Salario minimo e contrattazione collettiva: spunti dal Rapporto UNI Europa “Time for action!”


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Bollettino ADAPT 2 dicembre 2024 n. 43

 

Introduzione

 

L’articolo che segue si propone di analizzare il recente rapporto “TIME FOR ACTION!”, edito da UNI – Europa, la Federazione Sindacale Europea dei Servizi, che rappresenta in Europa 272 sindacati nazionali. Il report è inserito nell’ambito di un progetto più ampio, svoltosi da agosto 2022 ad agosto 2024 e coordinato dalla federazione, che è volto a individuare strategie per il rafforzamento della contrattazione collettiva nel settore dei servizi. Un obiettivo che, proprio con riferimento a questo ambito settoriale, assume una rilevanza centrale, considerato il tasso generalmente molto basso di copertura della contrattazione nei vari Paesi, in ogni caso ben al di sotto della soglia minima dell’’80% individuata dalla Direttiva UE 2022/2041 sui salari minimi adeguati.

 

Nel report è quindi fatta sintesi tra numerosi contributi di alcuni esperti nazionali sulla contrattazione collettiva e analisi di esperienze di policy attuate in diversi Stati europei, con l’obiettivo di arricchire il dibattito in merito alle strategie più efficaci da adottare a livello nazionale per lo sviluppo della contrattazione, nel solco degli obiettivi posti a livello eurocomunitario. Per fare ciò, sono individuati due macro – obiettivi: uno strutturale, cioè orientato all’apportare cambiamenti di policy volti a migliorare l’attività sindacale e i processi di sviluppo della contrattazione; uno culturale, volto allo sviluppo di una coscienza “comune”, nella società, sul valore del ruolo della contrattazione collettiva.

 

Il primo obiettivo è il più complesso da affrontare e si suddivide in tre ambiti d’intervento: l’incremento della capacità contrattuale degli attori coinvolti; la riforma dell’impianto normativo e organizzativo della contrattazione collettiva; l’efficacia e l’impatto degli accordi collettivi raggiunti. Tali ambiti sono a loro volta organizzati intorno a cinque aree tematiche, ricche di suggestioni e di proposte, su cui si sviluppa l’analisi. Parte delle misure suggerite dagli esperti sono riconducibili a un approccio più flessibile, il c.d. carrot approach (approccio della carota), altre invece a un approccio più incisivo, il c.d. stick approach (approccio del bastone).

 

Prima area d’intervento: capacità e forza contrattuale delle organizzazioni sindacali

 

Nella prima parte dell’analisi, vengono proposte alcune azioni di policy volte a rimuovere alcuni ostacoli che, attualmente, rendono più complesso l’esercizio delle attività delle organizzazioni sindacali.

 

In questa prospettiva, sono presentate alcune prime riflessioni in merito al requisito della rappresentatività, secondo il quale ai sindacati è riconosciuta la possibilità di negoziare i contratti collettivi nel caso in cui dimostrino di avere una certa consistenza e capacità di mobilitazione e di protezione degli interessi collettivi nel settore, territorio o azienda di riferimento. Il requisito della rappresentatività è disciplinato dai legislatori nazionali attraverso l’individuazione di soglie, le quali possono essere, a seconda dei casi, particolarmente stringenti (molto alte) o permissive (molto basse). Ognuna di queste eventualità può comportare problemi di natura diversa sul piano dell’azione sindacale: infatti soglie troppo alte renderebbero di fatto impossibile la partecipazione alla contrattazione delle organizzazioni; al contrario, soglie basse renderebbero troppo facile la costituzione di una rappresentanza e la partecipazione di questa al tavolo della contrattazione, aumentando così il rischio di yellow unions, ossia organizzazioni sindacali asservite agli interessi del datore di lavoro. Sulla scorta di alcune esperienze nazionali, vengono quindi suggeriti alcuni rimedi, che vanno dalla predisposizione di un sistema di rappresentatività automatica basato sulla firma di accordi collettivi (Croazia) alla creazione di un sistema di mutuo riconoscimento in cui gli accordi collettivi siano applicati a prescindere dal rispetto delle soglie di rappresentatività (Malta).

 

Una seconda questione problematica è rappresentata dalla presenza di discriminazioni sul luogo di lavoro: questo fattore può infatti ostacolare la partecipazione dei lavoratori alle organizzazioni sindacali, nel momento in cui vengano indotte le dimissioni o negate specifiche opportunità di carriera ai lavoratori sindacalizzati. Sono numerose le proposte di rafforzamento dei sistemi normativi che già prevedono sanzioni in merito, ad esempio attraverso l’estensione della protezione assicurata ai whistleblower e la predisposizione di politiche che portino alla stipulazione di patti a tutela della carriera.

 

Un terzo punto riguarda il tempo e le risorse a disposizione delle rappresentanze sindacali dei lavoratori per dirigere e organizzare le attività sindacali. In quest’ottica, si propone la disponibilità di utilizzo degli spazi e materiali aziendali (come uffici e computer), così come la previsione di aumenti salariali in virtù del numero di lavoratori rappresentati. È importante garantire ai rappresentanti l’incontro con i lavoratori, favorendone le condizioni, soprattutto in situazioni con un alto tasso di lavoratori da remoto, dispersi o mobili, ad esempio consentendo la presenza dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali al momento dell’assunzione, di modo da consentire la possibilità per il sindacato di farsi conoscere e da rendere consapevoli i lavoratori dei propri diritti.

 

Un quarto nodo problematico riguarda la costante presenza di forme di lavoro flessibile e precario, dato che i lavoratori assunti con tipologie contrattuali non standard sono disincentivati a unirsi alle organizzazioni sindacali.

 

Infine un tema critico che si riscontra in fase di applicazione degli accordi collettivi aziendali riguarda i soggetti beneficiari delle negoziazioni; di fatto gli accordi raggiunti ricadono sia sui lavoratori iscritti sia sui non iscritti, potendo così comportare una riduzione della partecipazione sindacale. Si tratta della questione dei c.d.free – riders, cioè dei lavoratori che non si iscrivono ai sindacati, potendo comunque beneficiare dei risultati delle negoziazioni. Per far fronte a questo nodo problematico, sono delineate tre possibili linee d’azione: limitare il costo dell’iscrizione ai sindacati, attraverso sgravi fiscali, indennità o rimborsi; prevedere “commissioni solidali” costituite da quote monetarie versate da ogni lavoratore e volte alla creazione di un fondo per la contrattazione collettiva che andrebbe a finanziare economicamente l’attività di contrattazione dei sindacati; prevedere l’applicazione degli accordi solo agli iscritti al sindacato firmatario, una soluzione che tuttavia sarebbe incostituzionale secondo gli ordinamenti di molti paesi. Infine una visione più stringente della tematica porterebbe alla creazione di un sistema obbligatorio d’iscrizione alle organizzazioni sindacali, così come attuato in Austria dove è prevista l’iscrizione obbligatoria dei lavoratori alla Camera del lavoro, la quale offre assistenza al lavoratore e fornisce servizi legali.

 

Seconda area d’intervento: il potere contrattuale e la partecipazione dei datori di lavoro alla contrattazione collettiva

 

Nell’ambito del report viene poi analizzata la questione del mandato delle organizzazioni datoriali, la cui mancanza mina la capacità (e volontà) dei datori di lavoro ad avviare le negoziazioni con le organizzazioni dei lavoratori. Problema urgente, soprattutto per le realtà multi –datoriali, che può essere risolto solo con l’intervento del’azione pubblica.

 

Su tale questione, sono suggerite due strategie di portata diversa.

 

L’approccio più morbido suggerisce l’introduzione di fondi, incentivi, co – finanziamenti, crediti fiscali e la possibilità di deroga ad alcune leggi, riconosciuti ai datori di lavoro che si impegnino attivamente nella contrattazione di settore. Tali incentivi hanno lo scopo di rendere disponibili maggiori risorse per i datori di lavoro, così che questi possano muoversi più liberamente nell’ambito delle regole poste attraverso la contrattazione collettiva. Inoltre, essendo necessaria la formazione dei soggetti coinvolti nelle trattative, soprattutto in ambiti multi – settoriali, è cruciale la previsione di corsi e la messa a disposizione di risorse, come la consulenza di esperti o il rimborso per i costi sostenuti in merito.

 

Diversamente si potrebbe prevedere l’obbligo di adesione obbligatoria alle organizzazioni datoriali, come accade in Austria e Slovenia, visione certamente più coercitiva che può avere l’effetto di richiedere un impegno maggiore ai soggetti coinvolti, senza predisporre risorse adeguate.

 

Terza area d’intervento: l’importanza della politica

 

In linea con quanto visto sopra, le politiche pubbliche possono rivestire un ruolo importante nello sviluppo dei processi di contrattazione collettiva, in particolare nell’ottica di favorire il raggiungimento di accordi compromissori. In questo senso la politica, oltre alla predisposizione di risorse conferite alle organizzazioni sindacali e finalizzate ad agevolare il loro operato, può assicurare la disponibilità di dati accurati e completi, supportando indagini statistiche settoriali, favorendo la trasparenza e ampliando il principio di buona fede cui s’ispirano le regole della contrattazione.

 

Secondo un approccio più flessibile, la politica può poi prevedere la creazione di “sedi” di negoziazione, finanziate e organizzate dallo Stato, dove i datori di lavoro e le organizzazioni sindacali possano incontrarsi per discutere; la messa a disposizione di esperti governativi, con un ruolo di mediazione; la previsione di benefit (es. sgravi fiscali) condizionati alla conclusione di un accordo collettivo. Inoltre, sempre la politica potrebbe obbligare le parti sociali a confrontarsi su determinati argomenti come salute, formazione e sicurezza, salario, equilibrio vita – lavoro, rischio occupazionale e schemi classificatori, come accade in Francia. D’altro canto, il processo di contrattazione può essere salvaguardato anche attraverso la previsione di obblighi in capo ai datori di lavoro, rendendo la contrattazione coercitiva, sia su determinati argomenti che in un’ottica generale, oppure attraverso la previsione di standard di settore, applicabili in caso di fallimento delle negoziazioni collettive (es. Nuova Zelanda, Australia). Inoltre in molti Paesi è stato introdotto il diritto unilaterale di ricorrere all’arbitrato, misura già applicata su richiesta di entrambe le parti, in caso d’impossibilità a raggiungere un accordo (es. Grecia).

 

Da ultimo, l’intervento della politica è cruciale in tema di diritto di sciopero, punto critico e fondamentale per il funzionamento del sistema e l’effettività della contrattazione collettiva. In questo senso, sarebbe auspicabile la previsione di minori restrizioni al suo esercizio, sia legislative, sia rimuovendo le barriere culturali: sempre più spesso, infatti, ciò che manca è la consapevolezza da parte dei lavoratori in merito al potere di questo strumento.

 

Quarta area d’intervento: riconoscimento ed efficacia degli accordi collettivi

 

La quarta area tematica sottolinea la necessità di rafforzare lo status giuridico degli accordi collettivi, soprattutto in relazione alle altre norme applicate in tema di diritto del lavoro. In questi termini, si parla di una necessaria chiarificazione del loro ruolo all’interno della gerarchia delle norme prevista nei vari ordinamenti e dell’introduzione del principio di favore, secondo cui in caso di concorso tra diverse norme, prevalgono quelle che prevedono un trattamento più favorevole al lavoratore.

 

Anche su questo aspetto, le strategie suggerite si distinguono tra carrot e stick approach.

 

Interventi più accomodanti incoraggiano l’ampliamento dell’ambito di applicazione dei contratti collettivi nazionali, rendendoli applicabili non solo ai soggetti firmatari, ma a tutti i lavoratori del settore attraverso la fissazione di standard minimi di lavoro con riguardo agli aspetti fondamentali del rapporto di lavoro, come l’ammontare degli stipendi e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Utile al fine sarebbe anche la previsione di clausole d’uscita e la restrizione nell’uso di clausole d’eccezione, in modo da rendere possibile derogare all’accordo solo con procedure e requisiti precisi, in maniera tale da limitare gli abusi. Inoltre potrebbero essere introdotti meccanismi pubblici che prevedano l’applicazione automatica degli accordi collettivi di settore in caso d’appalto pubblico o premiando la loro applicazione attraverso il sistema fiscale, estendendo la validità dei contratti collettivi applicati anche sui nuovi assunti (come nel caso tedesco). Nei Paesi dove non via sia un corpus normativo preesistente sul tema sul quale intervenire è auspicabile la stipula di accordi ex novo che applichino quanto descritto in precedenza.

 

Proposte più forti auspicano invece la creazione di corti del lavoro specializzate per rendere gli accordi collettivi obbligatori eil potenziamento dei servizi ispettivi del lavoro, al fine di monitorare con più efficacia lo sviluppo della contrattazione su alcuni temi cruciali.

 

Quinta area d’intervento: interventi culturali ed educativi

 

Infine, nel documento si sottolinea come sia fondamentale lo sviluppo di una consapevolezza culturale sul ruolo della contrattazione collettiva nei vari sistemi nazionali: per questo motivo, diversi esperti suggeriscono la creazione di meccanismi di controllo per monitorare l’estensione e il contenuto degli accordi collettivi, nonché l’introduzione di fondi alla ricerca, accademica e non, sui temi delle relazioni industriali, così che in questo modo si possa contribuire allo sviluppo del dialogo tra le parti sociali.

 

Per creare una “cultura” sul valore della contrattazione collettiva, non si può poi prescindere dall’ “educazione”: centrale, anche in questo campo, può essere il sostegno del sistema pubblico. Tra gli esempi virtuosi, si osserva come in alcuni Paesi siano stati istituiti servizi di avvio al lavoro, anche per migranti, e corsi di gestione aziendale per incentivare l’interesse alla contrattazione collettiva. Inoltre, è suggerito l’utilizzo di campagne pubbliche d’informazione sui benefici legati all’applicazione degli accordi collettivi.

 

Conclusioni

 

Il report analizzato chiarisce come la politica possa svolgere un ruolo cruciale nello sviluppo dei sistemi di contrattazione collettiva: essa può incoraggiare il confronto direttamente attraverso modifiche normative, ma anche indirettamente attraverso il sistema educativo. La creazione di spazi atti al dialogo tra parti sociali e la predisposizione di risorse ad hoc su questi temi, sono poi fattori imprescindibili al fine di sviluppare accordi collettivi che assicurino condizioni di lavoro dignitose ed eque per tutti i lavoratori.

 

Celeste Sciutto

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

@celeste_sciutto

 

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