Bollettino ADAPT 10 febbraio 2025, n. 6
La legge regionale della Puglia n. 30 del 21 novembre 2024 rappresenta l’ennesima iniziativa – l’ultima di una lunga serie – promossa dalle regioni e dagli enti locali di introdurre il c.d. salario minimo, dopo l’arresto dei lavori parlamentari per l’approvazione di una legge nazionale in materia. Già lo scorso anno, il Comune di Firenze, attraverso una delibera, aveva stabilito che gli operatori economici aggiudicatari di un appalto presso l’ente, avrebbero dovuto corrispondere ai propri dipendenti un “un trattamento economico minimo inderogabile pari a 9 euro l’ora” (cfr. G. Piglialarmi, Retribuzione e appalti pubblici: alcune considerazioni sulla recente “rivolta” dei Comuni, in Bollettino ADAPT 25 marzo 2024, n. 12). All’iniziativa dell’ente fiorentino, era seguita quella del Comune di Napoli e del Comune di Bacoli. L’ente, in quest’ultimo caso, aveva imposto ai titolari di una concessione demaniale o di uno stabilimento balneare di assicurare ai bagnini e ad altri loro dipendenti un salario di almeno 9 euro l’ora (cfr. G. Piglialarmi, M. Tiraboschi, Salario minimo: la piccola rivolta e la grande ipocrisia dei Comuni, in Bollettino ADAPT 8 aprile 2024 n. 14).
Non dissimile è il contenuto della legge della regione Puglia, il cui obiettivo è quello di tutelare la «retribuzione minima salariale» dei lavoratori nell’ambito dei contratti pubblici (inclusi i contratti di appalto) che l’ente stipulerà con gli operatori economici privati (art. 1). A questo scopo, la legge n. 30 del 2024 prevede che oltre alla regione, anche «le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le Sanitaservice, le agenzie regionali e tutti gli enti strumentali regionali» che vogliano appaltare opere e servizi alle imprese private, devono verificare «che i contratti [collettivi, ndr] indicati nelle procedure di gara prevedano un trattamento economico minimo inderogabile pari a nove euro l’ora» (art. 2).
Dopo una prima fase di “inerzia”, il Governo ha deciso di porre un freno a queste iniziative: nelle scorse settimane, infatti, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli, ha deciso di deliberare l’impugnazione della legge regionale della Puglia, ritenendole in contrasto con l’art. 97 e l’art. 117 della Costituzione.
Si tratta dell’inizio di un epilogo che avevamo già paventato lo scorso anno, quando diversi comuni italiani avevano incominciato ad adottare simili iniziative allo scopo di dare seguito alla proposta legislativa di introdurre un salario minimo legale pari a 9 euro l’ora (v. sempre G. Piglialarmi, Retribuzione e appalti pubblici: alcune considerazioni sulla recente “rivolta” dei Comuni, in Bollettino ADAPT 25 marzo 2024, n. 12). In quel frangente, fu messo in evidenza proprio che simili iniziative potevano collidere con la Carta costituzionale poiché la regolamentazione del rapporto di lavoro rientra nella esclusiva potestà legislativa dello Stato (art. 117 Cost.). Peraltro, le disposizioni del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36 del 2023) non conferisce alcun potere agli enti pubblici concedenti/contraenti di stabilire ulteriori garanzie e condizioni in materia di lavoro oltre a quelle previste dalla legge. In altri termini, dunque, gli enti devono solo limitarsi a verificare che l’operatore economico rispetti quanto previsto dall’art. 11 del d.lgs. n. 36 del 2023 (e cioè l’applicazione di un CCNL sottoscritto da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente; in alternativa, che il CCNL prescelto dall’operatore economico presenti delle tutele economiche e normative equivalenti al CCNL indicato nel bando di gara). Occorrerà monitorare, dunque, la conclusione alla quale perverrà l’autorità giudiziaria competente in materia.
Ricercatore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
ADAPT Senior Fellow