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Adesione implicita al CCNL: una nuova pronuncia sull’art. 2070 c.c.

Adesione implicita al CCNL: una nuova pronuncia sull’art. 2070 c.c.

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

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Bollettino ADAPT 20 maggio 2024, n. 20

 

In data 31 gennaio 2024 la Corte di Cassazione è tornata nuovamente a pronunciarsi su una delle tematiche più delicate in tema di relazioni industriali, vale a dire la discrezionalità e la libertà del datore di lavoro nella scelta e successiva applicazione del contratto collettivo. L’ordinanza n. 7203/2024 va ad arricchire l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, che la Corte di legittimità e i giudici di merito portano avanti dalla celebre sentenza n. 2665 del 26 marzo 1997 della stessa Cassazione. Da ormai quasi trent’anni, infatti, attestata la perdurante inattuazione della seconda parte dell’articolo 39 della Costituzione, la giurisprudenza ha identificato i contratti collettivi di lavoro quali negozi giuridici di diritto comune, che, in quanto tali, esplicano i loro effetti esclusivamente nei confronti degli iscritti alle associazioni sindacali e datoriali stipulanti, nonché nei confronti di coloro i quali tramite un atto di volontà esplicito o implicito, vi abbiano prestato adesione. Va da sé dunque che, nel sistema descritto, risulta inapplicabile il disposto del comma 1 dell’articolo 2070 c.c., il quale afferma che «1’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore» , poiché la disposizione finirebbe con il sottintendere  un’efficacia generalizzata e automatica del contratto collettivo nei confronti di tutti i datori di lavoro  e lavoratori afferenti ad una determinata categoria professionale.

 

L’affermarsi di questa interpretazione giurisprudenziale, insieme alla proliferazione dei CCNL i cui ambiti di applicazione sono spesso vaghi e sovrapponibili, ha ampliato la libertà di scelta del contratto collettivo in favore del datore di lavoro, che incontra, quale unico ostacolo, la sola ed eventuale opposizione da parte del lavoratore subordinato, potendo quest’ultimo manifestare, in sede di costituzione del rapporto individuale di lavoro, la volontà di applicare un diverso CCNL rispetto a quello proposto dal datore di lavoro. A ben vedere, però, una tale circostanza, per quanto possibile, si manifesta raramente.

 

Ripercorrendo brevemente i fatti oggetto dell’ordinanza emessa dalla Suprema Corte, è da rilevare che, nel caso di specie, due lavoratori hanno agito in primo grado presso il Tribunale di Roma, lamentando l’applicazione da parte della società datrice di lavoro nei loro confronti di un diverso contratto collettivo, il CCNL Multiservizi, rispetto a quello applicato a tutti gli altri dipendenti precedentemente assunti, ovvero il CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi. Nello specifico, dunque, i ricorrenti chiedevano l’applicazione del contratto collettivo applicato agli altri dipendenti e la condanna del datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive.

 

Il giudice di primo grado, qualificata l’attività professionale svolta dai due ricorrenti come attività accessoria rispetto a quella principale della società datrice di lavoro, aveva rigettato il ricorso sulla base del consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce la possibilità del datore di lavoro di applicare un diverso CCNL ai dipendenti impiegati in attività accessorie e/o complementari. Successivamente la Corte d’appello di Roma, pur ritenendo che la società non esercitasse distinte attività di impresa e dunque negando l’accessorietà dell’attività svolta dai ricorrenti e riconoscendola quale attività rientrante in quella principale aveva rigettato comunque il ricorso presentato sulla base del disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 2070 c.c. Secondo la Corte territoriale, infatti, l’attività svolta dalla società rientrava a pieno titolo nel perimetro del CCNL Multiservizi e, dunque, per ottenere l’applicazione dell’altro contratto collettivo, i ricorrenti avrebbero dovuto provare, ai sensi dell’articolo 2070, co. 1 c.c., che l’attività effettivamente svolta rientrasse invece nel CCNL Terziario Distribuzioni e Servizi.

 

In disaccordo con la decisione emessa dai giudici d’appello, i due ricorrenti hanno adito la Suprema Corte lamentando un’errata applicazione dell’art. 2070 c.c. La Corte di Cassazione nell’accogliere l’istanza presentata dai due lavoratori dipendenti, ha cassato la sentenza della Corte d’appello, la quale si fondava su una lettura della norma errata ed ormai superata da tempo.

 

Ciò che agli occhi della Suprema Corte ha reso inaccettabile la ricostruzione operata in secondo grado è l’aver fondato l’intera pronuncia sul ragionamento per cui il CCNL applicabile in una data realtà professionale va identificato sulla base del criterio merceologico e cioè se quella attività rientra o meno nell’ambito di applicazione del CCNL in questione, senza tenere in considerazione se vi sia o meno stata la volontà delle parti di aderire a quel dato contratto collettivo. In questo modo la Corte d’Appello ha nei fatti negato l’orientamento precedentemente richiamato per cui, essendo i CCNL dei contratti di diritto comune rispondenti alle tradizionali regole di diritto privato, elemento centrale è la volontà negoziale delle parti; a dover prevalere dunque, secondo l’orientamento al quale nel caso di specie la Cassazione si accoda, è la scelta esplicita o implicita compiuta dal datore di lavoro.

 

La Suprema Corte ribadisce, dunque, il principio di diritto per cui l’individuazione del contratto collettivo da applicare al rapporto di lavoro «va fatta unicamente sulla base delle regole dei contratti in generale ed attraverso l’indagine della volontà delle parti, risultante, oltre che da espressa pattuizione, anche implicitamente dalla protratta e non contestata applicazione di fatto di un determinato contratto collettivo».

 

Sempre secondo quanto affermato dai giudici, basandosi questi ultimi su quella che è oramai una prassi ben nota con riferimento alle modalità di adesione da parte del datore di lavoro, il quale non sia parte di nessuna associazione datoriale, ad un dato CCNL, «tale recepimento viene solitamente effettuato […] quando il datore ne fa applicazione in via di fatto, seppur in assenza di adesioni espresse o il lavoratore ne chieda l’applicazione in via giudiziale (adesione implicita)».

 

I giudici di legittimità, dunque, con riferimento alla situazione in esame, individuano proprio un caso di adesione implicita del datore di lavoro al CCNL Terziario a causa dell’applicazione reiterata del suddetto contratto nei confronti di tutti i dipendenti assunti precedentemente rispetto ai due soggetti ricorrenti. A conferma di ciò si aggiunge la decisione della società di iniziare ad applicare in corso di rapporto, a far data dal novembre 2023, il CCNL Terziario ai medesimi ricorrenti.

 

La Corte, quindi, riconosce come la «reiterata e costante applicazione di fatto del CCNL all’interno di una medesima impresa […] configura un comportamento concludente con valore negoziale, con insorgenza a carico del datore di lavoro dell’obbligo di rispettare il medesimo CCNL anche nei confronti dei nuovi assunti i quali ne abbiano richiesto l’applicazione». Attraverso questa argomentazione, la Corte tenta di dare contenuto concreto a ciò che la prassi chiama adesione implicita, cercando di porre un ragionevole limite alla discrezionalità del datore di lavoro e al contempo garantire una sorta di “certezza del diritto” nei confronti dei lavoratori dipendenti di una medesima realtà aziendale, i quali hanno diritto a vedersi applicata una uniformità di trattamento.

 

L’ordinanza appena esaminata, coerentemente alla giurisprudenza citata e dalla quale trae ispirazione, riconferma quel principio di diritto enunciato dalla “sentenza madre” del 1997, andando a dare contenuto e specificità all’espressione «coloro che, esplicitamente o implicitamente, al contratto abbiano prestato adesione».

 

Tuttavia, pur allineandosi alla tesi giurisprudenziale maggioritaria, che come appena segnalato sostiene la libertà contrattuale del datore di lavoro, quest’ordinanza tenta al contempo di porvi un argine sostenendo che sì, la scelta del CCNL è libera, ma deve comunque essere coerente con i comportamenti intrapresi dal datore di lavoro nei confronti della generalità dei lavoratori dipendenti che svolgano una medesima attività.

 

 Marta Migliorino

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

@martamigliorino

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/206 – Sostegno alla genitorialità, aumenti retributivi e nuova classificazione del personale per le imprese della distribuzione cooperativa

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/206 – Sostegno alla genitorialità, aumenti retributivi e nuova classificazione del personale per le imprese della distribuzione cooperativa

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 20 maggio 2024, n. 20

 

Contesto del rinnovo

 

Il rinnovo del CCNL per i dipendenti da imprese della distribuzione cooperativa è stato sottoscritto il 29 marzo 2024, con una durata prevista di quattro anni, decorrenti dal 1° aprile 2023 al 31 marzo 2027. L’accordo raggiunto coinvolge circa 2.000 cooperative operanti sul territorio nazionale e 70.000 lavoratori.

L’intesa è stata attesa per diverso tempo ed è stata raggiunta a distanza di oltre quattro anni dalla scadenza del precedente contratto, nell’ambito di un settore, quello del terziario, in grande fermento nell’ultimo periodo. Basti pensare, in questi termini, alla firma del rinnovo del CCNL Terziario, Commercio, Distribuzione e Servizi Confcommercio, siglata lo scorso 22 marzo dopo un lungo periodo di carenza contrattuale.

Dopo una lunga e complessa trattativa, si è quindi giunti a una nuova intesa anche per il settore della distribuzione cooperativa, siglata da Ancc Coop, Confcooperative Consumo e Utenza, A.C.G.I. Agrital, sul fronte datoriale e da Filcams – Cgil, Fisascat – Cisl, Uiltucs – Uil, per i lavoratori.

In questa sede, saranno analizzate le principali previsioni del nuovo testo contrattuale.

 

Parte economica

 

Per quanto concerne il trattamento economico, gli interventi sono importanti e hanno interessato tre diversi punti, con l’intento di arginare il crescente divario tra salario e costo della vita.

 

Una prima area d’intervento riguarda la ridefinizione dei minimi tabellari, a cui si affiancano alcune modifiche del sistema di inquadramento del personale; in questa direzione sono state introdotte nuove figure professionali nella declaratoria del II e III livello (capi reparto, farmacisti e ottici abilitati) e sono stati stabiliti gli aumenti dei minimi tabellari per tutti i lavoratori del settore. L’aumento salariale è di 240 euro per il IV livello, riparametrato per gli altri, con una prima tranche di 70 euro ad aprile 2024, che segue gli importi di 30 euro mensili, versati a titolo di acconto nel periodo tra novembre 2023 e marzo 2024, come concordato con il protocollo straordinario di settore del dicembre 2022. Il protocollo in questione era stato firmato dalle parti sociali del settore per fornire una prima risposta economica ai lavoratori in attesa del rinnovo nazionale, attraverso l’erogazione di una somma una tantum a copertura del periodo di vacanza contrattuale e un ulteriore importo a titolo di acconto sui futuri aumenti retributivi.

 

È stata poi definita l’assegnazione di una somma una tantum per tutti i lavoratori in forza al momento della sottoscrizione dell’accordo, in riferimento alla durata del rapporto di lavoro e all’effettivo servizio. Si tratta di 350 euro, destinati ai lavoratori del IV livello, riparametrati per gli altri. Per le imprese che, al momento di sottoscrizione dell’intesa, non abbiano adempiuto al protocollo del 2022, è previsto il versamento di una somma aggiuntiva di 170 euro per il IV livello, riparametrata per gli altri, da versare in un’unica soluzione.

 

Un terzo punto d’intervento del rinnovo riguarda il fondo Coopersalute la forma di assistenza sanitaria integrativa per i lavoratori del settore, istituita nel 2006, in linea con quanto stabilito dal CCNL della distribuzione cooperativa del 2004. Le imprese che applicano il CCNL sono tenute a iscrivere al fondo i dipendenti assunti a tempo indeterminato, sia a tempo pieno che a tempo parziale, nonché, a partire dal 2008, anche gli apprendisti, con contributo interamente a carico aziendale. Tale contributo, in sede di rinnovo, è stato aumentato di 36 euro annui, a partire dal 2025, al fine di migliorare le prestazioni sanitarie previste.

 

Parte normativa

 

La parte dell’accordo che ha subito maggiori modifiche è tuttavia quella normativa.

 

Sotto quest’aspetto è innanzitutto previsto un più ampio sostegno alla genitorialità, come dimostra l’introduzione di due congedi aggiuntivi, fruibili dai genitori.

 

Una prima misura, fruibile dalla sola madre, in caso di completo godimento del congedo parentale facoltativo, consiste in un mese di congedo retribuito (al 30% lordo) e un restante periodo, fino al compimento del primo anno di vita del bambino, di congedo non retribuito. Il lavoratore padre, è invece tutelato dal secondo congedo aggiuntivo, della durata di 10 giorni, che si aggiunge al periodo di congedo previsto per legge in caso di paternità. Tali giorni sono godibili entro i primi 5 mesi di vita del bambino e solo a giornate intere, con una retribuzione del 100%. Il periodo è estendibile a un mese nel caso in cui il padre sia l’unico genitore a fruire del congedo parentale o sia l’unico affidatario del nascituro.

 

Infine i genitori possono richiedere la conversione del rapporto di lavoro in tempo parziale, fino al tredicesimo anno di età del figlio, secondo modalità definite a livello aziendale.

 

Sempre per tutelare la genitorialità, sono riconosciuti 30 giorni di permesso non retribuito per i soggetti che intraprendano un percorso di fecondazione assistita. Analogamente per i lavoratori stranieri è previsto un periodo di congedo non retribuito, della durata massima di 30 giorni, in caso di ricongiungimento famigliare, usufruibile a condizione d’idonea certificazione.

 

Importanti modifiche interessano anche i contratti di lavoro a tempo determinato e part – time.

 

Per quanto riguarda i contratti a tempo determinato sono stabilite le specifiche ipotesi nell’ambito delle quali sarà possibile stipulare tali contratti per una durata superiore a 12 mesi e non eccedente 24 mesi nonché rinnovare o prorogare tali contratti. Alla contrattazione di secondo livello è poi demandata la possibilità di concordare percorsi di stabilizzazione, nonché di verificare che le opportunità di lavoro previste, siano utilizzate anche per incrementare l’orario dei lavoratori a tempo parziale. Per ogni impresa le assunzioni a tempo determinato, comprese i contratti di somministrazione, non potranno superare la soglia del 22% annuo dell’organico in forza nella singola unità produttiva.

 

Sul tema del part-time, la principale novità riguarda l’aumento (da 120 euro annui a 155) dell’indennità annuale in caso di previsione di clausole elastiche, ossia quelle clausole che consentono di aumentare il numero delle ore della prestazione di lavoro rispetto a quanto fissato originariamente.

 

Quanto alle imprese minori (come definite all’art 146 del CCNL) sono invece introdotte specifiche modifiche migliorative per i lavoratori in tema di orario di lavoro e permessi retribuiti.

 

Rispetto all’assistenza in caso di malattie e infortuni è stato previsto, per i pazienti oncologici, un permesso aggiuntivo retribuito di un mese, una volta esaurito il periodo di comporto, e la possibilità di convertire il rapporto di lavoro in tempo parziale. Quest’ultima previsione si applica anche al coniuge, convivente o genitore di persona ammalata.

 

Da ultimo, sono introdotte nuove misure volte alla prevenzione e alla gestione dei casi di violenza di genere.  Nello specifico la Commissione paritetica nazionale per le pari opportunità, che svolge attività di studio e ricerca, volte allo sviluppo di azioni positive a favore del personale femminile, dovrà vigilare affinché sia garantita una parità sostanziale e ampliata la prevenzione dei casi di violenza. Inoltre, le lavoratrici vittime di violenza avranno diritto a un permesso retribuito della durata massima di 90 giorni lavorativi, retribuito al 100%, ulteriore rispetto al congedo di 3 mesi previsto dalla legge. Per le lavoratrici vittime di violenza sarà inoltre possibile richiedere il trasferimento ad altra sede di lavoro o la conversione dell’orario di lavoro a tempo parziale. Infine la tutela prevista si estende anche dopo il termine del percorso di protezione, dato che la lavoratrice non potrà sostenere turni disagiati (es. notturni) per l’intero anno successivo.

 

Parte obbligatoria

 

Per quanto riguarda la parte obbligatoria, è da menzionare l’istituzione di una commissione paritetica con il compito di portare a termine uno studio sulle modifiche intervenute negli ultimi anni nell’organizzazione del lavoro, evoluzione dei mercati e delle imprese, digitalizzazione, trasformazione del lavoro e delle professionalità, al fine di definire una proposta d’aggiornamento dei sistemi di classificazione e inquadramento del personale.

Inoltre, occorre segnalare la novità introdotta dall’art 9 dell’intesa di rinnovo. In caso di mancato accordo entro i 6 mesi successivi alla scadenza del CCNL, oppure qualora siano trascorsi senza esito positivo 6 mesi dalla presentazione della piattaforma di rinnovo, sarà corrisposto ai dipendenti un elemento provvisorio della retribuzione, cd. indennità di vacanza contrattuale. Tale indennità è pari al 30% dell’IPCA, con riferimento al dato previsionale dell’anno corrente, al netto degli energetici importati, con riferimento ai minimi retributivi e inclusa la ex indennità di contingenza.  Nel caso il periodo di vacanza si protragga nel tempo, le parti concordano di stabilire di anno in anno le somme dovute a titolo d’indennità, secondo le modalità citate sopra. Tale importo potrà essere assorbito solamente dalle somme versate a titolo di acconto sui futuri aumenti retributivi, a partire da marzo 2027.

 

Valutazione d’insieme

 

Le modifiche introdotte dal rinnovo in oggetto sono numerose, sia nella parte economica che in quella normativa. Di particolare interesse è l’attenzione mostrata dalle parti verso l’applicazione del principio di uguaglianza di genere, che si manifesta nelle previsioni concernenti la genitorialità, promossa attraverso soluzioni all’avanguardia, e nel sistema di prevenzione e gestione dei casi di violenza di genere. Nel complesso l’intesa di rinnovo rappresenta un segnale importante delle parti sociali del settore, le quali hanno raggiunto un equilibrio tra i diversi interessi in campo.

 

Celeste Sciutto

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

@celeste_sciutto

 

La retribuzione nella contrattazione collettiva spagnola: evidenze da un recente studio su 275 testi contrattuali

La retribuzione nella contrattazione collettiva spagnola: evidenze da un recente studio su 275 testi contrattuali

Bollettino ADAPT 20 maggio 2024, n. 20

 

Di sicuro interesse per gli studiosi delle dinamiche della contrattazione collettiva a livello anche comparato, è il recentissimo studio dal titolo La regulación de las retribuciones en la negociación colectiva elaborato in Spagna dall’Observatorio de Negociación Colectiva – gruppo di ricerca facente capo al sindacato Comisiones Obreras (CCOO) e coordinato dalla Secretaría de Acción Sindical y Empleo in collaborazione con la Fundación 1.º de Mayo – con il proposito di fornire un quadro chiaro e completo di tutte le voci presenti nei contratti collettivi che direttamente o indirettamente incidono sull’aspetto della retribuzione dei lavoratori.

 

Un progetto al quale hanno lavorato come ricercatori ben 42 docenti di diritto del lavoro provenienti da 16 diverse università spagnole, e nell’ambito del quale sono stati oggetto di analisi 275 contratti collettivi firmati nella stragrande maggioranza dei casi nel 2022 con una piccola percentuale nel gennaio 2023, e i cui contenuti interessano un totale di 2,1 milioni di lavoratori.

 

Considerando il livello di contrattazione, il campione risulta composto da 110 contratti collettivi di settore (che interessano 1,9 milioni di lavoratori, il 95% del totale) e 165 contratti collettivi di livello inferiore (109 mila lavoratori interessati, pari al restante 5%) di cui: 9 contratti di gruppo di impresa, 100 contratti aziendali, 52 relativi a unità produttive e 4 il cui ambito di applicazione è limitato ad una categoria o gruppo professionale specifico.

 

La scelta dell’ambito temporale di analisi riflette l’intento di indagare gli effetti conseguenti alla riforma del lavoro del 2021, che tanto ha inciso sulla contrattazione collettiva spagnola in punto di retribuzione con l’eliminazione, per questa materia, della priorità applicativa dei contratti aziendali o di gruppo di impresa in favore dei contratti collettivi di settore. I dati dimostrano, difatti, che la priorità applicativa assegnata ai contratti aziendali dalla riforma del 2012 aveva generato una nuova ondata di contratti di questo livello in cui il salario medio pattuito risultava di gran lunga inferiore rispetto a quello degli anni precedenti.

 

Lo studio offre dunque una panoramica della contrattazione collettiva spagnola in materia di retribuzione suddividendo l’analisi nei seguenti macrotemi.

 

 

La struttura della contrattazione collettiva e la disapplicazione del contratto in materia salariale

 

Come già anticipato, dai contratti collettivi analizzati è emersa la tendenza a rafforzare il ruolo dei contratti collettivi nazionali di settore come strumento atto a rendere quanto più possibile omogenee le condizioni di lavoro dei lavoratori, fermo restando l’applicabilità delle migliori condizioni che contratti di livello inferiore eventualmente prevedano, favorendo quella concorrenza non conflittuale che mira a dar risposte a situazioni concrete che possano presentarsi.

 

La maggioranza dei contratti collettivi oggetto di analisi, inoltre, prevede un riferimento alla disapplicazione del contratto collettivo (descuelgue), ammessa ex articolo 82.3 Estatuto de los Trabajadores (ET) rispetto a determinate materie, tra cui quella salariale, quando concorrano cause economiche, tecniche, organizzative o di produzione che giustifichino condizioni di lavoro diverse rispetto a quelle stabilite nel contratto collettivo applicabile. In alcuni casi il riferimento è un semplice rimando alla normativa, in altri si apprezza l’intento delle parti di dotare i lavoratori interessati di maggiori garanzie, anche con riferimento specifico all’aspetto salariale. O ancora, emerge in altri contratti lo sforzo di definire con maggior concretezza il contenuto della causa economica o un piano di azione che attutisca l’impatto della situazione congiunturale sul mantenimento dell’occupazione. In alcuni contratti, infine, si è optato per l’apposizione di un limite di durata massima della disapplicazione, se non anche il divieto di ricorrervi in maniera reiterata.

 

 

La determinazione e la struttura della retribuzione

 

Il punto di partenza per la determinazione della retribuzione è il salario base, vale a dire, il corrispettivo direttamente connesso alla prestazione lavorativa, fissato per unità di tempo o di lavoro dalla contrattazione collettiva. Si tratta di una voce che nessun contratto collettivo potrebbe mai escludere e per la quale vige il principio della irrilevanza del nomen iuris, nel senso che, nonostante l’ampio margine di cui godono gli attori della contrattazione nella quantificazione delle differenti componenti salariali, la natura degli emolumenti non dipenderà dalla denominazione assegnata dalle parti, bensì dalla loro reale essenza e finalità.

 

Sebbene tale voce, abbia un peso rilevante nel calcolo della retribuzione, altrettanto protagonismo rivestono, tuttavia, altre prestazioni di natura salariale, tese a garantire flessibilità e adattabilità alle esigenze delle imprese. Di queste si tiene conto nella comparazione tra il salario base e il salario minimo interprofessionale, il quale nel corso degli ultimi anni ha registrato in Spagna una crescita costante ed esponenziale, sino a raggiungere, per l’anno 2024, l’importo di 1.134 euro mensili, soglia che nessun contratto collettivo può oltrepassare al ribasso (in tema rinvio a L. Serrani, Incremento del Salario Minimo Interprofessionale e impatto sul lavoro: il caso spagnolo, in Bollettino ADAPT, 13 giugno 2022, n. 23).

 

È questa la ragione per cui i contratti collettivi in cui il salario base risulta sensibilmente inferiore al salario minimo interprofessionale – principalmente le attività di pulizia, manodopera o ausiliarie – sono poi accompagnati da premi quali anzianità, presenza, ferie o altro tipo di bonus necessari a raggiungere la retribuzione totale.

 

Un ulteriore effetto del progressivo incremento del salario minimo interprofessionale, di cui si ha avuto conferma dalla lettura dei numerosi contratti collettivi oggetto di analisi, è risultato essere quello dell’inclusione, ormai generalizzata, delle clausole di assorbimento e compensazione, che consentono di misurare il reale impatto delle revisioni periodiche annuali della retribuzione stabilita dal contratto collettivo per i casi in cui il lavoratore percepisse in precedenza un salario più alto. A ciò si aggiunga che i contratti collettivi possono autorizzare la compensazione anche tra voci della retribuzione eterogenee e non salariali, ragion per cui sono sempre più frequenti clausole dei contratti collettivi che, infrangendo il requisito dell’omogeneità, ammettono compensazioni e assorbimenti con maggiore ampiezza e indeterminatezza, indipendentemente dalla natura e dall’origine delle condizioni salariali. Non mancano, tuttavia, alcune eccezioni di contratti in cui continua a prevedersi una garanzia di revisione automatica verso l’alto.

 

 

Le clausole di revisione salariale nella contrattazione collettiva

 

Dall’analisi dei contratti collettivi è emerso come non tutti i contratti prevedano un incremento retributivo iniziale per gli anni successivi al primo, e ancor meno frequenti risultano le clausole di salvaguardia. La formulazione di tali previsioni, inoltre, risulta talmente eterogenea da dare adito, molto spesso, a problemi interpretativi in sede di giudizio, all’atto di determinare se il lavoratore abbia o meno diritto all’incremento o se al contrario sia tenuto a restituire parte di quanto indebitamente ricevuto.

 

I pochi contratti collettivi che prevedono clausole di salvaguardia, per di più, lo fanno spesso senza garantire ai lavoratori una reale conservazione del potere d’acquisto, come accade quando la clausola venga subordinata non solamente ai dati inflazionistici, bensì anche al raggiungimento di determinati risultati aziendali. Inoltre, tali clausole, oltre a poter avere effetto retroattivo, nel senso che si riferiscono all’incremento retributivo dell’anno già trascorso, possono essere inserite anche con effetto non retroattivo, destinate cioè soltanto a fissare l’incremento e il livello salariale per l’esercizio successivo, scelta che non risulta però la più adeguata in un contesto, come quello attuale, di forte inflazione.

 

Come avviene tradizionalmente in Spagna, inoltre, i contratti collettivi non riservano gli incrementi salariali a determinate categorie di lavoratori (ad esempio i dirigenti), ma li estendono a tutte le categorie professionali.

 

Gli esperti che hanno realizzato lo studio in oggetto suggeriscono, per il futuro, che le clausole di revisione salariale, tanto quella relativa all’incremento iniziale quanto quella di salvaguardia utilizzino criteri chiari, evitando redazioni ambigue ed imprecise che richiamino il ricorso simultaneo a variabili diverse, come ad esempio la previsione dell’inflazione e l’indice dei prezzi al consumo, o criteri di moderazione salariale e incremento retributivo concordato nel contratto collettivo. La scelta migliore sarebbe quella di individuare due variabili il più possibile precise, come ad esempio la differenza tra gli incrementi retributivi pattuiti e l’indice dei prezzi al consumo.

 

Non a caso, la maggior parte dei Paesi segue un modello di revisione automatica, indicizzando i salari in base all’inflazione piuttosto che ad altri indicatori come la produttività, i profitti o il PIL. Difatti, i dati dimostrano che in Spagna – ma la fotografia è simile più o meno in tutto il mondo occidentale – la crescita delle retribuzioni non è andata di pari passo con quella della produttività, se si considera che dall’anno 2000 mentre la produttività è aumentata del 14,9%, i salari si sono ridotti dell’1,1%. Ragion per cui la scelta più adeguata, secondo il parere degli esperti, continua ad essere quella di mantenere i modelli di revisione salariale ancorati al dato inflazionistico, e in prospettiva far sì che tali incrementi superino quel dato, consentendo così di recuperare, almeno in parte, quel potere d’acquisto che negli anni è andato progressivamente perduto.

 

 

Retribuzione accessoria in funzione del lavoro svolto e degli utili dell’impresa

 

Nella delineazione della struttura salariale spagnola, la contrattazione collettiva gioca un ruolo fondamentale, giacché è all’autonomia collettiva – o, in difetto, individuale – che la legge demanda il concreto sviluppo e la definizione specifica di quei contenuti minimi che si limita a fissare.

 

Dall’analisi dei contratti collettivi è, tuttavia, emersa una marcata disomogeneità nella modalità in cui viene affrontato il tema della regolazione delle condizioni economiche, giacché, anche quando ad essa venga dedicato un capitolo separato e specifico, manca, nella maggior parte dei casi, una differenziazione chiara e obiettiva tra retribuzione accessoria e altre prestazioni di natura non retributiva (extra-salariales), al punto che una stessa voce si vede rientrare talvolta nell’una e talvolta nell’altra categoria.

 

Inoltre, l’espansione del telelavoro o del lavoro a distanza ha portato con sé l’emersione di nuovi bonus e prestazioni, la cui natura e finalità richiede la massima trasparenza al fine di garantire la parità di diritti tra lavoratori in presenza e da remoto. Allo stesso modo, ove si escluda per i lavoratori a distanza il diritto a percepire determinati bonus o prestazioni, è necessario che le ragioni che giustificano tale scelta siano indicate e specificate in modo chiaro e preciso.

 

È questo solo un esempio dei cambiamenti in questa materia che derivano dalla trasformazione del mercato del lavoro. Così, prestazioni che fino a poco tempo fa erano centrali nell’ambito dei rapporti di lavoro, come ad esempio quelle per il lavoro straordinario, assumono adesso carattere eccezionale, tanto che ad esse si suole ricorrere, ormai, soltanto nei casi di forza maggiore o a fronte dell’impossibilità di assumere altro personale a copertura di quelle ore.

 

Distinta tra i vari contratti collettivi è anche la modalità di pagamento delle ore straordinarie, che avviene in alcuni casi mediante un contributo economico, mentre in altri mediante compensazione del tempo lavorato con altrettante ore di riposo aggiuntivo, compresa la previsione, talvolta, di una “banca delle ore” che consente ai lavoratori di accantonare momentaneamente le ore di lavoro straordinario in un “conto” individuale per poterne poi usufruire al bisogno. O ancora, in alcuni casi l’ammontare della retribuzione degli straordinari varia in funzione del gruppo professionale cui il lavoratore è assegnato.

 

La riduzione nell’uso degli straordinari, d’altra parte, risulta controbilanciata dall’aumento del ricorso a meccanismi atti a rendere più flessibile la prestazione, il che, dal punto di vista delle componenti della retribuzione accessoria, ha portato all’introduzione di prestazioni specifiche, come ad esempio per i cambi di turno, per orari di lavoro più lunghi, per disponibilità, ecc.

 

È stato riscontrato, altresì, un uso eccessivamente ampio del termine complemento, vale a dire, “accessorio” che in molti contratti è stato utilizzato anche per riferirsi ad alcune forme di assistenza sociale, come ad esempio le prestazioni aggiuntive erogate dal datore di lavoro rispetto alla sicurezza sociale per i casi incapacità temporanea.

 

Ben pochi sono, poi, i contratti che prevedono sistemi efficaci di partecipazione dei lavoratori ai risultati economico-finanziari delle imprese (nello specifico, il 3,63% del totale dei contratti), e di questi la maggioranza sono contratti aziendali, oltre a pochi altri casi di contratti collettivi di settore a livello provinciale. La modalità in cui viene calcolata tale remunerazione legata agli utili è l’EBITDA, o un importo fisso ove vengano raggiunti determinati profitti aziendali. Solo in un caso si tiene conto del credito d’imposta per le società per il calcolo degli utili. L’analisi ha inoltre rilevato che dei lavoratori compresi nei contratti collettivi che contemplano retribuzioni vincolate ai risultati aziendali, solo il 24,7% sono donne.

 

 

Retribuzione accessoria in funzione delle circostanze personali del lavoratore

 

Ancora una volta, la tendenza che emerge dalla lettura dei contratti collettivi analizzati è quella di una progressiva scomparsa della retribuzione accessoria in funzione delle circostanze personali dei lavoratori. Assai rari risultano i contratti che ancora contemplino tipologie di bonus legati, ad esempio, alle competenze linguistiche, ad uno speciale know-how, all’acquisizione di determinati titoli, ecc.

 

Se infatti, ad esempio, la conoscenza della lingua inglese, in passato, ha rappresentato molto spesso un requisito per l’inquadramento in determinati gruppi professionali, al giorno d’oggi è considerata, invece, per lo più, una competenza trasversale e generalizzata, esigibile per qualunque attività o posto di lavoro. Non a caso, i pochi contratti collettivi che continuano a prevedere una prestazione accessoria in funzione delle competenze linguistiche, lo fanno con riferimento a lingue diverse dall’inglese.

 

E la stessa sorte sembrerebbe spettare alla retribuzione accessoria a carattere “personale” per eccellenza, quella del premio di anzianità, giacché i contratti analizzati mostrano come anch’esso, in occasione dei rinnovi, sia stato talvolta tacitamente soppresso, altre volte sostituito con diverse prestazioni integrative che compiono la medesima funzione di riconoscere al lavoratore un contributo – che può essere di natura economica o meno – per la sua maggiore esperienza professionale e per il lungo arco di tempo dedicato al servizio dell’impresa.

 

Ad ogni modo, ove previsto, il premio di anzianità viene calcolato nella maggior parte dei casi mediante l’applicazione di una determinata percentuale rispetto al salario base dei lavoratori, scelta che pare la più adeguata in quanto viene così risolto il problema, poco affrontato dalla contrattazione collettiva nonostante la sua importanza, dell’indicizzazione degli importi riferirti a detti premi, visto che questo procedimento avverrà direttamente come conseguenza del periodico aggiornamento del salario base.

 

La tendenza alla scomparsa anche del premio di anzianità lascia salvo, tuttavia, come emerge da molti dei contratti collettivi analizzati, il diritto a tale prestazione accessoria nel caso in cui questa fosse già acquisita, mantenendola, dunque, come garanzia ad personam per quei lavoratori a cui fosse stata ormai anteriormente riconosciuta. Concetto, questo dell’“anzianità consolidata”, che finisce però per creare non pochi problemi in termini di disparità di trattamento rispetto ai nuovi assunti che, da contratto collettivo, già sanno che non potranno godere di tale diritto.

 

Non v’è dubbio, a parere degli esperti che hanno condotto la ricerca, che la tendenza alla scomparsa dei premi di anzianità e, in generale, della retribuzione accessoria in funzione delle circostanze personali del lavoratore, sia l’effetto delle nuove politiche salariali, che pongono ormai più l’accento sulla produttività e sulle componenti variabili e funzionali che la quantificano. E se è vero che in questo modo le imprese sono alleviate da costi fissi e periodici, non dovrebbe però venir meno il ricorso ad altre modalità premiali che sappiano valorizzare ed incentivare il senso di appartenenza del lavoratore all’azienda e la sua maggiore esperienza professionale, con un ritorno positivo in termini di motivazione e impegno nello svolgimento del lavoro.

 

E, difatti, la progressiva perdita di protagonismo del premio di anzianità ha dato origine alla creazione, da parte della contrattazione collettiva, di svariate formule alternative di prestazione economica, generando in tal modo un sistema retributivo complesso, eterogeneo e finanche caotico, in cui convivono e talvolta si sovrappongono prestazioni, bonus, premi, indennità dalle più varie denominazioni, indole e natura, tra le cui maglie risulta difficile districarsi. Ciononostante, volendo tracciare la principale tendenza emersa dall’analisi dei contratti collettivi e pur nella difficoltà il più delle volte di comprendere se si fosse di fronte ad una prestazione accessoria o di carattere non retributivo, quel che è risultato è che la maggior parte dei casi come “sostituto” del premio di anzianità sia stata introdotta una prestazione economica una tantum, consistente in una somma da versarsi in un’unica soluzione al raggiungimento di determinati scatti di anzianità o in occasione della risoluzione del contratto di lavoro.

 

 

Prestazioni di natura non retributiva

 

Con riguardo alle prestazioni di natura non retributiva, la contrattazione collettiva non mostra particolari novità, riscontrandosi una preminenza dei classici rimborsi delle spese sostenute per lo svolgimento del lavoro e relazionate con la mobilità geografica (ad esempio rimborsi per trasferta o trasporto), mentre scarsi sono gli esempi connessi alla transizione digitale o ecologica (il riferimento, nei rari casi in cui presenti, è a clausole relative alla promozione del trasporto collettivo).

 

Un’attenzione particolare è poi riservata alle prestazioni di natura non retributiva ove riferite all’ambito del telelavoro o lavoro a distanza, tese, nello specifico, ad evitare che i lavoratori siano chiamati a sostenere i costi della prestazione lavorativa secondo tale modalità. Non raggiungono compiutamente tale obiettivo, di conseguenza, quei contratti collettivi che si limitino a prevedere la consegna al lavoratore dei dispositivi con cui svolgere il lavoro a distanza, senza tener conto della compensazione effettiva che si impone con riferimento ai costi, ad esempio, dell’elettricità, della connessione alla rete internet o della luce.

 

O ancora, gli esperti invitano gli attori della contrattazione collettiva a valutare, nei casi in cui possa essere di interesse in funzione del settore di attività o dell’occupazione di cui si tratti, l’introduzione di premi che incentivino il ritardo nell’accesso alla pensione o forme di transizione graduale (come, ad esempio, un pensionamento parziale) al posto dell’uscita anticipata e definitiva dal mercato del lavoro.

 

 

Il principio di parità retributiva nella contrattazione collettiva

 

Per quanto importanti passi avanti siano stati compiuti in direzione del raggiungimento della parità retributiva tra lavoratrici e lavoratori, troppi ancora sono i contratti collettivi che non hanno eliminato ogni forma di discriminazione nella fissazione dei salari. Quanto residua di tale disparità di trattamento nella contrattazione collettiva spagnola, si rende evidente, in particolare, con riferimento alla configurazione dei sistemi di classificazione professionale. Il concetto di parità non risulta, difatti, citato espressamente in numerosi contratti collettivi, e quando lo si fa, nella maggior parte dei casi si tratta di una mera enunciazione di principi.

 

La persistenza di sistemi di classificazione professionale basati su categorie professionali o posti di lavoro rende più facile che le attività che registrano una maggiore presenza di donne siano anche quelle meno remunerate. Nella stessa logica, i sistemi di classificazione professionale che stabiliscono vari livelli salariali all’interno dello stesso gruppo professionale, contribuiscono a perpetrare ingiustificate disparità retributive di genere.

 

La contrattazione collettiva rappresenterebbe il luogo privilegiato per favorire l’eliminazione dell’uso di stereotipi di genere nei processi di selezione del personale, eppure, la maggior parte contratti collettivi analizzati non prevede misure puntuali di azione positiva, salvo alcuni rari casi in cui ci si ripropone quantomeno di studiare misure atte ad agevolare l’accesso delle donne a tutte le professioni, o ad assumere persone del sesso meno rappresentato, o ancora a tener conto, al contrario, del sesso più rappresentato nei casi di licenziamenti collettivi.

 

Sul fronte delle assunzioni a tempo parziale, si segnalano positivamente alcuni contratti collettivi che alludono ad una politica di utilizzo razionale ed equilibrato di questa tipologia di contratti – largamente utilizzata dalla popolazione lavorativa femminile –, imponendo, ad esempio, l’applicazione del principio pro rata temporis, o una durata settimanale non inferiore al 50%. Alcuni contratti, inoltre, prevedono che siano computate le ore supplementari lavorate durante l’anno ai fini dell’incremento dell’orario ordinario del part-time, qualora il lavoratore ne abbia interesse.

 

Rarissimi sono poi i contratti collettivi che includono nel loro seno veri e propri piani di uguaglianza di genere, dotandone il contenuto di efficacia giuridica. La chiave di volta potrebbe risiedere, in futuro, nel recepimento da parte della contrattazione collettiva, della disciplina di cui alla recente normativa in materia di parità retributiva di genere (Real Decreto 902/2020, de 13 de octubre, de igualdad retributiva entre mujeres y hombres), che ha introdotto disposizioni in punto di registro salariale e di auditoría retributiva (controllo delle retribuzioni effettuato per verificare se un’azienda paga allo stesso modo gli uomini e le donne che svolgono lo stesso lavoro o la stessa funzione). Al momento, poco o nulla è stato recepito, ma è probabile, o auspicabile, che la ragione risieda nel fatto che la recente adozione normativa, abbia impedito una più ampia e migliore accoglienza da parte della contrattazione collettiva.

 

In buona sostanza, lo studio mostra e dimostra, ancora una volta, l’importanza della ricerca scientifica che parta dalla lettura e analisi dei contratti collettivi, che sono i testi di riferimento per comprendere la reale evoluzione delle dinamiche in ambito lavoristico. Non a caso, sono stati 42 docenti di diritto del lavoro a voler sottolineare, con questa poderosa ricerca, quanto non basti in questa materia lo studio “accademico”, ma sia necessario andare in profondità nella lettura riga per riga di quanto elaborato dagli attori che ogni giorno vivono la dimensione del lavoro, così come ogni giorno la vedono evolvere e mutare.

 

Lavinia Serrani

Ricercatrice ADAPT Senior fellow

@LaviniaSerrani

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/207 – Il lavoro agile nella Regione Veneto: siglato il nuovo accordo interconfederale regionale per le imprese artigiane e le PMI

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/207 – Il lavoro agile nella Regione Veneto: siglato il nuovo accordo interconfederale regionale per le imprese artigiane e le PMI

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 20 maggio 2024, n. 20

 

Contesto del rinnovo

 

Il 28 marzo 2024 le associazioni datoriali dell’artigianato veneto hanno sottoscritto con CGIL, CISL e UIL regionali l’accordo interconfederale sul lavoro agile, con durata quadriennale, che fornisce la cornice normativa all’interno della quale possono essere definiti gli accordi individuali per lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile all’interno delle imprese artigiane venete.

La materia era stata precedentemente oggetto di accordo tra le parti, che per prime in Italia hanno normato a livello regionale, attraverso un accordo collettivo, un aspetto lavorativo che inaspettatamente dopo poco sarebbe divenuta di grande attualità a causa della pandemia del Covid-19.

Il rinnovo, che aggiorna quanto previsto dal precedente accordo regionale del 2019, introduce alcune importanti novità che si pongono in linea con le mutate esigenze delle imprese, delle lavoratrici e dei lavoratori. In particolare, l’accordo interviene su specifiche tematiche quali l’orario di lavoro, i luoghi e le dotazioni tecnologiche, dove in parte si è cercato di recepire gli indirizzi sanciti nel Protocollo sul lavoro in modalità agile del 7 dicembre 2021, siglato a livello nazionale. Il rinnovo, inoltre, si è posto come un’ulteriore conferma del protagonismo innovativo della bilateralità veneta all’interno delle micro e piccole imprese.

 

Parte normativa

 

Le parti sociali hanno in primo luogo convenuto sulle finalità che il lavoro agile deve perseguire sottolineando soprattutto la ricerca di un incremento della produttività e dell’efficienza, nonché di un impulso al cambiamento organizzativo e di processo. Inoltre, le parti hanno evidenziato il tentativo di puntare ad un miglioramento dell’equilibrio tra tempi di vita e lavoro e ad una crescente attenzione alla sostenibilità ambientale e del benessere collettivo, attraverso la riduzione degli spostamenti casa/lavoro e delle conseguenti emissioni di agenti inquinanti, migliorando il tal modo la vivibilità dei centri urbani.

 

Per quanto concerne la modalità di attivazione dello svolgimento del lavoro agile, si prevede la definizione di un accordo individuale sottoscritto tra lavoratrice/lavoratore e datore di lavoro. A tal fine, l’art. 4 dell’A.I. disciplina che le parti concorderanno se l’utilizzo del lavoro agile avrà carattere non prevalente o prevalente. Nel primo caso, il ricorso al lavoro agile potrà avvenire solo per specifici periodi di tempo predeterminati e programmati d’intesa tra datore di lavoro e lavoratrice/lavoratore con ricorrenza tendenzialmente periodica senza che la prestazione in modalità agile prevalga su quella svolta presso la sede aziendale. Nel caso invece di lavoro agile “prevalente”, lo svolgimento della prestazione da remoto sarà preponderante rispetto allo svolgimento della stessa presso la sede aziendale; in tal caso il periodo di tempo sarà predeterminato o predeterminabile e ricollegabile a specifiche esigenze personali della lavoratrice/lavoratore (a mero titolo esemplificativo: patologie oncologiche, esigenze di accudimento e di cura, ecc.).

 

Inoltre, fermo restando quanto previsto dalla legge e dalla contrattazione collettiva ai diversi livelli in materia, le parti potranno prevedere particolari modalità di gestione dell’orario di lavoro nell’ambito dello svolgimento della prestazione in modalità agile. Le parti potranno prevedere la fascia oraria entro la quale la prestazione in smartworking potrà essere svolta (es. 8-20), lasciando la lavoratrice e il lavoratore liberi di organizzarla all’interno della stessa; la fascia oraria non potrà comunque essere superiore alle 10 ore giornaliere. Il nuovo accordo prevede inoltre che le eventuali ore svolte in eccedenza rispetto all’orario contrattuale dovranno essere preventivamente autorizzate su specifica motivazione e saranno retribuite con le stesse maggiorazioni previste per lo straordinario/lavoro supplementare.

 

Per quanto riguarda il luogo della prestazione, il datore di lavoro e la lavoratrice/lavoratore dovranno concordare un elenco di luoghi in cui è ammesso lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile, ovvero indicare i luoghi esclusi per lo svolgimento della prestazione lavorativa esterna ai locali aziendali.

In ogni caso il luogo per lo svolgimento dell’attività in modalità agile dovrà essere:

a) adeguato allo svolgimento dell’attività lavorativa comportante l’uso abituale del video terminale (ben areato, ben illuminato, ecc.);

b) conforme alle norme di sicurezza;

c) idoneo a garantire la tutela e la massima riservatezza dei dati e delle informazioni aziendali.

Restano, comunque, esclusi i parchi pubblici, i giardini pubblici e gli esercizi commerciali pubblici (bar, negozi, ecc.).

 

Rispetto all’accordo del 2019, il nuovo rinnovo evidenzia che qualora l’azienda corrisponda buoni pasto ai lavoratori che prestano attività in presenza, la corresponsione anche nelle giornate di svolgimento della prestazione di lavoro in modalità agile (o smartworking) potrà essere concordata nell’accordo individuale.

 

Infine, salvo diverso accordo tra le parti, l’attrezzatura per l’adempimento della prestazione lavorativa in modalità agile sarà fornita dal datore di lavoro che dovrà garantirne la conformità alle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza.

 

Parte obbligatoria

 

La bilateralità artigiana, anche nel nuovo accordo, è valorizzata quale strumento di ulteriore sviluppo del lavoro agile all’interno delle micro e piccole imprese, supportando le imprese e i lavoratori nell’attivazione di processi di rinnovamento organizzativo che possano interpretare le nuove sfide della competitività e della sostenibilità. Al riguardo, vengono previsti contributi EBAV per:

– le spese sostenute con riferimento alle attività propedeutiche all’avvio del lavoro agile nonché alle eventuali consulenze specialistiche per l’implementazione di sistemi strutturali personalizzati di gestione di software, archivi digitali aziendali, sistemi gestionali in modalità cloud computing volti a facilitare l’introduzione di questa nuova modalità di svolgimento della prestazione lavorativa “a distanza” (servizio A14p);

la formazione collettiva propedeutica all’attivazione di un progetto di lavoro agile (servizio A07);

l’aggiornamento del DVR propedeutico all’attivazione di progetti di sperimentazione del lavoro agile (servizio A76);

 

Inoltre, con l’intento di incoraggiare l’avvio del lavoro agile nelle imprese artigiane è previsto un ulteriore contributo EBAV (servizio A63) richiedibile dall’impresa per ogni accordo individuale di lavoro agile attivato nelle seguenti misure:

600 euro una tantum, non ripetibili per lo stesso dipendente, nel caso di stipula di accordo di smartworking della durata minima di 6 mesi e almeno 48 ore di lavoro effettivo svolte dal dipendente in modalità agile;

1000 euro una tantum, non ripetibili per lo stesso dipendente, nel caso di stipula di accordo di smartworking della durata minima di 12 mesi e almeno 96 ore di lavoro effettivo svolte dal dipendente in modalità agile. Lo stesso importo è riconosciuto anche in caso di proroga di un accordo individuale pattuito per una durata inferiore ai 12 mesi, purché la proroga consenta il raggiungimento dei 12 mesi (e vi siano almeno 96 ore di lavoro effettivo nell’arco temporale dell’accordo).

 

Infine, similmente a quanto avvenuto nell’accordo del 2019, le parti sottoscrittrici rinnovano la propria opinione favorevole per quanto concerne l’uso degli spazi di coworking da parte dei lavoratori agili, al fine di promuovere la creazione di “nuove comunità urbane” che consentano una ridefinizione e maggiore sostenibilità della geografia del lavoro. In questo senso, le parti si riservano, nel corso del periodo di vigenza dell’accordo, di valutare l’opportunità di prevedere specifiche forme di sostegno per l’iscrizione/accesso ai luoghi di coworking, oppure di individuare luoghi idonei a tal fine anche presso le sedi dell’enti bilaterale o delle parti stesse.

 

Valutazione d’insieme

 

Il nuovo accordo conferma il protagonismo della contrattazione territoriale e della bilateralità veneta nei processi di rinnovamento organizzativo che interessano un numero sempre maggiore di piccole imprese venete. Le associazioni datoriali affermano che“gli anni della pandemia hanno dimostrato che un salto culturale da parte delle imprese, anche quelle più piccole, delle lavoratrici e dei lavoratori è possibile. Il lavoro agile è anche uno strumento in più per attrarre nuovi lavoratori, nuove risorse, nuove competenze e per permettere alle imprese di crescere e rimanere competitive”. Anche le associazioni sindacali regionali si ritengono soddisfate del rinnovo, evidenziando l’importanza del diritto alla disconnessione, della parità di trattamento economico e normativo rispetto a chi è presente in azienda, della tutela della salute e della sicurezza di lavoratrici e lavoratori e della conciliazione di vita e lavoro.

 

Elena Zanella

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

@e__zanella

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/205 – Il rinnovo del CCNL Concia Pelli e Cuoio: nuove sfide e scenari futuri del settore

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/205 – Il rinnovo del CCNL Concia Pelli e Cuoio: nuove sfide e scenari futuri del settore

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 6 maggio 2024, n. 18

 

Contesto del rinnovo

 

Il 7 marzo 2024 è stata sottoscritta, tra UNIC-Concerie italiane e Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil, l’ipotesi di accordo di rinnovo del CCNL per gli addetti delle aziende esercenti l’industria conciaria.

 

Il contratto, scaduto il 30 giugno scorso, avrà una durata triennale con vigenza dal 1° luglio 2023 al 30 giugno 2026.

 

Tale rinnovo, secondo i dati di flusso UNIEMENS, interessa più di 1.000 aziende del settore, per un totale di oltre 19.000 dipendenti, confermandosi in tal senso come un tavolo di confronto tutt’altro che minore nel panorama delle relazioni industriali italiane.

 

Non solo la stipula del suddetto accordo riveste un’importanza fondamentale per il ruolo ricoperto dal comparto sul piano nazionale, ma anche per la rilevanza nel mercato europeo, ove l’Italia si attesta come produttore leader di pellami di lusso.

 

La trattativa è stata intensa e contraddistinta dalla volontà dei contraenti di giungere alla sottoscrizione di un testo che, nelle intenzioni delle parti, permetta di «affrontare in maniera coesa il difficile il quadro economico in cui operano le concerie e i lavoratori» attraverso un rinnovo che «non prevede solo soluzioni volte a garantire standard economici minimi per le lavoratrici e i lavoratori», ma «promuove anche la responsabilità sociale nei luoghi di lavoro attraverso vari interventi migliorativi».

 

Parte economica

 

Entrando nel merito dei contenuti della nuova intesa, uno dei principali elementi oggetto del rinnovo è stato l’intervento sulla parte economica del CCNL.

 

Nell’immediato futuro, l’accordo infatti, ha previsto un aumento dei minimi retributivi pari a 191 euro (livello D2) che verrà erogato in busta paga suddiviso in tre tranche. La prima, datata 1° marzo 2024, prevede un adeguamento di 96 euro, alla quale seguirà una seconda (1° gennaio 2025) di importo pari a 55 euro ed infine una terza (1° gennaio 2026) di ammontare pari a 40 euro.

 

Prendendo invece, in considerazione il Trattamento Economico Complessivo, si rinviene un’ulteriore novità nelle scelte adottate in materia di Welfare contrattuale. Dal 1° aprile 2026 è stato previsto, infatti, un incremento del contributo mensile relativo all’assistenza sanitaria integrativa Sanimoda pari a tre euro, con il conseguente passaggio da un valore antecedente di 12 euro al nuovo ammontare di 15 euro per ciascun lavoratore.

 

Sempre in tema di surplus retributivi destinati ai lavoratori, si segnala anche un’ultima previsione relativa all’incremento a carico dell’azienda di ulteriori due euro a titolo di coperture assicurative per la non autosufficienza (LTC).

 

Parte normativa

 

Così come per la parte economica, sono state introdotte importanti novità attinenti al profilo del rapporto di lavoro.

 

Un aspetto rilevante riguarda l’intervento in tema di flessibilità contrattuale, attuato attraverso l’introduzione di causali contrattuali per la stipula di contratti a termine di durata superiore a dodici mesi ma comunque inferiore a ventiquattro. Nello specifico, ai sensi del nuovo art. 19, co. 1, let. a), D. Lgs. n. 81/2015, il CCNL in esame, che rappresenta uno dei primi esempi nel panorama nazionale di applicazione della disposizione per come novellata nel 2023, prevede quali specifiche condizioni per la stipula di contratti a tempo determinato lo sviluppo straordinario delle attività di impresa, anche legate a ricerca; la progettazione, l’avvio ed eventuale sviluppo di progettualità innovative e sperimentali; l’esecuzione di particolari lavori temporanei mediante l’impiego di professionalità specializzate estranee all’azienda nonché cospicui investimenti per l’implementazione della sostenibilità ambientale, energetica e della sicurezza in ogni fase del processo produttivo.

 

La contrattazione collettiva è poi intervenuta sul tema del lavoro part-time, disciplinando le clausole elastiche. In particolare, si prevede che tali clausole potranno essere attivate dal datore di lavoro con un preavviso di due giorni e nel rispetto del limite massimo rappresentato dal raggiungimento dell’orario normale a tempo pieno settimanale e dovranno prevedere, a titolo di compensazione, il pagamento di una maggiorazione del 15% della retribuzione oraria globale di fatto. Inoltre, il CCNL ha concesso al lavoratore la possibilità di revoca delle suddette clausole nei casi in cui il lavoratore o i suoi stretti familiari siano affetti da patologie oncologiche o da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti oppure siano soggetti portatori di handicap.

 

Per quanto riguarda il lavoro agile, l’intesa recepisce il “Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile”, datato 7 dicembre 2021, individuando nel lavoro in modalità agile un importante strumento per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, per il rispetto della sostenibilità ambientale e per un miglioramento complessivo del benessere collettivo e precisando che la contrattazione decentrata è chiamata a riadattare e rimodulare la disciplina protocollare alla luce delle particolari esigenze aziendali.

 

Sul versante del trattamento del prestatore di lavoro affetto da disabilità, il CCNL ha predisposto una serie di interventi, a partire dalla regolazione degli accomodamenti ragionevoli. I contraenti, infatti, hanno riconosciuto l’importanza sociale del reinserimento del lavoratore affetto da disabilità attuale o sopravvenuta, recependo quanto previsto in materia dall’accordo interconfederale del 2018 e dalla direttiva 2000178/CE trasposta nel D. Lgs. 216/2003.

 

Non di minore rilievo sostanziale, sono stati i nuovi inserimenti in materia di comporto. In proposito, le parti hanno introdotto la disciplina del comporto prolungato che consente l’estensione della conservazione del posto in caso di gravi patologie preventivamente comunicate al datore di lavoro. Sul punto va innanzitutto evidenziato come lo scopo perseguito dalle rappresentanze sindacali sia stato quello di dare maggiore respiro e garantire il diritto del lavoratore affetto da una malattia cronica alla partecipazione alla vita professionale della società. A questo fine, il lavoratore potrà godere di un termine di comporto prolungato di alcuni mesi a seconda della sua condizione patologica. La disposizione si inserisce in un orizzonte normativo ben chiaro volto a predisporre per questa categoria di lavoratori fragili una disciplina di tutela ad hoc, stante la natura indirettamente discriminatoria della previsione di un periodo di comporto non differenziato in favore dei lavoratori affetti da malattie croniche, in ragione della maggiore esposizione di questi dipendenti al rischio di accumulare assenze in virtù della propria condizione svantaggiata.

 

Il rinnovo è intervenuto anche sui congedi parentali, introducendo, in conformità a quanto disposto dall’art. 27-bis D. Lgs. n. 151/2015, un congedo obbligatorio del padre lavoratore pari a dieci giorni lavorativi, non frazionabili in ore, da usare anche in via non continuativa dai due mesi precedenti la data presunta del parto ed entro cinque mesi successivi, previo opportuno preavviso al datore di lavoro. La ratio sottesa all’introduzione del disposto è da rintracciarsi nell’implementazione di politiche di sostegno alla famiglia in grado di modularsi, diversamente da come avveniva in passato, sulla ricerca di un’equa distribuzione del carico familiare fra la figura materna e quella paterna.

 

È poi da segnalare la decisione dei contraenti di prevedere per le vittime di violenza di genere un mese di congedo retribuito a carico dell’azienda aggiuntivo rispetto a quanto previsto dalla legge. La disposizione mostra l’estrema sensibilità dei sottoscrittori per una tematica fortemente attuale come quella della violenza di genere, indicando come sul tema le parti sociali possano intervenire attribuendo nuove tutele giuslavoristiche alle donne lavoratrici.

 

Infine, va rammentata l’adozione delle linee guida ai fini dell’attivazione delle Banca ore solidale, che consente ai lavoratori, ai sensi dell’art. 24 D. Lgs. n. 151/2014, di cedere volontariamente e a titolo gratuito a favore di colleghi e dipendenti di una stessa azienda quote di ROL o di ferie. In particolare, il CCNL stabilisce che l’attivazione dell’istituto potrà avvenire su richiesta della r.s.u. e che le condizioni per l’accesso alla banca ore nonché la sua concreta gestione saranno regolate in sede aziendale.

 

Parte obbligatoria

 

Studiando infine i cambiamenti introdotti nella parte obbligatoria del CCNL, è possibile notare la costituzione dell’Osservatorio Nazionale, a cui sarà riservata l’attività di facilitazione e risoluzione di problematiche relative a temi di legalità, etica, responsabilità sociale dell’impresa, orari, inquadramenti e piani formativi nonché la promozione di pratiche virtuose per lo sviluppo della contrattazione di secondo livello.

 

Pienamente attinenti alla parte obbligatoria del testo sono, inoltre, le disposizioni in tema di partecipazione. Le Parti, nel condividere l’importanza dello sviluppo della partecipazione, hanno voluto dare indicazioni per la promozione di percorsi che possano coinvolgere le organizzazioni territoriali firmatarie del CCNL, i lavoratori e le aziende, offrendo spunti per la sperimentazione di progetti comuni.

 

Le guidelines elaborate pertanto, sono state pensate in un’ottica di coprogettazione e coprogrammazione al fine di individuare obbiettivi, pratiche attuative e strategie imprenditoriali condivise e di consentire in tal modo, una partecipazione del lavoratore a 360 gradi nella vita dell’organizzazione.

 

L’intenzione di incrementare la partecipazione del prestatore di lavoro è ravvisabile nel tentativo di privilegiare l’istituzione in azienda di procedure formali, di canali di controllo, consultazione e comunicazione nonché la costituzione di organismi-ponte fra le parti che siano rappresentativi congiuntamente dei dipendenti e del datore di lavoro. Le finalità sono molteplici, ma riassumibili nella volontà comune di garantire pari opportunità di formazione, di coinvolgimento e altresì di miglioramento delle strutture di sostenibilità e sicurezza sul luogo di lavoro.

 

Valutazione d’insieme

 

Il rinnovo del CCNL datato marzo 2024 rappresenta per il settore conciario italiano un elemento di ammodernamento rispetto alle precedenti versioni dello stesso contratto collettivo.

 

A conclusione dell’incontro che ha sancito la stipula del CCNL definitivo, le associazioni datoriali e sindacali si sono dichiarate soddisfatte per l’accordo raggiunto, manifestando altresì l’auspicio che il rinnovo possa costituire un veicolo efficace per il recepimento delle ultime disposizioni e orientamenti europei e nazionali.

 

Le principali innovazioni del rinnovo contrattuale sono sintetizzabili lungo tre direttrici fondamentali: aumento retributivo, recezione delle novità in materia di rapporto di lavoro ed accrescimento delle tutele in favore del lavoratore fragile.

 

Se da un lato è pressoché certo il riscontro positivo della recezione delle normative sul lavoro agile, in tema di welfare e di salute e sicurezza, meno scontato appare l’impatto delle linee guida sul coinvolgimento dei lavoratori e delle lavoratrici, poiché si tratta di una materia liberamente plasmabile dalla singola impresa e, dunque, di difficile bilancio in sede di analisi del rinnovo nazionale.

 

Infine, è da sottolineare la portata innovativa delle scelte adottate in tema di flessibilità contrattuale, che, nell’esercitare la delega in materia di causali per il contratto a termine assegnata dal D. Lgs. n. 81/2015 alla contrattazione collettiva, ha introdotto una disciplina specifica basata sulle esigenze avvertite dalle parti sociali per il settore conciario.

 

Virginia Pezzoni
ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/204 – Accordo collettivo A2A: potenziamento del welfare per sostenere la genitorialità e contrastare l’inverno demografico

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/204 – Accordo collettivo A2A: potenziamento del welfare per sostenere la genitorialità e contrastare l’inverno demografico

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

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Bollettino ADAPT 29 aprile 2024, n. 17

 

Oggetto e tipologia di accordo

 

L’11 marzo 2024, il Gruppo A2A ha stipulato un accordo collettivo con le Organizzazioni Sindacali Nazionali e Territoriali FILCTEM CGIL, FLAEI CISL, FEMCA CISL, UILTEC UIL, FP CGIL, FIT CISL, UILTRASPORTI, FIADEL. Al fine di sostenere la genitorialità per tutti i dipendenti, sono state introdotte ulteriori misure conciliative, in linea con gli accordi precedentemente sottoscritti del Gruppo e in risposta alle esigenze sociali ed economiche attuali.

 

Contesto dell’accordo

 

Come sottolineato dalle parti sottoscriventi in premessa all’accordo, il recente calo demografico, causato dall’allungamento della vita da una parte e dalla scarsa natalità dall’altra, ha portato la popolazione comunitaria, secondo i dati registrati nel biennio 2020-2021, a diminuire di 312 mila persone, registrando un calo dello 0,6% solamente in Italia.

 

La situazione di calo demografico in Italia è allarmante, ma non di nuova generazione: da oltre 30 anni, infatti, i dati mostrano che il numero medio di figli per donna è sceso sotto 1,5 e, qualora le tendenze attuali rimanessero invariate, si prevede un calo significativo della popolazione italiana da 59 milioni a 51 milioni entro il 2050.

 

Si aggiunga che l’andamento demografico sfavorevole può minacciare la crescita economica e la sostenibilità del nostro sistema di welfare dato che, con la riduzione della popolazione in età lavorativa, diminuiscono le entrate contributive e fiscali associate al reddito da lavoro, mettendo a rischio la stabilità delle finanze pubbliche. Anche per queste ragioni, le parti hanno messo in campo diversi strumenti volti a favorire la genitorialità, supportando le famiglie attraverso la promozione di un contesto organizzativo aziendale orientato al benessere familiare.

 

In altri termini, con il progetto «A2A Life Caring», il Gruppo ha voluto rafforzare il welfare contrattuale, enfatizzando il sostengo alla genitorialità come strumento strategico al fine di contrastare il cosiddetto “inverno demografico”.

 

Temi trattati/ incidenza sulle misure di welfare

 

Entrando nel dettaglio, nell’accordo vengono definite una serie di misure disponibili, almeno in prima battuta e in via sperimentale, a partire dal prossimo anno scolastico (2024-2025) e per una durata complessiva di 3 anni, con una valutazione circa l’andamento nel primo semestre del 2025.

 

Le nuove misure affiancheranno dunque quelle già adottate nel Gruppo, come il lavoro agile e le misure di sostegno al rientro dai periodi di maternità, nonché i progetti di team coaching per l’accrescimento della cultura aziendale di valorizzazione della genitorialità a beneficio di tutti i dipendenti.

 

Conformemente all’obiettivo di favorire azioni a sostengo della genitorialità, tra le principali misure di welfare con finalità conciliativa le parti riconoscono delle misure aggiuntive sia per i dipendenti genitori che per coloro che invece vorrebbero diventarlo.

 

Sotto il primo profilo, a tutte le mamme e a tutti i padri del Gruppo A2A viene così riconosciuta la possibilità di fruire di un mese aggiuntivo di maternità e paternità retribuiti al 100%, o di liquidarne, in via alternativa, il rispettivo valore. Sono altresì previsti dei contributi a supporto delle spese per i servizi di educazione ed istruzione dei figli dai 0 ai 18 anni di tutti i dipendenti, in riferimento a beni come libri, tasse scolastiche, asili nido e bonus baby-sitter. L’ammontare di tale contributo economico annuale varia in base all’età del figlio, a partire da un tetto massimo di 3.250 euro a titolo di contributo per neogenitori di bambini da 0 a 3 anni, fino al riconoscimento di 200 euro per i genitori di ragazzi da 12 a 18 anni di età.

 

Le parti, inoltre, riconoscono l’importanza di sensibilizzare i dipendenti tout court sulle tematiche legate alla fertilità e alla maternità/paternità. In questo senso è da inquadrare la richiamata necessità di individuare nuove politiche di welfare aziendale per i dipendenti non ancora genitori, verificando la possibilità di mettere a disposizione di chi voglia usufruirne un pacchetto a sostegno dei programmi di procreazione assistita nonché organizzando iniziative per favorire la creazione di conoscenza e consapevolezza delle tematiche medico/psicologiche legate alla fertilità (corretti stili di vita, spetti psicologici legati alla maternità/paternità/PMA ecc.).

 

Sempre a sostegno delle famiglie, le parti hanno altresì richiamato la necessità di valutare la possibilità di sottoscrivere convenzioni con gli istituti bancari per favorire soluzioni di prestito per l’iscrizione e la frequenza di percorsi di studio universitari per i figli dei dipendenti del Gruppo.

 

In ultima istanza e a riprova della volontà di favorire il benessere dei propri dipendenti, le parti hanno deciso di impegnarsi a mantenere un dialogo costante al fine di identificare ulteriori forme di flessibilità, anche in termini di flessibilità dell’orario lavorativo, per meglio conciliare le esigenze familiari con le dinamiche aziendali.

 

Valutazione d’insieme

 

L’accordo collettivo sulle politiche di sostegno alla genitorialità dell’11 marzo 2024 del Gruppo A2A rappresenta un ulteriore passo significativo verso la creazione di ambienti di lavoro attenti alle esigenze familiari dei dipendenti. Le misure di welfare riconosciute ai dipendenti del Gruppo rispondono infatti alle esigenze immediate dei dipendenti e, più in generale, potrebbero rappresentare uno spunto utile per la contrattazione decentrata, ispirando ulteriori realtà a intraprendere politiche di welfare simili.

 

Giulia Rondelli

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei talenti

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/203 – CCNL Siae: misure sperimentali e innovative per il personale non dirigente

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/203 – CCNL Siae: misure sperimentali e innovative per il personale non dirigente

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 29 aprile 2024, n. 17

 

Contesto del rinnovo

 

Il 15 dicembre 2023 SIAE e SLC- Cgil, FISTEL-Cisl, UILPA, FNC UGL Comunicazioni, CISAL FIALP e CONFSAL SIAE hanno sottoscritto il nuovo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per il personale dipendente e non dirigente SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori).

 

Il nuovo CCNL rappresenta il risultato di un ampio e continuo confronto tra le parti e che aveva condotto alla sottoscrizione di un’intesa già il 4 dicembre 2024, con la quale si affermavano sostanziali novità dal carattere sperimentale afferenti sia alla parte normativa che economica per il biennio 2024-2025.

 

Parte normativa

 

In materia di organizzazione del lavoro, il nuovo CCNL stabilisce diverse novità di rilievo.

 

Per quanto afferisce all’orario di lavoro, fermo restando l’orario settimanale pari a 36 ore viene dato avvio alla sperimentazione per un periodo di 6 mesi della settimana corta (c.d. smart week), la quale consente ai lavoratori che vi aderiscono su base volontaria di svolgere la prestazione lavorativa in giornate da 9 ore, comprensive della pausa da 15 minuti, in luogo della giornata lavorativa standard fissata a 7 ore e 12 minuti.

 

Ai lavoratori sono riconosciuti ulteriori strumenti di flessibilità. Sempre con riferimento all’orario di lavoro, le parti prevedono infatti fasce di flessibilità in ingresso (dalle 8 alle 9:30) e per la pausa pranzo (15 minuti tra le 13:00 e le 15:00) con conseguente adeguamento dell’orario di uscita al completamento dell’orario giornaliero.

In materia di flessibilità organizzativa, invece, definiscono alcuni aspetti legati allo smart working, già disciplinato dall’accordo sottoscritto il 22 dicembre 2021 che garantiva l’accesso allo strumento fino al 31 dicembre 2023. Da questo punto di vista, oltre a riconoscere lo smart working come strumento di flessibilità in via strutturale, rispetto all’accordo precedente le parti intervengono specificando alcuni aspetti concernenti la programmazione, l’estensione della fascia oraria giornaliera e le fasce di reperibilità. Pertanto, i giorni di smart working riconosciuti mensilmente sono 10 per la Direzione Generale e 8 giorni (di cui 2 a settimana) per la Rete Territoriale: in ambedue i casi la giornata lavorativa, nel rispetto dei limiti dell’orario giornaliero di lavoro, deve essere compresa tra le ore 8:00 e le ore 20:00, con fasce di reperibilità per un totale di 4 ore giornaliere, la cui collocazione temporale differisce nelle giornate dal lunedì al giovedì e per il venerdì. Anche in materia di permessi retribuiti si rilevano diverse innovazioni: oltre all’incremento del monte ore annuale di permessi retribuiti e non soggetti a recupero (da 12 a 20 ore) viene richiesta anche l’introduzione della banca ore solidale, il cui regolamento a disciplina delle misure e delle modalità ai fini della cessione di ferie e riposi viene demandato alla Società entro 3 mesi dalla sottoscrizione del CCNL.

 

Parte economica

 

Sebbene le novità afferenti all’organizzazione del lavoro siano molteplici, il cuore delle innovazioni del rinnovo del CCNL SIAE riguarda il welfare occupazionale e la salvaguardia del potere d’acquisto del personale non dirigente.

 

Invero, le parti riconoscono una somma una tantum di vacanza contrattuale da determinare in via specifica sulla base della messa a disposizione a livello aziendale di 1.150.000,000 euro mentre, in materia di welfare occupazionale, si prevede l’erogazione di 1.000 euro ogni anno per dipendente di strumenti di welfare aziendale; un buono pasto dal valore nominale di 6,5 euro per ogni giornata di effettivo servizio e l’aumento delle coperture della polizza sanitaria integrativa, con un incremento per il 2024 del premio annuo fino a 1.200 euro per dipendente.

 

Per quanto concerne gli incrementi retribuitivi, per coloro i quali si siano trovati ad avere la retribuzione non più soggetta alla crescita conseguente all’elemento aggiuntivo della retribuzione – pari ad un quarto del valore del differenziale tra la fascia di appartenenza e quella immediatamente successiva – la normativa economica come ora rivista comporterà l’attribuzione annuale dell’importo pari al 1,125% del tabellare della fascia di appartenenza con decorrenza dal primo mese di validità del presente contratto.

 

Novità concernono anche l’indennità di turno (riconosciuta solo per l’attività svolta in presenza, fermo restando il riconoscimento del turno serale anche se effettuato in smart working), l’istituto della reperibilità (indennità di 30 euro) e la retribuzione variabile.

 

Relativamente ai meccanismi premiali, viene stabilita la necessità di implementare – attraverso un accordo – un nuovo sistema incentivante relativo alle attività di controllo e accertamento, dedicato esclusivamente al personale che le svolge per un valore complessivamente stanziato pari a 200.000,000 euro (costo azienda), da erogare in corrispondenza con il nuovo premio SIAE di risultato per i dipendenti (PDR) da corrispondersi nel 2025 a valere sulle performance dell’anno 2024.

 

Parte obbligatoria

 

Un punto particolarmente qualificante del rinnovo afferisce al ruolo affidato dalle parti alle Commissioni paritetiche, a cui vengono affidati diversi compiti da esperire entro il 2025.

 

Invero, alla neocostituita Comitato per la regolamentazione delle attività esterne vengono affidate due attività che hanno un impatto sul compenso erogato ai dipendenti che svolgono attività di accertamento. Da una parte, il Comitato dovrà valutare la possibilità di revisione del regolamento relativo all’accertamento e alle missioni del personale della SIAE, anche nell’ottica di una revisione delle tabelle dei compensi correlati alle attività esterne. Dall’altra parte, entro 3 mesi dall’entrata in vigore nel nuovo CCNL, il Comitato dovrà definire un accordo per l’implementazione del nuovo premio di produttività relativo alle attività di controllo/accertamento e dedicato al personale che le svolge, la cui erogazione è contestuale a quella prevista per il nuovo premio SIAE di risultato per i dipendenti, anch’esso da ridefinire e da corrispondere nel 2025.

 

Al Comitato Bilaterale Welfare e Inclusione, invece, sono affidati numerosi compiti aventi un duplice obiettivo: a) garantire una maggiore soddisfazione dei bisogni di inclusione dei dipendenti e b) promuovere una reale parità di genere. Per questo motivo, tra le diverse funzioni assegnate al Comitato figurano: 1) lo svolgimento di attività di studio e ricerca nonché l’individuazione dei fattori che ostacolano l’effettiva parità di genere, proponendo anche iniziative dirette al loro superamento; 2) la promozione di iniziative dirette a tutelare le lavoratrici madri; 3) la valutazione di eventuali eccezioni riguardanti la regolamentazione della settimana corta e dello smart working strutturale. Infine, tra le funzioni del Comitato, rientrano anche azioni per il contrasto delle molestie e della violenza nei luoghi di lavoro, nonché la valutazione circa l’introduzione di maggiori garanzie per le donne vittime di violenza di genere.

 

Valutazione d’insieme

 

Il rinnovo del CCNL SIAE per il personale non dirigente nel dicembre scorso s’inserisce all’interno di una tornata contrattuale che temporalmente ha apportato diverse novità per i lavoratori impiegati nel settore spettacolo, sebbene tale CCNL rappresenti un unicum nel settore. Il CCNL, infatti, si applica unicamente alla società che tutela e salvaguardia il diritto d’autore e già con il testo del luglio 2012 riconosceva al personale non dirigente diverse misure di welfare contrattuale. Come dichiarato dalle parti sociali sottoscriventi nel comunicato unitario diramato contestualmente al rinnovo, il nuovo CCNL SIAE sembrerebbe voler avviare una nuova fase, caratterizzata da elementi innovativi e sperimentali volti a trasformare l’Ente dal punto di vista organizzativo. Sarà interessante nei prossimi mesi monitorare gli ulteriori stati di avanzamento in merito alla sottoscrizione di nuovi accordi relativi, ad esempio, dei nuovi premi di risultato da erogare a partire dal 2025 nonché le iniziative che verranno messe in atto attraverso i compiti affidati al Comitato Bilaterale “Welfare e Inclusione”.

 

Chiara Altilio

PhD Candidate ADAPT

Università di Siena

@chialtilio

 

Dal CNEL una lettura condivisa delle dinamiche del mercato del lavoro e della contrattazione collettiva*

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Bollettino ADAPT 22 aprile 2024 n. 16

 

Nel dibattito sui controversi temi del lavoro non mancano, da tempo, segnali di un progressivo degrado delle strutture organizzative dei corpi intermedi di rappresentanza e di mediazione sociopolitica per usare le parole di un acuto interprete della società italiana quale è Giuseppe De Rita. A preoccupare sono oggi le profonde divergenze nelle strategie – e prima ancora nelle visioni – di Cgil, Cisl, Uil che ci prospettano una Festa dei Lavoratori a metà, e cioè un Primo Maggio da “separati in casa”.

 

In questo scenario non mancano tuttavia segnali incoraggianti e anche concrete dimostrazioni della capacità delle tre confederazioni sindacali di tenere vivi i canali del dialogo. Degna di nota, da questo punto di vista, è la pubblicazione del XXV Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva, approvato all’unanimità dalla Assemblea del CNEL del 18 aprile.

 

Non che difettino, al nostro Paese, studi e rapporti istituzionali sulle dinamiche del lavoro. Si può anzi sostenere che l’eccesso incontrollato di informazioni – nel consentire di sostenere tutto e il contrario di tutto – abbia tolto ogni minima certezza rispetto alla urgenza di conoscere con precisione i reali andamenti del mercato del lavoro, della produttività e delle retribuzioni. È qui che si alimentano quelle divisioni che danno spazio a chi più alza la voce allontanando la politica dal merito dei problemi e dalle persone.

 

Le opinioni sul CNEL, sul disegno costituzionale ad esso sotteso e sui suoi 65 anni di vita, sono variegate e cambiano a corrente alternata. E tuttavia non esiste altro presidio istituzionale sui temi economici e sociali partecipato dalle rappresentanze delle forze sociali del mondo dell’impresa, del lavoro autonomo e del lavoro dipendente e di alcune organizzazioni dell’associazionismo sociale e del volontariato. Il rapporto CNEL sul mercato del lavoro non è pertanto un freddo documento statistico e tanto meno un esercizio accademico. Si tratta piuttosto dello sforzo della “gente della mediazione” di convergere nella conoscenza e, auspicabilmente, nella accettazione dei dati di realtà prima che si avviino fasi di decisione politica.

 

Parliamo dunque di finalità di enorme rilievo istituzionale, efficacemente scolpite nella relazione alla legge CNEL del 1986 firmata da Sergio Mattarella, ancora attuali e anzi imprescindibili per chi voglia contribuire a dotare il nostro Paese di informazioni complete e condivise su temi così centrali per la definizione delle politiche occupazionali e del lavoro e delle leggi in materia economica e sociale.

 

È pertanto un segnale decisamente positivo che il rapporto CNEL contenga quest’anno un esame pienamente condiviso delle luci e ombre del nostro mercato del lavoro prestando particolare attenzione al tema della inclusione e a quello della vulnerabilità. Nella elaborazione del documento sono state aggregate e discusse tutte le diverse fonti informative pubbliche ed è stato analizzato quell’imponente patrimonio documentale e informativo presente nell’Archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro del CNEL.

 

Il rapporto viene ora messo a disposizione delle Camere, del Governo e degli enti ed istituzioni interessati, quale base comune di riferimento non solo a fini di studio, ma soprattutto decisionali ed operativi. Un segnale di vitalità anche del CNEL, grazie prima all’impegno di Tiziano Treu nella passata consiliatura e ora al nuovo corso impresso con generosità da Renato Brunetta, che rilancia nei fatti la centralità di questo organo di rilevanza costituzionale quale sede del confronto e della collaborazione tra le forze sociali e tutti i soggetti istituzionali che raccolgono dati utili per il monitoraggio delle condizioni di lavoro e degli assetti normativi e retributivi espressi dalla contrattazione collettiva.

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

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*pubblicato anche su Avvenire col titolo Il ruolo del Cnel rilanciato con il XXV Rapporto, 20 aprile 2024

 

La contrattazione nazionale nel 2023*

La contrattazione nazionale nel 2023*

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Bollettino ADAPT 22 aprile 2024 n. 16

 

Nei primi mesi del 2024 sono stati rinnovati alcuni tra i contratti collettivi nazionali di categoria più importanti. Terziario di mercato, studi professionali, industria alimentare sono solo alcuni dei settori dove le parti sociali sono intervenute per ridefinire le regole contrattuali e i trattamenti retributivi. Come certificano i dati elaborati grazie alle informazioni contenute nell’archivio nazionale dei contratti collettivi del CNEL il numero complessivo di lavoratori ancora in attesa di rinnovo è oggi di circa 5 milioni (nel 2023 erano circa 7,7 milioni). Entro la fine dell’anno potremo poi registrare ulteriori rinnovi di sistemi contrattuali storici quali quelli dell’industria metalmeccanica, della logistica e del turismo.

 

In molti hanno salutato la sottoscrizione di queste di intese come segno di un rinnovato protagonismo delle parti sociali. In verità la vivacità di questi mesi si pone perfettamente in continuità con le dinamiche della contrattazione collettiva nazionale di categoria degli ultimi anni, dalla ripresa della pandemia in avanti. L’ISTAT, nel suo studio sulle dinamiche retributive contrattuali, registra indubbiamente che il tempo medio di attesa di rinnovo, per i lavoratori con contratto scaduto, è aumentato dai 20,5 mesi di gennaio 2023 ai 32,2 mesi di dicembre 2023. Tuttavia, gli sviluppi della contrattazione collettiva vanno meglio seguiti in termini analitici, tenendo cioè conto delle dinamiche di settore: come attesta il CNEL i servizi di mercato registrano 41,9 mesi di attesa; il settore pubblico 24 mesi; il settore industriale, che non a caso segnala una crescita dell’indice delle retribuzioni contrattuali più alti della media complessiva, si situa sotto la media con un dato pari a 1,8 mesi.

 

Una conferma di queste tendenze si trova anche nel recente Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia, elaborato nell’ambito dell’Osservatorio “fareContrattazione” di ADAPT, che tratteggia le principali tendenze qualitative e quantitative della contrattazione collettiva in Italia nel corso del 2023.

Su un totale di 202 accordi sottoscritti nel 2023 – accordi che risultano depositati al CNEL e che rinnovano oppure aggiornano specifiche clausole di 171 tra CCNL (del settore privato e del settore pubblico) e accordi economici collettivi – sono stati ben 44 i rinnovi contrattuali sottoscritti dalle sole federazioni di categoria di Cgil, Cisl e Uil, per un totale di circa un milione e mezzo di lavoratori coperti, occupati prevalentemente nei settori dell’agricoltura (allevatori, consorzi agrari, consorzi di bonifica dirigenti e dipendenti), della chimica (gomma plastica, vetro, coibentazioni, piccola e media industria chimica), dell’edilizia legno e arredamento (industria legno-arredo e piccole e medie imprese del legno) e del credito. Ben 10 nuove intese sono state poi sottoscritte per regolare il rapporto di lavoro dei dirigenti, nei diversi settori.

 

Entrando nel merito dei contenuti, è sui trattamenti economici che, in una fase di gestione delle pesanti dinamiche inflazionistiche derivanti dalla crisi energetica, si è concentrata prevalentemente l’attività negoziale. Oltre la metà dei rinnovi ha previsto delle quote una tantum per coprire sul piano economico i prolungati – talvolta in modo cronico, come nel caso particolarmente mediatico del contratto collettivo dei servizi fiduciari – periodi di ultra-vigenza dei testi contrattuali previgenti, al fine di garantire almeno in parte il potere di acquisto dei lavoratori. Allo stesso fine sono stati costruiti meccanismi funzionali ad adattare nel tempo le retribuzioni agli andamenti inflattivi, come nel caso della “doppia pista salariale” del CCNL Legno-Arredo, con la quale le parti si impegnando a definire nuovi incrementi contrattuali ogni anno sulla base dell’andamento del dato Ipca generale comunicato dall’ISTAT.

 

Per il resto, è confermata la tendenza, risalente nel tempo ma consolidatasi nel corso dell’ultimo decennio, di una sempre più ampia frammentazione degli istituti retributivi per la quale, anche a fronte di una crescente esigenza di adattare i salari alle caratteristiche delle prestazioni lavorative, ai minimi tabellari si aggiungono indennità di posizione ed elementi aggiuntivi di diverso tipo, multiformi misure di welfare aziendale e diffusi elementi perequativi o di garanzia retributiva che trovano applicazione in tutte le aziende che non hanno una contrattazione collettiva decentrata.

 

Non tutti i rinnovi contrattuali, invece, sono intervenuti sulla parte normativa degli accordi collettivi. Sul punto, le parti sociali si sono limitate per lo più a interagire con le riforme legislative, per esempio sulla materia delle causali dei contratti a termine riformata dal decreto-legge n. 48/2023 (c.d. Decreto Lavoro), convertito in legge n. 85/2023, o a definire nuovi ambiti di flessibilità controllata, per esempio in materia di lavoro stagionale.

 

Episodici sono gli interventi in materia di orario e di organizzazione del lavoro; tematiche rispetto alle quali è riconosciuto un ampio margine di manovra alla contrattazione decentrata che comincia a sperimentare intese sulla c.d. settimana corta o altre forme innovative. Marginale è in questo campo il ruolo della contrattazione nazionale salvo alcune eccezioni, come quella del contratto del credito (sottoscritto il 27 dicembre 2022 ma ratificato nel 2023), in cui viene riconosciuta una riduzione dell’orario di lavoro settimanale di 30 minuti o quella del contratto collettivo dei dipendenti della Siae che introduce in via sperimentale la smart week, cioè la possibilità di svolgere la prestazione lavorativa in quattro giornate lavorative da 9 ore per ogni settimana.

 

Decisamente sullo sfondo, infine, rimangono istituti come quello dell’apprendistato, la cui disciplina collettiva è rimasta invariata in quasi tutti i rinnovi, salvo marginali modifiche a disposizioni di dettaglio (quote di conferma, malattia dell’apprendista, ecc.), e la formazione dei lavoratori, sulla quale non si registrano nuovi modelli di intervento dopo le fughe in avanti di alcuni contratti collettivi (meccanica ed elettrici) che hanno introdotto un diritto soggettivo alla formazione. Così come è stata rimandata nuovamente la revisione dei sistemi di inquadramento e classificazione del personale, rispetto ai quali i rinnovi contrattuali sono intervenuti soltanto per introdurre nuovi profili professionali ed eliminarne di vecchi o per convenire impegni programmatici a riformare la disciplina in futuro.

 

È su questi temi, su cui dovranno misurarsi i rinnovi contrattuali del 2024: i margini di azione sono ancora molto ampi per gli attori della rappresentanza che, per un verso, inseriscono da tempo nelle loro agende negoziali i problemi derivanti dalla transizione digitale e verde e dal diffuso skill mismatch ma che, al contempo, stentano ancora a investire, anche in termini di politica contrattuale, in quei capitoli dei contratti collettivi che più di altri consentirebbero lo sviluppo e la valorizzazione delle competenze professionali necessarie.

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

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*pubblicato anche su Contratti & contrattazione collettiva, n. 18/2024

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/202 – Il rinnovo del CCNL Area Legno – Lapidei: aumenti fino a 191 euro per gli 81mila addetti

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/202 – Il rinnovo del CCNL Area Legno – Lapidei: aumenti fino a 191 euro per gli 81mila addetti

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 22 aprile 2024, n. 16

 

Contesto del rinnovo

 

Nella serata del 5 marzo 2024, Confartigianato Legno e arredo, Confartigianato Marmisti, Cna Produzione, Cna Costruzioni, Casartigiani e Claai con Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal-Uil hanno sottoscritto il rinnovo contrattuale del CCNL Area Legno – Lapidei, scaduto il 31 dicembre 2022.

L’accordo interessa oggi 19.450 imprese e 81.200 lavoratori e si applica ai dipendenti di tutto il settore dell’artigianato e delle Pmi non artigiane iscritte alle associazioni interessate (secondo la declaratoria di cui all’art. 1 CCNL).

 

L’intesa è stata raggiunta solo dopo due settimane di trattativa e, oltre a prevedere alcune disposizioni normative volte a migliorare taluni istituti contrattuali, introduce rilevanti aumenti retributivi, ancor più significativi in quanto arrivano in un momento delicato per l’economia delle famiglie e in un contesto internazionale acuito da fattori di instabilità.

Le modifiche introdotte decorrono dalla data di sottoscrizione dell’accordo, fatte salve alcune specifiche decorrenze previste per singoli istituti, e continueranno a produrre i propri effetti anche dopo la scadenza del 31 dicembre 2026, fino alla data di decorrenza del successivo accordo di rinnovo.

 

Parte economica

 

Con riferimento alla parte economica, l’accordo di rinnovo ha concordato un incremento dei minimi tabellari e degli importi periodici di anzianità, oltre all’erogazione dell’una tantum.

 

In particolare, gli aumenti retributivi sono stati ripartiti per settore di attività, tipologia di azienda e inquadramento dei lavoratori.

 

Nello specifico, per le imprese artigiane del Settore Legno, Arredo, Mobili, è stato stabilito un aumento delle tabelle retributive pari a 180 euro per i dipendenti del livello D (operaio qualificato), da erogarsi in 4 tranches: 55 euro a partire dal 1° marzo 2024, 50 euro dal 1° gennaio 2025, 40 euro dal 1° gennaio 2026 e 35 euro dal 1° ottobre 2026.

 

Per le imprese artigiane del Settore Lapidei, Escavazione, Marmo i minimi tabellari sono stati invece incrementati di 189 euro per i dipendenti inquadrati al 5° livello (operaio qualificato), da suddividersi in 4 parti: 55 euro a partire dal 1° marzo 2024, 50 euro dal 1° gennaio 2025, 40 euro dal 1° gennaio 2026, 44 euro dal 1° ottobre 2026.

 

Quanto alle Pmi industriali che applicano il CCNL Area Legno – Lapidei, infine, sono stati previsti analoghi aumenti. In particolare, per le imprese del Settore Legno, Arredo, Mobili, al livello D (operaio qualificato) è stato previsto un incremento di 181 euro, così ripartiti: 55 euro a partire dal 1° marzo 2024, 50 euro dal 1° gennaio 2025, 40 euro dal 1° gennaio 2026, 36 euro dal 1° ottobre 2026. Per le imprese del Settore Lapidei, Escavazione, Marmo al 5° livello (operaio qualificato), l’aumento è invece di 191 euro, così suddivisi: 55 euro a partire dal 1° marzo 2024, 50 euro dal 1° gennaio 2025, 40 euro dal 1° gennaio 2026, 46 euro dal 1° ottobre 2026.

 

Oltre all’aumento dei minimi tabellari, a copertura dei 15 mesi di carenza contrattuale è stato introdotto un importo lordo una tantum pari a 130 euro lordi, in favore dei soli lavoratori in forza al 5 marzo 2024 e da erogarsi in due soluzioni con le retribuzioni dei mesi di aprile e maggio 2024.

 

L’importo sarà proporzionalmente ridotto in caso di rapporto part time, servizio militare, sospensioni per mancanza di lavoro (FSBA/CIGO) nel periodo interessato. Per gli apprendisti in forza alla data del 5 marzo 2024, l’una tantum verrà erogato nella misura del 70%, secondo le medesime scadenze sopra indicate.

 

L’accordo, infine, a partire dal 1° gennaio 2025, prevede una rivalutazione degli scatti di anzianità pari a 5 euro. Con la medesima decorrenza, per la prima volta, anche i lavoratori assunti con contratto di apprendistato professionalizzante avranno diritto a tali importi, maturati ed erogati con le stesse modalità dei lavoratori qualificati.

 

Parte normativa

 

Dal punto di vista normativo, l’intesa adegua la disciplina del lavoro a tempo determinato alle novità intervenute con il c.d. Decreto Lavoro. In particolare, alla nuova lettera G dell’art. 54 del CCNL, vengono individuate quattro nuove causali che consentono di stipulare, rinnovare o prorogare il contratto a tempo determinato oltre i dodici mesi ed entro la durata massima dei limiti di legge.

 

Inoltre, come risposta al crescente fenomeno delle improvvise dimissioni, il rinnovo interviene sui termini di preavviso in caso di dimissioni degli operai, valevole anche in caso licenziamento, allungando il periodo di preavviso fino a 1 o 2 mesi, a seconda del livello di inquadramento dei lavoratori. Tale previsione offre una riposta a un’esigenza particolarmente sentita dalle imprese negli ultimi anni, consentendo ai datori di lavoro di avere a disposizione un tempo superiore per il reperimento del personale.

 

Il rinnovo ha cercato di migliorare anche le previsioni di legge stabilite per le lavoratrici donne vittima di violenza, riconoscendo ulteriori due mesi di aspettativa richiedibili una volta esaurito il periodo di legge di tre mesi (art. 24 D.lgs. n. 150/2015). Durante questi due aggiuntivi mesi, tali lavoratrici avranno diritto a un’indennità pari al 30% della retribuzione tabellare, interamente a carico del datore di lavoro.

 

Parte obbligatoria

 

Per quanto riguarda la parte obbligatoria, le parti hanno infine previsto l’istituzione di una specifica Commissione che si occuperà di verificare e aggiornare la Classificazione del personale e la normativa contrattuale dell’Apprendistato. Si tratta di una disposizione rilevante per andare incontro alle nuove esigenze di aggiornamento e specializzazione delle competenze richieste dal mercato.

 

Valutazione d’insieme

 

La lunga fase di carenza contrattuale si è chiusa con un rinnovo che ha permesso di fornire un incremento salariale complessivo per il quadriennio del +12% e di migliorare alcuni istituti contrattuali che hanno assunto un’importante rilevanza strategica nella gestione dei rapporti di lavoro.

Le parti datoriali ritengono che la sottoscrizione dell’accordo “rappresenti un concreto segnale della qualità del lavoro nell’artigianato e risulti essere fondamentale per ridare impulso e competitività alle imprese del settore”. Anche le organizzazioni sindacali esprimono positività sul rinnovo, dichiarando di “aver compiuto un passo in avanti importante per gli addetti dei settori, che si vedono riconosciuto un aumento che non aveva mai raggiunto questa entità nell’artigianato”.

 

Elena Zanella

PhD Candidate ADAPT

Università di Siena

@e__zanella