Partecipazione dei lavoratori: cronaca di una legge di attuazione della Costituzione (art. 46)

Bollettino ADAPT 19 maggio 2025, n. 19
Mercoledì 14 maggio 2025 il Senato della Repubblica ha approvato in via definitiva il disegno di legge sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese (qui il fascicolo iter del provvedimento). Si tratta di una delle pochissime leggi di iniziativa popolare ad aver ricevuto l’approvazione da parte del parlamento: sono solo 5 nelle ultime 7 legislature.
Rinviando ad altra sede la valutazione tecnica del testo di legge varato dal Parlamento (qui un primo commento articolo per articolo a cura dei ricercatori di ADAPT) pare di un certo interesse fornire un resoconto del dibattito parlamentare. Fatte le debite proporzioni, tornano infatti temi, problemi e conflitti che erano già emersi nel dibattito alla Assemblea costituente quasi ottanta anni fa in merito alla formulazione dell’articolo 46 della Costituzione (ne abbiamo dato conto in S. Zuccoli, Verso l’attuazione dell’articolo 46 Cost. Appunti di un dibattito in seno alla Assemblea costituente che torna attuale, in Bollettino ADAPT 5 maggio 2025, 17).
Dopo una fredda e molto elementare relazione del provvedimento il primo intervento è stato quello della senatrice Furlan (Italia Viva) che, pur sostenendo l’approvazione della legge e il suo significato per il mondo del lavoro, ha evidenziato le criticità delle modifiche apportate al disegno legge originario della CISL, e in particolare: l’indebolimento del ruolo della contrattazione collettiva a vantaggio degli statuti aziendali; l’esclusione della partecipazione dei lavoratori nel settore bancario e nelle aziende pubbliche.
In linea con questa posizione, anche il senatore Lombardo (Misto-Azione) ha evidenziato la necessità di intervenire nuovamente sul testo per rafforzare gli articoli dedicati alla contrattazione collettiva che non garantiscono l’obbligatorietà della partecipazione. Il partito (Azione) ha espresso comunque il suo convinto sostegno alla legge, considerandola un passo importante verso la realizzazione del primo articolo della Costituzione, secondo cui “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”.
Ad ogni modo, come correttamente osservato dal senatore Spagnolli (Gruppo per le Autonomie), le questioni ancora irrisolte toccano aspetti che vanno oltre la contrattazione collettiva. La legge avrebbe dovuto rafforzare la contrattazione collettiva, invece di demandare la regolamentazione della partecipazione agli statuti aziendali con il rischio, dunque, che l’applicazione rimanga limitata, soprattutto nelle piccole e medie imprese. Inoltre, la partecipazione economica non è stata regolata adeguatamente nemmeno dal punto di vista fiscale e questo potrebbe comportare effetti negativi su strumenti fiscali come l’ISEE, rendendola svantaggiosa per i lavoratori. A completare il quadro, manca anche un sistema di formazione professionale che permetta ai lavoratori di svolgere un ruolo attivo e non meramente simbolico nella gestione dell’impresa. Il Gruppo per le Autonomie ha riportato in modo puntuale quanto del testo iniziale è stato eliminato: la quota minima di rappresentanza nei consigli di sorveglianza, in origine prevista al 20%, è stata sostituita da una generica previsione di uno o più rappresentanti; la figura del garante per la sostenibilità sociale delle imprese; la previsione di forme partecipative anche negli istituti bancari. Si spiega dunque la scelta del Gruppo per le Autonomie di subordinare il suo voto favorevole alla prospettiva di un successivo intervento legislativo più incisivo, pur riconoscendo il valore complessivo della proposta.
I successivi interventi sono stati decisamente più critici evidenziando, in particolare, la natura non impositiva del provvedimento, che mira a sostenere la contrattazione collettiva ma non obbliga le imprese ad adottare meccanismi di partecipazione. Per chi ha votato a favore, sarà infatti la contrattazione collettiva il punto di svolta che darà piena attuazione alla legge, seguendo gli esempi europei come quello tedesco, per chi ha votato contro, l’articolo 46 non è stato realmente attuato.
La principale ragione di chi ha votato contro è la mancata realizzazione dell’iniziativa popolare così come era sorta e voluta dai cittadini, le parole del senatore Mazzella rendono chiara l’idea “un tradimento dell’iniziativa popolare, un’occasione storica sprecata” in quanto fondata su dichiarazioni altisonanti ma prive di sostanza. Il carattere volontaristico di questa legge è quanto più ha sollevato perplessità. Il Movimento 5 Stelle nel pronunciare il suo voto contrario, testo di legge alla mano, ha evidenziato l’assenza di obblighi o strumenti vincolanti che possano offrire garanzie concrete per i lavoratori, avendo affidato il tutto alla contrattazione collettiva, in un paese dove essa è disomogenea e molti lavoratori sono privi di un’effettiva rappresentanza. Mancherebbe dunque una visione strategica di lungo periodo, gli incentivi fiscali e i piani di partecipazione finanziaria sono irrisori e inefficaci. Le commissioni aziendali tematiche (welfare, formazione, parità) così come la Commissione nazionale per la partecipazione istituita presso il CNEL, sono viste come figure meramente simboliche, prive di reali poteri di intervento.
Anche il senatore Magni (Misto – Alleanza Verdi e Sinistra) e la senatrice Camusso (Partito Democratico) nell’esprimere la sua posizione fortemente contraria alla legge hanno sostenuto che il testo non realizza una vera partecipazione dei lavoratori, in quanto non garantisce loro effettivi strumenti di intervento. Il senatore Magni, portando la sua personale esperienza, come sindacalista ed ex operaio, ha evidenziato come la vera partecipazione si realizza, da decenni, attraverso la contrattazione di secondo livello e il confronto diretto su organizzazione del lavoro, dei bilanci e degli investimenti. Pertanto, il tentativo di imitare i modelli europei come quello tedesco non è pensabile senza l’adozione anche dell’intero impianto giuridico, istituzionale e sindacale di quei paesi. Il senatore ha sottolineato che la precarietà che oggi contraddistingue molte realtà lavorative impedisce l’esercizio effettivo dei diritti sindacali.
Riprendendo molte delle critiche sopra esposte, la senatrice Camusso (Partito Democratico) ha giudicato il provvedimento come deludente e svuotato di significato, sottolineando la distanza tra l’intento iniziale della CISL, di indubbio interesse, e il risultato finale raggiunto. Il testo approvato mostra chiaramente una partecipazione più che altro orientata a finalità economiche e finanziarie, mentre non valorizza le esperienze di contrattazione già esistenti, ma anzi rappresenta un arretramento rispetto alle normative che già prevedevano meccanismi di confronto.
Di tutt’altro avviso gli interventi dei partiti di maggioranza che si sono invece espressi in favore della legge vista come importante strumento di modernizzazione delle relazioni industriali.
La senatrice Gelmini (Cd’I–UDC–NM–MAIE–CP) ha parlato di una “svolta storica” nelle relazioni tra lavoratori e imprese, che punta alla responsabilità condivisa e alla contrattazione collettiva, per garantire la produttività e competitività del Paese. Ha inoltre sottolineato l’importanza di allinearsi con i modelli europei (Germania, Paesi Bassi, Francia), dove la partecipazione dei lavoratori ha prodotto effetti positivi. Al tal proposito, la senatrice Silvestro (FI – Berlusconi Presidente – PPE) ha difeso il disegno di legge citando esperienze aziendali virtuose già praticate in Italia (Poste Italiane, Luxottica, FCA, Ferrari, Lamborghini), dove il coinvolgimento dei dipendenti ha portato a migliori risultati aziendali. Il modello non dirigista della legge, incentrato sulla volontarietà è in linea con i migliori esempi europei.
Il senatore Murelli (Lega) e il senatore Berrino (Fratelli d’Italia) hanno risposto alle principali critiche degli oppositori, sottolineando come il provvedimento introduce forme di partecipazione sì volontarie, ma trasparenti e sostenibili attraverso accordi aziendali o territoriali, agevolazioni fiscali per premi di risultato e strumenti di welfare, nonché la possibilità di una partecipazione azionaria. In particolare hanno evidenziato come l’impianto originario della legge sia stato salvaguardato richiamando sul punto la posizione espressa della stessa CISL in audizione al Senato.
Quello che emerge con chiarezza, come esito del dibattito parlamentare, sono almeno due elementi.
Il primo è la portata storica dell’approvazione della legge: lo dimostra, in termini simbolico, la corsa del Presidente del Senato, Ignazio La Russa, a riprendere la postazione delle sue funzioni – temporaneamente affidata alla Vice-Presidente Licia Ronzulli durante gli interventi dei parlamentari – per presiedere personalmente il voto finale, a sottolineare l’eccezionalità dell’evento e il suo significato istituzionale.
Il secondo riguarda la pluralità delle posizioni emerse, che riflettono differenze profonde non solo sui profili tecnici della disciplina, ma soprattutto sulle visioni valoriali e ideologiche intorno al rapporto tra capitale e lavoro, inevitabilmente sottese al tema della partecipazione. Differenze che – almeno questo è l’auspicio sotteso all’intervento legislativo – potranno a questo punto trovare sintesi e traduzione operativa nella contrattazione collettiva e nel dialogo tra le parti sociali, nei territori, negli enti bilaterali, nelle imprese.
Sara Zuccoli
Apprendista di ricerca ADAPT