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Tra “diritto d’espressione” e “dialogo professionale”: la partecipazione diretta alla francese che offre spunti all’Italia

Tra “diritto d’espressione” e “dialogo professionale”: la partecipazione diretta alla francese che offre spunti all’Italia

 

Bollettino ADAPT 3 marzo 2025, n. 9

 

La partecipazione dei lavoratori alle decisioni d’impresa non si realizza solo mediante le rappresentanze. In Italia, ad esempio, al netto delle difficoltà di rilevazione in questo ambito, nel 60% degli stabilimenti campionati dalla European Company Survey (2019), i lavoratori godrebbero di un grado “elevato” (26%) o “moderato” (34%) di influenza diretta sui processi decisionali; le aree interessate al maggior contributo dei lavoratori sarebbero l’organizzazione e l’efficienza dei processi di lavoro, la formazione e lo sviluppo delle competenze e l’orario di lavoro.

 

Eppure, questo canale di espressione dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro è quasi sempre ignorato dagli attori e studiosi delle relazioni industriali, essendo in larga parte sviluppato dalle aziende in via unilaterale e informale, ed essendo privo, ad eccezione delle previsioni inserite nella legge di bilancio a partire dal 2016 e di qualche recente contratto nazionale di categoria (da ultimo, il rinnovo del CCNL Tessile 2024), di un quadro istituzionale di riferimento. Anche per questo, le possibilità di complementarità e interazione tra partecipazione diretta e indiretta (o rappresentativa) dei lavoratori risultano scarsamente esplorate e rimesse quasi esclusivamente alla sperimentazione e creatività delle parti sociali in azienda.

 

Nonostante questa condizione di scarsa istituzionalizzazione della partecipazione diretta accomuni anche altri Paesi in Europa, ce ne è uno dove invece il diritto di espressione disintermediato dei lavoratori è sancito per via legislativa da oltre 40 anni e dal 2013 è riaffermato dalla contrattazione nazionale sempre più spesso con il nome di dialogue professionnel. È il caso della Francia.

 

La partecipazione diretta nella legge francese

 

La partecipazione diretta dei lavoratori trova il suo fondamento giuridico nelle leggi Auroux del 1982 che per la prima volta introducono, nell’ordinamento francese, il “diritto d’espressione diretta e collettiva dei lavoratori” (droit d’expression directe et collective des salariés): diretta, perché priva della mediazione della rappresentanza; collettiva, perché sviluppata nell’ambito di unità o gruppi di lavoro. Si tratta, in altri termini, del diritto del lavoratore ad esprimere le proprie opinioni «sul contenuto, le condizioni di svolgimento e l’organizzazione del proprio lavoro» (articolo L2281-1 del Codice del lavoro). Inizialmente, è riconosciuto nelle sole aziende con più di 200 dipendenti, ma dal 1986 viene esteso anche alle realtà con più di 50 dipendenti. L’obiettivo del legislatore è duplice: rendere il luogo di lavoro un posto maggiormente democratico e aumentare la produttività e il buon funzionamento dell’azienda.

 

Pur definendo i principi generali del diritto d’espressione, le leggi Auroux ne subordinano il pieno esercizio alla sottoscrizione di un accordo collettivo tra azienda e rappresentanti dei lavoratori, che regoli le modalità e gli argomenti specifici sui quali coinvolgere direttamente i lavoratori. In questo modo, la partecipazione diretta può inoltre adattarsi alle concrete esigenze delle aziende.

 

Più recentemente, a seguito delle Ordonnances Macron del 2017, che hanno riformato il Codice del lavoro francese, il diritto d’espressione diretta e collettiva è fatto oggetto di negoziazione aziendale obbligatoria (senza l’obbligo di concludere l’accordo ma solo di trattare) nell’ambito della parità professionale e della qualità della vita (articolo L2281-5). Nel dettaglio, stando all’articolo L2281-10 del Codice del lavoro, l’accordo aziendale deve includere previsioni sulle procedure di organizzazione delle riunioni, la loro frequenza e durata, gli strumenti digitali a disposizione dei lavoratori, nonché le modalità per garantire l’interazione tra questa forma di democrazia diretta e la rappresentanza dei lavoratori. Nello specifico, devono essere chiarite «le misure volte a garantire la libertà di espressione dei lavoratori, la trasmissione al datore di lavoro delle richieste e delle proposte dei lavoratori, nonché delle opinioni espresse dai lavoratori quando consultati dal datore di lavoro, fatte salve le disposizioni relative agli organismi di rappresentanza». Inoltre, sono da specificare le modalità tese a consentire ai lavoratori interessati, alle organizzazioni sindacali operanti in azienda e ai rappresentanti dei lavoratori «di prendere conoscenza delle richieste, dei pareri e delle proposte provenienti dai gruppi di discussione, nonché delle azioni intraprese in merito».

 

Il ruolo della contrattazione collettiva

 

Pochi anni prima dell’intervento di Macron, anche la contrattazione nazionale, soprattutto per la motivazione di una parte del sindacato francese, è intervenuta sul diritto d’espressione dei lavoratori, ribadendo la sua importanza. L’accordo nazionale interconfederale del 2013 sulla qualità della vita sul lavoro e la parità professionale contiene, infatti, una sezione espressamente dedicata a questo istituto, dove si incoraggiano le imprese ad offrire ai lavoratori la possibilità di esprimersi sulla qualità dei beni e dei servizi che producono, e sulle condizioni e sull’efficacia del proprio lavoro. Il coinvolgimento dei lavoratori è ulteriormente promosso in tre recenti accordi interconfederali in tema di telelavoro (26 novembre 2020), transizione ecologica (11 aprile 2023) e inserimento dei lavoratori anziani (14 novembre 2024), nonché in alcuni contratti nazionali di settore.

 

In questi casi, inoltre, al tradizionale diritto d’espressione sancito dalle leggi Auroux, è affiancata e talvolta integrata anche la moderna nozione di “dialogo professionale” (dialogue professionnel), originalmente coniata dalla stessa autonomia collettiva.

 

Un esempio in questo senso è offerto dal contratto collettivo della metallurgia (7 febbraio 2022) che definisce il diritto d’espressione diretta e collettiva come una delle possibili declinazioni del dialogo professionale. Quest’ultimo, inteso come tutte le forme di comunicazione e condivisione diretta dei lavoratori sulle questioni operative delle attività d’impresa, è inoltre distinto dal cosiddetto “dialogo sociale” (dialogue social), che configura invece l’insieme delle informazioni, consultazioni e negoziazioni che coinvolgono il datore di lavoro e i rappresentanti dei lavoratori. Le parti affermano altresì che il dialogo professionale e il dialogo sociale sono i due elementi costitutivi del dialogo in azienda, si esercitano in maniera complementare per la realizzazione di interessi comuni e coesistono nella loro diversità per rendere più ricche e profonde le relazioni tra le parti. In particolare, il dialogo professionale non invade, né ostacola il dialogo sociale ma lo integra ed espande, arricchendo le procedure di consultazione e contrattazione con le idee e le proposte dei lavoratori, e consentendo un maggior coinvolgimento dei lavoratori nelle questioni operative di cui la rappresentanza è solo informata.

 

Fra i principali temi che sono oggetto del dialogo professionale nella contrattazione nazionale e aziendale in Francia, spiccano, secondo la ricostruzione realizzata da Frédéric Géa (nel contributo Du dialogue professionnel, pubblicato nella Revue de droit du travail di gennaio 2025), la salute sul lavoro e in generale la qualità della vita lavorativa, il lavoro da remoto e l’innovazione.

 

La partecipazione diretta nella pratica e gli spunti per l’Italia

 

Nonostante l’introduzione per via legislativa e la sua recente riaffermazione ad opera della contrattazione collettiva, il diritto d’espressione diretta e collettiva dei lavoratori è stato scarsamente utilizzato da sindacati e datori del lavoro e anche quando contrattato, risulta debolmente implementato. Secondo uno studio condotto da Camille Dupuy, Alexis Louvion e Jules Simha per conto del sindacato francese CFTC (L’espression directe et collective en entreprise: des chiffres aux pratiques, giugno 2024), nell’ambito di 997 accordi aziendali sottoscritti tra il 2014 e il 2023, la qualità della partecipazione diretta, declinata attraverso gruppi di discussione, sarebbe mediocre, sulla base di parametri come la frequenza delle riunioni, la loro durata, l’iniziativa dei lavoratori, l’efficacia della trasmissione delle informazioni e dei riscontri. L’analisi qualitativa su tre casi aziendali dimostrerebbe altresì la scarsa applicazione del diritto d’espressione regolato nei contratti aziendali, il controllo prevalentemente manageriale sull’organizzazione delle riunioni e sui temi oggetto di discussione e lo scarso impatto della voce dei lavoratori sulle decisioni organizzative. Peserebbero su questi esiti, oltre alla vaghezza delle previsioni contrattuali, anche i timori di marginalizzazione della voce collettiva, la scarsa conoscenza dell’istituto da parte degli attori coinvolti, e la mancanza, per i lavoratori, delle risorse materiali e cognitive per dare attivazione e rendere esigibili le dinamiche di discussione e confronto. Inoltre, l’intensificazione dei ritmi di lavoro potrebbe ulteriormente compromettere la creazione di spazi e tempi per la riflessione collettiva in azienda.

 

Dalla prospettiva italiana, però, il caso francese può offrire importanti insegnamenti. Non solo ci mostra una possibilità (ancora poco sondata nel contesto italiano) di integrazione concettuale e normativa della partecipazione diretta nel framework delle relazioni industriali, grazie alla definizione che la legge storicamente e le parti sociali, soprattutto negli ultimi anni, hanno dato al diritto d’espressione e al dialogo professionale, raccordandoli alla rappresentanza e alla contrattazione. Questo anche in ragione dell’importanza di entrambi i canali di partecipazione per affrontare le attuali trasformazioni (come tra l’altro ribadito dall’accordo interconfederale del 2023 sulla transizione ecologica e il dialogo sociale). Ma l’esempio della Francia ci mette in guardia anche dall’illusione che basti fornire alla partecipazione diretta una cornice istituzionale e collettiva per affrancarla dall’unilateralità dell’iniziativa manageriale, garantirne una gestione e un controllo condivisi e renderla uno strumento effettivo di democrazia nei luoghi di lavoro. Al contrario, un quadro regolativo sui diritti partecipativi che non sia opportunamente definito a livello aziendale e accompagnato da un’adeguata formazione di entrambe le parti coinvolte e dal sostegno alla presenza e all’azione della rappresentanza per il contemperamento delle finalità economiche con quelle democratiche e sociali della partecipazione, è destinato ad essere insufficiente.

 

Dello stato specifico della partecipazione diretta dei lavoratori in Italia e dei tentativi di interazione con la rappresentanza sindacale, si occuperà il report nazionale del progetto di ricerca europeo BroadVoice, di cui vi daremo conto nei prossimi mesi.

 

Ilaria Armaroli

Ricercatrice ADAPT Senior Fellow
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Federica Chirico

Apprendista di ricerca ADAPT

@fedechirico