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Conciliazioni sindacali (anche) “da remoto”: brevi note su un recente accordo sottoscritto a Treviso

Conciliazioni sindacali (anche) “da remoto”: brevi note su un recente accordo sottoscritto a Treviso

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

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Bollettino ADAPT 28 ottobre 2024 n. 38

 

Il 22 ottobre 2024 è stato sottoscritto a Treviso un accordo collettivo territoriale «per l’individuazione delle sedi e delle modalità per le conciliazioni delle controversie di lavoro (artt. 411 e 412-ter c.p.c.)», anche qualora queste si svolgano “da remoto”. Firmatari dell’accordo risultano essere la Confindustria Veneto Est e le confederazioni sindacali locali CgilCisl e Uil. Scopo dell’accordo è quello di «individuare le sedi e le modalità idonee alla stipulazione di conciliazioni individuali in materia di lavoro» in sede sindacale, al fine di sottrarre gli accordi conciliativi dal regime di impugnazione previsto dall’art. 2113, comma 2 c.c. (come prevede espressamente l’art. 2113, comma 4 c.c.).


 
L’interesse a definire e individuare con un accordo collettivo quali siano gli spazi che possono essere intesi alla stregua di una “sede sindacale” – competenza che sulla materia la contrattazione ha per espressa delega della legge (art. 412-ter c.p.c.) – è dettato da (non meglio precisate) «ragioni organizzative e logistiche». L’accordo prevede espressamente che per “sede sindacale” deve intendersi «qualunque luogo e/o locale», inclusi i locali dell’impresa, o quelli dell’associazione datoriale firmataria, «che sia concordemente individuato quale sede di stipulazione della conciliazione da parte del lavoratore, dell’organizzazione sindacale che lo assiste, del datore di lavoro e di Confindustria Veneto Est», se coinvolta.


 
Inoltre, l’accordo prevede espressamente che la conciliazione si intenderà validamente stipulata ai sensi dell’art. 2113, comma 4 c.c. “in sede sindacale” anche quando questa «sia conclusa in modalità “da remoto”, ovvero per il tramite di piattaforme telematiche che mettano in contatto le parti non fisicamente presenti in uno stesso locale, purché tali piattaforme consentano la identificabilità delle parti stesse».


 
Infine, l’accordo definisce alcuni requisiti che la conciliazione in sede sindacale deve presentare ai fini della produzione degli effetti di cui all’art. 2113, comma 4 c.c. (cioè l’inoppugnabilità) tra i quali: a) l’effettiva assistenza da parte del sindacalista affinché il lavoratore, una volta reso consapevole del contenuto dell’accordo, sia messo in condizione di poter valutare l’opportunità di sottoscrivere il verbale di conciliazione; b) la contestuale presenza del sindacalista nel medesimo luogo in cui si trova il lavoratore al momento della conciliazione, anche quando questa si svolga da remoto; c) la necessità di dare atto nel verbale di conciliazione della consapevolezza da parte del lavoratore del luogo prescelto per negoziare l’accordo di conciliazione e della assistenza sindacale ricevuta; d) nel caso di conciliazioni da remoto, è necessario che il verbale sia sottoscritto dalle parti «tramite firma autografa su copia analogica» dell’accordo condiviso tramite scansione, escludendo così la possibilità di poter utilizzare la firma digitale certificata.


 
L’accordo territoriale solleva inevitabilmente alcuni interrogativi, non solo per diversi aspetti legati al suo contenuto ma anche perché sottoscritto nel bel mezzo dell’iter parlamentare riguardante il DDL Lavoro n. 1532-bis che tra le tante cose detta anche una specifica disposizione per le conciliazioni da remoto (cfr. G. Piglialarmi, N. Serrani, Le conciliazioni in materia di lavoro: le novità del DDL Lavoro, in Bollettino speciale ADAPT 18 ottobre 2024, n. 5).


 
Procedendo con ordine, un primo nodo che la prima lettura dell’accordo solleva riguarda l’efficacia soggettiva dello stesso: per espressa volontà delle parti, questo si applica «senza limiti di tempo, alle conciliazioni tra lavoratori che siano assistiti da funzionari delle organizzazioni sindacali» sottoscriventi e «datori di lavoro associati a Confindustria Veneto Est» o assistiti comunque da quest’ultima. Dunque, il presupposto per poter invocare il rispetto delle modalità conciliative stabilite in questo accordo è che le parti diano mandato di farsi assistere alle organizzazioni sindacali (dei lavoratori e dei datori di lavoro) sottoscriventi.


 
Viene da chiedersi, però, come si concilia il contenuto di questo accordo territoriale – che legittimamente si inserisce in uno spazio regolativo che la legge demanda all’autonomia collettiva (art. 412-ter c.p.c.) – con le specifiche previsioni dei CCNL sottoscritti dalle federazioni di categoria aderenti a Confindustria e le rispettive federazioni sindacali dei lavoratori di categoria aderenti alle tre confederazioni Cgil, Cisl e Uil. A titolo di esempio, l’art. 80 del CCNL Industria Alimentare (codice E012) prevede espressamente che in caso di controversia tra le parti inerente allo svolgimento del rapporto di lavoro, queste dovranno obbligatoriamente sottoporre la questione «a commissioni costituite dalle strutture territoriali di Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil» con la collaborazione delle associazioni datoriali per espletare il tentativo di conciliazione in sede sindacale prima di adire l’autorità giudiziaria.


 
Lasciando da parte la questione relativa al fatto che il CCNL ritenga ancora sussistere un obbligo che non è più tale per la legge (art. 410 c.p.c.), trattandosi solo di una facoltà salvo i casi espressamente previsti – aspetto, questo, che pure meriterebbe qualche riflessione – il CCNL Industria Alimentare individua una specifica commissione territoriale presso la quale esperire il tentativo di conciliazione; commissione, peraltro, che deve essere costituita e gestita da federazioni di categoria (datoriali e sindacali) e non a livello confederale-territoriale. Da questo punto di vista, dunque, si pone un problema di carattere endo-sindacale poiché occorre comprendere se un lavoratore e un’impresa dell’industria alimentare operanti a Treviso e che applicano al rapporto di lavoro il CCNL E012, possano conciliare seguendo l’iter stabilito nel CCNL dalle federazioni di categoria o quello definito nell’accordo territoriale sottoscritto dalle confederazioni sindacali.


 
Il problema potrebbe essere affrontato prendendo le mosse da diversi punti di vista. Per un verso, l’accordo territoriale potrebbe essere applicabile in via residuale, cioè laddove i CCNL ricadenti nel sistema contrattuale di Confindustria non contemplino una specifica disciplina al riguardo. Diversamente, laddove il CCNL applicato nell’impresa detti una specifica disciplina – come nel caso sopra richiamato – le modalità conciliative stabilite dall’accordo territoriale non possono avere alcun seguito, salva l’ipotesi in cui si inquadri il suddetto accordo territoriale nel prisma della contrattazione di prossimità (art. 8 del d.l. n. 138/2011). Come è noto, gli accordi di prossimità – che possono essere sottoscritti sia a livello aziendale che territoriale – possono dettare specifiche disposizioni legate ad alcuni aspetti del rapporto di lavoro, anche in deroga alla legge o al CCNL, purché siano espressamente individuati nel testo dell’accordo – oltreché la volontà di avvalersi di un accordo ex art. 8 – alcuni obiettivi da raggiungere o esigenze da soddisfare.


 
Da questo punto di vista, se l’accordo territoriale interviene su una “materia” che può essere oggetto di un contratto di prossimità (perché inerisce gli aspetti legati, sia pure non direttamente, al recesso dal rapporto di lavoro; cfr. art. 8, comma 2, lett. e) del d.l. n. 138/2011), risulterebbe però assente il riferimento alla disposizione normativa e anche scarsamente motivato sotto il profilo delle esigenze che giustificano una simile pattuizione nel territorio di Treviso (evocare, infatti, una non meglio precisata “ragione logistica” sarebbe poca cosa rispetto ad una giustificazione molto più pregnante che la consolidata giurisprudenza in materia richiede ai fini della legittimità dell’accordo di prossimità).


 
Un altro aspetto controverso riguarda la possibilità di considerare come “sede sindacale” anche i locali aziendali, previo accordo tra le parti e le organizzazioni sindacali. Anche in questo caso, si pone un grosso interrogativo: come si concilia questa scelta delle parti sindacali rispetto a quella “austera” giurisprudenza che ritiene la conciliazione conclusa presso i locali aziendali impugnabile, nonostante questa sia avvenuta in presenza del sindacalista (salvo prova contraria fornita dal datore di lavoro)? Proprio di recente, infatti, è stato escluso che la sede aziendale possa assurgere a “sede protetta” per espletare un tentativo di conciliazione e sottoscrivere un accordo ex art. 2113, comma 4 c.c. giacché questa non ha «il carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente alla assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore» (Cass. Civ. Sez. Lav. 15 aprile 2024, n. 10065). In altri termini, il fatto che l’art. 412-ter c.p.c. abiliti la contrattazione a definire “sedi” e “modalità” della conciliazione in sede sindacale, non si tradurrebbe in una sorta di “delega in bianco” per cui il contratto o l’accordo collettivo possa poi “eleggere” qualsiasi luogo a sede sindacale. L’approccio del formante giurisprudenziale sembra prediligere, invece, una interpretazione molto più restrittiva, nel senso che il contratto collettivo può definire quali siano le sedi sindacali presso le quali esperire il tentativo di conciliazione purché queste siano idonee a non condizionare la libertà decisionale del lavoratore.


 
Last but not least, viene da chiedersi come si coordinino le disposizioni dell’accordo territoriale relative alle conciliazioni “da remoto” con l’art. 20 del DDL Lavoro che, oltre ad abilitare anche le sedi sindacali a ricorrere alle conciliazioni telematiche, affida ad un decreto ministeriale la competenza a stabilire «le regole tecniche per l’adozione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione» nelle conciliazioni in materia di lavoro che si svolgeranno “a distanza”. Da un lato, è opportuno specificare che ad ora le modalità definite nell’accordo sindacale trevigiano sono ancora del tutto valide ed efficaci posto che l’art. 20, comma 4 del DDL fa salve le modalità e le prassi vigenti fino all’emanazione del decreto ministeriale, che dovrà avvenire nei 12 mesi successivi all’entrata in vigore del DDL. Dall’altro, è pur vero che l’accordo collettivo territoriale registra l’impegno delle parti a modificare l’articolato nel caso di «interventi normativi o giurisprudenziali» riguardanti l’oggetto dell’accordo.


 
Tuttavia, giova precisare che a fare da sfondo a tutti gli aspetti tecnico-giuridici sopra accennati vi sarebbe la volontà dell’autonomia collettiva di voler cominciare a regolare una prassi già molto diffusa  quella delle conciliazioni da remoto, appunto – allo scopo di definire delle misure di garanzia in favore del lavoratore e, allo stesso tempo, fornire maggiori rassicurazioni per le imprese circa la inoppugnabilità dei verbali di conciliazione sottoscritti attraverso la modalità telematica. In questo senso, l’accordo territoriale può essere inteso come un primo passo verso la regolazione di una procedura (tendenzialmente) rispettosa dei principi giurisprudenziali in materia, onde evitare che tutto venga lasciato all’informalità con non poche conseguenze sulla validità delle conciliazioni in sede sindacale (per alcuni rilievi critici sulle conciliazioni da remoto e i relativi rischi di impugnabilità, sia consentito il rinvio a G. Piglialarmi, Contributo allo studio della certificazione nei rapporti di lavoro, ADAPT University Press, 2024, cap. V).


 
Giovanni Piglialarmi

Ricercatore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

ADAPT Senior Fellow

@Gio_Piglialarmi

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/170 – CCNL ormeggiatori e barcaioli, verso il rilancio della portualità nel Paese

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 4 settembre 2023, n. 29

 

Contesto del rinnovo

 

In data 31 maggio 2023, presso la sede di Roma dell’Associazione Nazionale Gruppi Ormeggiatori e Barcaioli dei Porti Italiani, Angopi, è stato sottoscritto il verbale di accordo di rinnovo contrattuale del CCNL per gli Ormeggiatori e Barcaioli dei Porti Italiani, che avrà decorrenza, sia per la parte normativa che per quella economica, dal 1° luglio 2022 e scadrà il 30 giugno 2025. Per la parte datoriale il verbale è stato sottoscritto da Angopi, Legacoop Produzione e Servizi e Confcooperative Lavoro e Servizi, mentre per la parte sindacale hanno firmato l’intesa Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti.

 

Sin dalla premessa emerge con chiarezza l’obiettivo primario che le parti intendono perseguire, ovvero il rilancio della portualità nel Paese, mediante anche la promozione di tutti quegli interventi che risultano funzionali a favorire la transitabilità nautica e un sicuro stato dell’ormeggio alle unità presenti nel porto.

In continuità poi con gli interventi normativi interceduti a stimolo della qualificazione professionale degli ormeggiatori, le parti si propongono di prevedere strumenti che siano necessari per assicurare la formazione continua obbligatoria prevista, anche in vista del conseguimento del certificato di competenza richiesto.

I sottoscrittori, inoltre, nell’ambito di una specifica dichiarazione a verbale puntualizzano, considerata l’esecuzione del codice della navigazione e l’esigenza di rinnovo del CCNL di categoria, il loro impegno ad incontrarsi successivamente, al fine di riesaminare complessivamente il CCNL, con particolare attenzione verso gli artt. 7,12,13 del CCNL ad oggetto.

 

È opportuno infine specificare che in allegato all’accordo di rinnovo è presente un protocollo sul personale dipendente amministrativo e tecnico dipendente delle società cooperative, nonché di Angopi, Fondormoli e dell’ente bilaterale, volto a riconoscere a tali figure un trattamento di miglior favore, fermo restando il trattamento economico e normativo derivante dal CCNL loro applicato. Tra le novità prospettate su questo punto, si ricordano: quelle in materia di adeguamento economico, con un incremento rispetto ai minimi; un programma di formazione che parta dal fabbisogno formativo individuato e a seguire la programmazione e l’avvio di corsi di formazione specifici; il riconoscimento dell’indennità di trasferta, delle specifiche tutele sanitarie previste dal CCNL e l’applicazione anche per tale categoria di lavoratori, dell’art. 40 in materia di previdenza complementare.

 

Parte economica

 

Entrando nel merito dei contenuti, e partendo dalla parte economica del rinnovo, l’art. 13 del CCNL, rubricato “Retribuzioni” elenca il valore dei minimi conglobati mensili per ormeggiatori e barcaioli iscritti nei Registri, con applicazione dal 1°luglio 2023. In seguito al rinnovo, per il primo livello, considerato un parametro di 180 l’importo del minimo conglobato dal 1°luglio 2023 è 1.721,59 euro, per il secondo livello ammesso un parametro di 170 il minimo è 1.651,99 euro e infine per il terzo livello, considerato un parametro di 160 il minimo è 1.586,88 euro.

 

Viene inoltre specificato che le società cooperative per il periodo luglio-dicembre 2022 e gennaio-giugno 2023 hanno già riconosciuto ai rispettivi lavoratori importi complessivi non inferiori all’aumento contrattuale individuato una tantum e/o adeguamenti della indennità operativa e/o di disponibilità.

 

È inoltre previsto un incremento dell’importo aziendale da destinarsi alla Previdenza Complementare, in caso di adesione esplicita dei lavoratori al fondo di riferimento di settore. Nel nuovo art. 40 viene infatti stabilito che il versamento datoriale, originariamente previsto all’1%, passerà ad un importo del 2%.

 

Parte normativa

 

Per quanto riguarda la parte normativa, la prima novità che si riscontra è riportata all’art. 11 rubricato “Lavoro a turni, lavoro supplementare e lavoro straordinario”, che di fatto si apre statuendo una incompatibilità tra l’attività di ormeggiatore/barcaiolo con qualsiasi altra professione o mestiere.

 

Le parti poi, rivolgendosi alle società cooperative, precisano che, qualora sia erogata la maggiorazione convenzionale e forfettaria nella misura del 55% ed anche l’indennità operativa e di disponibilità, sarà possibile impiegare gli ormeggiatori/barcaioli in turni giornalieri con riposo settimanale pari a sei giorni con un impiego massimo di 8 ore giornaliere. In caso di lavoro eccedente il limite stabilito, questo verrà retribuito come straordinario, secondo le specifiche percentuali indicate nel CCNL (feriale 15%; festivo e notturno feriale 20%; notturno festivo 25%).

 

Inoltre, qualora i lavoratori prestino la propria attività in un giorno festivo viene loro riconosciuto un giorno di riposo in un periodo di sette giorni e la compensazione della maggiore gravosità del lavoro reso in un giorno festivo, pari ad un’indennità del 30% della retribuzione oraria, utile ai fini del calcolo della 13°, della 14° mensilità e del TFR.

In aggiunta a questo, per quanto riguarda la gestione e regolazione del turno giornaliero la disposizione rinvia espressamente alle indicazioni e agli standard forniti dall’Autorità marittima.

 

Nell’articolo 27, dedicato al contratto a tempo determinato, le parti puntualizzano che i rapporti di lavoro di questo tipo non potranno avere una durata inferiore a 30 giorni e non superiore a 24 mesi estendibili a 36 mesi esclusivamente per le esigenze di cui all’art. 24 del d.l. n. 48/2023.

 

Il nuovo articolo 45, volto a regolare le assenze dal lavoro a fronte di particolari esigenze (es. maternità, paternità, funzioni pubbliche)  si apre invece con una premessa, in cui si ribadisce la necessità di contemperare il diritto dei lavoratori alla fruizione dei permessi previsti per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone portatrici di handicap e per la tutela e sostegno della maternità e paternità, con i particolari obblighi che gravano sulle società cooperative, in relazione alla natura del servizio prestato. Le assenze da lavoro, dunque, per una delle motivazioni sopra esposte devono essere concordate con il Presidente/ Capo Gruppo con congruo anticipo, al fine di non pregiudicare il regolare svolgimento del servizio. Laddove poi ci fossero difficoltà nell’organizzazione dei turni la società cooperativa potrà richiedere all’autorità marittima il ricorso a personale a tempo determinato e al riguardo si attiveranno anche congiuntamente presso la competente direzione generale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti affinché le indicazioni ministeriali in materia di utilizzo di personale a tempo determinato tengano conto delle previsioni contrattuali in materia.

 

L’art. 26 infine chiarisce con riferimento all’istituto della mobilità, la funzione dei bandi indetti e la copertura degli stessi.

 

Valutazione d’insieme

 

Dall’analisi del presente verbale di accordo emerge, sicuramente, il lavoro svolto dalle parti nel perseguire una più ampia sicurezza all’interno dei porti e al tempo stesso una formazione specifica, fortemente incrementata rispetto al passato, rivolta a coloro che sono personalmente impegnati nei ruoli di ormeggiatori e barcaioli, principalmente in un’ottica di prevenzione dei rischi.

L’incremento dei minimi, del versamento previsto per la previdenza complementare e anche per le eventuali ore di lavoro durante le festività o quelle eccedenti l’orario di lavoro normale segnala inoltre la volontà di favorire alcuni specifici miglioramenti del trattamento economico, globalmente inteso.

Particolare attenzione è stata infine posta nei confronti del personale amministrativo e tecnico, al quale viene di fatto dedicato un paragrafo, per la complessiva efficienza del servizio prestato.

 

Cecilia Catalano

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena

@ceci_catalano

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/126 – La correlazione tra flessibilità oraria e work/life balance nel nuovo Accordo di Banca Ifis S.p.A.

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 17 ottobre 2022, n. 35

 

Oggetto e tipologia di accordo

 

I cambiamenti verificatisi in ambito socio-economico quale conseguenza diretta della pandemia da Covid-19 hanno contribuito alla diffusione di modelli organizzativi aziendali flessibili, funzionali all’accrescimento della competitività delle imprese e al benessere dei lavoratori. Ne è un chiaro esempio il nuovo contratto collettivo di secondo livello siglato lo scorso 18 marzo da Banca Ifis S.p.A. a Venezia Mestre, dal quale emerge in maniera chiara l’obiettivo dell’Azienda di favorire una migliore conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro dei dipendenti.

 

Il mezzo individuato a tale scopo è un sistema di flessibilità oraria, che sia coordinato con le esigenze tecnico-organizzative delle singole filiali, ma, al tempo stesso, quanto più vicino ai bisogni dei lavoratori, così da migliorare la loro qualità della vita.

 

Parti firmatarie e contesto

 

L’accordo è entrato in vigore il 4 aprile 2022 e vede come parti contraenti, oltre alla società già menzionata, le RSA assistite dalle rispettive Segreterie provinciali competenti di FABI, FIRST CISL, FISAC CGIL e UILCA.

 

Vi è da aggiungere che il contratto è stato sottoscritto da Banca Ifis S.p.A. anche in qualità di Capogruppo del Gruppo Banca Ifis, quindi in rappresentanza di tutte le società collegate e, pertanto, si applica anche a tutti i dipendenti inquadrati nelle categorie delle Aree Professionali e dei Quadri Direttivi di Ifis Npl Investing S.p.A., Ifis Npl Servicing S.p.A., Ifis Real Estate S.p.A., Ifis Rental Services Srl, Credifarma S.p.A. e Ferbanca S.p.A..

 

Si segnala un espresso rinvio alle disposizioni del CCNL Credito siglato il 31 marzo 2015 (rinnovato con accordo del 19 dicembre 2019), integrando quindi quanto stabilito dall’art. 108 dello stesso, il quale ha come oggetto proprio la flessibilità dell’orario contrattuale.

 

Temi trattati / punti qualificanti / elementi originali o di novità

 

Il sistema di flessibilità oraria in entrata e in un’uscita dal luogo di lavoro è strutturato attraverso diverse modalità, che incidono su differenti fasi della giornata di lavoro.

 

Riassumendo in punti salienti l’accordo, emerge che è riconosciuta la possibilità a ciascun lavoratore di anticipare fino ad un’ora l’ingresso in azienda e di posticipare fino ad un’ora e mezza l’uscita, rispetto all’orario standard previsto dal contratto, ossia 9.00/13.00 – 14.00/17.30, ferma la prestazione lavorativa giornaliera di 7,5 ore.

 

La fascia di flessibilità “estesa”, così come richiesta dal lavoratore, va concordata con il Responsabile diretto della unità operativa di appartenenza, il cui compito è di stilare una pianificazione mensile, che tenga conto delle istanze di tutti i dipendenti. Per tale motivo è necessario che la fascia di flessibilità “estesa” non sia individuata occasionalmente.

 

Tuttavia, la pianificazione può poi essere modificata di comune accordo tra il Responsabile e il Dipendente; quest’ultimo, in particolare, ha la facoltà di anticipare ulteriormente di 30 minuti l’orario di ingresso, sempre nel rispetto dell’orario standard, e potrà fruire per un solo giorno a settimana di una flessibilità in uscita tale da poter limitare la propria prestazione lavorativa giornaliera a non meno di 5 ore, per poi recuperare la differenza, rispetto alle 7,5 previste da contratto, nell’arco della stessa settimana.

Il Responsabile invece, qualora esigenze tecnico-organizzative o produttive aziendali lo richiedano, potrà richiedere la presenza in servizio (anche da remoto) dei propri lavoratori in flessibilità, nella fascia di orario standard, con almeno un giorno di preavviso.

 

Il contratto stabilisce inoltre alcune deroghe al predetto sistema di flessibilità oraria.

Mentre i turnisti e gli addetti ai call center sono totalmente esclusi dal novero dei lavoratori che possono richiedere la flessibilità oraria, i lavoratori part-time potranno usufruire unicamente di una elasticità di 15 minuti in ingresso. Ulteriori deroghe sono previste nelle giornate semifestive, in cui il dipendente dovrà rispettare l’orario standard giornaliero, seppur relativo solo al mattino, e in caso di missione/servizio che si protragga per l’intera giornata.

 

Vi è poi possibilità di revoca, nel caso in cui il cambio di mansione o di unità organizzativa dovesse risultare incompatibile con l’applicazione della flessibilità oraria.

 

Si segnala, infine, che tale accordo ha natura sperimentale, per cui, prima della sua scadenza prevista per il 31 dicembre 2023 le parti contraenti valuteranno le eventuali condizioni finalizzate al rinnovo.

 

Valutazione d’insieme

 

Dall’analisi dell’accordo emerge in maniera chiara l’attenzione delle parti verso le esigenze dei lavoratori, tenuto conto dell’ampia discrezionalità riconosciuta in ordine alla richiesta di flessibilità oraria.

 

L’azienda, nella veste del Responsabile, si occupa principalmente di mantenere la struttura organizzativa in essere e si propone di intervenire esclusivamente al sopraggiungere di esigenze improrogabili, impegnandosi a mantenere un equilibrio tra i bisogni dei lavoratori e quelli dell’azienda.

 

L’introduzione di questa nuova forma di flessibilità nell’organizzazione del lavoro, al pari del lavoro agile, rappresenta, in definitiva, uno strumento ritenuto utile a rilanciare la produttività dell’impresa e, al contempo, favorire una maggiore conciliazione vita-lavoro.

 

Simona Contaldi

Consulente previdenziale

@SimonaContaldi

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/123 – La tutela dei dati dei lavoratori (e non solo) in Santander Consumer Bank S.p.A.

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 10 ottobre 2022, n. 34

 

Oggetto e tipologia di accordo

 

Lo scorso 8 settembre 2022 è stato siglato con FABI e Fisac-CGIL il verbale di accordo per l’introduzione e l’implementazione, in Santander Consumer Bank S.p.A., di un sistema di “Data Loss Prevention” (di seguito DLP) per ragioni di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio informatico e informativo aziendale, al fine di individuare e prevenire l’indebita diffusione di dati riservati che la banca elabora nello svolgimento della propria attività.

 

Parti firmatarie e contesto

 

La ragione per cui si è reso necessario stipulare tale accordo deriva dalla procedura prevista ai sensi dell’art. 4 Stat. Lav. secondo la quale gli strumenti dai quali derivi anche soltanto la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori debbano essere installati previo accordo collettivo stipulato, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

 

L’esigenza di dotarsi di un sistema di DPL nasce dal mutato contesto tecnologico della quarta rivoluzione industriale (c.d. Industria 4.0), caratterizzato dalla presenza di sistemi di intelligenza artificiale che permettono, di fatto, la raccolta, oltre che l’elaborazione, di grandi volumi di dati, in tempi molto ridotti. Infatti, l’impresa oggi è caratterizzata da una maggiore immaterialità rispetto al passato, proprio per il fatto che riesce a produrre valore aggiunto a partire dai dati ottenuti oltre che dai lavoratori, anche dai clienti, dai fornitori e, più in generale, da soggetti terzi che si relazionano con questi.

 

La stessa Santander Consumer Bank S.p.A., nello svolgimento delle proprie attività, elabora e archivia rilevanti quantità di informazioni riservate tra cui quelle di identificazione personale, dati bancari e informazioni riferite alle transazioni eseguite dalla clientela, dati di fornitori\terze parti coinvolte a vario titolo nella gestione di porzioni, anche significative, di processi di business nonché dati di rilevanza strategica. L’aumento del volume di dati digitali e della diversificazione di applicazioni e di piattaforme utilizzate consentono una capillare diffusione dei dati che ne rendono però difficile e complesso il controllo e la gestione.

 

Le Parti hanno pertanto riconosciuto la necessità di esperire la procedura prevista dal comma 1 dell’art. 4 Stat. Lav. al fine di installare una sistema di DLP volto ad evitare la perdita di dati aziendali, ivi inclusi quelli dei propri clienti, dipendenti e terze parti, e il trasferimento non autorizzato di informazioni riservate tramite browser web, servizi di posta elettronica, dispositivi di archiviazione e dispositivi di stampa.

 

Temi trattati / punti qualificanti / elementi originali o di novità

 

L’accordo oggetto di analisi contiene diversi punti di originalità e novità, facendo quasi da “apri pista” per le imprese del nostro Paese nell’adozione di sistemi di Data Loss Prevention che dovrebbero ormai far parte integrante dei programmi di sicurezza aziendale, in quanto necessari a proteggere il prezioso patrimonio informativo.

 

L’adozione di misure di sicurezza, con specifico riferimento al trattamento dei dati, si inserisce nel più ampio disegno normativo dettato dal GDPR, in particolare, all’art. 32, secondo cui, il titolare del trattamento dei dati e il responsabile del trattamento devono mettere in atto misure tecniche e organizzative volte a garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio, tenuto conto dello stato dell’arte e dei costi di attuazione, nonché della natura, del campo di applicazione, del contesto e delle finalità del trattamento, come anche del rischio di varia probabilità e gravità per i diritti e le libertà delle persone fisiche. Tra le misure, il legislatore europeo individua la pseudonimizzazione e la cifratura dei dati personali; la capacità di assicurare la continua riservatezza, integrità, disponibilità e resilienza dei sistemi e dei servizi che trattano i dati personali; la capacità di ripristinare tempestivamente la disponibilità e l’accesso dei dati in caso di incidente fisico o tecnico; una procedura per provare, verificare e valutare regolarmente l’efficacia delle misure tecniche e organizzative al fine di garantire la sicurezza del trattamento.

 

Difatti, solo un sistema dotato di misure di sicurezza tali da evitare la perdita dei dati trattati può essere in grado di eludere eventi di data breach, ossia di violazione di dati personali, che comporta accidentalmente o in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l’accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati.

 

Proprio in questo contesto la Santander Consumer Bank S.p.A. ha deciso di introdurre ed implementare il sistema di controllo di DLP per prevenire, monitorare e bloccare l’eventuale esfiltrazione non autorizzata di dati aziendali, ivi inclusi i dati personali dei propri clienti, dipendenti e, in generale, di terze parti, tramite un sistema di “alert” in grado di riconoscere un potenziale rischio di perdita di dati. Nel caso in cui il sistema abbia innescato un “alert” a seguito di una operazione svolta da un utente, quest’ultimo sarà tenuto a fornire prontamente spiegazioni al proprio Responsabile.

 

Appare evidente come la finalità perseguita dalle Parti con l’adozione di tale sistema sia proprio quella di monitorare e controllare i canali browser web, posta elettronica, endpoint (pc, stampanti, smartphone), dispositivi di archiviazione e Cloud per ragioni di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio informatico e informativo aziendale previste dall’art. 4, comma 1, Stat. Lav.

 

Di particolare rilievo, peraltro, è la comune decisione delle Parti di indicare nell’accordo che il sistema di DLP non comporta, ovviamente, alcuna forma di controllo a distanza e\o monitoraggio dell’attività lavorativa e che, in deroga a quanto previsto dal comma 3 dell’art. 4 Stat. Lav., i dati registrati dal sistema non sono utilizzabili ai fini della valutazione professionale dei lavoratori, né per l’adozione di provvedimenti disciplinari nei loro confronti, a meno che dagli accertamenti risulti un comportamento doloso o gravemente colposo o adottato in violazione di specifiche normative regolamentari, contrattuali e\o di legge.

 

L’accordo prevede, inoltre, l’impegno per la Banca ad informare i lavoratori in ordine al sistema di DLP e al suo funzionamento, consegnando agli stessi una specifica informativa sul trattamento dei dati personali redatta in conformità a quanto previsto dall’art. 13 GDPR, nonché tramite adeguate comunicazioni di sensibilizzazione sui temi afferenti alla corretta gestione delle informazioni processate dalla Banca.

 

Infine, le Parti stabiliscono un periodo iniziale di osservazione, della durata di tre mesi, durante il quale vengono sospesi temporaneamente gli effetti disciplinari, fatti salvi i casi di dolo, e si impegnano, altresì, a svolgere, con cadenza annuale, un incontro di verifica per valutare gli effetti della applicazione del sistema e dell’evoluzione normativa.

 

Valutazione d’insieme

 

Com’è noto, nell’ultimo ventennio, le strumentazioni informatiche e telematiche sono diventate connaturate al processo produttivo industriale, rendendo potenzialmente esperibile, in un ampio novero di circostanze, il controllo dell’attività lavorativa e dell’utilizzo dei dati, rispetto alle situazioni eccezionali alle quali si riferiva l’originario dettato normativo dell’art. 4 Stat. Lav..

 

I nuovi processi industriali generano di fatto un gigantesco flusso di informazioni non gestibili dai database tradizionali, e rendendo quindi necessaria l’adozione da parte delle aziende di sistemi in grado di garantire un livello di sicurezza adeguato al fine di evitare l’utilizzo illegittimo di dati o la perdita degli stessi (proprio come i sistemi di DLP).

 

Non è affatto scontato che l’azienda e le OOSS riescano a raggiungere accordi collettivi ai sensi dell’art. 4 Stat. Lav. come quello oggetto di analisi. Spesso, anzi, si rinviene il punto di caduta nel momento in cui ci si trova a negoziare in merito all’utilizzabilità – per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro – dei dati raccolti dai sistemi informatici che possono generare conseguenze, talvolta anche spiacevoli, nei confronti dei lavoratori. Da ciò deriva la necessità di assicurare ai lavoratori una maggiore tutela che può essere garantita solo attraverso il dialogo sociale al fine di adottare soluzioni collettive per la tutela dei diritti dei lavoratori che sempre più spesso sono soggetti ad una potenziale sorveglianza tecnologica sul luogo di lavoro.

 

Un ruolo di rilievo viene assunto proprio dalla contrattazione collettiva, strumento essenziale per migliorare la condizione di lavoro e assicurare la corretta applicazione della normativa lavoristica, fermo restando il bilanciamento con quelli che sono gli interessi che l’azienda intende perseguire.

 

Per tale motivo, oggi più che mai, le OOSS devono essere in grado di integrarsi nel nuovo modo di produzione dell’Industria 4.0, acquisendo competenze e conoscenze connesse ai sistemi di Intelligenza Artificiale, all’elaborazione dei dati e al trattamento degli stessi, al fine di migliorare le condizioni di lavoro e tutelare i lavoratori da possibili trattamenti illeciti dei propri dati.

 

È proprio questo l’obiettivo che si intende perseguire con il progetto europeo GDPiR – Managing Data Processing in the Workplace through Industrial Relations, guidato da FIM-CISL e che vede ADAPT come membro di un ampio partenariato composto da centri di ricerca e sindacati europei. L’idea fondante del progetto è infatti quella di fornire ai sindacalisti un’adeguata informazione e formazione specialistica in materia di big data e IA, al fine di gestire le dinamiche connesse all’elaborazione dei dati dei lavoratori e al trattamento dei dati nei luoghi di lavoro e di migliorare, così, le iniziative di contrattazione collettiva in materia.

 

Graziana Ligorio

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@LigorioGraziana

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/114 – Accordo Hitachi Energy Italy S.p.A.: flessibilità, competitività e partecipazione

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/114 – Accordo Hitachi Energy Italy S.p.A.: flessibilità, competitività e partecipazione

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 4 luglio 2022, n. 26

 

Parti firmatarie e contesto

 

Martedì 7 giugno 2022, a Lodi, Hitachi Energy Italy S.p.A., assistita da Assindustria Venetocentro, le RSU, e  le OOSS territoriali di FIOM-CGIL, UILM-UIL e FIM-CISL hanno siglato il loro primo contratto integrativo aziendale, dopo la sottoscrizione, risalente al 20 maggio, degli accordi sul premio di risultato e sulla quota di Welfare.

 

Come noto, Hitachi è un’importante società giapponese attiva in diversi settori, dall’elettronica alle costruzioni ferroviarie. Nata nel 1910, questo colosso del mondo imprenditoriale asiatico conta oggi 32.000 dipendenti in tutto il mondo. Negli ultimi anni, Hitachi è stata protagonista di un’importante riorganizzazione, che ha portato le 11 attività del Gruppo nell’alveo di una sola società, denominata One Hitachi. Questa rimodulazione organizzativa ha comportato un percorso di armonizzazione e integrazione tra tutte le entità presenti sul territorio italiano.

 

Hitachi Energy si inserisce in questo panorama, dedicandosi al settore dell’energia con la costruzione di trasformatori e sezionatori. Questo nuovo ramo di Hitachi, che sorge da una cessione di ramo d’azienda di ABB, ha una popolazione di 740 lavoratori e ha sedi a Lodi, Padova e Roma.

 

Oggetto e tipologia dell’accordo

 

La totalità degli accordi analizzati in questa sede compongono il contratto di secondo livello di Hitachi Energy Italy. Attraverso queste intese, l’incremento di competitività aziendale è ricercato mediante un aumento di flessibilità sia in termini di turnazioni attivabili sia come possibilità di declinare a livello locale, pur conservando una generale unità di approccio, gli istituti normati, in modo tale da incrementare la partecipazione dei lavoratori e i risultati organizzativi.

 

Temi trattati / punti qualificanti / elementi originali o di novità

 

Un esempio di questo secondo significato di flessibilità è rilevabile all’interno del primo accordo siglato tra le Parti, ossia il testo relativo al premio di risultato.

 

L’accordo sul premio di risultato disciplina  questo istituto per il quadriennio 2022-2025. La priorità della sua normazione , mediante l’intesa del 20 maggio, rispetto al resto dei documenti sottoscritti segnala la volontà delle Parti di non lasciare l’anno corrente sprovvisto del  rinnovo della parte economica del contratto integrativo, per poi proseguire con il resto della negoziazione.

 

La struttura del premio di risultato risulta composta da tre elementi: un indicatore relativo agli ordini, pari al rapporto tra consuntivo e budget, un parametro legato alla profittabilità dell’unità operativa o della BU e un terzo fattore composto da indici capaci di rilevare il miglioramento della performance dell’area considerata. Se il primo fattore, di basso peso percentuale sul payout, non interessa il livello locale, gli altri due elementi costituiscono parti strutturali del calcolo del premio da declinare e decidere a livello di unità produttiva. Si tratta di una scelta capace di evidenziare e valorizzare le specificità locali e di dare rilievo alle interlocuzioni di sito. Con questo accordo, le Parti introducono, inoltre, la  convertibilità in welfare del premio in parte o nella totalità della cifra finale erogata.

 

Oltre alla welfarizzazione di questo istituto premiale, i firmatari istituiscono una quota di welfare annuale aggiuntiva rispetto a quella prevista dal CCNL Metalmeccanici per il quadriennio 2023-2026. Per quanto concerne l’anno corrente, invece, non si prevede una cifra destinata ai servizi welfare, bensì, mediante specifico accordo, viene introdotta l’erogazione di buoni carburante, nelle modalità previste dalla Legge n. 51 del 2022.

 

L’accordo del 7 giugno include la parte obbligatoria e normativa della contrattazione integrativa di Hitachi Energy, proseguendo sul filo conduttore ispiratore del testo relativo alla struttura del premio di risultato. Con la volontà di coniugare le peculiarità delle unità produttive e dell’unità complessiva, la parte obbligatoria ribadisce l’importanza dei confronti a livello di sito, introducendo, allo stesso tempo, un incontro annuale, di carattere informativo, relativo all’andamento e alla politica industriale del Gruppo.

 

In coerenza con la riforma dell’inquadramento del CCNL Metalmeccanici del 5 febbraio 2021, le Parti istituiscono specifiche commissioni paritetiche, a livello di stabilimento, con l’obiettivo di effettuare un approfondimento inquadramentale sulla base delle declaratorie e dei criteri di professionalità enunciati dall’ultimo rinnovo del contratto nazionale, con la possibilità di provvedere a eventuali adattamenti anche attraverso la creazione di sistemi di bilancio delle competenze dei lavoratori. L’istituzione di queste commissioni va letta in parallelo rispetto alla volontà delle Parti di impegnarsi a un esame delle esigenze formative dei lavoratori, al fine di individuare congiuntamente specifici percorsi finalizzati ad  accrescerne le competenze, anche in materia di sicurezza, come testimonia l’impegno all’organizzazione di una sessione annuale di sensibilizzazione su temi HSE.

 

Oltre a esprimere la declinazione di flessibilità come possibilità di variazione, a livello locale, delle materie trattate nei testi sottoscritti, l’accordo del 7 giugno realizza anche il primo dei significati di flessibilità citati in precedenza, ossia flessibilità come ampiezza di turnazioni attivabili a fronte di esigenze gestionali e produttive, il quale rappresenta  il vero e proprio nucleo di questo contratto di secondo livello.

 

Con questo accordo, infatti, vengono introdotti nuovi modelli di orario di lavoro la cui attivazione segue a un aumento o a una contrazione dei volumi di produzione. Nel primo caso, questi nuovi sistemi orari si traducono in un aumento dei turni settimanali fino ad arrivare al ciclo continuo, circostanza a cui corrispondono nuove indennità. In caso di una contrazione della produzione, invece, la riduzione dell’orario di lavoro sarà effettuata attraverso la fruizione della quota di PAR utilizzabile per le chiusure collettive, nelle modalità previste dal CCNL. Si tratta di una soluzione che garantisce all’azienda una pronta risposta alle dinamiche di mercato, all’interno di tutte le unità operative del Gruppo.

 

L’accordo in questione completa, inoltre, il quadro delle misure di welfare di Hitachi Energy con due importanti integrazioni ai servizi previsti dal contratto nazionale: l’assegnazione del c.d. “Piano Sanitario Integrativo A” di Metasalute alla totalità della popolazione aziendale e una quota aggiuntiva a carico dell’azienda per gli iscritti al fondo Cometa, che va a sommarsi a quanto già deciso in sede di contrattazione nazionale.

 

Valutazione d’insieme

 

L’accordo Hitachi esprime la convinzione delle Parti che l’istituzione di nuovi strumenti di flessibilità debba essere accompagnata da una crescente partecipazione ai risultati dell’organizzazione. A tal fine, la parte obbligatoria dell’accordo del 7 giugno e la struttura del premio di risultato, insieme alle molteplici misure di welfare incluse all’interno delle intese, evidenziano la volontà dei firmatari di valorizzare il fattore partecipativo e la cura del dipendente come parte integrante della strategia di incremento della competitività dell’organizzazione.

 

Filippo Reggiani

Scuola di Dottorato di ricerca in Apprendimento e Innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@FilippoReggian3