Documenti home

i post visualizzati nella sezione “in evidenza” della home

Il settore telecomunicazioni tra il (mancato) rinnovo contrattuale e il dissenso sindacale: cosa sta succedendo?

Il settore telecomunicazioni tra il (mancato) rinnovo contrattuale e il dissenso sindacale: cosa sta succedendo?

Bollettino ADAPT 5 maggio 2025, n. 17

 

 

Da tempo sugli organi della stampa sindacale – e anche nelle piazze, dati i continui scioperi dei lavoratori che si sono susseguiti tra il 2024 il 2025 – si sta discutendo del mancato rinnovo contrattuale nell’ambito del settore delle telecomunicazioni: si tratta del CCNL sottoscritto dall’associazione datoriale Assotelecomunicazioni e dalle organizzazioni sindacali Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil, giunto a scadenza il 31 dicembre 2022.

 

Dopo l’avvio delle trattative per il rinnovo del suddetto CCNL (iniziate con la presentazione della “Piattaforma Unitaria per avvio rinnovo del CCNL telecomunicazioni 2023-2025”), il negoziato è fermo al palo da quasi due anni, come comunicato di recente dalla CGIL (Tlc, tutti fermi per il contratto, in Collettiva, 17 febbraio 2025). Nel frattempo, però, Assocontact – associazione datoriale che rappresenta le aziende di call center in outsourcing e che aveva preso parte al negoziato – ha abbandonato le trattative a metà 2024 e a dicembre dello stesso anno ha sottoscritto un nuovo CCNL per il settore telecomunicazioni con l’organizzazione sindacale Cisal Comunicazione (si tratta del CCNL per dirigenti, quadri, impiegati e operai dei servizi di business process outsourcing, digital experience e data management). A seguito della “condotta” tenuta da Assocontact, si sono scatenate non poche reazioni da parte di diverse organizzazioni sindacali impegnate, direttamente o indirettamente, nelle fasi di rinnovo del CCNL TLC.

 

Anzitutto, le federazioni di categoria dei sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil (e cioè Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom) hanno pubblicato un comunicato (Comunicato Stampa “Assocontact/Cisal ed il nuovo contratto per i lavoratori dei contact center”, 18 dicembre 2024) volto non solo a criticare le scelte di Assocontact di abbandonare improvvisamente il negoziato e l’atteggiamento (ritenuto “di comodo”) della Cisal – che vista la difficoltà e lo stallo del rinnovo si è dichiarata disponibile ad accogliere con un comunicato pubblico le rivendicazioni dell’associazione datoriale avviando così un nuovo percorso contrattuale (Assocontact annuncia l’uscita dal CCNL: l’intervento di Cisal Comunicazione, 2 maggio 2024) – ma anche a mettere in luce come il “nuovo contratto” contribuisca ad abbattere il costo del lavoro del 15%, oltre a non consentire ai lavoratori di recuperare tutto il potere di acquisto che il salario ha perso non solo per la fiammata inflazionistica dell’ultimo triennio ma anche a causa del mancato rinnovo (Tlc, la crisi corre sul filo, in Collettiva, 14 gennaio 2025).

 

Più specifica è la critica di Slc-Cigl al “nuovo contratto” (Assocontact annuncia l’applicazione del contratto siglato con Cisal, 30 gennaio 2025): secondo l’organizzazione sindacale, questo nuovo contratto è stato sottoscritto in concomitanza della revisione dell’art. 11 del Codice degli appalti pubblici (d.lgs. n. 36/2023) ad opera del d.lgs. 209/2024 e “pensato” appositamente per innescare dinamiche di dumping salariale nelle gare di appalto per l’affido dei servizi di telefonia. Una strategia, peraltro, che è finalizzata ad “inquinare” anche la committenza degli appalti privati, visto l’abbattimento del costo del lavoro. E, provocatoriamente, il sindacato Slc-Cgil si chiede come i grandi committenti intendano ora comportarsi rispetto all’art. 53 del CCNL TLC (Asstel), che, in caso di cambio-appalto, impone al nuovo appaltatore di convocare le organizzazioni sindacali per discutere delle tempistiche e delle modalità di assorbimento del personale alle dipendenze del precedente appaltatore.

 

È abbastanza evidente che in questa fase potrebbero nascere non pochi attriti – dentro e fuori le aule di giustizia – tra l’appaltatore entrante, che magari applica il nuovo CCNL Assocontact-Cisal, e le organizzazioni sindacali confederali. Insomma, una “possibile pioggia” di ricorsi per condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 St. Lav. non può dirsi certamente una ipotesi remota.

 

Anche USB da tempo segnala come il CCNL Assocontact-Cisal rischi di minare ancora di più la tutela salariale dei lavoratori (già erosa a causa dell’inflazione e di certo non recuperata con la sottoscrizione di questo “nuovo contratto”; CCNL Assocontact/Cisal: tagliano salario e diritti e lo chiamano contratto, 29 gennaio 2025) e così ha chiesto, già da qualche mese, l’intervento, ritenuto improrogabile, dell’attore pubblico per una mediazione, cioè il Ministero del Lavoro (Contratto Assocontact/Cisal, il tavolo ministeriale non è più rinviabile. I lavoratori tornano in piazza il 21 marzo 2025, 12 marzo 2025). Intervento che non è di certo mancato. Il 24 aprile 2025, infatti, in occasione del vertice ministeriale per discutere delle misure a sostegno del settore delle telecomunicazioni, anche alla presenza del Ministro delle Imprese e del Made in Italy, il Ministro del Lavoro ha confermato l’assoluta centralità del CCNL TLC sottoscritto da Asstel e da Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil, ritenendolo come unico contratto applicabile nel settore (Comunicato stampa incontro MIMIT/MDL Settore Telecomunicazioni, 24 aprile 2025). Una dichiarazione che di certo non è passata inosservata per Assocontact che, tramite il Presidente Lelio Borgheree, ha espresso un chiaro disappunto sulla posizione assunta dal Ministero del lavoro (Call center, Assocontact: Dal Ministero del Lavoro decisione preoccupante sul settore Bpo, in Gazzetta di Genova, 29 aprile 2025).

 

E’ estremamente chiara e netta anche la posizione del COBAS, che accusa la Cisal di essere un sindacato di comodo (Assocontact esce dal contratto delle TLC e la Cisal da “bravo” sindacato firma il contratto capestro!, 8 gennaio 2025), perché, avendo colto le difficoltà in cui era incappato il processo di rinnovo del CCNL TLC, ha attirato l’attenzione di Assocontact “distraendola” dal tavolo negoziale per condurre l’associazione datoriale a firmare un “contratto capestro”, condannando così “alla povertà legale” molti lavoratori del settore.

 

In effetti, che il mancato rinnovo del CCNL TLC e la conseguente sottoscrizione di un nuovo contratto “concorrente” dipenda largamente dalla questione salariale lo si desume anche dal comunicato di Assocontact con il quale l’associazione datoriale annunciava a fine 2024 l’importanza di aver “negoziato” un contratto per rispondere ai bisogni del settore, esposto ad un calo dei volumi di affari e alla necessità per gli outsourcer di ridurre i costi del servizio di telefonia esternalizzato (Assocontact: il CRM/BPO ha un nuovo contratto nazionale, 13 dicembre 2024).

 

Non è passata inosservata, poi, la posizione dell’UGL sulla questione, volta ad evidenziare non solo le disparità salariali e normative tra il CCNL TLC e il CCNL Assocontact-Cisal ma tesa a far rilevare anche come in questo “nuovo contratto” l’organizzazione della titolarità dei diritti sindacali (anche) di natura negoziale sia “riservata” alla sola organizzazione che sottoscrive il CCNL, marginalizzando il ruolo delle altre organizzazioni e contravvenendo alle chiare indicazioni della giurisprudenza della Corte costituzionale (Ugl boccia il contratto Assontact-Cisal, 9 marzo 2025).

 

Per il momento, il percorso per il rinnovo del CCNL TLC non sembra essere giunto al termine; infatti, non cessano gli scioperi dei lavoratori che il 31 marzo 2025 si sono nuovamente mobilitati per rivendicare e difendere la piattaforma sindacale (CCNL TLC: rinnovo per chi innova l’Italia, in Il Corriere Nazionale, 31 marzo 2025). E la comparsa di un “nuovo contratto” sembra oltremodo aumentare lo stato di agitazione sindacale, vista la contestazione da parte della maggioranza delle organizzazioni sindacali, che si preparano a dare battaglia con tutti gli strumenti previsti dall’ordinamento.

 

Giovanni Piglialarmi

Ricercatore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

ADAPT Senior Fellow

@Gio_Piglialarmi

 

Intersind e Asap: un’esperienza (forse) dimenticata troppo in fretta

Intersind e Asap: un’esperienza (forse) dimenticata troppo in fretta

Bollettino ADAPT 5 maggio 2025, n. 17  

 

L’approvazione in prima lettura della proposta di legge di iniziativa popolare promossa dalla CISL in materia di partecipazione dei lavoratori ha il merito, tra gli altri, di riaprire la discussione sul ruolo dei corpi sociali intermedi come possibili agenti di modernizzazione non solo del rapporto Lavoro-Capitale ma dell’intera Costituzione economica del Paese. Non casualmente l’articolo 1 della proposta fa riferimento “all’allargamento e al consolidamento di processi di democrazia economica e di sostenibilità delle imprese” e alla necessità di “rafforzare la collaborazione tra i datori di lavoro e i lavoratori, preservare e incrementare i livelli occupazionali e valorizzare il lavoro sul piano economico e sociale”.

 

A fronte di tali ambiziosi obiettivi pare legittima la domanda se  un processo di tale portata possa essere agito, se si come, dalle attuali organizzazioni di rappresentanza visto che si tratta di “attuare determinati obiettivi di sviluppo economico e di avanzamento sociale, […] agevolare il formarsi di un clima di positiva collaborazione in seno alle aziende […], creare le condizioni più opportune affinché la vita sindacale, pur nella dialettica ad essa propria, sia sensibile adeguatamente ai rapporti tra gli interessi particolari e di categoria, da una parte, e gli interessi generali, dall’altro canto”. 

 

Corsi e ricorsi. Quelli sopra richiamati sono solo alcuni dei passaggi della lettera indirizzata l’8 giugno del 1962 (riportata integralmente in calce a questo scritto) dal democristianissimo Ministro delle Partecipazioni statali di allora, Carlo Bo, alle Aziende pubbliche. La missiva fu la logica conseguenza di una precisa scelta del Legislatore che, in una fase di profondo cambiamento della società e dell’economia del Paese, dispose, nell’ambito dell’istituzione del Ministero delle Partecipazioni Statali, il c.d. “sganciamento” (art. 3 legge n. 1589/1956) delle aziende a prevalente partecipazione dello Stato dalle organizzazioni sindacali degli altri datori di lavoro: nascevano in questo modo l’Intersind (Associazione sindacale datoriale delle Aziende del Gruppo Iri ed Efim) e l’Asap (Gruppo Eni). 

 

In una fase di profondi mutamenti economici e sociali la politica scelse di avviare e poi sostenere il processo di riforma, correttamente percepito a quel tempo come ineludibile, agendo sulla rappresentanza delle Aziende pubbliche. In sorprendente analogia metodologica con la proposta Cisl (chiaramente improntata ad una logica promozionale ed incentivante “dal basso”) con la creazione delle rappresentanze datoriali pubbliche non si agì sul piano ordinamentale mediante interventi diretti sulla disciplina del mercato del lavoro ma si crearono i presupposti affinché il dialogo sociale potesse esprimersi, come si diceva allora, alla ricerca di “equilibri più avanzati”. Solo in un secondo momento il Legislatore avrebbe seguito a ruota, in diverse occasioni, con la c.d. “legislazione di sostegno”.

 

I frutti di quella stagione, che si esaurì agli inizi degli anni novanta, furono oggettivamente rilevanti.

 

Con il Protocollo del 5 luglio 1962 venne introdotta l’articolazione dei differenti livelli contrattuali (settoriali o aziendali) finalizzata all’attuazione concreta dei principi affermati ai livelli superiori e nacquero le c.d. clausole di tregua (nucleo della legge di regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici che interverrà quasi 30 anni dopo).

 

Con il primo rinnovo della metalmeccanica pubblica (1962) vennero disciplinati i “nuovi” diritti sindacali (affissione di comunicazioni, trattenuta dei contributi sindacali a mezzo di deleghe esplicite dei lavoratori, concessione di permessi orari retribuiti ai lavoratori membri di organi direttivi dei sindacati) gettando anche qui le basi di quello che diventerà poi lo Statuto dei lavoratori del 1970.

 

Nell’ambito di quel sistema maturò progressivamente il passaggio dai “diritti sindacali” alle tematiche ben più complesse delle “relazioni sindacali”: nel rinnovo della metalmeccanica pubblica del 1966  furono  introdotte la comunicazione dell’azienda nei casi in  cui l’attuazione di innovazioni  tecnologiche comportasse conseguenze rilevanti per l’occupazione o per l’orario di lavoro  e la possibilità di dare luogo a studi ed esami congiunti dei sistemi di classificazione del personale al fine della loro definizione e del loro perfezionamento nella naturale sede del rinnovo contrattuale.

 

Anche il tema della gestione del conflitto trovò una sintesi – dopo la lunga stagione della conflittualità permanente – con l’accordo del 22 gennaio 1983 che stabilì che «al fine di contribuire ad una rimozione delle cause di microconflittualità, le categorie potranno prevedere procedure aziendali di definizione di vertenze sulla applicazione dei contratti ed eventualmente di arbitrati collegati anche a pause di raffreddamento».

 

A ben vedere il sistema contrattuale di informazione, consultazione e regolamentazione del conflitto che nasce in quegli anni in seno al sistema di rappresentanza delle aziende “pubbliche” tende non solo alla mera determinazione di “regole del gioco” ma getta le basi per affrontare il tema del più complesso meccanismo di partecipazione concernente non la singola impresa ma lo stesso modello di impresa considerata nel più ampio quadro economico-istituzionale.

 

Quella lunga traiettoria culminò nel 1998 con l’unica vera, e probabilmente prematura visti gli esiti infelici, esperienza di azionariato dei dipendenti realizzata su larga scala mediante l’accordo quadro sulla partecipazione azionaria dei lavoratori delle società del gruppo Alitalia (Alitalia, Alitalia Team, Alitalia Express e Atitech). Attuata sulla base di due intese sindacali sottoscritte nel 1996 e nel 1998 venne concordata la sottoscrizione di azioni ordinarie al valore nominale per un ammontare complessivo di 520 miliardi finalizzata ad una partecipazione non inferiore al 20 per cento delle azioni ordinarie, la non trasferibilità delle azioni prima di tre anni dal momento dell’attribuzione e la gestione delle stesse da parte di un organismo ad hoc.

 

La stagione delle privatizzazioni degli anni novanta e la soppressione del (per molti) famigerato Ministero delle Partecipazioni statali che aveva generato (anche, ma non solo) inefficienti commistioni tra politica e gestione delle società pubbliche determinò la sottovalutazione del valore generato da quel sistema sul piano della costruzione di una moderna democrazia economica del Paese. Capita quando si getta via il bambino con l’acqua sporca.

 

Ma come sempre accade quando si esauriscono gli effetti di approcci giacobini, di qualsiasi natura essi siano, dopo la stagione della (giusta) stigmatizzazione ma anche della (strumentale) criminalizzazione di un intero sistema ne è seguita un’altra. L’insieme delle c.c. “partecipazioni statali” – modificato, smagrito e alleggerito dei famosi “panettoni di Stato della Sme” – è sopravvissuto con un modello alternativo di governo delle aziende strategiche partecipate dallo Stato basato su un corpus normativo articolato e complesso che, nei fatti, ne ha preservato in buona sostanza l’autonomia e l’efficienza manageriale oggi resa tangibile, in alcuni casi, anche dalle performances di borsa.

 

L’interrogativo al quale oggi occorre dare una risposta è quale contributo questo “ecosistema” di aziende possa offrire al Paese, sulla falsariga di quanto avvenuto nel secondo dopoguerra ma senza riprodurne le storture, in un contesto come quello attuale che vede il rapido aumento delle componenti critiche della competizione economica, commerciale (dazi ma non solo), tecnologica, energetica e, purtroppo, militare.

 

Se da un lato è vero che la natura globale dei trends in atto vede come principali protagonisti soggetti che hanno una percezione di sé come “imperiali” (Cina, USA, India, Russia) o aggregazioni sovranazionali di singole Nazioni – stabili (EU) o tattiche che siano (Cina-Russia) – ciò non esenta i singoli Paesi dalla necessità di una profonda riflessione sulla “messa in sicurezza” dei rispettivi sistemi Paese. La magnitudo dello scontro geopolitico in atto richiede infatti risposte capaci di mobilitare integralmente, velocemente ed in coerenza con l’indirizzo politico le migliori articolazioni economiche e sociali a sostegno della crescita economica, della competitività delle imprese e della loro produttività salvaguardando i livelli salariali e difendendo la coesione sociale del Paese. Se questo è vero è del tutto evidente come la costruzione di un modello economico/sociale e di politica dei redditi capace quantomeno di limitare gli shock esterni derivanti da un contesto instabile e iper competitivo investa, oggi più di ieri, il sistema di relazioni industriali e il dialogo sociale.

 

La “sfida del lavoro” è oggi al centro del futuro delle nostre società come non lo è mai stata in passato.

 

Mitigazione degli effetti della glaciazione demografica, gestione dell’immigrazione legale e connessi processi di inclusione socio-economica, sostenibilità dei nostri sistemi di welfare, riduzione del disallineamento delle competenze rispetto alle richieste del mercato del lavoro, sostegno ai processi di riorganizzazioni delle imprese anche per far fronte all’evoluzione tecnologica ed agli impatti dell’AI, engagement e retention delle nuove generazioni portatrici di un quadro valoriale che ha radicalmente mutato i canoni del rapporto lavoro-vita di relazione, valorizzazione della contrattazione di tutti i livelli ivi compresa quella individuale e di prossimità per sostenere la crescita e le difesa dei salari anche legandoli alla produttività, sviluppo di forme partecipative e sostegno delle modalità di gestione delle transizioni (non solo politiche attive) sono solo alcune delle sfide da affrontare in un contesto di  radicale scomposizione-ricomposizione dei processi di  globalizzazione per come li abbiamo sinora conosciuti.

 

Vincere o perdere queste sfide farà la differenza per il nostro modello di democrazia economica, per le nostre aziende, per i lavoratori e i loro redditi e probabilmente per il sistema Paese chiamando inevitabilmente in causa le modalità di esercizio delle responsabilità associative.

 

Agostino Di Maio

ADAPT Professional Fellow

 

Allegato

 

Ministero delle Partecipazioni Statali Ispettorato Generale

Prot. n.23756

Roma, 8 giugno 1962

 

Aziende a partecipazione statale Rapporti sindacali

 

– All’Istituto per la Ricostruzione Industriale – R.I.

– All’Ente Nazionale Idrocarburi-N.I.

– All’Ente Autonomo di Gestione per le Aziende Termali

– All’Ente Autonomo di Gestione per il Cinema

– All’Ente Autonomo di gestione delle partecipazioni del fondo per il I.M.

– A tutte le aziende ed enti a partecipazione statale diretta

 

Questo Ministero ha già in altre occasioni sottolineato l’esigenza di curare con particolare attenzione e sollecitudine i rapporti tra le aziende a partecipazione statale ed i lavoratori da esse dipendenti. Tale esigenza merita di essere presa in considerazione soprattutto nel momento presente, essendo evidente che la possibilità di attuare determinati obiettivi di sviluppo economico e di avanzamento sociale dipende in larga misura da una sempre maggiore estensione dei consensi nell’opinione pubblica e dall’atteggiamento delle masse lavoratrici.

 

In passato, allo scopo di agevolare il formarsi di un clima di positiva collaborazione in seno alle aziende, il Ministero delle Partecipa­ zioni statali non ha mancato di prendere alcune iniziative innovatrici rispetto alla politica del lavoro (come ad esempio, l’abolizione della clausola del nubilato, alla quale si riferiscono le direttive emanate con la circolare del 26 giugno 1961), né ha omesso di sollecitare le direzioni delle imprese a agevolare il formarsi di un clima di positiva collaborazione in seno alle aziende. Nel medesimo spirito è stato seguito costantemente lo svolgimento delle controversie di ordine sindacale, al fine di facilitarne la conclusione secondo un metro confo1me alla natura e al carattere delle aziende a partecipazione statale.

 

Nel momento attuale le necessità ora richiamate devono essere tenute presenti in vista della politica di piano verso la quale intende orientarsi l’attività dell’attuale Governo. Anche in relazione a tale prospettiva va considerata l’importanza della creazione delle condizioni più opportune affinché la vita sindacale, pur nella dialettica ad essa propria, sia sensibile adeguatamente ai rapporti tra gli interessi particolari e di categoria, da una parte, e gli interessi generali, dall’altro canto.

 

Poste tali premesse, si ritiene opportuno di invitare gli enti e le aziende cui lo scrivente si rivolge a voler esaminare con la maggiore cura alcuni problemi concernenti i rapporti di lavoro fermando l’attenzione sopra i punti qui di seguito indicati, che possono costituire un primo orientamento suscettivo di ulteriori approfondimenti ed allarga­ menti, sulla base dei risultati delle esperienze, che in parte integre­ ranno analoghe iniziative già attuate in diverse aziende industriali.

a) Possibilità di consentire alle organizzazioni sindacali di usare di appositi locali nell’interno delle aziende, compatibilmente con la mate­ riale disponibilità di spazi adatti nei singoli stabilimenti.

b) Facoltà per le organizzazioni sindacali di affiggere nei locali del­ l’impresa appositi albi per le comunicazioni ai propri dipendenti.

c) Esonero dal lavoro, per alcune ore della settimana, di un diri­ gente di ciascun sindacato, al fine di consentirgli di assolvere i propri .

d) Riscossione per conto dei sindacati, mediante trattenute sul salario e sullo stipendio, delle quote di A tal fine, data la necessità di tutelare la libertà di decisione dei singoli lavoratori, riguardo all’attuazione delle trattenute che interessano ciascuno di essi, potrebbe ricorrersi al metodo delle deleghe individuali, da rimettersi alle direzioni aziendali da parte delle varie associazioni sindacali.

 

L’accoglimento di queste istanze e di altre analoghe che potranno essere indicate successivamente, mentre non dovrebbe influire sull’ordine e sulla regolarità della vita aziendale, potrebbe facilitare l’auspicato inizio di un dialogo costruttivo tra i sindacati e le direzioni delle aziende a partecipazione statale.

 

Si confida che quanto precede sarà preso in attenta considerazione e si resta in attesa di conoscere le determinazioni che verranno assunte di volta in volta e di ricevere comunicazioni di eventuali valutazioni o esperienze.

 

IL MINISTRO                                                                f.to: BO

 

Di cosa parliamo quando parliamo di contrattazione di produttività? Parte I – La normativa di incentivazione

Di cosa parliamo quando parliamo di contrattazione di produttività?  Parte I – La normativa di incentivazione

Bollettino ADAPT 5 maggio 2025, n. 17

 

Da un punto di vista fisiologico tutto il processo di contrattazione collettiva persegue, più o meno direttamente, obiettivi di produttività. Non è tuttavia sempre chiaro, neppure tra gli operatori e gli attori del nostro sistema di relazioni industriali, cosa si intenda con il termine «produttività» (vedi P. Tomassetti, Di cosa parliamo quando parliamo di produttività?, in Bollettino ADAPT dell’8 marzo 2017) e, soprattutto, come questo obiettivo venga di fatto perseguito tanto dalle parti sociali che dal legislatore. È pertanto opportuno, periodicamente, fare il punto della situazione su una tematica così centrale per la crescita e, conseguentemente, anche per i relativi processi redistributivi che in Italia, come mostra il trascinarsi da decenni della questione salariale, non trovano allo stato risposte soddisfacenti (vedi già le osservazioni critiche raccolte in Contrattazione e produttività: analisi e proposte del gruppo FareContrattazione, in Bollettino ADAPT del 19 ottobre 2016).

 

In questa direzione un primo contributo, oggetto di questo breve intervento, può essere rivolto alla normativa di sostegno e incentivazione economica alla contrattazione di produttività intesa in senso lato. Non fosse altro per tornare a ribadire, come gruppo di ricerca di ADAPT, l’assenza nel nostro Paese di un affidabile sistema di monitoraggio e verifica degli effetti delle ingenti risorse pubbliche destinate a questo obiettivo attraverso il sostegno della contrattazione di secondo livello.

 

All’obbligo di deposito del testo contrattuale, come condizione per il godimento del beneficio fiscale o contributivo, non fa infatti seguito alcun monitoraggio di tipo qualitativo, tanto a livello macro che micro, sugli effetti delle misure di incentivazione. Nessun attore istituzionale ha sviluppato analisi sistematiche sui testi contrattuali e anche i soggetti che seguono, attraverso una periodica reportistica, la materia della contrattazione aziendale non hanno sin qui realizzato vere e proprie indagini campionarie sul fenomeno, seppure tutti convengano che i nodi del nostro sistema di relazioni industriali restino quelli della bassa produttività e dei bassi salari. A mancare è anche la chiarezza sulle diverse misure e sui rispettivi obiettivi fissati dal legislatore.

 

Il fenomeno non ha origini recenti. Accanto a isolate esperienze aziendali e settoriali (vedi diffusamente il numero monografico di Diritto delle Relazioni Industriali del 1991 sulla retribuzione ad incentivi) il tema entra a pieno titolo nella riforma degli assetti contrattuali avviata con il Protocollo Ciampi-Giugni del 23 luglio 1993 che assegna al livello decentrato la funzione di stabilire «erogazioni (…) strettamente correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi, concordati tra le parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività, di qualità ed altri elementi di competitività (…) nonché ai risultati legati all’andamento economico dell’impresa».

 

È tuttavia il rapporto finale del 1997 della Commissione incaricata del monitoraggio del protocollo del 1993 a segnalare persistenti limiti allo sviluppo della contrattazione aziendale e la difficoltà nel nostro Paese di avviare una vera contrattazione di produttività. Nel rapporto si legge, in particolare: «viene unanimemente riconosciuto che questo assetto contrattuale ha conseguito, in larga misura, gli obiettivi che si era prefisso in termini macroeconomici. In particolare, il contratto collettivo nazionale di lavoro (ccnl) ha garantito le retribuzioni in termini reali redistribuendo anche, a seconda dei settori o dei comparti, una quota della produttività prodotta dal sistema. Questo risultato si è combinato con un più stretto controllo a livello centrale della contrattazione decentrata finalizzato a raggiungere gli obiettivi di politica dei redditi e a difendere l’occupazione, particolarmente in una fase di ristrutturazione dell’apparato produttivo del nostro Paese. Insufficienti appaiono invece i risultati ottenuti a livello microeconomico. La contrattazione decentrata (aziendale o territoriale) che doveva accrescere la variabilità della retribuzione, concorrendo così ad una maggiore flessibilità del sistema, è stata quantitativamente e qualitativamente insufficiente ed insoddisfacente, anche per la tardiva e limitata applicazione dell’incentivazione contributiva prevista. Il contratto decentrato è stato in larga misura caratterizzato da erogazioni di tipo tradizionale, non collegate a parametri oggettivi di produttività, redditività, qualità per diverse ragioni: vischiosità delle prassi precedenti, impreparazione “culturale” dei soggetti negoziali decentrati, resistenza ad allargare le materie oggetto di contrattazione (ad es., all’organizzazione del lavoro), mancanza di strutture – anche organizzative – adeguate (si pensi alla contrattazione territoriale)».

 

Da qui un ripensamento delle misure di incentivazione della contrattazione di produttività rispetto alla originaria previsione di cui al decreto legge n. 499 del 1996 che conteneva un primo esempio di incentivazione della contrattazione decentrata, stabilendo l’esclusione dalla retribuzione imponibile delle «erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali, (…) delle quali sono incerti la corresponsione o l’ammontare e la cui struttura sia correlata dal contratto collettivo medesimo alla misurazione di incrementi di produttività, qualità ed altri elementi di competitività assunti come indicatori dell’andamento economico dell’impresa e dei suoi risultati» (art. 5). Ulteriori sgravi contributivi erano poi stati definiti, ma anche in questo caso senza un reale impatto sulle dinamiche della contrattazione collettiva, con la legge n. 247 del 2007 che prevedeva, per l’incentivazione della contrattazione di secondo livello, la decontribuzione di quelle stesse erogazioni già citate nel 1996 (si vedano in questo senso anche L. n. 92/2012, D.M. 27 dicembre 2012, circolare INPS n. 73 del 2012; per le modalità di concreta fruizione dello sgravio, invece, il messaggio INPS del 20 settembre 2013, n. 14855).

 

Una svolta si ha, almeno sul piano della tecnica normativa, soltanto a partire dal 2009 quando si stabilisce una riduzione dell’imposta Irpef e delle addizionali per le somme erogate a livello aziendale «in relazione a incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa e altri elementi di competitività e redditività legati all’andamento economico dell’impresa» (decreto-legge n. 93/2008, convertito poi nella L. n. 126 del 24 luglio 2008, Legge di Stabilità 2009, art. 2 co. 1 lett. c).

 

Con questa proposta, presentata in via sperimentale, viene disciplinata per la prima volta una forma di agevolazione fiscale delle somme di ammontare variabile previste per i lavoratori al livello aziendale dei contratti collettivi. In questa fase, il totale annuo detassabile si attesta su 3.000 euro ed il vantaggio viene garantito esclusivamente ai lavoratori in possesso, nell’anno precedente a quello nel quale si usufruisce della tassazione agevolata, di un reddito da lavoro dipendente inferiore a 30.000 euro. È però dal 2010 che queste misure vengono strutturate in maniera più stabile e precisa, indicando la contrattazione decentrata come sede elettiva per concordare l’erogazione di premi di risultato assoggettabili ad una tassazione di favore (aliquota del 10%). Infatti, il d.l. n. 78/2010 (art. 53, co. 1, poi convertito nella L. n. 220/2010) prescrive una vera e propria detassazione dei premi di risultato.

 

Anche nel 2011 la normativa è stata oggetto di proroghe, che non ne hanno alterato la struttura normativa ma solo le quantità economiche, ad esempio il reddito da lavoro dipendente necessario per accedere alla misura, che viene innalzato a 40.000 euro. Nel 2012 con la legge n. 183 del 2011 (legge di Stabilità 2012) questo istituto viene nuovamente prorogato abbassando però a 2.500 euro annui l’importo detassabile e stabilendo in 30.000 euro il reddito da lavoro dipendente di riferimento. Nel 2013 l’impianto normativo subisce, invece, significative modifiche migliorative: il comma 481, dell’articolo 1, della L. n. 228 del 2012 (legge di Stabilità 2013) prevede uno stanziamento pari a 950 milioni di euro nel 2013 e 600 nel 2014. Salvo poi l’anno 2015, nel quale l’agevolazione non è stata finanziata e quindi è rimasta inattiva, a partire dal 2016 il legislatore ha continuato a prorogare annualmente questi vantaggi fiscali.

 

Già in questa fase erano tuttavia persistenti le denunce circa la scarsa effettività ed efficacia della misura a partire dalla assenza di un reale meccanismo di monitoraggio. Bastava in effetti scorrere i principali accordi di detassazione sottoscritti in questa fase per rendersi conto di come il provvedimento, pur contribuendo positivamente a ridurre il peso del cuneo fiscale sulle buste paga dei lavoratori, non avesse sostenuto veri e propri incrementi di produttività concordati a livello territoriale o aziendale. La gran parte degli accordi oggetto di analisi sono anzi risultati fotocopie l’uno dell’altro (vedi F. Fazio, M. Tiraboschi, Una occasione mancata per la crescita Brevi considerazioni a proposito della misura di detassazione del salario di produttività, in Bollettino ADAPT del 19 dicembre 2011)

 

Il quadro  non cambia con l’ultima innovazione normativa, che corrisponde alla attuale configurazione della misura, contenuta nell’articolo 1, ai commi da 182 a 191, della Legge n. 208 del 2015 (Legge di stabilità 2016) per cui – secondo le ultime modifiche apportate (si veda la Tabella 1) – «sono soggetti a una imposta sostitutiva dell’imposta, sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 5 per cento (triennio 2025-2027), entro il limite di importo complessivo di 3.000 euro lordi, i premi di risultato di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili (…), nonché le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa» (comma 182). Che questi incentivi economici non abbiano inciso in modo rilevante rispetto all’obiettivo di strutturare a livello collettivo una forma di retribuzione variabile legata ad obiettivi specifici (produttività, redditività, qualità, efficienza, innovazione) lo dimostrano le successive verifiche empiriche fatte dal gruppo di ricerca di ADAPT (vedi in particolare P. Tomassetti, Detassazione 2016: il ritorno degli accordi “fotocopia”di livello territoriale, in Bollettino ADAPT del 19 ottobre 2016) e documentate puntualmente con i Rapporti ADAPT sulla contrattazione in Italia.

 

Da qui l’urgenza di riprendere in mano il tema della contrattazione incentivata di produttività non solo per meglio capire, con ulteriori verifiche empiriche, utilità e impatto delle ingenti misure premiali previste dal Legislatore, ma anche per valutare l’esistenza di possibili soluzioni alternative ovvero l’adozione di accorgimenti tecnici utili ad ancorarle in modo più perentorio ai condivisibili obiettivi contenuti nella astratta previsione normativa.

 

Giulia Comi

PhD Candidate – ADAPT Università di Siena

@giulphil

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è X-square-white-2-2.png@MicheTiraboschi  

 

Cronaca sindacale – Aprile 2025

Cronaca sindacale – Aprile 2025

Bollettino ADAPT 28 aprile 2025, n. 16

 

Per una cronaca sindacale

 

Con questo contributo prende avvio una nuova rubrica di ADAPT che, accanto al tradizionale commento dei principali testi contrattuali (come i rinnovi di livello nazionale e i casi aziendali e territoriali d’interesse), intende raccogliere e ordinare i principali avvenimenti del mondo sindacale. La convinzione dei ricercatori di ADAPT è che una “cronaca sindacale” possa portare luce sul persistente dinamismo del nostro sistema di relazioni industriali e offrire chiavi di lettura utili per comprendere le complesse trasformazioni della nostra economia e società. Io sono Maria Carlotta Filipozzi, apprendista di ricerca laureata magistrale in Politics, Philosophy and Public Affairs all’Università di Milano e in ADAPT mi occupo di comunicazione pubblica sui temi del lavoro. L’obiettivo di questa rubrica è quello di fornire ai lettori del Bollettino ADAPT una cronaca di quanto sta prima e dopo la firma di un contratto collettivo e di una intesa tra parti sociali e potere politico seguendo i dialoghi tra politica e rappresentanza, le vicende associative, gli scioperi e le crisi aziendali nel tentativo di fornire, auspicabilmente, uno strumento di analisi.

 

Contrattazione collettiva

 

Il mese di aprile ha registrato la sottoscrizione di 5 rinnovi contrattuali relativi alle federazioni di categoria di Cgil, Cisl e Uil. Fra questi, spicca sicuramente il rinnovo del CCNL Chimico-Farmaceutico commentato per ADAPT da Chiara Altilio, Diletta Porcheddu, Ilaria Armaroli e Jacopo Sala (qui il commento). Il contratto collettivo per il triennio 2025-2028 è stato rinnovato il 15 aprile con grande anticipo rispetto alla scadenza prevista, grazie all’intesa fra Federchimica, Farmindustria e le sigle sindacali di settore – Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil, Ugl Chimici, Failc-Confail, Fialc-Cisal. L’aumento complessivo è pari a 294€ per tutta la durata del contratto. Sono inoltre significative le linee guida introdotte in materia di Intelligenza Artificiale, inclusione, contrasto a molestie e violenza sul lavoro (qui il comunicato congiunto delle organizzazioni sindacali).

 

Il 16 aprile è stata firmata l’ipotesi d’accordo per il rinnovo del CCNL Energia e Petrolio per il triennio 2025-2027. L’ipotesi è stata sottoscritta dalle tre organizzazioni sindacali di categoria – Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil – e da quelle datoriali in rappresentanza di Confindustria Energia. L’aumento complessivo è di 330€, suddiviso nel triennio. Sono stati poi aggiunti 5€ al welfare contrattuale da destinarsi al fondo di Assistenza Sanitaria Integrativa FASiE (qui il comunicato).

 

Infine, è da segnalare il rinnovo del CCNL delle piccole e medie imprese edili, firmato da Confapi Aniem e le organizzazioni sindacali Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil. Si completa con questa firma il percorso già iniziato il 24 marzo scorso con il rinnovo della parte economica, includendo intese relative a trasferte, denuncia unica edile, sorveglianza sanitaria e fondo territoriale per la qualificazione. Si concretizza quindi l’intesa economica che prevede un incremento salariale totale di 175€ (qui il comunicato di Confapi).

 

Nonostante le significative rinegoziazioni degli ultimi mesi, sono ancora 5,9 milioni i lavoratori in attesa di rinnovo in Italia, circa il 45% dei lavoratori dipendenti (C. Casadei, Dai meccanici alle tlc, 5,9 milioni i lavoratori in attesa del contratto, in Il Sole 24 Ore, 22 aprile 2025, p. 17). Questi numeri sono destinati a salire se entro fine anno non ci saranno sostanziali rinnovi, considerando che entro il 2025 arriveranno a scadenza i contratti di diverse categorie: legno arredo, vetro, occhialeria, trasporto aereo e gomma plastica, tra gli altri.

 

A livello aziendale è da segnalare il Contratto Integrativo Aziendale del Gruppo Generali. Tra i numerosi punti, il rinnovo prevede anche una tantum pari a 850€, un incremento dell’8% del premio variabile, a regime, un incremento del welfare di 130 euro, oltre ad accordi relativi al time management e allo smart working (qui il comunicato congiunto).

È stata poi firmata l’ipotesi di accordo integrativo con Everli che riguarda 1800 lavoratrici e lavoratori nel settore delle consegne della spesa online. L’intento è quello di costruire un sistema di regolamentazione aziendale che valorizzi affidabilità, esperienza e qualità del servizio degli shopper (si veda il commento all’accordo di Daniel Zanda, pubblicato sul Bollettino ADAPT odierno).

 

Scioperi

 

Il sito della Commissione di garanzia della legge sulla attuazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali registra per il mese di aprile quattordici scioperi di rilevanza nazionale, di cui sei revocati. Cinque di questi quattordici scioperi sono stati indetti da federazioni di Cgil Cisl e Uil (uno revocato).

 

Tra i contratti in attesa di rinnovo, spicca per centralità nel dibattito pubblico, quello dei metalmeccanici Federmeccanica-Assistal, scaduto a giugno 2024. Le sorti del rinnovo – che coinvolge 1,5 milioni di lavoratori – sono anche influenzate dalle reazioni sindacali delle ultime settimane, in cui Fiom, Fim e Uilm hanno indetto scioperi e presidi. Le sigle sindacali hanno condannato come grave la chiusura di Federmeccanica che non si è dimostrata sufficientemente disponibile ad aprire il negoziato anche sulle rivendicazioni sindacali di aumento salariale ed estensione dei diritti dei lavoratori. Dal punto di vista economico i due fronti sono effettivamente distanti: da una parte Fiom, Fim e Uilm chiedono un aumento in busta paga di 280€, dall’altra, le imprese propongono un aumento definito in base all’inflazione di 173€, da adeguare sulla base del dato effettivo. Dalla rottura del tavolo di trattativa con Federmeccanica il 12 novembre, le sigle sindacali hanno indetto numerosi scioperi, tra cui quello del 16 marzo, di fronte all’azienda Leonardo di Nerviano, e quello del 23 aprile che ha previsto 8 ore di sciopero a livello nazionale. È delle ultime ore la notizia secondo la quale, dopo più di 30 ore di scioperi, l’azienda Baker Hughes – Nuovo Pignone avrebbe chiesto ufficialmente a Federmeccanica di riaprire la trattativa.

 

Politica e rappresentanza

 

Continua la campagna mediatica della Cgil per portare attenzione ai quattro quesiti referendari sul lavoro, su cui si voterà l’8 e 9 giugno, in concomitanza anche con il quesito sulla cittadinanza. È del 23 aprile la notizia della programmazione di un presidio davanti alla sede Rai di via Teulada a Roma per il 29 aprile, in aperta protesta contro il silenzio sui media relativo ai referendum indetti dal sindacato. Sarà presente anche il segretario generale Cgil Maurizio Landini.

 

Il 9 aprile le imprese sono state convocate a Palazzo Chigi dal Governo in un vertice per discutere l’impatto dei dazi statunitensi imposti da Trump. Erano presenti delegati di Confartigianato, Confcommercio, Confimi industria, Legacoop e Coldiretti, ma non delle associazioni sindacali. Le reazioni dei leader dei sindacati non si sono fatte attendere: il segretario generale della Uil, PierPaolo Bombardieri, ha reagito negativamente, sottolineando come il tema dei dazi non riguardi solo aziende e associazioni datoriali, ma anche i lavoratori e reclamando una convocazione anche dei sindacati a Palazzo Chigi. Anche Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, si dichiara preoccupato per l’assenza di dialogo tra governo e sindacati sulla questione dei dazi, criticando la scelta di prediligere un confronto esclusivo con gli imprenditori. Diversa è stata la reazione di Daniela Fumarola – segretaria generale della Cisl – che concorda con il governo nella scelta di consultare inizialmente le associazioni datoriali, pur sottolineando come in una seconda fase sia necessario costruire un patto sociale anche con il sindacato.

 

Dopo la scomparsa di Papa Francesco lo scorso 21 aprile, si sono succeduti i messaggi di cordoglio dei leader sindacali. Comune a tutti è il ricordo di un papa che abbia saputo portare attenzione ai temi del lavoro. Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, nell’esprimere la sua tristezza per la scomparsa del Santo Padre, sottolinea il suo impegno per la pace, contro le carestie e per la fratellanza e ricorda sentitamente l’incontro tra il Papa e oltre cinquemila delegati Cgil nel dicembre 2022. Ugualmente sentito il messaggio di Daniela Fumarola, segretaria generale della Cisl, che sottolinea la capacità comunicativa e la vicinanza agli ultimi di Papa Francesco, nonché il suo impegno contro le guerre. Il segretario generale della Uil, PierPaolo Bombardieri, nelle sue parole di cordoglio, ricorda anche l’attenzione del Papa nella denuncia delle morti sul lavoro e la sua sollecitudine verso i bisogni degli ultimi. Parole di vicinanza anche da parte di Paolo Capone, leader della Ugl, che sottolinea come le parole del papa continueranno ad ispirare l’impegno quotidiano del sindacato.

 

Crisi aziendali

 

STMicroelectronics dichiara a rischio 1.500 posti di lavoro nello stabilimento di Agrate Brianza, durante il tavolo convocato dalla Regione Lombardia. Grazie a pensionamenti anticipati ed altre misure, i licenziamenti non dovrebbero tuttavia superare gli 800 lavoratori. Gli assessori Guido Guidesi (sviluppo economico) e Simona Tironi (lavoro) si sono dichiarati contrari al piano industriale e sono nettamente negative anche le reazioni dei sindacati. Fim, Fiom e Uilm non accettano il piano: Vittorio Sarti – segretario Uilm Lombardia – ha dichiarato di ritenere inaccettabile che un’azienda che è sostenuta da fondi del governo italiano e francese, nonché dal Pnrr dichiari degli esuberi.

 

È del 23 aprile la notizia del raggiungimento di un accordo sindacale fra Borromini Srl con Confindustria Verona e la FIOM CGIL di Verona, relativo alla cessazione delle attività dello stabilimento di Colognola ai Colli (VR). L’accordo arriva in seguito a numerosi tavoli di crisi aperti come conseguenza della procedura di licenziamento collettivo per 47 dipendenti. Grazie all’accordo, l’azienda si impegna a non procedere con licenziamenti unilaterali, le uniche uscite previste saranno quelle volontarie.

 

Maria Carlotta Filipozzi

ADAPT Junior Fellow

 

I numeri (veri) sulla contrattazione pirata*

I numeri (veri) sulla contrattazione pirata*

 

Bollettino ADAPT 28 aprile 2025, n. 16

 

Se c’è un elemento che, più di altri, concorre a valutare nel merito la qualità e lo stato di salute di un sistema di relazioni industriali questo è legato alla genuinità e trasparenza delle relative dinamiche contrattuali. Non è un caso che si richiamino regolarmente, non solo tra gli addetti ai lavori ma anche nel dibattito pubblico, gli oltre mille contratti collettivi nazionali di categoria depositati al CNEL per segnalare l’estrema frammentazione e una complessiva inefficienza del nostro sistema di relazioni industriali apparentemente condizionato da centinaia di sigle di sindacali e datoriali.

 

Fondamentale, in questa prospettiva, è allora la capacità di analizzare in profondità gli assetti normativi e retributivi espressi dalla contrattazione collettiva. In Italia, tuttavia, questa conoscenza resta parziale, discontinua e spesso affidata a iniziative isolate. Non esistono studi sistematici e continuativi della contrattazione di livello nazionale e tanto meno delle forme di raccordo e coordinamento tra contrattazione nazionale e contrattazione di secondo livello. Le stesse organizzazioni sindacali sono oggi prevalentemente impegnate, coi loro rapporti periodici, nello studio della contrattazione decentrata, di cui ancora meno si conosce la valenza non essendo in questo caso neppure di facile reperimento gli stessi testi contrattuali. Questo a differenza di quanto avviene per la contrattazione nazionale che si trova agevolmente nell’archivio nazionale dei contratti del CNEL e che viene registrata, testo per testo, in due bollettini semestrali dello stesso CNEL di descrizione dei relativi contenuti essenziali.

 

Rispetto al fenomeno della contrattazione c.d. pirata l’unica fonte disponibile è, allo stato, quella offerta dalla collaborazione tra CNEL e INPS, che consente di consultare i flussi Uniemens relativi ai contratti dichiarati dai datori di lavoro per ciascun lavoratore, ai fini del calcolo dei contributi previdenziali. Si tratta di dati indubbiamente preziosi, che permettono – una volta incrociati con il repertorio contrattuale CNEL – di stimare con buona precisione il numero di imprese e lavoratori cui si applica ciascun contratto collettivo nazionale, anche con disaggregazione territoriale per province. I rapporti annuali del CNEL sul mercato e la contrattazione collettiva, pur denunciando i rischi della contrattazione in dumping, evidenziano la buona tenuta della contrattazione condotta dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Sono proprio i flussi Uniemens a documentare, anche per il biennio 2023-2024, che i (relativamente) pochi contratti sottoscritti da CGIL, CISL, UIL (circa 250 sugli oltre 1.000 depositati nell’archivio del CNEL), coprono la quasi totalità dei lavoratori. Parliamo di una copertura che supera il 96 per cento dei lavoratori italiani del settore privato, con la sola eccezione per lavoro domestico e lavoro agricolo dove questi dati ancora mancano. I restanti contratti, soprattutto quelli sottoscritti da sigle minori e spesso del tutto sconosciute, si applicano a numeri davvero residuali di lavoratori. Basti pensare che quasi 500 contratti nazionali depositati al CNEL trovano applicazione a meno di 100 addetti, davvero poca cosa per parlare di frammentazione del sistema di contrattazione collettiva e di un dilagare della contrattazione in dumping. Le finalità del deposito, in questi casi, sono evidentemente altre e riguardano benefici che gli “attori” firmatari contano di maturare rispetto alle istituzioni pubbliche più che in ragione di un reale radicamento nel sistema di relazioni industriali.

 

In realtà non pochi studiosi ed osservatori del mercato del lavoro e delle relazioni industriali continuano a esprimere, non si sa sulla base di quali motivazioni, ampie riserve sull’affidabilità dei dati offerti dai flussi Uniemens. L’obiezione più diffusa riguarda la natura dell’obbligo dichiarativo (previsto dall’art. 1, comma 1, del d.l. 9 ottobre 1989, n. 338, convertito con modificazioni dalla l. 7 dicembre 1989, n. 389) secondo cui l’INPS deve utilizzare, ai fini contributivi, i minimi tabellari previsti dal contratto collettivo nazionale indicato dal datore di lavoro. Ma da ciò non deriverebbe necessariamente che tale contratto sia quello effettivamente applicato al rapporto di lavoro. Si ipotizza anzi che, in alcuni casi, le imprese possano adottare un contratto riconosciuto e firmato da organizzazioni sindacali rappresentative unicamente per determinare l’imponibile contributivo, mentre nel concreto il trattamento economico e normativo dei lavoratori sarebbe regolato da un diverso contratto – magari sottoscritto da soggetti non comparativamente rappresentativi – con condizioni meno favorevoli.

 

È in questo contesto che assume un rilievo particolare il recente studio realizzato dall’Osservatorio regionale sul mercato del lavoro di Veneto Lavoro. A differenza delle analisi fondate solo sui flussi previdenziali, lo studio utilizza anche le comunicazioni obbligatorie inviate dai datori di lavoro ai servizi per l’impiego (ai sensi dell’art. 9-bis del d.l. 1° ottobre 1996, n. 510, convertito con modificazioni dalla l. 28 novembre 1996, n. 608) in occasione di assunzioni, cessazioni, proroghe, trasformazioni, trasferimenti e distacchi. In particolare, l’analisi si concentra sulle oltre 600mila assunzioni effettuate nel 2024 da imprese private operanti sul territorio di Regione Veneto, rilevando i contratti collettivi effettivamente applicati ai nuovi rapporti di lavoro.

 

I risultati sono degni di nota. Sei CCNL, tutti riconducibili ai sistemi di relazioni industriali più consolidati, coprono da soli oltre il 50% delle assunzioni effettuate in Veneto nel 2024. Si tratta del CCNL Turismo (Federturismo), del CCNL Terziario, distribuzione e servizi (Confcommercio), del CCNL Agricoltura (Confagricoltura, Coldiretti, Cia), del CCNL Metalmeccanici (Federmeccanica), del CCNL Pubblici Esercizi/Ristorazione (Fipe) e del CCNL Multiservizi (Confindustria, Legacoop, Confcooperative). Ancora più rilevanti i dati relativi alla titolarità sindacale dei contratti: il 92,9% delle assunzioni risulta associato a contratti firmati da almeno una tra CGIL, CISL o UIL. Il 2% fa riferimento a contratti sottoscritti da sigle non confederali ma presenti al CNEL (in linea con gli stessi dati offerti dal CNEL sulla base dei flussi Uniemes), mentre meno dello 0,3% di questi contratti è riconducibile a soggetti del tutto esterni al sistema di rappresentanza istituzionale. I contratti non firmati da sindacati confederali assumono un certo rilievo in alcuni settori specifici. Nel comparto della vigilanza privata, ad esempio, oltre il 70% delle assunzioni è legato a un contratto sottoscritto dal sindacato autonomo Confsal. Un peso non trascurabile dei contratti non confederali si registra anche nell’ICT e nei servizi informatici, dove si segnala la diffusione del contratto firmato da UGL per i Centri di elaborazione dati. È da segnalare anche, per completezza, che nel settore privato la percentuale di assunzioni annue rilevata dal sistema delle comunicazioni obbligatorie che non riporta un contratto univoco ma si rifà ad una indicazione generica si aggira attorno al 5%.

 

I dati del Veneto non devono essere generalizzati in modo acritico. Si riferiscono a una sola regione – per quanto economicamente rilevante e dotata di una buona capacità amministrativa in materia di osservazione del mercato del lavoro – e non è escluso che in altri territori la diffusione della contrattazione pirata assuma proporzioni diverse. Tuttavia, proprio perché costruiti su fonti diverse da quelle previdenziali, questi dati rappresentano un importante banco di prova per valutare e confermare l’attendibilità e affidabilità delle rilevazioni Uniemens. Offrono inoltre uno spaccato concreto sulla effettiva applicazione dei contratti nei nuovi rapporti di lavoro, contribuendo a colmare un vuoto conoscitivo finora difficilmente colmabile.

 

È da analisi come queste che può prendere forma un giudizio equilibrato e documentato sulle dinamiche delle relazioni industriali in Italia. Il fenomeno della contrattazione collettiva pirata esiste, e in alcuni settori / territori è certamente rilevante. Ma non può essere indicato come l’unica, né la principale, causa della questione salariale che attraversa il nostro Paese. Le retribuzioni stagnanti, le disuguaglianze crescenti e le difficoltà di valorizzazione del lavoro non dipendono solo dall’azione o dal dumping di soggetti marginali o opachi. Richiedono, piuttosto, una riflessione più ampia sulla qualità della contrattazione collettiva, sul ruolo dei livelli territoriali e aziendali, sulla capacità di rappresentanza e sulla forza effettiva delle istituzioni del lavoro.

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è X-square-white-2-2.png@MicheTiraboschi  

 

*pubblicato anche su Contratti & contrattazione collettiva, n. 16/2025

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/268 – Tra CCNL e “accordo quadro”: la strada dei chimici per affrontare intelligenza artificiale, competenze e tutele

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/268 – Tra CCNL e “accordo quadro”: la strada dei chimici per affrontare intelligenza artificiale, competenze e tutele

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 28 aprile 2025, n. 16

 

Lo scorso 15 aprile, le associazioni datoriali Federchimica e Farmindustria, e le organizzazioni sindacali Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil hanno sottoscritto l’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL per gli addetti all’industria chimica, chimico-farmaceutica, delle fibre chimiche, dei settori abrasivi, lubrificanti e GPL (codice Cnel: B011), che decorrerà per tre anni dal 1° luglio 2025 al 30 giugno 2028.

 

Stando ai dati Uniemens 2024 raccolti dall’archivio del Cnel, il CCNL è tra i 15 più applicati in Italia per numero di lavoratori: oltre 225.000 addetti, impiegati in circa 3.600 aziende.

 

La sottoscrizione dell’intesa precede di oltre due mesi il termine di vigenza (fissato al 30 giugno 2025) del precedente rinnovo, e giunge dopo poco più di un mese dalla presentazione della piattaforma da parte dei tre sindacati di categoria e appena due settimane dopo l’apertura del confronto con le associazioni datoriali. Segno questo, dell’urgenza percepita da entrambe le parti di mettere a punto soluzioni condivise per la crescita sostenibile del settore, in un contesto caratterizzato da tensioni geopolitiche e trasformazioni socioeconomiche epocali. Del resto, lo sforzo negoziale e progettuale dei sindacati e delle associazioni datoriali non si era arrestato neanche nel periodo di vigenza del precedente rinnovo. A gennaio 2024, veniva sottoscritta un’intesa per l’erogazione anticipata dei minimi tabellari (da compensare nell’ambito del rinnovo 2025); a dicembre 2024, venivano invece approvati miglioramenti alle prestazioni erogate dal fondo di assistenza sanitaria, Faschim.

 

Complessivamente, l’accordo dimostra una certa prontezza e maturità delle associazioni sindacali e datoriali di categoria nell’affrontare le sfide, soprattutto digitali e ambientali, che stanno attualmente investendo il mondo del lavoro, con impatti concreti in termini di competenze, salari, sicurezza e benessere di una platea sempre più eterogenea (rispetto alle dimensioni di genere, età, cultura, ecc.) di lavoratori. Tutte tematiche, infatti, trattate dal rinnovo siglato e già contemplate dalla piattaforma sindacale, che tuttavia, conteneva anche una richiesta (al momento non accolta) di riduzione dell’orario di lavoro settimanale.

 

Il contratto conferma l’impronta partecipativa delle relazioni industriali nel settore, rafforzando il ruolo degli osservatori bilaterali, e delle figure coinvolte nella gestione della sicurezza sul lavoro. Un aspetto rilevante di questo CCNL, ulteriormente valorizzato dalla recente ipotesi di rinnovo, è il rapporto con il livello aziendale. Il coordinamento tra i due livelli avviene non solo attraverso l’assegnazione di specifiche competenze alla negoziazione aziendale, ma anche tramite la definizione di linee guida su un numero sempre maggiore di temi – non solo responsabilità sociale d’impresa, premio di partecipazione e trasformazione digitale, ma da quest’anno anche intelligenza artificiale, diversità, equità e inclusione, e contrasto a violenze e molestie nei luoghi di lavoro – da sviluppare nelle aziende.

 

In questo senso, il CCNL sembra sempre più assumere i caratteri dell’accordo quadro, realizzando una cornice generale di riferimento per affrontare diverse tematiche. In questi passaggi però, la sua efficacia non può derivare da un accoglimento formale delle disposizioni contrattuali, ma richiede alle parti aziendali la capacità di tradurre (attraverso azioni di contrattazione, progettazione o consultazione, nonché con il coinvolgimento diretto dei lavoratori) gli orientamenti e i principi nazionali in procedure e prassi concrete. Da un lato, questo approccio sembra volto a rafforzare il timbro della contrattazione nazionale nello sviluppo delle relazioni industriali e in generale, nella regolazione dei contesti lavorativi. Dall’altro, l’adozione di orientamenti piuttosto che di rigide direttive, può rendere più complesso il loro recepimento. Per questo, un elemento cruciale per l’effettiva attuazione del contratto è rappresentato dalle attività di sensibilizzazione e formazione, che come si vedrà, sono promosse dai firmatari nei confronti delle figure responsabili delle relazioni industriali nelle aziende e nei territori.

 

Parte economica

 

Dal punto di vista retributivo, l’ipotesi di accordo prevede un aumento del trattamento economico minimo (TEM), comprensivo della paga base e dell’indennità di posizione organizzativa (IPO), pari a 257,00 euro per la categoria di riferimento D1. Questo importo corrisponde a un incremento dell’11,5% rispetto al TEM in vigore da luglio 2024 e sarà erogato in cinque tranche nel periodo 2025-2028. Si precisa che la prima tranche, in programma per il mese di luglio, include anche la quota residua dell’aumento stabilito dal rinnovo precedente del giugno 2022 (20,00 euro).

 

 

L’incremento retributivo stabilito dal presente rinnovo si inserisce in un trend di crescita delle retribuzioni contrattuali già avviato da tempo. Nel settore chimico, infatti, la contrattazione collettiva è stata in grado di sostenere in modo significativo la dinamica salariale, con un’importante spinta a gennaio 2024, quando, come già menzionato, in risposta alla forte pressione inflazionistica, è stato sottoscritto un accordo per accelerare gli adeguamenti salariali. Quest’ultimo rinnovo rafforza ulteriormente questa tendenza positiva.

 

Accanto all’incremento del trattamento economico minimo, il rinnovo contrattuale di quest’anno prevede la reintroduzione, a partire da luglio 2027, dell’EDR contrattuale, che torna ad essere corrisposto separatamente dopo l’integrazione nel TEM stabilita dall’accordo di gennaio 2024. L’importo viene inoltre aggiornato, passando da 23,00 a 26,00 euro.

 

Sempre a decorrere da luglio 2027, viene previsto anche un adeguamento dell’indennità per il lavoro notturno. L’importo riconosciuto ai turnisti per le prestazioni effettivamente svolte in turno notturno sale da 13,50 a 15,50 euro, mentre nel settore Fibre l’indennità passa da 5,00 a 6,00 euro.

 

Sul fronte della previdenza complementare, viene incrementata la contribuzione al fondo Fonchim a carico dell’azienda, che da gennaio 2027 salirà al 2,3% della retribuzione utile per il calcolo del TFR (dal 2,1% precedentemente in vigore).

 

Parte normativa

 

Linee guida sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’organizzazione aziendale

 

Che l’innovazione digitale e l’intelligenza artificiale siano al centro di questo rinnovo è chiaro sin dalle battute iniziali, quando si inquadra la promozione di un’adeguata cultura delle relazioni industriali nella prospettiva di perseguire una giusta transizione ecologica e digitale, ma sono le “Linee guida settoriali in tema di utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’organizzazione aziendale” ad affermare definitivamente la centralità della questione per le parti firmatarie.

 

In linea con un modello di indirizzo della regolazione e progettazione aziendale già visto per altre materie del CCNL, le parti nazionali forniscono direttrici per la gestione dell’intelligenza artificiale nei luoghi di lavoro. Nello specifico, le attuali Linee guida – che hanno l’obiettivo di prevedere un uso dell’IA nel settore che sia conforme ai contenuti del nuovo regolamento europeo n. 2024/1689 (c.d. AI Act) – definiscono l’intelligenza artificiale come “un sistema automatizzato progettato per operare con diversi gradi di autonomia variabili […] in grado di apprendere e adattarsi autonomamente dopo la progettazione e dedurre dagli input che riceve come generare output quali previsioni, contenuti, raccomandazioni e anche decisioni capaci di influenzare ambienti fisici o virtuali”. Le parti riconoscono nell’intelligenza artificiale un’opportunità per la competitività, la sicurezza, l’ambiente e lo sviluppo delle competenze, ma ne evidenziano anche i rischi, legati alla privacy, alla discriminazione, alla trasparenza, alla diffusione di informazioni fuorvianti e alla tutela del know-how riservato.

 

Al fine di prevenire tali rischi, i sottoscrittori del CCNL indicano una serie di principi che devono essere applicati da parte delle aziende chimico-farmaceutiche interessate ad integrare l’intelligenza artificiale all’interno dei propri processi produttivi. Le parti prescrivono che eventuali intese o policy stabilite a livello aziendale dovranno essere conformi alle linee guida settoriali.

 

Tra i principi indicati dal CCNL viene sottolineata la “centralità della persona e la responsabilizzazione”, declinata attraverso l’indicazione di garantire la supervisione e il coinvolgimento umano sulle decisioni prese dall’intelligenza artificiale, che deve in ogni caso essere considerata come un “supporto allo svolgimento delle attività umane”. Tale disposizione riflette la visione esposta dalle delle parti sociali europee all’interno dell’Accordo quadro sulla digitalizzazione del 2020 (e, in precedenza, dalla celebre Opinione del Comitato Economico e Sociale Europeo del 2017).

 

Inoltre, chi usa l’IA dovrebbe essere adeguatamente formato e responsabilizzato sui potenziali impatti dello strumento. In generale, l’IA viene considerata come uno strumento verso il quale adottare un approccio “attento e prudente”, nonché conforme alle norme vigenti in materia di dati personali e non solo.

 

Le parti promuovono altresì un utilizzo etico, inclusivo e sostenibile dell’IA, il quale, ad esempio, impone una valutazione preventiva degli impatti conseguenti all’implementazione di sistemi di IA, il cui utilizzo può rappresentare un rischio per la salute, la sicurezza o diritti fondamentali delle persone.

 

Infine, nell’ottica del coinvolgimento dei lavoratori nella gestione dell’IA, viene sancita l’importanza di fornire formazione e informazione sul tema ai lavoratori coinvolti. Inoltre, si prevede che le RSU siano informate preventivamente dell’introduzione di progetti di IA all’interno dei contesti di lavoro, oltre che coinvolte continuativamente nell’approfondimento del fenomeno anche nell’ambito dell’Osservatorio Aziendale. Tutto questo, al fine di promuovere una cultura digitale aziendale che “valorizzi la conoscenza e la condivisione delle informazioni, al fine di garantire una adozione sicura e responsabile dei sistemi di IA”.

 

Linee guida in tema di diversità, equità e inclusione

 

Con approccio simile, sempre finalizzato ad orientare l’autonomia delle parti a livello aziendale, associazioni datoriali e sindacali di settore definiscono “Linee guida settoriali per la promozione di iniziative in tema di Diversità, Equità e Inclusione a livello aziendale”, che si configurano come vere e proprie indicazioni metodologiche per sviluppare azioni coerenti con questi obiettivi.

 

Nel dettaglio, a supporto delle imprese intenzionate a sviluppare politiche “DE&I”, le parti individuano cinque forme di diversità da valorizzare. L’attenzione viene posta sulle differenze di genere, di età, culturali, di abilità, e di orientamento sessuale e identità di genere. Oltre a questi cinque fattori, le parti comprendono nelle suddette linee guida anche il tema della genitorialità.

 

Stabilite le forme di diversità da attenzionare, le parti rinviano al livello aziendale la progettazione di azioni, richiamando, anzitutto, la necessità di stabilire chiari obiettivi da raggiungere, i ruoli coinvolti e le attività da pianificare.

 

La progettazione organizzativa delle iniziative DE&I deve quindi partire da un’analisi preliminare dei dati relativi alla popolazione aziendale nonché dei fabbisogni e delle criticità presenti nei diversi contesti, anche attraverso la rilevazione delle percezioni dei dipendenti. Tale analisi è essenziale per l’individuazione di chiari obiettivi da perseguire con la strategia DE&I ma anche per la definizione e l’implementazione di un piano di azione suscettibile di valutazione rispetto all’efficacia delle singole iniziative. Da questo punto di vista, viene sottolineata l’importanza di individuare strumenti di monitoraggio, sia per facilitare la rimodulazione delle diverse iniziative nel tempo in funzione degli obiettivi stabiliti, che per condividere i risultati raggiunti e comunicare, internamente ed esternamente, i risultati delle azioni intraprese.

 

A ulteriore supporto delle aziende del settore, le linee guida individuano tre diverse fasi di sviluppo progettuale (formazione e comportamento organizzativo, strategia e processi, comunicazione e relazioni istituzionali) e, a ciascuna, associano a titolo esemplificativo delle iniziative adottabili.

 

Contrasto alle violenze e molestie nei luoghi di lavoro

 

In linea con l’approccio alle tematiche sopra menzionate, sono formulate anche “Linee guida per il contrasto delle violenze e molestie nei luoghi di lavoro”, richiamando gli accordi quadro sottoscritti a livello europeo e nazionale in materia e ribadendo l’inammissibilità di condotte lesive per la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori.

 

Nello specifico, le parti si impegnano alla diffusione dei principi di inclusione, eguaglianza e reciproca correttezza, sostenendone il recepimento anche nell’ambito di contratti o policy aziendali, nonché nelle procedure di informazione e consultazione in seno all’Osservatorio Aziendale. Inoltre, si afferma l’utilità di predisporre iniziative formative finalizzate alla prevenzione di comportamenti violenti e molesti, di definire procedure che consentano una gestione efficace e rispettosa delle segnalazioni, e di implementare misure adeguate nei confronti degli autori delle violenze nonché azioni di sostegno alle vittime. Seppur ribadendo l’autonomia delle aziende nella gestione del tema, le parti invitano all’adozione al secondo livello di una dichiarazione specifica per il contrasto delle violenze e molestie nei luoghi di lavoro (fornita in allegato al rinnovo) o azioni analoghe, che siano in linea con gli orientamenti prima esposti.

 

Tutele in tema di violenza di genere, genitorialità, malattia e infortunio

 

In verità, a sostegno dei dipendenti più vulnerabili e in condizione di bisogno, le parti firmatarie intervengono introducendo già a livello nazionale alcune tutele normative.

 

Proprio in favore delle vittime di violenza di genere è infatti garantita un’estensione di tre mesi del congedo stabilito dalla legge. Viene altresì ammessa la possibilità di riconoscere, a livello aziendale, ulteriori proroghe del periodo di congedo in caso di necessità certificata dai servizi sociali. In aggiunta, vengono predisposte agevolazioni nell’utilizzo di forme di flessibilità oraria e/o nello svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile.

 

Sempre per quanto concerne le misure di conciliazione vita-lavoro, alcune novità riguardano i dipendenti genitori. In particolare, rispetto ai congedi previsti dalla legge, si stabilisce: a) un aumento di due giorni retribuiti al 100% del congedo di paternità obbligatorio, assorbibili in caso di migliori condizioni stabilite a livello aziendale; b) l’innalzamento dei giorni di congedo non retribuito in caso di malattia dei figli di età compresa tra i tre e gli otto anni, per un totale di 12 giorni (rispetto ai 6 prima previsti e ai 5 invece riconosciuti ex lege e ricompresi nel monte ore complessivo), fruibili anche a gruppi di quattro ore. Inoltre, le parti prevedono che “oltre alla maturazione del TFR secondo i criteri di legge, le assenze dal lavoro per maternità, paternità o per i congedi parentali sono computate agli effetti di tutti gli istituti contrattuali”.

 

Al fine di supportare i genitori i cui figli hanno una diagnosi di DSA, le parti richiamano quanto previsto dalla legge in tema di flessibilità dell’orario di lavoro per questa categoria di dipendenti e rimandano alla definizione a livello aziendale delle modalità concrete per l’esercizio di tale diritto. Un sostegno alla genitorialità viene, infine, offerto anche alle dipendenti che intraprendono terapie di fecondazione assistita, cui viene riconosciuta un’aspettativa non retribuita di massimo 20 giorni nell’arco di un anno.

 

A tutela dei dipendenti con disabilità certificata ai sensi della legge n. 68/1999, invece, le parti estendono del 30% i termini di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia o infortunio. Inoltre, esse esprimono la necessità di individuare soluzioni organizzative, tecnologiche e contrattuali che consentano l’eliminazione o la riduzione dei fattori che impediscono o rendono difficile l’impiego dei lavoratori con disabilità o divenuti inidonei alle mansioni per le quali sono stati assunti (c.d. accomodamenti ragionevoli).

 

Le parti intervengono altresì in tema di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia e infortunio. Nel dettaglio, nell’eventualità di un unico evento morboso continuativo, ai fini dei termini da computare per la conservazione del posto di lavoro, non sono considerati i periodi di ricovero ospedaliero continuativo di durata superiore a 7 giorni (in luogo dei 20 giorni prima indicati) e fino a un massimo di 40 giorni complessivi (in luogo dei 60 inizialmente previsti). Inoltre, si stabilisce che qualora un unico evento morboso abbia comportato l’esaurimento del trattamento economico spettante, lo stesso ricomincia ex novo in caso di ricovero superiore a 10 giorni (e non più 14).

 

Infine, per i dipendenti affetti da patologie oncologiche e degenerative, ai fini del periodo di comporto, si stabilisce che non vengano computati i giorni di assenza necessari per le connesse terapie. Infine, per i lavoratori donatori di midollo osseo vengono confermate le tutele previste dalla legge.

 

Sostegno ai lavoratori studenti

 

Per quanto concerne i lavoratori studenti, vengono introdotte tutele anche in favore dei dipendenti iscritti agli ITS Academy. A questi viene infatti garantito un giorno di permesso retribuito per partecipare alle prove di valutazione delle competenze acquisite, fino ad un massimo di sei all’anno. Nel caso di prove sostenute per più di due volte nello stesso anno, i permessi non saranno retribuiti. La stessa logica è applicata anche per gli esami dei lavoratori universitari. Inoltre, i quattro giorni di permesso retribuiti originariamente destinati ai lavoratori che dovessero sostenere esami di laurea, vengono estesi anche nei casi di discussione di tesi di dottorato di ricerca, master universitari e per gli esami di diploma ITS Academy.

 

Vengono poi concessi permessi retribuiti per ogni giorno di esame di stato sostenuto dai lavoratori che intendono essere iscritti agli albi od ordini professionali, connessi all’attività aziendale.

 

Parte obbligatoria

 

La parte obbligatoria costituisce un elemento fondamentale, e per questo particolarmente sviluppato, del CCNL dell’industria chimica e farmaceutica, che infatti fa del modello partecipativo di relazioni industriali il proprio carattere distintivo e la chiave per affrontare le sfide in corso, a partire dalla transizione ecologica e digitale.

 

A questo proposito, le parti ribadiscono il valore del CCNL da loro sottoscritto, condannando il ricorso ai cosiddetti “contratti pirata”, quali strumenti di concorrenza sleale, incapaci di coniugare sviluppo e responsabilità sociale. Vengono inoltre avviati gli “Stati generali delle relazioni industriali settoriali”, intesi come incontri itineranti delle parti firmatarie nei diversi territori e poli industriali per confrontarsi sul ruolo delle relazioni industriali nel contesto di riferimento. Si tratta, per la verità, di un modello di confronto continuo da tempo caro agli attori negoziali, che infatti già nei precedenti rinnovi si impegnavano a diffondere la conoscenza del contratto nazionale attraverso appuntamenti periodici in varie zone d’Italia.

 

Del resto, ulteriori azioni di informazione e formazione congiunta sono promosse dalle parti firmatarie anche in relazione alla sicurezza sul lavoro. Nello specifico, si menziona la pubblicazione di un apposito sito internet (www.sicurezzasaluteambiente.it) gestito congiuntamente dai sindacati e dalle associazioni datoriali di settore, finalizzato alla sensibilizzazione sui temi della sicurezza. Proprio su questi aspetti, è altresì istituito un Premio rivolto a lavoratori e studenti, che abbiano collaborato in progetti con le aziende per diffondere la cultura della sicurezza anche al di fuori del mondo del lavoro. Infine, le parti concordano di organizzare sessioni formative annuali su tematiche di interesse settoriale indirizzate alle figure coinvolte nella gestione della sicurezza aziendale, per promuovere la condivisione di esperienze e favorire il confronto e l’approccio partecipativo in questo ambito.

 

Promozione e diritti dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, salute e ambiente

 

Tra le figure impegnate in questi temi, l’ipotesi di accordo dedica particolare attenzione al Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, salute e ambiente (RLSSA), le cui competenze vengono ampliate attraverso l’esplicito coinvolgimento (nelle modalità da individuare a livello aziendale) nelle fasi di pianificazione e comunicazione dei risultati delle attività di audit, svolte dalle imprese che adottano sistemi di gestione ambientale e della salute e sicurezza sul lavoro, UNI EN ISO 14001 e/o 45001. Miglioramenti sono previsti anche relativamente ai permessi retribuiti per gli RLSSA, che possono essere fruiti anche con una certa flessibilità nell’arco del triennio di durata dell’incarico, senza più il limite quantitativo del 50% del monte ore annuo. Inoltre, a fronte di situazioni particolari e in caso di esaurimento del monte ore, i permessi potranno essere aumentati per garantire agli RLSSA l’espletamento delle loro funzioni. Infine, si chiarisce che dal computo delle ore di permesso sono escluse le attività per le quali la presenza degli RLSSA è espressamente richiesta, come nel caso della riunione periodica di prevenzione e protezione dei rischi (articolo 66, lettera b).

 

Con riferimento alla formazione degli RLSSA, le parti introducono alcune specifiche sulla durata del corso introduttivo al ruolo (40 ore) e dei successivi moduli di aggiornamento (almeno 8 ore all’anno).

 

Anche la figura del Responsabile del servizio prevenzione e protezione (RSPP) è attenzionata dall’ipotesi di accordo. Nello specifico, si chiarisce che la funzione di coordinamento ad esso attribuita al fine della valutazione dei rischi, si rivolge anche alle figure dedicate alla gestione della sicurezza nelle imprese impegnate in appalti ad alto rischio, in attività in ambienti confinati e caratterizzate dalla presenza di agenti chimici e rischi particolari, di cui all’articolo 26, comma 3-bis, del d.lgs. 81/2008.

 

Osservatori od organismi bilaterali

 

Importanti strumenti di promozione di un approccio aperto e condiviso alle relazioni industriali sono gli osservatori bilaterali sia a livello nazionale che aziendale, che in questo rinnovo vedono arricchire i propri ambiti di competenza.

 

Per quanto concerne il primo livello di interlocuzione, l’ipotesi di accordo rivede la denominazione di una delle sezioni di approfondimento tematico in cui si articola l’Osservatorio Nazionale: in particolare, la sezione sulla transizione digitale introdotta nel rinnovo del 2022 viene ribattezzata “Trasformazione digitale e intelligenza artificiale”, acquisendo quindi specifiche competenze nell’analisi e osservazione delle implicazioni di tale fenomeno nel mondo del lavoro.

 

Inoltre, all’Osservatorio Nazionale viene affidata la realizzazione di un monitoraggio permanente sull’evoluzione delle competenze in relazione alle transizioni ecologiche e digitali. Del resto, lo stesso Osservatorio è attualmente impegnato in un progetto di ricerca con l’Università degli Studi di Milano, di cui un primo rapporto, pubblicato a ottobre 2024, ha consentito di individuare una serie di competenze e ruoli emergenti nell’ambito dell’innovazione digitale e della sostenibilità ambientale, che vengono per la prima volta enunciati in un Allegato tecnico del CCNL, con l’obiettivo di orientare la costruzione dei futuri programmi formativi.

 

Contestualmente, si concorda l’attivazione di un Gruppo di lavoro composto dalle associazioni sindacali e datoriali firmatarie del CCNL, con l’eventuale partecipazione di rappresentanti dei lavoratori e responsabili aziendali, con il compito di valutare eventuali interventi di aggiornamento del sistema di inquadramento contrattuale alla luce dell’evoluzione dei ruoli professionali.

 

Affermando l’importanza di un’adeguata certificazione delle competenze acquisite nei percorsi di formazione, le parti si impegnano altresì: da un lato, ad avviare collaborazioni con enti, istituzioni, scuole e università per sviluppare un sistema di settore standardizzato e flessibile, per progettare, rilasciare e riconoscere le microcredenziali (ossia i certificati delle microcompentenze acquisite in brevi percorsi formativi), in modo particolare incentrate sulle competenze digitali ed ecologiche; e dall’altro, a fornire supporto, nell’ambito dell’Organismo bilaterale chimico per la formazione (OBCF) di cui all’articolo 63 del CCNL, ai soggetti delegati dalla normativa nazionale di riferimento (fondi interprofessionali, camere di commercio, ecc.) per le attività di regolamentazione della validazione e certificazione delle competenze.

 

Tra gli impegni da realizzare in sede di stesura del nuovo testo contrattuale, le parti concordano di attribuire all’Osservatorio Nazionale anche la realizzazione di analisi e valutazioni utili per l’adeguamento dell’organizzazione del lavoro alle esigenze di produttività, flessibilità e conciliazione vita-lavoro, nonché la conduzione di verifiche sul ricorso alle diverse tipologie contrattuali, al fine di valutare l’adeguatezza delle norme del CCNL in questo ambito nel dare risposte ai bisogni di imprese e lavoratori.

 

Nell’ambito dell’Osservatorio Farmaceutico, invece, le parti aggiungono un ulteriore incontro annuale per una valutazione degli impatti della transizione digitale e dell’intelligenza artificiale sulle attività e competenze legate all’informazione scientifica del farmaco.

 

Su questo tema peraltro si espandono anche le funzioni di analisi dell’Osservatorio Aziendale, l’organismo di informazione e consultazione tra le parti nelle imprese con almeno 50 dipendenti. Allo stesso è altresì attribuito il compito di affrontare le questioni della diversità, equità e inclusione, della parità di genere e del contrasto a violenze e molestie sui luoghi di lavoro, al fine di valutare specifiche iniziative di sensibilizzazione e formazione dei lavoratori e di monitoraggio delle azioni sviluppate.

 

Patto sociale per la riduzione del gap di competenze e supportare competitività, occupazione e occupabilità

 

Un’importante previsione del nuovo accordo è costituita dal “Patto sociale per la riduzione del gap di competenze e supportare competitività, occupazione e occupabilità”, nell’ambito del quale le parti si impegnano a contribuire alla crescita dei settori chimico e farmaceutico, collaborando alla preparazione di una forza lavoro adeguatamente qualificata.

 

A questo fine, vengono individuate sei direttrici di azione: 1) progettazione di programmi formativi specializzati; 2) collaborazione con le istituzioni educative; 3) promozione della formazione continua e riqualificazione dei lavoratori 4) promozione della cultura d’impresa e dell’innovazione; 5) sostegno all’attrattività dei percorsi di studio e del settore; 6) monitoraggio e valutazione delle iniziative condotte.

 

Coordinamento tra i diversi livelli contrattuali

 

Tra le novità da inserire in fase di redazione del testo contrattuale aggiornato, le parti concordano di ampliare gli ambiti su cui la contrattazione aziendale ha “opportunità” di intervento (articolo 47, lettera b-2 del CCNL), in particolare affidando a quest’ultima la possibilità di gestire le tematiche afferenti all’invecchiamento attivo, la convivenza, il ricambio generazionale, nonché di regolare l’organizzazione del tempo necessario per indossare gli equipaggiamenti di lavoro.

 

Oltre alle linee guida prima descritte, ulteriori richiami al secondo livello sono inseriti con riferimento alle tutele per le donne vittime di violenze di genere e ai permessi retribuiti per i lavoratori iscritti a percorsi di istruzione terziaria, laddove vengono fatte salve eventuali previsioni di miglior favore previste dalla contrattazione o dalle procedure aziendali, e alla flessibilità oraria per i genitori di figli con DSA, le cui modalità di fruizione sono da definire a livello aziendale.

 

Chiara Altilio

PhD Candidate – ADAPT Università di Siena

@chialtilio

 

Diletta Porcheddu

Ricercatrice ADAPT Senior Fellow

@DPorcheddu

 

Ilaria Armaroli

Ricercatrice ADAPT Senior Fellow

@ilaria_armaroli

 

Jacopo Sala

ADAPT Research Fellow

@_jacoposala

 

Appalti pubblici e salario: le delibere degli enti locali alla “prova del 9”

Appalti pubblici e salario: le delibere degli enti locali alla “prova del 9”

Bollettino ADAPT 14 aprile 2025, n. 15

 

Da tempo il Bollettino ADAPT sta dedicando attenzione alle diverse iniziative promosse dalle regioni e dagli enti locali volte ad introdurre il c.d. salario minimo nell’ambito degli appalti pubblici, dopo l’arresto dei lavori parlamentari per l’approvazione di una legge nazionale in materia.

 

In particolare, attraverso leggi regionali, proposte di legge (cfr. G Piglialarmi, Ancora su appalti pubblici, contratti collettivi e salario minimo, in Bollettino ADAPT 10 marzo 2025, n. 10) e delibere comunali (G. Piglialarmi, Retribuzione e appalti pubblici: alcune considerazioni sulla recente “rivolta” dei Comuni, in Bollettino ADAPT 25 marzo 2024, n. 12; G. Piglialarmi, M. Tiraboschi, Salario minimo: la piccola rivolta e la grande ipocrisia dei Comuni, in Bollettino ADAPT 8 aprile 2024 n. 14), regioni ed enti locali stanno tentando di imporre agli appaltatori di corrispondere ai propri dipendenti un trattamento economico minimo inderogabile pari a 9 euro l’ora.

 

Ora, se per alcune iniziative legislative regionali il governo ha già intrapreso la via giudiziaria per contestarne la legittimità (G. Piglialarmi, Salario minimo e contratti pubblici: impugnate le leggi regionali della Puglia, in Bollettino ADAPT 10 febbraio 2025, n. 6), le delibere comunali, invece, cominciano “indisturbate” ad essere operative. A Firenze, infatti, la Direzione comunale del comparto istruzione, mensa, refezione scolastica e trasporti ha pubblicato una determina per affidare ad un operatore privato, all’esito di una regolare gara di appalto, il «servizio di pulizia ordinaria dei plessi scolastici delle scuole dell’infanzia comunali e di pulizia straordinaria delle strutture educativo-scolastiche» (cfr. DD/2024/10347 del 19 dicembre 2024).

 

La determina dirigenziale, in linea con quanto previsto dall’art. 11 del d.lgs. n. 36/2023 e il relativo allegato I.01, stabilisce che «il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto è individuato nel CCNL per i lavoratori e lavoratrici ed impiegati delle imprese operanti nel settore dei servizi di pulizia, multiservizi e attività affini» avente codice alfanumerico «CNEL K511» (p. 5). Si tratta del contratto collettivo sottoscritto da Anip, Unionservizi Confapi, Legacoop Produzione e Servizi, Confcooperative Lavoro e Servizi, Agci Servizi e da Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uil-Trasporti, individuato quale CCNL sottoscritto da organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nell’ambito del settore al quale è riconducibile l’attività appaltata.

 

Tuttavia, il provvedimento precisa che per i profili professionali richiesti per l’esecuzione dell’appalto (riconducibili al livello II e al livello IV del contratto collettivo), il CCNL indicato nel bando contempla una retribuzione oraria inferiore ai 9 euro l’ora (p. 7), come risulta dalle tabelle ministeriali adottate ai sensi dell’art. 41, comma 13 del d.lgs. n. 36/2023. Pertanto, il Comune di Firenze ritiene legittimo riconoscere un punto premiale «all’operatore che si impegna a garantire al proprio personale nell’esecuzione del presente appalto la retribuzione oraria minima di 9 euro» (p. 7).

 

Nel provvedimento, si prova anche a giustificare, sotto il profilo giuridico, la legittimità di questa previsione, evidenziando come lo stesso sia riconducibile all’art. 108, comma 4 del d.lgs. n. 36/2023, disposizione che consente all’ente appaltante (in questo caso il Comune di Firenze) di individuare l’offerta dell’appaltatore «economicamente più vantaggiosa» non solo seguendo il criterio del «miglior rapporto qualità/prezzo» ma anche altri «criteri oggettivi» fra cui quelli relativi ad «aspetti sociali, connessi all’oggetto dell’appalto»: in questi termini, la richiesta di «garantire» ai lavoratori impiegati nell’esecuzione dell’attività oggetto dell’appalto una «retribuzione oraria minima di 9 euro» è secondo l’ente comunale un criterio utile per produrre un impatto sul piano sociale, perché volto a “premiare” le imprese che praticando degli standard retributivi presuntivamente dignitosi per i lavoratori (p. 7).

 

Orbene, il provvedimento amministrativo si presta quantomeno a quattro osservazioni critiche, che possono essere così sintetizzate.

Anzitutto, pur facendo espresso riferimento ad un metodo di calcolo analogo a quello utilizzato per determinare il costo medio orario nelle tabelle ministeriali per il settore delle pulizie, la determina non lascia comprendere all’utente in modo inequivoco quali siano le metodologie di calcolo utilizzate dall’ente comunale per affermare che le retribuzioni orarie dei lavoratori inquadrati al II e al IV livello del CCNL K511 siano inferiori a 9 euro. E del resto è proprio questo uno dei punti più controversi di quella proposta che intendeva introdurre un salario minimo orario di tale importo: per quanto accattivante dal punto di vista comunicativo, non si è mai capito fino in fondo cosa dovesse essere ricompresa in questa cifra simbolica.

 

Eppure, seguendo una determinata metodologia di calcolo per la determinazione della retribuzione oraria – volta a ricomprende tutte le voci della “normale retribuzione” così come definita dal CCNL in questione – il salario orario di un lavoratore inquadrato al livello più basso del CCNL K511 è pari a 9,14 euro e quindi ben sopra la soglia minima indicata dalla delibera (cfr. F. Alifano, M. Dalla Sega, F. Lombardo, G. Piglialarmi, S. Spattini, M. Tiraboschi, Salari minimi contrattuali: contributo per una verifica empirica, in Professionalità Studi, 2023, n. 2, p. 23). E guardando alle tabelle ministeriali per l’anno 2024, la situazione non cambia di molto, poiché risulta che mentre per il II livello di inquadramento la retribuzione oraria è pari a 8,990 euro, per il IV livello questa è pari a 10,557 euro (cfr. Decreto direttoriale 27 settembre 2023, n. 52, p. 30).

 

Inoltre, per un verso resta (ancora) il nodo – già diverse volte sollevato su questa testata – di comprendere fin dove il criterio introdotto nella determina dirigenziale, per quanto in linea con l’art. 108, comma 4 del d.lgs. n. 36/2023, possa riguardare una materia (cioè la retribuzione) di stretta competenza dell’ordinamento civile. Il rischio che l’atto amministrativo e la delibera di giunta sulla quale si fonda possano collidere con la Carta costituzionale è quantomeno probabile, poiché la regolamentazione del rapporto di lavoro rientra nella esclusiva potestà legislativa dello Stato (cfr. art. 117 Cost.). Peraltro, le disposizioni del Codice dei contratti pubblici non conferiscono alcun potere agli enti pubblici concedenti/contraenti di stabilire ulteriori garanzie e condizioni in materia di lavoro oltre a quelle previste dalla legge. In altri termini, dunque, gli enti devono solo limitarsi a verificare che l’operatore economico rispetti quanto previsto dall’art. 11 del d.lgs. n. 36/2023 (e cioè l’applicazione di un CCNL sottoscritto da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente; in alternativa, che il CCNL prescelto dall’operatore economico presenti delle tutele economiche e normative equivalenti al CCNL indicato nel bando di gara).

 

Per altro verso, occorre chiedersi come si concilia un criterio così pervasivo, che travalica il già imponente obbligo di legge imposto dall’art. 11 del d.lgs. n. 36/2023, con il principio della libertà d’impresa tutelato dall’art. 41 Cost. L’appaltatore, infatti, è già vincolato dalla legge ad applicare il CCNL sottoscritto dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e nel settore a cui e riconducibile l’appalto o, in alternativa, a garantire che i trattamenti normativi ed economici derivanti dall’applicazione di altro CCNL siano i medesimi; a questi, se ne aggiungiamo anche un terzo, la libertà contrattuale e organizzativa (anche sul piano dei costi) dell’imprenditore rischia di essere messa oltremodo sotto un torchio. Non a caso, infatti, la recente giurisprudenza amministrativa ha evidenziato che sia possibile per l’imprenditore presentare un’offerta al ribasso in fase di gara individuando quale limite ultimo e invalicabile i minimi salariali previsti dal CCNL (cfr. TAR Toscana 29 gennaio 2024, n. 120; in tema, cfr. anche Cons. St., sez. V, 9 giugno 2023, n. 5665). Il che comporta che nell’ambito dei parametri salariali stabiliti dalla contrattazione collettiva, l’operatore potrà praticare anche un costo della manodopera inferiore rispetto a quello stimato dalla stazione appaltante, specie se questo è determinato ricorrendo alle tabelle ministeriali le quali, a differenza  dei cosiddetti “minimi salariali” stabiliti dalla contrattazione collettiva, non sono espressamente qualificate dalla legge come inderogabili (così espressamente TAR Calabria 13 gennaio 2025, n. 39). In buona sostanza, dunque, “minimi salariali” previsti dal CCNL e costo del lavoro medio orario determinato sulla base del CCNL sono due entità da tenere distinte.

 

Infine, viene anche da chiedersi come possa conciliarsi questa determina dirigenziale con il Protocollo Appalti sottoscritto il 21 maggio 2024 tra il Comune di Firenze e le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil – pure richiamato nel provvedimento – laddove questo, all’art. 2, espressamente prevede che «l’adeguatezza del trattamento economico, nonché normativo, complessivo da riconoscere ai lavoratori si realizzi attraverso la applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative» e che eventuali condizioni contrattuali migliorative rispetto a quanto previsto dagli stessi CCNL potranno essere inserite nei bandi, anche sotto forma di meccanismi premiali, solo previa consultazione delle parti sociali. Viene da chiedersi, allora, se ci sia mai stato un incontro in tal senso la cui assenza, sul piano della legittimità procedurale rispetto all’adozione della determina, potrebbe pesare non poco.

 

Insomma, non mancano di certo gli argomenti per consentire a chi interessato di poter contestare alcune scelte compiute dal Comune di Firenze al riguardo. E non per una mera logica di interesse o “di risparmio” ma perché, nel rispetto dello spirito pluralista che la Costituzione tutela, determinate scelte – come quella del salario adeguato – vanno discusse nelle sedi opportune e con gli organi che hanno una investitura costituzionale sulla materia.

 

Giovanni Piglialarmi

Ricercatore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

ADAPT Senior Fellow

@Gio_Piglialarmi

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/267 – Rinnovo UNEBA: aumenti salariali, più attenzione ai temi di genere e novità sul sistema di classificazione e inquadramento

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/267 – Rinnovo UNEBA: aumenti salariali, più attenzione ai temi di genere e novità sul sistema di classificazione e inquadramento

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 7 aprile 2025, n. 14

 

Contesto del rinnovo

 

Il 24 gennaio 2025 è stato siglato il rinnovo del contratto collettivo nazionale UNEBA (codice CNEL T141). Il contratto si applica al personale dipendente dei settori socio assistenziale, socio sanitario ed educativo e le parti firmatarie sono Uneba sul lato datoriale e Fp-Cgil, Fisascat-Cisl, Fp-Cisl, Uiltucs e Uil-Fpl sul lato sindacale.

 

La vigenza contrattuale copre il periodo che va dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2025: l’accordo è quindi arrivato a due anni dalla scadenza prevista dal precedente CCNL. Il ritardo è stato causato da lunghe trattative, durate nel complesso 19 mesi, anche con diverse mobilitazioni, tra cui lo sciopero generale del settembre 2024. Questo prolungamento delle negoziazioni ha causato lungaggini che hanno ulteriormente compromesso il reperimento di personale formato nel comparto.

 

Stando ai dati sui flussi Uniemens presenti nell’archivio CNEL, nel 2023 il contratto è stato applicato complessivamente a 63.131 aziende, per un totale di 128.973 lavoratori, con una netta prevalenza di lavoratrici donne (98.756) sui lavoratori uomini (30.217).

 

Tale dato potrebbe contribuire a spiegare l’attenzione che il contratto pone, come evidenziato dalle comunicazioni delle stesse parti sociali, ai temi di genere: sono state infatti apportate modifiche agli articoli 8 bis e 8 ter, che si occupano rispettivamente di “Contrasto alle violenze e molestie sessuali nei luoghi di lavoro” e “Congedi per le donne vittime di violenza di genere”. Al centro del rinnovo resta però il dato economico, con un sensibile aumento retributivo, nodo su cui le parti hanno a lungo dibattuto prima di giungere a un compromesso.

 

Parte economica

 

Prendendo le mosse dalla parte economica, il rinnovo del CCNL UNEBA prevede un aumento retributivo in termini assoluti di 145,00 euro, parametrati al livello 4 super. In termini percentuali, l’incremento è del 10,4%, se nella paga base viene conglobato l’elemento di garanzia retributiva (come riportato nelle tabelle del CCNL), e del 10,5%, se si calcola l’aumento esclusivamente sulla paga base nazionale. Questo incremento è suddiviso in tre tranche, applicabili a tutti i livelli contrattuali. In termini assoluti la variazione è distinta in base al livello di riferimento, ma in termini percentuali è la stessa per tutti i livelli. Nello specifico, a partire dal 1° ottobre 2024, viene applicato un primo aumento del 5% sulla retribuzione (pari a 70,00 euro per il livello 4S); dal 1° luglio 2025, seguirà un ulteriore incremento del 3,4% (pari a 50,00 euro per il livello 4S); dal 1° marzo 2026, si aggiungerà l’ultima tranche pari all’1,6% (pari a 25 euro per il livello 4S).

 

L’aggiornamento retributivo per il livello 4S, preso appunto come riferimento, determina un incremento della paga base nazionale, che passa da 1.377,86 a 1.522,86 euro (a cui si aggiunge un importo pari a 20,00 euro associato all’elemento di garanzia retributiva), con un aumento complessivo di 145,00 euro. Questo adeguamento salariale, che si applica proporzionalmente a tutti i livelli, mira a migliorare le condizioni economiche dei lavoratori del settore, garantendo al contempo una distribuzione graduale degli aumenti per agevolare la sostenibilità economica degli enti datoriali.

 

Il rinnovo introduce, inoltre, misure economiche mirate a riconoscere il ruolo di specifiche categorie professionali. Un cambiamento significativo riguarda il salario accessorio per le funzioni di coordinamento, che passa da 41,32 a 50 euro mensili lordi per 14 mensilità, con l’obiettivo di valorizzare maggiormente le responsabilità organizzative e gestionali. L’indennità di funzione per i quadri, invece, è stata confermata a 100 euro mensili lordi per 14 mensilità, senza variazioni rispetto al precedente contratto. Un altro aspetto rilevante è la conferma dell’Elemento Retributivo Mensile Territoriale (ERMT), che permette di mantenere il trattamento economico già riconosciuto in base alle precedenti contrattazioni.

 

Il rinnovo contrattuale ha introdotto aggiornamenti anche sugli elementi economici aggiuntivi. In particolare, a decorrere dal 1° gennaio 2026, il contributo per l’assistenza sanitaria integrativa a carico dei datori di lavoro è aumentato di 2,00 euro, passando da 6,00 a 8,00 euro per ciascun iscritto per 14 mensilità. Viene inoltre previsto, dal 2025, un elemento distinto della retribuzione di importo pari ad euro 21 lordi, da corrispondere per 14 mensilità al lavoratore in caso di mancato versamento delle quote di assistenza sanitaria.

 

Questo doppio intervento rafforza le tutele sanitarie per i lavoratori del settore, visto che incentiva, sul piano economico, il versamento delle quote dovute all’assistenza sanitaria integrativa.

 

Per quanto riguarda la previdenza complementare, l’aliquota percentuale resta invariata all’1,05% della retribuzione. Tuttavia, il valore indicativo del contributo a carico del datore di lavoro aumenta per effetto dell’incremento della base retributiva. Questo aggiornamento garantisce una maggiore copertura previdenziale senza modificare l’incidenza percentuale sui costi aziendali.

 

Parte normativa

 

Per quanto riguarda invece la parte normativa, una prima novità di rilievo riguarda le misure di contrasto alle violenze e alle molestie sui luoghi di lavoro, visto che le parti introducono uno specifico strumento di tutela destinato alle lavoratrici inserite nei percorsi di protezione.

 

Per costoro, la legge già riconosce (art. 24, d.lgs. n. 80/2015) il diritto ad astenersi dal lavoro per un periodo massimo di 90 giorni lavorativi, durante i quali il datore è tenuto a corrispondere un’indennità giornaliera pari al 100% dell’ultima retribuzione. Ad integrazione di tale previsione legislativa, l’art. 8-ter del CCNL UNEBA stabilisce che, nel caso in cui il percorso di protezione si protragga ulteriormente, la durata del congedo sarà prolungata di ulteriori 90 giorni, durante i quali non sarà tuttavia corrisposta alcuna indennità economica. Inoltre, l’accordo di rinnovo riconosce alla lavoratrice inserita in tali percorsi di protezione il diritto a presentare domanda di trasferimento presso «altro luogo di lavoro», anche ubicato in un altro comune. In tal caso, l’azienda è chiamata a verificare entro 7 giorni dalla comunicazione la disponibilità di posizioni lavorative, impegnandosi a dar seguito alla richiesta di trasferimento.

 

Nuove tutele sono inoltre riconosciute alle lavoratrici con figli, visto che l’accordo di rinnovo ha stabilito, in caso di congedo di maternità, l’obbligo per i datori di lavoro di integrare l’indennità giornaliera carico dell’INPS, assicurando che, per l’intera durata del periodo di astensione obbligatoria, la lavoratrice percepisca il 100% della retribuzione ordinaria.

 

Sul fronte del mercato del lavoro, sulla scorta di quanto consentito dall’art. 19, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 81/2015, l’accordo di rinnovo definisce le specifiche causali che sorreggono l’apposizione del termine al contratto di lavoro individuale. In particolare, l’art. 18 individua quali causali: 1) la sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto; 2) l’aumento temporaneo dell’attività, inteso come esigenze connesse ad incrementi temporanei significativi e non programmabili dell’attività ordinaria; 3) necessità temporanee conseguenti a servizi o attività di nuova istituzione; 4) la realizzazione di progetti specifici a termine; 5) assunzione di personale coinvolto in programmi di formazione e ricerca; 6) incarichi temporanei legati a esigenze straordinarie come emergenze sanitarie o bisogni transitori dell’utenza; 7) punte di intensa attività determinate da convenzioni o commesse eccezionali a cui non sia possibile sopperire con il normale organico.

 

Novità importanti riguardano anche il sistema di classificazione e inquadramento del personale. Il nuovo articolo 37, in questo ambito, stabilisce innanzitutto l’eliminazione del 7° livello: il personale precedentemente ivi inquadrato – cioè coloro svolgono mansioni semplici e tecnico-esecutive – sarà quindi collocato nel 6° livello (ad esempio il personale di pulizia, precedentemente inquadrato al 7° livello). Viene poi modificato l’inquadramento dell’Operatore sociosanitario in possesso di titolo riconosciuto da normative nazionali. Originariamente l’art. 37 distingueva l’O.S.S. a soggetti autosufficienti dall’O.S.S. a soggetti non autosufficienti, inquadrandoli rispettivamente nel livello 4° e 4°S. Con l’accordo di rinnovo non viene riproposta tale differenziazione, riconducendo la figura professionale dell’O.S.S. esclusivamente al livello 4°s del profilo professionale dell’Operatore sociosanitario. Una ulteriore serie di interventi ha infine riguardato la figura professionale dell’educatore. L’educatore senza titolo è inquadrato al livello 3° e al livello 3°S sono ricondotti l’Educatore professionale socio pedagogico e l’educatore professionale sociosanitario.

 

Sempre sul piano normativo, occorre infine menzionare le nuove previsioni relative alla disciplina dell’orario di lavoro, con innovazioni che riguardano, da una parte, i tempi di vestizione e svestizione del personale, dall’altra i permessi ROL. Sul primo fronte, l’accordo di rinnovo stabilisce che, per i lavoratori tenuti a indossare specifici indumenti per lo svolgimento dell’attività lavorativa, il tempo per le operazioni di vestizione e svestizione sarà pari a 15 minuti e andrà computato nell’orario ordinario di lavoro, pari a 38 ore settimanali. Tale previsione supera la precedente formulazione, che demandava alla contrattazione di secondo livello la quantificazione di tali tempi, mantenendo tuttavia quest’ultima il compito di definirne le modalità di gestione. Per quanto riguarda i permessi ROL, invece, l’intesa di rinnovo innalza il pacchetto di riduzione dell’orario di lavoro (originariamente pari a 8 giornate lavorative annue, convenzionalmente assimilate a 51,25 ore) a 9 giornate lavorative annue, convenzionalmente assimilate a 57,66 ore). A differenza della precedente formulazione, l’art. 50 precisa che la nona giornata di ROL non è più destinata all’istituto della “Banca Etica Solidale” a causa della sua “soppressione”.

 

Parte obbligatoria

 

In merito alla parte obbligatoria il rinnovo introduce alcune modifiche all’art. 81 dedicato alla costituzione di una Commissione Paritetica, la Commissione tecnica nazionale, responsabile di individuare gli strumenti per sostenere lo sviluppo delle competenze professionali e per riconoscerne l’effettivo accrescimento. In particolare, rispetto alla versione precedente, tra gli obiettivi della Commissione sono state rimosse le voci relative agli scatti e ai ROL, mentre sono rimasti i riferimenti al Fondo Cassa Integrativa Sanitaria UNEBA, che dovrà valutare gli strumenti utili, necessari e sufficienti per la costituzione di una cassa sanitaria di riferimento per il settore, e all’orario di lavoro, rispetto al quale  saranno effettuati un’analisi e monitoraggio congiunti, con particolare riferimento al regime dei riposi e delle deroghe ad essi collegate, alle causali ed alle misure compensative necessarie. In aggiunta, è previsto anche che la Commissione condurrà un’analisi e un monitoraggio sull’utilizzo della malattia e sulla fruizione della legge 104, e inoltre anche un approfondimento sulla congruenza dei profili professionali attualmente presenti nel sistema di classificazione.

 

Non si riscontrano invece novità in merito all’Ente Bilaterale Nazionale, nonostante l’impegno programmatico, previsto all’art. 7 del CCNL, relativo all’istituzione di una Commissione tecnica mista avente il compito di definire, entro il 30 giugno 2021, finalità, composizione e statuto del nuovo ente.

 

Sempre sul tema della violenza di genere, già attenzionato nella parte normativa, si segnala infine il nuovo art. 8-bis, in cui le parti si impegnano a promuovere interventi formativi in materia di tutela della libertà e della dignità della persona al fine di prevenire il verificarsi di comportamenti configurabili come molestie sessuali e promuovere la cultura del rispetto della persona.

 

Valutazione d’insieme

 

Nel complesso il rinnovo tocca diversi aspetti rilevanti, dato positivo se si considera il lungo periodo di vacanza contrattuale che ha preceduto la firma. Gli elementi che meritano di essere ricordati in conclusione sono tre: l’aumento retributivo del 10%, un maggiore impegno sulle questioni di genere – sia sul fronte delle tutele che sul fronte della formazione – e la revisione del sistema di classificazione e inquadramento, che ha portato all’eliminazione di uno dei livelli più bassi e alla maggiore valorizzazione degli educatori qualificati. Essendo prevista la nuova scadenza del contratto per il 31 dicembre dell’anno in corso, l’auspicio è che le parti riescano a procedere più rapidamente per il prossimo rinnovo, così da tutelare le condizioni di lavoro in un settore sempre più cruciale e al contempo a garantire un livello sufficiente di servizi per una platea di destinatari che inevitabilmente continuerà ad ampliarsi.

 

Silvia Caneve

PhD Candidate – ADAPT Università di Siena

@CaneveSilvia

 

Fulvio Cucchisi

PhD Candidate – ADAPT Università di Siena

@fulviocccs

 

Arianna Ferraguzzo

Assegnista di ricerca Università degli studi dell’Insubria

 

Giorgia Martini

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

martinigiorgia8

 

Marco Menegotto

ADAPT Senior Research Fellow

@MarcoMenegotto

 

Giuseppina Papini

PhD Candidate – ADAPT Università di Siena

@PapiniGiuse

 

Erika Rizzi

PhD Candidate – ADAPT Università di Siena

@Erika_Rizzi_

 

Jacopo Sala

ADAPT Research Fellow

@_jacoposala

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/266 – CCNL Uniontessile Confapi: relazioni industriali e sostegno ai dipendenti al centro del rinnovo 2025

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/266 – CCNL Uniontessile Confapi: relazioni industriali e sostegno ai dipendenti al centro del rinnovo 2025

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 7 aprile 2025, n. 14

 

Contesto del rinnovo

 

Il 18 febbraio 2025 è stata raggiunta l’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL per i lavoratori della piccola e media industria nel settore tessile-abbigliamento-moda, calzature, pelli e cuoio, penne, spazzole e pennelli, occhiali, giocattoli (codice Cnel D018) a firma di Uniontessile-Confapi per il lato datoriale e Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil lato sindacale.

 

Il rinnovo decorre a partire dal 1° aprile 2024, fino al 31 marzo 2027. La decorrenza retroattiva coincide con la scadenza del contratto precedente (che aveva durata fino al 31 marzo 2024) firmato il 24 gennaio 2020. I rappresentanti sindacali avevano già presentato la piattaforma rivendicativa il 27 marzo 2024 ma le trattative sono iniziate solo a contratto collettivo scaduto, il 10 giugno 2024. Il cosiddetto “periodo di vacanza contrattuale”, poi recuperato grazie alla decorrenza retroattiva del contratto, è stato comunque coperto dalle parti sociali grazie al riconoscimento di una quota una tantum di 100 euro con la retribuzione di febbraio.

 

Si tratta, in ogni caso, di un contratto collettivo che si applica a circa 53.000 lavoratori e lavoratrici in quasi 5.000 aziende e rappresenta il secondo contratto più applicato nel settore tessile (dopo il CCNL per le imprese ed i lavoratori del settore Tessile-Abbigliamento-Moda sottoscritto per il lato datoriale da Confindustria Moda).

 

Parte economica

 

Retribuzione diretta

 

Dal punto di vista economico l’accordo raggiunto tra le parti prevede, all’art. 46, un aumento dei minimi salariali, analogo per tutti i sei settori, pari a 200 euro complessivi al 4° livello, distribuiti in tre tranche: 100 euro dal 1° gennaio 2025, 60 euro dal 1° gennaio 2026 e 40 euro dal 1° gennaio 2027. In forza di tale aumento, a partire dal 1° gennaio 2025, per i lavoratori inquadrati al 1° livello è previsto un incremento salariale che garantirà una paga oraria superiore ai 9 euro l’ora.

 

Inoltre, a beneficio di tutte le lavoratrici e i lavoratori dei settori coinvolti, è stata riconosciuta un’indennità una tantum di 100 euro erogata contestualmente alla retribuzione afferente al mese di febbraio 2025. Tale importo è riconosciuto dello stesso ammontare a tutti i dipendenti, indipendentemente dal livello di inquadramento; tuttavia è previsto un riproporzionamento dell’indennità per i lavoratori a tempo parziale in base all’orario di lavoro concordato.

 

Per quanto riguarda il lavoro straordinario, all’art. 40 si stabilisce un aumento del 2% delle maggiorazioni per lo straordinario diurno nei settori occhiali e giocattoli, portandole  ambedue al 27%.

 

Retribuzione indiretta

 

Delle novità si registrano anche per i lavoratori con figli: a partire dal 1° marzo 2025 è infatti prevista l’integrazione dell’indennità di congedo parentale, dal 30% al 60% della retribuzione, per un periodo massimo di tre mesi durante il periodo di assenza del genitore, esclusi i periodi in cui è prevista ex lege un’indennità superiore al 30%.

 

Welfare contrattuale

 

Sul fronte del welfare contrattuale, all’art. 33 le parti stabiliscono l’aumento dello 0,10% del contributo destinato al fondo di previdenza integrativa “Fondapi”, che passa quindi dall’1,90% al 2%.

 

Parte normativa

 

Per ciò che attiene la parte normativa, le novità riguardano numerosi istituti.

 

Tipologie contrattuali

 

Per quanto concerne le tipologie contrattuali, si segnala, all’art. 30, l’aggiornamento della disciplina del contratto a termine ai sensi dell’art. 19 comma 1 lett. a) del d.lgs. 81/2015, come modificato nel recente Decreto Lavoro (d.l. n. 48/2023). Nel dettaglio, vengono introdotte nuove causali per l’apposizione del termine, tra le quali figurano: i progetti non rientranti nelle normali attività (es. migrazione a nuovi software, cambi di sistemi informatici, potenziamento tecniche e competenze in ambito digitale); i progetti inerenti alla realizzazione di interventi temporanei legati alla modifica e alla modernizzazione degli impianti e dei processi produttivi (es. attività di engineering e impiantistica);  la partenza di nuove attività e lancio di nuovi prodotti connesse alla promozione in negozi, spacci, temporary store e attività di reshoring. Inoltre, la durata del contratto a termine potrà superare i 12 mesi, fino ad un massimo di 24 mesi, solo in presenza di specifiche condizioni legate all’esecuzione di progetti, opere, servizi o attività di carattere temporaneo.

 

Orario di lavoro

 

Per quanto concerne le ferie, i lavoratori hanno diritto a quattro settimane annue, con la possibilità di ottenere un ulteriore periodo di ferie (da un giorno fino ad una settimana), a seconda della categoria (intermedi/impiegati). I giorni di ferie non fruiti, eccedenti il minimo di quattro settimane, potranno essere convertiti in permessi retribuiti oppure compensati con una indennità sostitutiva corrispondente alla retribuzione dovuta per le giornate di ferie non godute.

 

Salute e benessere

 

Particolare attenzione viene posta al tema della sostenibilità del lavoro, intervenendo in particolare a sostegno dei dipendenti più vulnerabili.

 

Il CCNL riconosce diffusamente l’importanza del rispetto della professionalità e dei diritti della persona nei luoghi di lavoro. Per questo le parti sono intervenute sottolineando l’importanza dell’adeguamento delle mansioni dei lavoratori in caso di inidoneità e il reinserimento dei lavoratori con disabilità secondo le logiche di accomodamento ragionevole. Inoltre, hanno rafforzato le misure per le donne vittime di violenza di genere, riconoscendo loro diverse condizioni di miglior favore rispetto a quanto stabilito dalla legge (art. 24, d.lgs n. 80/2015).  Nello specifico, le parti hanno previsto: l’estensione del congedo ex lege, portando i mesi di assenza dal lavoro retribuiti da 3 a 5 (fruibili anche su base oraria o giornaliera nell’arco di tre anni); la possibilità di richiedere il trasferimento presso un’altra sede lavorativa a parità di condizioni economiche e normative; l’accesso alla banca ore solidale; l’eventuale trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale per un massimo di dodici mesi; ulteriori forme di flessibilità oraria e/o di modalità agile della prestazione lavorativa e il diritto a fruire della formazione continua al rientro in servizio dopo il periodo di congedo continuativo.

 

Sempre a tutela dei lavoratori più vulnerabili, si segnala che le parti hanno esteso il periodo di comporto a 15 mesi per i lavoratori affetti da gravi patologie. E’ previsto anche il prolungamento del comporto per i lavoratori che presentino una attestazione medica comprovante la necessità di terapie salvavita.

 

A seguito di una specifica richiesta da parte di RLS, RSU e RLST, è stato inoltre introdotto un ulteriore punto riguardante la valutazione delle condizioni climatiche all’interno dell’azienda. L’obiettivo è garantire una gestione ottimale del microclima nei luoghi di lavoro, contribuendo a mitigare eventuali effetti sulla salute dei lavoratori e prevenire i rischi correlati.

 

Conciliazione vita-lavoro

 

Per migliorare l’equilibrio vita-lavoro, il rinnovo valorizza diversi istituti. In materia di flessibilità organizzativa, si richiama il lavoro agile, rimandando sostanzialmente al “Protocollo sul lavoro in modalità agile” del 7 dicembre 2021 e specificando che la sua adozione resta volontaria e subordinata alla valutazione del datore di lavoro, il quale deve provvedere alle dotazioni strumentali, informatiche e telematiche necessarie all’espletamento della prestazione di lavoro.

 

Le Parti promuovono, inoltre, la solidarietà collettiva attraverso la Banca delle ore solidale (ex D.Lgs. 151/2015) stabilendo visto che con il rinnovo del 2025 stabiliscono a livello nazionale delle linee guida per l’applicazione dell’istituto. Proprio al fine di sottolineare la finalità solidaristica, vengono ampliate le causali che consentono l’accesso ad un bacino extra di riposi e ferie: oltre che per la fattispecie legale di assistenza di figli minori che necessitano di cure costanti, anche nei casi utili a sostenere i dipendenti e le loro famiglie in situazioni di salute di particolare gravità opportunamente certificate e, come anticipato, alle vittime di violenza di genere.

 

Rapporto di lavoro

 

Per i nuovi rapporti di lavoro instaurati a partire dal 1° marzo 2025 viene modificata la modalità di computo del periodo di prova, il quale sarà commisurato ai periodi di effettiva prestazione.

 

Infine, un’altra rilevante novità riguarda la fase di estinzione del rapporto. Le parti hanno infatti previsto l’incremento di un mese dei termini di preavviso per i lavoratori inquadrati nei livelli 3°, 3°bis, 4°, 5° che, nei 36 mesi precedenti alle dimissioni, abbiano completato un percorso formativo certificato, il cui costo sia stato sostenuto dall’azienda. Le dimissioni dovranno essere comunicate esclusivamente in modalità telematica, mentre il licenziamento continuerà a richiedere una comunicazione scritta tramite raccomandata o modalità equivalente.

 

Parte obbligatoria

 

Guardando all’ambito di applicazione, è importante notare come il contratto collettivo sia frutto dell’unione di diverse normative contrattuali di vari settori, cioè Tessile-Abbigliamento-Moda, Calzature, Pelli e Cuoio, Penne, Spazzole e Pennelli, Occhiali, Giocattoli, avvenuta nel 2013 e non modificata nell’ultimo rinnovo.

 

Dal punto di vista delle clausole che regolano i rapporti tra associazioni datoriali e sindacali, possiamo individuare nell’accordo di rinnovo alcune modifiche/integrazioni significative riguardanti le relazioni industriali e i diritti sindacali, la cui disciplina risulta uniforme per tutti i settori coinvolti nel contratto. Si segnalano altresì interventi in tema di articolazione dei livelli contrattuali.

 

Relazioni industriali e organismi bilaterali

 

Per quanto concerne le relazioni industriali, all’art. 15 viene affidato all’Osservatorio Nazionale Tessile un ulteriore compito per la difesa e sviluppo dei settori rappresentati, ovvero il “monitoraggio e studio sulle malattie professionali, infortuni sul lavoro, stress da lavoro correlato” (comma 2, lettera n bis), con anche l’apporto dell’Organismo Paritetico Nazionale Confapi. Un’ulteriore area di competenza dell’Osservatorio che le parti si impegnano ad enfatizzare in sede di stesura del testo contrattuale consolidato è altresì la valorizzazione dei distretti industriali. Infine, Uniontessile e le organizzazioni sindacali intendono dare impulso all’effettiva operatività dell’Osservatorio (pur costituito già nel 2013 e ulteriormente promosso nell’intesa del 2020) entro tre mesi dalla sottoscrizione del rinnovo, definendo un regolamento attuativo.

 

Altre previsioni in tema organismi bilaterali riguardano: la previsione di un Gruppo di lavoro bilaterale per le attività di supporto allo sviluppo della formazione, che dovrà essere operativo entro 90 giorni dalla data di sottoscrizione del rinnovo e agire in correlazione con il fondo interprofessionale FAPI (art. 16); la decisione di avviare i lavori della Commissione paritetica per l’inquadramento (già prevista dal contratto del 2013) entro 6 mesi dalla conclusione del rinnovo; la costituzione di un Gruppo di lavoro per la promozione di schemi di azioni positive per le pari opportunità (art. 80).

 

Diritti sindacali

 

Relativamente ai diritti sindacali, all’art. 27 – dedicato alle assemblee – le parti riconoscono un’ulteriore ora di assemblea (nuovo terzo comma), prevista all’esaurimento del monte ore annuo, su richiesta delle RSU e/o OO.SS con l’obiettivo di informare e formare i lavoratori in merito “al sistema della bilateralità contrattuale”. Una ulteriore riunione annuale potrà inoltre essere richiesta dagli RLS (art. 69). Per quanto riguarda invece il diritto alle affissioni, contemplato all’art. 25 dello Statuto dei Lavoratori, si specifica che esse possono avere ad oggetto anche le comunicazioni provenienti dalle segreterie territoriali dei sindacati di categoria aderenti alle organizzazioni firmatarie del CCNL (art. 28). Inoltre, viene precisato che le copie di tali comunicazioni devono essere fatte pervenire contestualmente (che sostituisce l’avverbio “tempestivamente” prima impiegato) alla direzione dell’azienda. Infine, le parti promuovono l’individuazione da parte di aziende e rappresentanze di modalità tecnologiche utili allo svolgimento delle attività sindacali, come le  bacheche elettroniche.

 

In merito al sistema di versamento delle quote sindacali, le parti disciplinano nel rinnovato art. 29 le modalità generali per la trattenuta, pur ammettendo la possibilità che eventuali diversi sistemi di versamento già concordati presso le singole aziende siano mantenuti. La trattenuta verrà quindi normalmente operata dall’azienda in busta paga, qualora il lavoratore ne faccia esplicita richiesta mediante delega individuale, che dovrà contenere il valore preciso del contributo in percentuale alla retribuzione tabellare e il nome dell’organizzazione sindacale destinataria. Si aggiunge anche che trattenute e versamenti saranno operati a cadenza mensile.

 

Misurazione della rappresentanza

 

Inoltre, nel rinnovo del CCNL le parti dichiarano di attuare l’Accordo Interconfederale del 26 luglio 2016 come modificato dall’accordo integrativo del 19 settembre 2019, sottoscritti entrambi da Confapi e da CGIL, CISL e UIL per la definizione delle regole per la misurazione della rappresentanza. In particolare, le parti rimandano ai contenuti delle convenzioni sottoscritte con l’Inps per l’esposizione da parte delle aziende dei dati utili da riportare sulla dichiarazione Uniemens per la certificazione della rappresentanza. Le aziende pertanto procederanno alla certificazione degli iscritti tramite compilazione completa e puntale dell’UNIEMENS.

 

Articolazione dei livelli contrattuali

 

Infine, il rinnovo in analisi presenta anche alcuni interventi finalizzati al coordinamento fra i diversi livelli contrattuali. In particolare, si segnalano le seguenti opportunità di azione al secondo livello esplicitamente promosse dal rinnovo nazionale: la possibilità, previa valutazione congiunta tra RLS, RSU e RSPP, di sperimentare sistemi e modalità per la segnalazione dei “quasi infortuni” da parte dei lavoratori e di istituire una commissione finalizzata a raccogliere tali segnalazioni (art. 69, punto 7); la possibilità, con accordo aziendale, di elevare le percentuali del totale di contratti a termine stipulabili (art. 30); l’opportunità affidata alla contrattazione aziendale di avviare eventuali sperimentazioni di riduzione oraria anche al fine di superare il ricorso agli ammortizzatori sociali (art. 38) e di definire specifiche regolazioni e priorità d’accesso in tema di lavoro agile; infine, la possibilità di definire, tramite accordo o regolamento aziendale, una disciplina specifica sulla banca ore solidale, conformemente alle linee guida contenute nel rinnovo.

 

Valutazione d’insieme

 

Il contratto collettivo che già nel 2013 unì la disciplina del Tessile-Abbigliamento-Moda, Calzature, Pelli e Cuoio, Penne, Spazzole e Pennelli, Occhiali, Giocattoli regola oggi in modo uniforme la materia ad eccezione degli aumenti retributivi – diversificati per settore, sebbene l’aumento dei minimi contrattuali sia per tutti i settori pari a  200 euro, ferma la riparametrazione per tutti i livelli. Si tratta di un aumento inferiore rispetto a quello richiesto dalle organizzazioni sindacali nella piattaforma rivendicativa del 27 marzo 2024 (270 euro per il comparto Tessile-Abbigliamento-Moda con riferimento al 3° livello Super; 260 euro per il comparto Calzature con riferimento al 3° livello Super; e 260 euro per tutti gli altri comparti con riferimento al 3° livello), cui si aggiunge però l’importo una tantum di 100 euro lordi per tutti i lavoratori indipendentemente dal livello di inquadramento. Fra le principali novità, come abbiamo visto, sono da segnalare le nuove causali per il lavoro a tempo determinato e una migliore conciliazione dei tempi di vita e lavoro, anche con riguardo ai congedi parentali,  le ferie, l’accesso alla banca ore solidale e il lavoro agile, nonché misure per il contrasto alla violenza di genere e tutele per i lavoratori affetti da disabilità o gravi patologie. Sul fronte delle relazioni sindacali, si segnala la volontà delle parti di potenziare e dare effettiva operatività agli organismi bilaterali dedicati in particolare alla difesa e allo sviluppo dei settori rappresentati, alla formazione e alle pari opportunità; nonché di valorizzare la partecipazione dei lavoratori e delle loro rappresentanze in tema di salute e sicurezza sul lavoro. Infine, rispetto ai diritti sindacali, si evidenzia un’importante novità nel riconoscimento del diritto di affissione tramite bacheche elettroniche e l’aggiunta di un’ora di assemblea per informare sul sistema della bilateralità. Si tratta di avanzamenti normativi in linea con le richieste avanzate dalle organizzazioni sindacali in piattaforma.

 

In conclusione, le parti sociali si sono dette soddisfatte del risultato ottenuto sia con riguardo ai trattamenti economici e normativi sia con riguardo ai nuovi organismi bilaterali che possono costituire un fondamentale ruolo per il benessere dei lavoratori e delle lavoratrici.

 

Chiara Altilio

PhD Candidate – ADAPT Università di Siena

@chialtilio

 

Ilaria Armaroli

Ricercatrice senior ADAPT

@ilaria_armaroli

 

Federica Chirico

PhD Candidate – ADAPT Università di Siena

@fedechirico

 

Giulia Comi

PhD Candidate – ADAPT Università di Siena

@giulphil

 

Michele Corti

PhD Candidate – ADAPT Università di Siena

@Michele_Corti1

 

Silvia Loponte

PhD Candidate – ADAPT Università di Siena

@LoponteSilvia

 

Angela Zaniboni

PhD Candidate – ADAPT Università di Siena

@AngZanib

 

La questione salariale tra minimi tabellari e premi di risultato*

 

Bollettino ADAPT 31 marzo 2025, n. 13

 

Per contrastare la perdita del potere di acquisto, diventa fondamentale rafforzare il ruolo della contrattazione aziendale e introdurre strumenti innovativi capaci di garantire retribuzioni adeguate e sostenibili.

 

Dopo anni di faticosa rincorsa rispetto alle dinamiche inflazionistiche il 2024 registra una svolta nelle retribuzioni contrattuali: per la prima volta, da tempo, gli aumenti concordati nei rinnovi superano il tasso di crescita dei prezzi, aprendo uno spiraglio per il recupero del potere d’acquisto. Secondo le rilevazioni ISTAT, nel settore privato le retribuzioni contrattuali sono aumentate in media del 4% nel 2024, a fronte di una crescita dei prezzi dell’1%, determinando un recupero reale del 3%. L’analisi dei rinnovi dei contratti nazionali di categoria del 2024, condotta dall’osservatorio Farecontrattazione.it di ADAPT, conferma il tentativo di riequilibrare il potere d’acquisto attraverso tre principali linee di intervento: aumenti dei minimi tabellari, variabili tra 180 e 240 euro per i livelli intermedi, distribuiti in più tranche; rafforzamento del welfare contrattuale, con incrementi ai fondi di previdenza complementare e assistenza sanitaria integrativa; misure integrative, come indennità aggiuntive, rivalutazione degli scatti di anzianità e quote una tantum. Quest’ultima strategia è particolarmente diffusa: il 37% degli accordi di rinnovo del 2024 prevede somme una tantum per compensare i ritardi nei rinnovi e attenuare la perdita di potere d’acquisto.

 

Tuttavia, come documentato dallo stesso ISTAT, la perdita cumulata di potere d’acquisto nel periodo 2019-2024 resta significativa: in questo periodo i prezzi sono infatti aumentati del 17,4% mentre le retribuzioni contrattuali sono cresciute in media solo del 9,1% (+11,8% nell’industria e +6,7% nei servizi), con una perdita reale stimata attorno al 7,1%. Va in ogni caso considerato che queste rilevazioni escludono elementi rilevanti del reddito complessivo, come la contrattazione decentrata e i benefici del welfare aziendale, che in molti settori costituiscono una integrazione significativa.

 

L’XI Rapporto ADAPT sulla contrattazione collettiva in Italia, relativo alle dinamiche contrattuali del 2024, cerca in proposito di offrire una analisi della contrattazione aziendale rispetto all’impatto sul reddito complessivo dei lavoratori. Dei 427 accordi aziendali del 2024 oggetto di analisi, 167 riguardano premi di risultato o partecipazione (39% del totale). Nella maggior parte dei casi, tali premi sono negoziati per usufruire delle agevolazioni fiscali previste dalla normativa vigente, ma gli accordi includono anche revisioni di indicatori, modifiche agli importi o possibilità di conversione in welfare. Il 53% degli accordi consente ai lavoratori di trasformare il premio in beni e servizi di welfare, con un incremento aggiuntivo in alcuni casi. L’analisi degli obiettivi mostra che il criterio più diffuso resta la produttività (63% degli accordi), seguito da redditività (53%), qualità (28%) e riduzione dell’assenteismo (22%). Parametri innovativi, come sostenibilità energetica e ambientale, si riscontrano nel 16% degli accordi, mentre la sicurezza sul lavoro è presente nell’8%. Tra le esperienze più avanzate si segnalano l’accordo Nestlé, che lega il premio di risultato a indicatori di efficienza energetica e risparmio idrico, e l’accordo Holcim, che introduce parametri legati alla formazione professionale. Inoltre, nel caso di Banco BPM, l’opzione di conversione del premio prevede la possibilità di trasformarlo in giornate di permesso retribuito per favorire la conciliazione vita-lavoro.

 

Questi dati confermano che la contrattazione aziendale incide significativamente sulle retribuzioni, senza distinzioni rilevanti tra PMI e aziende medio-grandi. Il premio di risultato, infatti, è presente nel 49% degli accordi nelle PMI e nelle aziende più strutturate, dimostrando che anche nelle realtà minori la contrattazione di secondo livello assume un ruolo strategico.

 

La perdita di potere d’acquisto non può essere risolta unicamente con aumenti tabellari, come confermano le stime per il 2025: considerando le tranche di aumenti previste nei prossimi mesi, la perdita cumulata di potere d’acquisto nel periodo 2019-2025 si ridurrebbe dal 7,1% al 6,6%, rimanendo tuttavia significativa. Diventa pertanto fondamentale rafforzare anche il ruolo della contrattazione aziendale e promuovere strumenti capaci di garantire retribuzioni adeguate e sostenibili. La capacità della contrattazione di adattarsi ai nuovi equilibri economici e di introdurre soluzioni innovative sarà determinante per il futuro delle relazioni industriali. 

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è X-square-white-2-2.png@MicheTiraboschi  

 

*Articolo originale su Il Sole 24 ore