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Ancora su appalti pubblici, contratti collettivi e salario minimo

Ancora su appalti pubblici, contratti collettivi e salario minimo

Bollettino ADAPT 10 marzo 2025, n. 10

 

La tutela salariale e contrattuale nell’ambito degli appalti pubblici non cessa di far parlare di sé. Per un verso, a qualche mese di distanza dall’approvazione del decreto correttivo (d.lgs. n. 209/2024) al Codice degli appalti pubblici (d.lgs. n. 36/2023), l’ANAC sta già contribuendo a rendere operativo uno dei maggiori profili di novità della disciplina: la dichiarazione dell’equivalenza delle tutele tra il CCNL indicato nel bando di gara e il CCNL in concreto applicato dall’operatore economico.

 

Con la delibera n. 14 del 14 gennaio 2025, l’Authority ha già provveduto a negare l’equivalenza delle tutele tra il CCNL ANISA e il CCNL ANGAF, evidenziando come il primo preveda una retribuzione mensile più o meno equivalente a quella prevista dall’altro CCNL ma da dividere per 40 ore settimanali anziché per 39 ore settimanali. In altri termini, ad una retribuzione (quasi) equivalente, corrisponderebbe invece un orario di lavoro differente e quindi una minore retribuzione oraria minima per i lavoratori. Peraltro, considerando che parte dell’attività affidata in appalto sarebbe stata svolta in orario notturno, il CCNL ANISA non prevede le medesime maggiorazioni retributive previste dal CCNL ANGAF, avvantaggiando così sul costo del lavoro l’operatore economico che applica il CCNL sottoscritto dalla Confsal.

 

Con la delibera n. 32 del 5 febbraio 2025, invece, l’ANAC ha negato ad un operatore economico la possibilità di ritenersi esonerato dalla presentazione della dichiarazione di equivalenza per il solo fatto di applicare il CCNL Metalmeccanici Artigiani rispetto al CCNL Metalmeccanici Industria, quale contratto collettivo indicato nel bando di gara. In questo caso, l’Authority ha ritenuto di non poter accogliere l’eccezione prevista ora dall’art. 3, comma 1 dell’Allegato I01 al d.lgs. n. 36/2023, secondo il quale «si considerano equivalenti le tutele» quando il contratto collettivo applicato dall’operatore economico è sottoscritto dalle medesime organizzazioni sindacali dei lavoratori ma da diverse associazioni datoriali rispetto a quelle che firmano il CCNL indicato nel bando di gara, per ragioni legate «alla dimensione o alla natura giuridica dell’impresa». In questo specifico caso, infatti, l’impresa diretta dall’operatore economico aveva perso già da tempo, per superamento dei requisiti dimensionali, la qualifica di impresa artigiana e pertanto, pur essendo libera di continuare ad applicare il CCNL Metalmeccanici Artigiani, avrebbe comunque dovuto dimostrare l’equivalenza delle tutele da questo previste rispetto a quelle prescritte dal CCNL Metalmeccanici Industria.
Per altro verso, invece, la presa di posizione da parte di regioni ed enti locali sulla questione del salario minimo da garantire ai lavoratori alle dipendenze degli appaltatori della pubblica amministrazione non sembra trovare alcun argine.

 

Nonostante il Consiglio dei Ministri abbia provveduto ad impugnare una legge regionale volta a stabilire che gli appaltatori della pubblica amministrazione debbano garantire una retribuzione minima oraria di almeno 9 euro (per una panoramica sulle diverse iniziative e questioni sollevate, cfr. da ultimo G. Piglialarmi, Salario minimo e contratti pubblici: impugnate le leggi regionali della Puglia, in Bollettino ADAPT 10 febbraio 2025, n. 6) la giunta regionale della Toscana ha approvato una proposta di legge – ora al vaglio del Consiglio regionale – per stabilire che nell’ambito degli appalti pubblici, inclusi quelli degli enti strumentali e società in houseil contratto collettivo indicato nel bando di gara deve prevedere «un trattamento economico minimo inderogabile pari a 9,00 (nove/00) euro l’ora» (così il testo della mozione n. 1727, presentata in Consiglio regionale il 17 settembre 2024 e dalla quale deriva la proposta di legge di cui si discute).

 

Si tratta dell’ennesima iniziativa che solleva gli stessi dubbi: può o non può una regione o un ente locale stabilire delle condizioni in un bando di gara che vadano poi ad incidere sulla regolamentazione della materia salariale e quindi del rapporto di lavoro? Sebbene sia stata chiamata la magistratura a pronunciarsi sulla questione, è diffusa però l’opinione che queste iniziative non abbiano una vera e propria base (e legittimità) giuridica, dimostrandosi piuttosto di essere delle partiche di moral suasion, finalizzate a “sensibilizzare” il legislatore nazionale sulla questione salariale, il cui dibattito parlamentare è rimasto fermo al palo.

 

Tuttavia, vi è chi ha ritenuto l’iniziativa della giunta toscana rispettosa dei vincoli imposti dall’art. 117 Cost. in quanto l’obiettivo perseguito non sarebbe tanto quello di imporre una tariffa minima inderogabile quanto quello di tenere conto, nella valutazione tecnica dell’offerta fatta dall’operatore economico in fase di gara, della circostanza che alcuni di loro applichino ai dipendenti un trattamento economico minimo pari a 9 euro, prevedendo in tal caso il riconoscimento di punti preferenziali per l’attribuzione dell’appalto a questi ultimi.

 

Sebbene questa tesi sia ancora tutta da verificare dal punto di vista della tenuta giuridica, resta il fatto che il Codice degli appalti pubblici (d.lgs. n. 36/2023) non conferisce alcun potere agli enti pubblici concedenti/contraenti di stabilire ulteriori garanzie e condizioni in materia di lavoro oltre a quelle previste dalla legge. Gli enti, infatti, devono solo limitarsi a verificare che l’operatore economico rispetti quanto previsto dall’art. 11 del d.lgs. n. 36 del 2023 (e cioè l’applicazione di un CCNL sottoscritto da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente; in alternativa, che il CCNL prescelto dall’operatore economico presenti delle tutele economiche e normative equivalenti al CCNL indicato nel bando di gara).

 

Peraltro, l’iniziativa della giunta regionale toscana ha generato non poche aspettative nell’ambito del mondo sindacale, una parte del quale ora, proprio in virtù dell’iter avviato per l’approvazione della legge, chiede che alcuni bandi di gara per l’affidamento del servizio di portierato vengano ritirati perché prevedono l’applicazione del CCNL Multiservizi, la cui paga oraria è ritenuta inferiore ai 9 euro l’ora (si veda il comunicato stampa dell’organizzazione sindacale autonoma USB del 6 marzo 2025). In buona sostanza, dunque, la strategia dell’USB sembra essere quella di fare pressione sull’ente regionale per far ritirare l’attuale bando e far indire nuovamente la gara una volta che sia stata approvata la legge regionale per la tutela salariale negli appalti pubblici.

 

Giovanni Piglialarmi

Ricercatore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

ADAPT Senior Fellow

@Gio_Piglialarmi

Salario minimo e contratti pubblici: impugnate le leggi regionali della Puglia

Salario minimo e contratti pubblici: impugnate le leggi regionali della Puglia

Bollettino ADAPT 10 febbraio 2025, n. 6

 

La legge regionale della Puglia n. 30 del 21 novembre 2024 rappresenta l’ennesima iniziativa – l’ultima di una lunga serie – promossa dalle regioni e dagli enti locali di introdurre il c.d. salario minimo, dopo l’arresto dei lavori parlamentari per l’approvazione di una legge nazionale in materia. Già lo scorso anno, il Comune di Firenze, attraverso una delibera, aveva stabilito che gli operatori economici aggiudicatari di un appalto presso l’ente, avrebbero dovuto corrispondere ai propri dipendenti un “un trattamento economico minimo inderogabile pari a 9 euro l’ora” (cfr. G. Piglialarmi, Retribuzione e appalti pubblici: alcune considerazioni sulla recente “rivolta” dei Comuni, in Bollettino ADAPT 25 marzo 2024, n. 12). All’iniziativa dell’ente fiorentino, era seguita quella del Comune di Napoli e del Comune di Bacoli. L’ente, in quest’ultimo caso, aveva imposto ai titolari di una concessione demaniale o di uno stabilimento balneare di assicurare ai bagnini e ad altri loro dipendenti un salario di almeno 9 euro l’ora (cfr. G. Piglialarmi, M. Tiraboschi, Salario minimo: la piccola rivolta e la grande ipocrisia dei Comuni, in Bollettino ADAPT 8 aprile 2024 n. 14).

 

Non dissimile è il contenuto della legge della regione Puglia, il cui obiettivo è quello di tutelare la «retribuzione minima salariale» dei lavoratori nell’ambito dei contratti pubblici (inclusi i contratti di appalto) che l’ente stipulerà con gli operatori economici privati (art. 1). A questo scopo, la legge n. 30 del 2024 prevede che oltre alla regione, anche «le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le Sanitaservice, le agenzie regionali e tutti gli enti strumentali regionali» che vogliano appaltare opere e servizi alle imprese private, devono verificare «che i contratti [collettivi, ndr] indicati nelle procedure di gara prevedano un trattamento economico minimo inderogabile pari a nove euro l’ora» (art. 2).

 

Dopo una prima fase di “inerzia”, il Governo ha deciso di porre un freno a queste iniziative: nelle scorse settimane, infatti, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli, ha deciso di deliberare l’impugnazione della legge regionale della Puglia, ritenendole in contrasto con l’art. 97 e l’art. 117 della Costituzione.

 

Si tratta dell’inizio di un epilogo che avevamo già paventato lo scorso anno, quando diversi comuni italiani avevano incominciato ad adottare simili iniziative allo scopo di dare seguito alla proposta legislativa di introdurre un salario minimo legale pari a 9 euro l’ora (v. sempre G. Piglialarmi, Retribuzione e appalti pubblici: alcune considerazioni sulla recente “rivolta” dei Comuni, in Bollettino ADAPT 25 marzo 2024, n. 12). In quel frangente, fu messo in evidenza proprio che simili iniziative potevano collidere con la Carta costituzionale poiché la regolamentazione del rapporto di lavoro rientra nella esclusiva potestà legislativa dello Stato (art. 117 Cost.). Peraltro, le disposizioni del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36 del 2023) non conferisce alcun potere agli enti pubblici concedenti/contraenti di stabilire ulteriori garanzie e condizioni in materia di lavoro oltre a quelle previste dalla legge. In altri termini, dunque, gli enti devono solo limitarsi a verificare che l’operatore economico rispetti quanto previsto dall’art. 11 del d.lgs. n. 36 del 2023 (e cioè l’applicazione di un CCNL sottoscritto da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente; in alternativa, che il CCNL prescelto dall’operatore economico presenti delle tutele economiche e normative equivalenti al CCNL indicato nel bando di gara). Occorrerà monitorare, dunque, la conclusione alla quale perverrà l’autorità giudiziaria competente in materia.

 

Giovanni Piglialarmi

Ricercatore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

ADAPT Senior Fellow

@Gio_Piglialarmi