali o familiari di cui all’art. 66.

 

Infine, come riportato nella nota congiunta 2, le organizzazioni sindacali unitamente al consorzio La Rosa Blu, si impegnano ad aprire un ulteriore tavolo per la definizione di un nuovo sistema di classificazione del personale.

 

Incidenza sul trattamento retributivo e sulle misure di welfare

 

Riguardo il trattamento retributivo, le Parti hanno deciso di riconoscere un incremento dei minimi tabellari da erogare ai dipendenti e pari a €155,00 lordi suddivisi in tre tranche: inizialmente, con il cedolino di maggio 2024, vengono riconosciuti €65,00, mentre successivamente il minimo contrattuale sarà innalzato prima di €35,00 e poi di €55,00, rispettivamente a dicembre 2024 e novembre 2025. Tali somme sono relative ai dipendenti inquadrati al livello C2 del CCNL e sono da riparametrare per le altre posizioni, secondo la tabella allegata al contratto collettivo sottoscritto.

Considerata però la difficile situazione del Paese causata dalla attuale crisi economica e le conseguenti instabilità economico-finanziarie che alcuni Enti potrebbero registrare a seguito dell’erogazione di tali incrementi retribuitivi, le Parti hanno previsto, nell’art. 100 del CCNL, la possibilità di ricorrere a livello aziendale ad un accordo di gradualità.

Tramite questo meccanismo, l’Ente può richiedere un esame congiunto tra le Parti per verificare la sussistenza di dette difficoltà finanziare e stabilire un piano che determini tempi e modalità per l’erogazione graduale degli incrementi: tale richiesta deve pervenire almeno un mese prima della decorrenza degli incrementi fissati dal contratto collettivo, a partire dalla tranche prevista per dicembre 2024. Inoltre, in caso di applicazione della clausola di gradualità, ai lavoratori spettano comunque gli arretrati maturati per le pregresse mensilità.

Infine, riguardo alla previdenza complementare e al welfare, come previsto rispettivamente all’art. 98 e alla nota congiunta 1, le parti firmatarie si impegnano a rincontrarsi in un secondo momento per raggiungere specifici accordi in merito a tali materie.

 

Valutazione d’insieme

 

In chiusura si possono delineare e richiamare le caratteristiche principali che definiscono il rinnovo del CCNL Anffas. In primo luogo, si riscontra un intervento importante a sostegno delle retribuzioni dei lavoratori, voluta per difendere il potere d’acquisto dei lavoratori eroso dall’aumento dell’inflazione negli ultimi anni. In parallelo, le Parti si sono rivelate sensibili alla precaria condizione economica che potrebbe caratterizzare alcuni Enti appartenenti alla rete Anffas e si è optato per inserire un meccanismo di gradualità connesso all’erogazione degli aumenti retributivi per evitare l’insorgenza di squilibri finanziari. Di pari passo è stato rivisto anche l’impianto normativo, con la previsione di nuove causali previste per il contratto a termine e l’introduzione innovativa dell’art. 99 volto a stabilizzare la posizione lavorativi dei dipendenti degli Enti in caso dei cambi di gestione.

D’altro canto, sono numerosi i temi che rimangono aperti nonostante le Parti si impegnino ad aprire nuovi tavoli di trattative successivamente alla firma di tale CCNL. Come indicato nelle note congiunte, su materie di primaria importanza come la previdenza complementare e il welfare non si sono raggiunti accordi di sorta, rinviando la discussione di questi temi a future sessioni.

 

Youri Giovannoni

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

@GiovannoniYouri

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/216 – Il CCNL Area Acconciatura ed Estetica: le novità dell’atteso rinnovo

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/216 – Il CCNL Area Acconciatura ed Estetica: le novità dell’atteso rinnovo

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

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Bollettino ADAPT 24 giugno 2024, n. 25

 

Contesto del rinnovo

 

Il 20 maggio 2024 è stato raggiunto un accordo per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i lavoratori dipendenti delle imprese operanti nei settori di acconciatura, estetica, tricologia non curativa, tatuaggio, piercing e centri benessere, scaduto il 31 dicembre 2022.

L’intesa è stata firmata tra le associazioni datoriali CNA-Unione Benessere e Sanità, Confartigianato Benessere-Estetica, CASARTIGIANI e CLAAI, e le associazioni sindacali dei lavoratori FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL e UILTUCS-UIL. Il nuovo CCNL, che interessa circa 60 mila imprese e oltre 140 mila lavoratori, rappresenta l’unico riferimento collettivo per il settore.

Il contratto rinnovato avrà effetto dal 1° gennaio 2023 e scadrà il 31 dicembre 2026. Inoltre, in conformità con l’opera di razionalizzazione contrattuale prevista dall’Accordo Interconfederale del 26 novembre 2020 – in relazione al settore artigianato, il nuovo CCNL confluirà nella macroarea “Servizi alle Persone e alle Imprese”.

 

Parte economica

 

Per quanto riguarda la parte economica l’accordo prevede incrementi retributivi di 183 euro parametrati sul terzo livello da erogarsi in quattro tranche secondo le seguenti decorrenze: 70 euro dal 1° maggio 2024, 50 euro dal 1° gennaio 2025, 43 euro dal 1° gennaio 2026 e 20 euro dal 1° ottobre 2026.

 

A favore dei lavoratori in forza alla data di rinnovo del CCNL, è previsto un importo forfetario “una tantum” di 80 euro per compensare il periodo di carenza contrattuale dal 1° gennaio 2023 al 30 aprile 2024, erogato in due soluzioni alle seguenti scadenze: 40 euro con la mensilità del mese di giugno 2024 e 40 euro con la mensilità di luglio 2024. Per gli apprendisti, l’importo “una tantum” sarà pari al 70% della cifra stabilita, con le medesime decorrenze. Inoltre, l’importo è suddivisibile in quote mensili, o frazioni, in relazione alla durata del rapporto di lavoro interessato. L’una tantum è esclusa dal calcolo del TFR e sarà riconosciuta al lavoratore avente diritto anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro successiva alla data di rinnovo del contratto collettivo.

In conformità con la consolidata prassi negoziale, gli importi già corrisposti a titolo di futuri miglioramenti saranno considerati a tutti gli effetti come anticipazione degli importi “una tantum” indicati nel presente accordo.

 

Parte normativa

 

Sul piano normativo, diverse sono le novità introdotte. È stato riscritto l’articolo 13 del CCNL relativo alla classificazione del personale, con una puntuale descrizione dei profili professionali afferenti ai singoli livelli e delle competenze professionali dei lavoratori. Inoltre, per le sole imprese di acconciatura e di estetica, è previsto il riconoscimento della figura professionale del Responsabile Tecnico (Preposto), inquadrato nel 1° livello, a cui va riconosciuta una indennità di funzione specifica di almeno 100 euro lordi mensili per tredici mensilità.

 

L’accordo di rinnovo modifica anche l’art. 38 della precedente versione del CCNL riguardante i termini di riferimento per il preavviso di licenziamento e dimissioni. Dal 20 maggio 2024 il datore di lavoro che intenda intimare il licenziamento o il lavoratore che intenda rassegnare le dimissioni, devono osservare un preavviso di 20 giorni lavorativi per il 1°, 2° e 3° livello e di 15 giorni lavorativi per il 4° livello.

 

Le parti confermano quanto stabilito in materia di regolamentazione del contratto a tempo determinato (art. 22 CCNL) introdotta con il precedente rinnovo del 10 ottobre 2022. In quella occasione, le disposizioni erano state aggiornate per adeguarle al d. lgs. 81/2015 (per maggiori informazioni sul punto, vedi E. Zanella, Il rinnovo del CCNL Area Acconciatura ed Estetica: verso una cultura inclusiva nei luoghi di lavoro, Bollettino ADAPT 7 novembre 2022, n. 38).

Tuttavia, il recente accordo interviene per adeguare le disposizioni alle recenti novità introdotte con il c.d. Decreto Lavoro (d. l. 4 maggio 2023, n. 48, convertito con modificazioni dalla l. 3 luglio 2023, n. 85), che ha riscritto l’art. 19 del d. lgs. 81/2021, attribuendo ai contratti collettivi, nazionali e di secondo livello, la prerogativa di individuare le causali che consentono di apporre al contratto di lavoro un termine superiore ai dodici mesi. In particolare, è stata aggiunta la lettera F) all’art. 22, rubricata “ulteriori causali di ricorso al contratto a tempo determinato”, la quale individua come nuova causale l’esigenza di offrire diverse tipologie di servizi non presenti nella normale attività aziendale e che non possono essere evasi con il normale organico aziendale.

 

L’accordo di rinnovo interviene sull’art. 25 che regolamenta l’apprendistato professionalizzante. Le parti hanno revisionato le tabelle contenenti le percentuali utili per la determinazione della retribuzione degli apprendisti, con particolare attenzione alle percentuali del primo anno, che passeranno tutte al 70% della retribuzione netta del lavoratore non apprendista di analogo livello. Questa modifica entrerà in vigore dal 1° ottobre 2024 e riguarderà sia i neoassunti a partire da tale data che i lavoratori già in forza.

Inoltre, è stata introdotta una clausola con la quale le parti chiariscono che il contratto di apprendistato può essere sottoscritto anche con i giovani che non hanno ancora conseguito l’attestato di qualifica professionale, ma che, al momento dell’assunzione, sono iscritti ai corsi di formazione per il conseguimento del titolo riconosciuto ai sensi della normativa vigente.

 

L’accordo di rinnovo recepisce infine la disciplina di legge che riconosce alle donne vittime di violenza, inserite in percorsi certificati, un congedo retribuito non superiore a tre mesi, fruibile su base oraria o giornaliera nell’arco temporale di tre anni (art. 24 d.lgs. n. 80/2015). Oltre a quanto previsto dalla legge, l’accordo riconosce ulteriori tre mesi di aspettativa, richiedibili una volta esaurito il periodo di tre mesi previsto dalla normativa.

Come condizione di miglior favore, l’intesa del 20 maggio prevede anche il diritto della lavoratrice a una indennità pari al 30% della retribuzione tabellare, interamente a carico del datore di lavoro, per i primi due mesi (su tre) di aspettativa previsti dal CCNL. Tale indennità non ha effetti sugli istituti contrattuali indiretti o differiti della retribuzione.

 

Valutazione d’insieme

 

Dopo oltre un anno di vacanza contrattuale e stallo dei negoziati, le parti sono finalmente giunte a un accordo che, nonostante il numero limitato di novità introdotte, rappresenta un significativo miglioramento delle condizioni di lavoro e salariali per i lavoratori del settore. Le modifiche apportate riguardano istituti di crescente importanza per il settore, come l’apprendistato, e includono una revisione complessiva della classificazione del personale. Questo intervento non solo valorizza le competenze professionali – aspetto fondamentale per contrastare il lavoro irregolare – ma introduce anche nuove figure professionali. In particolare, per gli esercenti attività di toelettatura degli animali da affezione, è stata introdotta per la prima volta una classificazione del personale, evidenziando l’importanza crescente di queste imprese sul mercato.

Il rinnovo contrattuale analizzato, in sintesi, dimostra un impegno concreto delle parti verso l’aggiornamento e il miglioramento delle condizioni lavorative, rispondendo alle esigenze emergenti del settore e promuovendo una maggiore professionalizzazione delle attività.

 

Alice Cireddu

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

@AliceCireddu

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/215 – Il rinnovo dell’accordo Alpitour fra nuove proposte e vecchi paradigmi

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/215 – Il rinnovo dell’accordo Alpitour fra nuove proposte e vecchi paradigmi

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

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Bollettino ADAPT 24 giugno 2024, n. 25

 

Oggetto e tipologia di accordo

 

Il giorno 14 febbraio 2024 Alpitour s.p.a, tour operator leader del turismo organizzato in Italia, e i sindacati di categoria Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil hanno sottoscritto l’ipotesi di accordo di rinnovo del contratto aziendale che verrà sottoposta nelle prossime settimane alla consultazione delle lavoratrici e dei lavoratori del settore.

 

Il nuovo contratto aziendale, che avrà validità sino al 31 ottobre 2026, pur mantenendo il precedente impianto regolativo delle relazioni industriali, introduce diverse novità in materia di trattamento normativo ed economico per oltre 1.200 lavoratori e lavoratrici, delineando complessivamente      nuovi orizzonti di sviluppo per il settore turistico.

 

Prima di analizzare i temi qualificanti dell’accordo siglato, è opportuno fornire una contestualizzazione della vicenda trattata. La trattativa, infatti, ha preso forma in un contesto particolarmente delicato per gli assetti societari, poiché, contestualmente alla conclusione del rinnovo aziendale, ha avuto luogo la vendita delle quote di proprietà del Fondo Tamburi. Pertanto, visto il delicato frangente, la direzione Alpitour ha reputato opportuna la sottoscrizione dell’accordo prima che intervenisse il dichiarato passaggio di proprietà.

 

In generale, quello che emerge dalla lettura complessiva delle disposizioni del nuovo accordo aziendale      è una riproposizione dell’impianto antecedente che regola le relazioni sindacali, al quale, tuttavia, sono stati aggiunti nuovi strumenti di gestione del rapporto di lavoro nonché alcune tutele connesse agli stati di fragilità eventualmente patiti dal lavoratore.

 

Temi trattati / punti qualificanti / elementi originali o di novità

 

Entrando nel merito delle relazioni sindacali, il nuovo accordo ha recepito quanto previsto dalla contrattazione nazionale di settore, strutturando così un nuovo modello di relazioni sindacali piramidale e ripartito in tre livelli di confronto: nazionale, area e sede di lavoro e che disciplina le modalità di fruizione dei permessi sindacali.

 

Sull’orario di lavoro l’intesa contempla l’elasticità in ingresso compatibilmente con le esigenze delle singole unità produttive, prevedendo il mantenimento del 25% dell’organico della struttura nelle fasce orarie dalle 9.00 alle 9.30 e dalle 17.30 alle 18.30.

 

In tema di lavoro supplementare e straordinario, l’accordo ha previsto la possibilità di recupero su base mensile rispetto al monte ore lavorabile con un limite di quattro ore giornaliere.

 

È stata poi introdotta una disposizione ad hoc sul trattamento orario applicato agli operatori impiegati nei viaggi educational, anche impiegati con contratti part time, con il riconoscimento economico di tutte le ore effettivamente prestate, compreso il lavoro straordinario, e di un importo forfetario omnicomprensivo di 2 ore con relative maggiorazioni previste dal CCNL.

 

Il contratto decentrato traccia anche le linee guida per il ricorso all’istituto della banca ore solidale, con la possibilità per i lavoratori di cedere a colleghi richiedenti quote orario di ex festività, permessi e ferie eccedenti le quattro settimane annue. Alpitour s.p.a, inoltre, si è impegnata per riconoscere al lavoratore bisognoso un ulteriore importo economico equivalente al numero di ore cedute dai colleghi.

 

Attenzione particolare è stata poi prestata anche alla c.d. work life balance con la trasformazione, su semplice richiesta del lavoratore, del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale in ragione di proprie esigenze di natura personale. Questa opportunità è estesa anche ai dipendenti che debbano assistere familiari di primo grado in gravi condizioni di salute.

 

Per quanto riguarda i permessi, l’intesa prevede che per i permessi personali siano pari a 12 ore per tutti i dipendenti fino ad un massimo di quattro ore per le giornate con orario full time, in presenza di attività lavorativa. Sono inoltre stati introdotti permessi di 5 ore su base annua per lavoratori con figli ammalati e a carico di età inferiore a 14 anni e a congedi per l’inserimento dei figli al nido e alla scuola per l’infanzia. Inoltre, è stato esteso a 60 giorni il periodo di aspettativa non retribuita in caso di adozioni e affidamenti internazionali. Infine, sempre al fine di sostenere la genitorialità, Alpitour si è impegnata a concedere la trasformazione de     l rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale ai lavoratori che ne fanno richiesta per una durata non inferiore a sei mesi.

 

Sul diritto allo studio, in aggiunta alle previsioni di legge, l’intesa riconosce una giornata di permesso retribuito nel giorno precedente all’esame oltre alla concessione di giornate di ferie, ex festività e permessi aggiuntivi.

 

Per quanto concerne la tutela della salute del lavoratore, il contratto aziendale, con una disposizione migliorativa rispetto a quella dell’accordo nazionale, ha previsto, in caso di ricovero ospedaliero o di gravi patologie, la conservazione del posto di lavoro per ulteriori 30 giorni e fino a 6 mesi di aspettativa non retribuita. I lavoratori avranno altresì diritto ad un periodo di comporto di ulteriori 30 giorni; al termine del quale sarà corrisposta una indennità retributiva pari al 30% della normale retribuzione per un periodo massimo di 30 giorni.

 

Particolarmente estesa è anche la disciplina in materia di pari opportunità e tutele di genere, ove è ravvisabile da un lato l’espressa condanna alla violenza e alle molestie di genere, dall’altro la volontà di reinserimento delle vittime di violenza di genere in percorsi di protezione erogati a spese della parte datoriale. Coerentemente alle premesse dell’accordo, Alpitour s.p.a. riconoscerà, a proprio carico, ulteriori tre mesi di congedo retribuito e accoglierà in via prioritaria richieste di trasferimento o di trasformazione temporanea del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale in favore delle donne vittime di violenza.

 

L’intesa, inoltre, sviluppa una serie di strumenti accessori, quali il riconoscimento di un ulteriore periodo di aspettativa non retribuita fino ad un massimo di 6 mesi, l’attivazione di percorsi di formazione on line sui temi inerenti alla parità di genere e l’implementazione della recente normativa sul whistleblowing ai sensi del d. lgs  n. 24 del 10 marzo 2023.

 

Infine, in materia di formazione del personale, l’azienda presenterà ex ante alle Rsa e alle Rsu le attività professionalizzanti da realizzare in modo che anche la controparte sindacale possa essere sempre adeguatamente informata ed eventualmente possa avanzare osservazioni e proposte di miglioramento. È previsto inoltre che le attività siano finanziate ricorrendo ai Fondi Interprofessionali, ovviamente previa indicazione dei temi, delle modalità di erogazione e delle categorie di destinatari della formazione.

 

Incidenza sul trattamento retributivo e sulle misure di welfare

 

Sulla parte economica l’intesa rimodula il premio aziendale correlato ad incrementi annui di redditività, produttività ed efficienza aziendale utili al miglioramento della competitività aziendale, fino a 1.400 euro all’anno, importo convertibile in tutto o in parte in una o più misure di welfare. Si è inoltre stabilito che i parametri per la quantificazione del premio saranno determinati in funzione degli obiettivi di budget comunicati dall’azienda alle organizzazioni sindacali e alle Rsa e alle Rsu in un incontro da tenersi entro il mese di febbraio di ogni anno. La premialità, soggetta al regime di tassazione agevolata, sarà erogata a tutti i lavoratori in forza, esclusi i dirigenti, al 31 ottobre dell’esercizio di riferimento.

 

A corollario dei diversi benefit retributivi sono state ampliate le casistiche per l’anticipazione del TFR che ora contemplano anche le spese preadottive, le spese funebri, le spese mediche, anche se sostenute per i familiari, e le spese per la ristrutturazione della casa di abitazione.

 

In aggiunta, a partire dal 1° marzo 2024 l’azienda riconoscerà a tutti i lavoratori, per ogni giorno di effettiva prestazione lavorativa di minimo 4 ore, un buono pasto elettronico del valore di 7 euro.

 

Non da ultimo, un ulteriore beneficio è previsto per tutti i lavoratori con sede di lavoro a Milano e nelle sedi Aeroportuali di Malpensa, Fiumicino, Bologna e Verona ai quali verrà riconosciuta un’indennità speciale giornaliera pari a 3,5 euro.

 

Valutazione d’insieme

 

Strutturato su relazioni industriali già consolidatesi nel recente passato, il rinnovo del contratto integrativo aziendale di lavoro di Alpitour s.p.a. ha avuto il primario effetto di recepire, nel testo preesistente, alcune delle tendenze più avanzate della contrattazione decentrata.

 

Non solo, è altresì evidente che l’intesa raggiunta ha conseguito l’obbiettivo di migliorare i trattamenti economici e normativi applicati ai dipendenti, producendo al contempo l’avanzamento delle tutele sociali, che, per il tramite del nuovo accordo, saranno tarate sulle specifiche esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori del settore.

 

Virginia Pezzoni
ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

 

La contrattazione collettiva alla prova dell’inflazione*

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Bollettino ADAPT 24 giugno 2024 n. 25

 

Nel biennio 2022-23 i lavoratori italiani hanno subito una perdita netta del potere di acquisto di circa il 10 per cento. È quanto emerge dalla recente relazione annuale della Banca d’Italia relativa al 2023. Il dato, particolarmente significativo, si spiega con lo straordinario andamento inflazionistico, dovuto alle vicende belliche, che ha condizionato notevolmente l’andamento dei prezzi dei beni energetici. L’inflazione del 2023, difatti, si è attestata al 5,9 per cento come dato medio e a fronte di ciò, le retribuzioni minime stabilite dalla contrattazione collettiva, sempre secondo i dati di Banca di Italia, sono cresciute con tempi di reazione più lenti rispetto a quelli di altri Paesi europei.

 

Le cause del ritardo italiano sono principalmente tre. Di regola, la durata di vigenza di un contratto collettivo, secondo quanto concordato negli accordi interconfederali, è di tre anni, cioè un periodo lungo il quale rimane vigente quanto pattuito alla stipula e che (salvo casi particolari, come per il CCNL della metalmeccanica) non tiene conto delle vicende, talvolta eccezionali, che possono svilupparsi nel frattempo. In Belgio o in Francia, per fare un esempio, la vigenza di un contratto collettivo è di appena uno-due anni. In secondo luogo, non sono previsti – come non esistono neppure in Europa, dove solo un Paese su cinque è dotato di questi meccanismi – clausole generalizzate di indicizzazione automatica che nel corso della esecuzione del contratto collettivo garantiscono che i salari seguano l’andamento dei prezzi di consumo in modo automatico, senza la necessità di nuovi accordi tra le parti. Infine, è frequente che un contratto collettivo vada in ultra-vigenza, perché le parti sociali non trovano un accordo soddisfacente, prolungandosi così l’attesa per nuovi minimi contrattuali. Un’attesa che nel 2023 riguardava un numero molto elevato di lavoratori, secondo quanto riportato da Banca d’Italia: nel settore dei servizi di mercato, ad esempio, al 67,2 per cento dei lavoratori si applicava un contratto collettivo scaduto.

 

Lo scenario è notevolmente cambiato soltanto nella prima metà del 2024 quando, in una sorta di generale riscossa delle parti sociali in un momento di raccolta dopo la (abbondante) semina dell’anno precedente, sono stati rinnovati alcuni dei contratti collettivi più importanti, almeno in termini di lavoratori e aziende interessati, nel mercato del lavoro italiano. Nella prima metà dell’anno sono stati rinnovati una trentina di accordi, tra quelli firmati da Cgil Cisl e Uil, quando nell’intero 2023 erano stati in totale 44 (fuori dall’area di giurisdizione di Cgil, Cisl, Uil i rinnovi contrattuali del 2023 sono stati più di 150 per un totale di circa 200 CCNL rinnovati).

 

Nei primi tre mesi del 2024 le retribuzioni minime contrattuali sono cresciute complessivamente del 3,4 per cento, contro una inflazione che nel frattempo è scesa al 2 per cento. Il numero di lavoratori in attesa di un rinnovo contrattuale si è praticamente azzerato nel settore industriale e, sempre secondo Banca d’Italia, è sceso al 29,7 per cento in quello dei servizi – un dato che verosimilmente possiamo considerare ancora più basso alla luce del recente rinnovo del CCNL degli esercizi pubblici che riguarda oltre 600mila lavoratori secondo i dati Cnel-Inps.

 

Gli aumenti contrattuali calcolati sui profili professionali medi, si attestano all’incirca sui 170-200 euro complessivi (200 euro nel CCNL FIPE, 240 in nel CCNL Confcommercio, 170 nel CCNL Studi professionali 203 nell’Industria Alimentare) con una crescita percentuale sui minimi tabellari (che però non tengono conto di elementi consistenti come l’indennità di contingenza, il terzo elemento, gli scatti di anzianità e così via) che si attesta in doppia cifra in quasi tutti i settori (dal 10 al 22 per cento) senza contare le pur presenti erogazioni una tantum, volte a compensare eventuali periodi di vacanza contrattuale e/o la perdita del potere di acquisto. Il tutto a dimostrazione del fatto che la questione salariale in Italia si sviluppa, almeno dal punto di vista della contrattazione collettiva, non tanto e non solo sul piano degli importi orari quanto piuttosto su quello dei tempi di reazione e di allineamento tra le buste paga e gli andamenti inflazionistici.

 

È su questo punto che le parti sociali devono innanzitutto concentrare gli sforzi e la loro capacità negoziale. Alcune pratiche esistono già, come documentato anche dal X Rapporto ADAPT sulla contrattazione collettiva in Italia pubblicato nelle scorse settimane. C’è il modello “a doppia pista salariale” del settore del legno-arredo (sia industria che piccola media impresa), che impegna le parti a incontrarsi a gennaio di ogni anno per definire gli incrementi dei minimi contrattuali relativi all’anno precedente sulla base del dato Ipca generale dell’anno precedente comunicato dall’Istat. Oppure c’è il modello adottato dal CCSL Stellantis che prevede che la parte economica del contratto duri soltanto due anni, anziché quattro come le parti normative e obbligatorie. Oppure il CCNL doppiatori che ha stabilito ex ante (diversamente dalle somme una tantum) l’erogazione di un elemento di garanzia parametrato all’indice Istat IFO da corrispondere al termine della vigenza contrattuale.

 

Un altro esempio, più consolidato e ormai noto agli operatori delle relazioni industriali, è infine quello, già richiamato sopra, del settore della metalmeccanica nel quale il contratto collettivo prevede una clausola di salvaguardia che àncora gli importi delle singole tranche all’andamento dell’indice IPCA. Proprio nel mese di giugno, quando ai lavoratori della meccanica sarà erogato la quarta tranche di aumento, saranno corrisposti 137 euro, cioè circa il 30 per cento in più quanto previsto in origine (32 euro in più, in termini nominali). Non pare un caso, a tal proposito, che la piattaforma sindacale unitaria delle sigle metalmeccaniche possa permettersi, a differenza di quanto accaduto in altre negoziazioni, di concentrare le proprie rivendicazioni su temi anche molto eterogenei e non solo direttamente collegati ai salari, cioè professionalità, formazione, orario di lavoro e partecipazione: tutte leve che, se adeguatamente sviluppate in chiave di produttività e qualità del lavoro, possono anche rendere più sostenibile per le imprese la rincorsa all’inflazione.

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

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*pubblicato anche su Contratti & contrattazione collettiva, n. 25/2024

 

Il rinnovo del CCNL pubblici esercizi, ristorazione collettiva e commerciale e turismo: un “segnale” per il settore

Il rinnovo del CCNL pubblici esercizi, ristorazione collettiva e commerciale e turismo: un “segnale” per il settore

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Bollettino ADAPT 24 giugno 2024 n. 25

 

L’eterno dibattito sulla vitalità e sulla capacità di “resilienza” delle relazioni industriali, forse in questo caso il termine calza a pennello, vive nel corso delle tornate di rinnovo contrattuale i suoi momenti di sussulto che, ovviamente, non possono che essere evidenziati, con ammissione d’interesse di parte, dagli attori in gioco.

 

Al netto del coinvolgimento diretto di chi scrive, non può che essere evidenziato un dato di fatto positivo che è quello che riguarda l’impatto che ha il rinnovo del CCNL per i dipendenti da aziende dei settori pubblici esercizi, ristorazione collettiva e commerciale e turismo: il terzo contratto più applicato in Italia[1], con una platea di 330 mila imprese e un milione di occupati circa.

 

L’accordo sottoscritto lo scorso 5 giugno tra Fipe-Confcommercio, Legacoop, Confcooperative, Agci e Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs rinnova il CCNL dell’8 febbraio 2018 prevedendo un aggiornamento complessivo dei seguenti capitoli: pari opportunità contrasto alle violenze e alle molestie nei luoghi di lavoro, classificazione e inquadramento, congedi e tutela della genitorialità, welfare contrattuale e, ovviamente, aumenti retributivi.

 

 

Pari opportunità e contrasto alle violenze e alle molestie nei luoghi di lavoro

 

Non si può che partire da un dato essenziale che caratterizza i settori del contratto in questione e che riguarda la forte connotazione femminile dello stesso: se nei pubblici esercizi le donne costituiscono oltre il 50% degli occupati, addirittura nella ristorazione collettiva si arriva quasi all’80% degli occupati[2]. Ne consegue la rilevanza di previsioni contrattuali come quelle inerenti ai temi delle pari opportunità e al contrasto alle violenze nei luoghi di lavoro, a maggior regione in un contesto produttivo fondato non solo sulla relazione tra colleghi ma anche su quella con la clientela.

 

Le Parti firmatarie, anche in virtù dell’evoluzione della legislazione europea in materia di parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro di pari valore, attraverso il principio della cosiddetta trasparenza retributiva (Direttiva U.E. 2023/970/UE), hanno previsto l’istituzione, per le imprese con più di 50 dipendenti, di una figura di rappresentanza nominata congiuntamente dalle Organizzazioni sindacali, su indicazione delle lavoratrici e dei lavoratori, specializzata in questioni di genere, denominata Garante della Parità, al fine di garantire che tutte le persone che lavorano in azienda possano godere delle medesime opportunità, di tutelare il concetto di equità, anche dal punto di vista salariale, di superare qualsiasi pregiudizio dovuto alle eventuali diversità e di favorire l’inclusione di tutte le lavoratrici e i lavoratori.

 

Nello specifico, in materia di contrasto alle violenze e molestie nei luoghi di lavoro, è stata disposta la proroga del congedo già previsto dalla legge per le donne inserite nei percorsi di protezione con ulteriori 90 giorni di congedo (oltre ai tre mesi previsti dalla legge) e diritto a un’indennità pari al 100% della retribuzione di fatto.

 

Oltre a questo, la lavoratrice inserita nei percorsi di protezione, può presentare domanda di trasferimento presso altre sedi di lavoro, anche ubicate in altro comune o regione e, ove possibile, le associazioni datoriali di categoria firmatarie, anche tramite gli enti bilaterali, possono valutare la ricollocazione della lavoratrice in altre aziende associate, nel caso in cui l’azienda oggetto della richiesta di trasferimento della lavoratrice abbia un’unica sede di lavoro.

 

È stata, inoltre, prevista un’ora di assemblea sindacale retribuita sul tema delle violenze e molestie, aggiuntiva al monte orario previsto, per la quale le Organizzazioni Sindacali potranno coinvolgere anche soggetti esterni.

 

 

Classificazione e inquadramento

 

Pur mantenendo le declaratorie contrattuali e i dieci diversi livelli d’inquadramento, è stata realizzata una sostanziale rivisitazione del testo contrattuale che non subiva modifiche così corpose dal 1990 su un impianto logico testuale, e ovviamente organizzativo, introdotto negli anni 70.

 

È opportuno segnalare l’introduzione di alcune nuove figure e in particolare quelle riguardanti il settore del banqueting (di neo inserimento nel campo d’applicazione del contratto): due relative al quarto livello, una per il servizio di sala e una dedicata alla produzione dei pasti. Per entrambe, così come per l’altra figura sempre dedicata al banqueting, inserita, invece, al quinto livello e dedicata in via prevalente all’allestimento del servizio, si è voluto ricomprendere nel mansionario l’insieme dei compiti appunto di allestimento, disallestimento del servizio e trasporto dello stesso che caratterizzano appunto le attività tipiche del settore del banqueting.

 

Sempre al quinto livello si segnala l’introduzione dell’operatore della ristorazione commerciale organizzata in catena, figura caratterizzata da un’attività definibile di pluriservizio che essendo già presente negli assetti organizzativi delle aziende del settore della ristorazione commerciale, è stata codificata in maniera esplicita e puntuale all’interno del contratto nazionale.

 

Per ciò che riguarda l’addetto servizi mensa, figura già presente nel contratto, è stato rivisitato l’impianto che prevedeva le due figure già esistenti al sesto e al sesto livello super con il passaggio al sesto super in virtù di 12 mesi di anzianità nel settore. La rivisitazione in questione ha elevato a 15 mesi di anzianità nel settore il termine per il passaggio di livello ed è stata, inoltre, introdotta una norma di raccordo che riguarda gli addetti mensa in forza al momento della sottoscrizione del contratto.

 

 

Congedi e tutela della genitorialità

 

Il riferimento alla forte componente femminile che caratterizza il settore non può che evidenziarsi anche nelle disposizioni contenute nelle previsioni di sostegno alla genitorialità che si sono sostanziate non solo in un corposo adeguamento normativo, in virtù delle novità legislative intervenute nel corso della vigenza del CCNL del 2018, ma che ha preso forma soprattutto attraverso gli interventi normativi che riguardano la maturazione degli istituti contrattuali delle ferie, dei permessi, della tredicesima e della quattordicesima durante i periodi di maternità, paternità e congedo parentale (con una decorrenza diversa per la quattordicesima durante il congedo parentale).

 

Evidentemente, anche tali previsioni si inseriscono nella geografia anagrafica di un settore che oltre ad avere una forte connotazione femminile, ha anche una preponderante componente “giovanile” con il 60% circa degli occupati che hanno meno di 40 anni[3].

 

 

Aumenti retributivi e welfare contrattuale

 

Per ciò che attiene l’incremento salariale, le Parti firmatarie hanno convenuto una vigenza contrattuale di 3 anni e 7 mesi (1° giugno 2024 – 31 dicembre 2027) prevedendo un aumento a di 200 € parametrati sul 4° livello contrattuale (50 € il 1° giugno 2024, 40 € il 1° giugno 2025

40 € il 1° giugno 2026, 30 € il 1° giugno 2027, 40 € il 1° dicembre 2027) introducendo una differente decorrenza degli aumenti per le aziende della ristorazione collettiva (1° giugno 2024, 1° settembre 2025, 1° settembre 2026, 1° giugno 2027, 1° dicembre 2027).

 

È importante sottolineare come questa differenziazione trovi la sua ragion d’essere nell’unione d’intenti che le Parti firmatarie hanno voluto coerentemente codificare all’interno di una nota congiunta, con la quale si è posta l’attenzione sulle problematiche che condizionano il settore della ristorazione collettiva e che riguardano, tra le altre, l’aumento del costo delle materie prime e la difficoltà di recupero degli aumenti dei contratti nei confronti delle committenze.

 

Infine, non si può che rimarcare come le previsioni che riguardano l’assistenza sanitaria integrativa corrispondano ad un’esplicita volontà di politica sindacale di investire nel capitolo del welfare contrattuale in maniera sempre più considerevole.

 

È stato, infatti, previsto per ogni dipendente con decorrenza dal 1° gennaio 2027, il versamento di € 3,00 aggiuntivi mensili di contributo al Fondo Est a carico del datore di lavoro e per ogni quadro, sempre a carico del datore di lavoro, con decorrenza dal 1° gennaio 2025, €20,00 aggiuntivi annui di contributo al Fondo QuAS e, con decorrenza dal 1° gennaio 2026, ulteriori € 20,00 annui.

 

Questa rassegna non poteva perciò chiudersi senza un riferimento esplicito al tema del welfare contrattuale, che non rappresenta solo uno strumento organico di risposta alle note criticità del nostro sistema di welfare pubblico, attraverso interventi articolati di sostegno alle fragilità attuali e future della nostra società, ma che disegna anche un metodo delle relazioni sindacali su cui investire, quello della “bilateralità”, fondamentale per tenere insieme settori così articolati e compositi come quelli rappresentati da questo contratto. 

 

Andrea Chiriatti

Responsabile Lavoro – Area Relazioni Sindacali, Previdenziali e Formazione

Federazione Italiana Pubblici Esercizi

@AChiriatti

 

[1] XXII Rapporto annuale INPS

[2] Centro Studi Fipe su dati INPS

[3] Centro Studi Fipe su dati INPS