Francia

La contrattazione collettiva in Francia: analisi del fenomeno dal 2012 al 2020

La contrattazione collettiva in Francia: analisi del fenomeno dal 2012 al 2020

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui

Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT 14 ottobre 2024, n. 36

 

In Francia, così come in Italia, di anno in anno si assiste ad una progressiva trasformazione di quello che è il sistema delle relazioni industriali. Al fine di fornire un quadro chiaro, dettagliato e sistematico di queste evoluzioni, il Ministero del lavoro francese, a partire dal 2012, si è impegnato a stilare e pubblicare annualmente dei rapporti che analizzano l’andamento della contrattazione collettiva. Questi rapporti vengono poi presentati presso la Commission Nationale de la négotiation collective, commissione istituita con una funzione di supporto e consulenza dei ministri preposti alle tematiche del lavoro, rappresentando un punto di riferimento per tutte le successive riforme di carattere legislativo a tema giuslavoristico.

 

Il presente contributo mira ad offrire una sintesi esplicativa dei report pubblicati tra il 2012 e il 2020, evidenziando la metodologia seguita nella stesura dei report e le tendenze caratterizzanti la contrattazione collettiva in Francia.

 

Punto di partenza per offrire una visione il più lineare possibile dei rapporti in esame è l’analisi dell’evoluzione della struttura degli stessi. I report che vanno dal 2012 al 2017 si attestano su una lunghezza che va dalle 700 alle 800 pagine, mentre dal 2018 vediamo una consistente riduzione con un numero massimo di pagine che si aggira attorno alle 500. Vista la notevole corposità dei rapporti integrali, questi vengono pubblicati accompagnati da un documento di sintesi che offre in poche pagine i dati salienti estratti dal bilancio integrale, mettendo in evidenza gli elementi e i punti chiave del rapporto.

 

Tutti e nove i report presentano una uniformità nella struttura, con una lieve modifica a partire dal 2018: si aprono con una premessa in cui viene sottolineato il ruolo sempre più fondamentale della contrattazione nel contesto delle relazioni industriali e del diritto del lavoro. In particolare, viene fatto un sunto di quella che è stata la contrattazione collettiva nell’anno di riferimento, anticipando in breve e evidenziando i punti salienti di quella che sarà poi l’analisi fornita all’interno del report. Vengono principalmente esplicitate le motivazioni di carattere empirico, sociale, economico che hanno determinato un certo andamento della contrattazione collettiva.

 

Seguono quattro parti: una prima parte dedicata ad una panoramica sulla contrattazione collettiva nell’anno oggetto d’esame; una seconda parte dedicata all’analisi del contesto in cui si svolge la contrattazione, mettendo dunque in relazione i vari fenomeni di contrattazione rispetto al contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento; ancora una terza parte in cui nuovamente e più nel dettaglio si dà conto dei risultati prodotti dalla contrattazione collettiva in quello specifico anno, offrendo un’analisi tematica degli accordi collettivi conclusi e fornendo un censimento esaustivo degli accordi conclusi ai vari livelli di contrattazione; ed infine una quarta parte che raccoglie dossier tematici che vanno ad approfondire la discussione su degli argomenti legati trasversalmente a quelli propri oggetto di contrattazione.

 

Passando adesso all’analisi dei profili metodologici è possibile constatare come i vari rapporti vadano ad analizzare il fenomeno contrattualistico partendo dai singoli livelli di contrattazione. Le categorie di riferimento sono gli accordi conclusi a livello nazionale interprofessionale, quelli conclusi a livello dei singoli settori produttivi su vari livelli geografici (nazionale, regionale, dipartimentale, locale) ed infine gli accordi conclusi a livello d’impresa.

 

Con riferimento a ciascun livello di contrattazione viene compiuta dapprima un’analisi di tipo quantitativo, sia in termini relativi, osservando l’andamento del numero di accordi conclusi in ogni determinato livello, sia in termini assoluti, cioè guardando al numero effettivo di accordi conclusi in ogni specifico livello.

 

A questa prima analisi quantitativa se ne accompagna poi anche una di tipo qualitativo che va ad indagare quali sono i temi oggetto di contrattazione in ciascuno dei tre livelli e a quantificare il numero di accordi che intervengono sui diversi temi ad ogni livello.

 

A queste analisi di tipo quantitativo e qualitativo in merito ai temi trattati, si aggiunge un’analisi delle ragioni economico-sociali, nonché istituzionali che hanno spinto gli attori del sistema delle relazioni industriali ad intervenire su determinati aspetti. Viene esplicitato il contesto in cui si inseriscono i dati raccolti, basandosi anche sul contesto normativo e giurisprudenziale, oltre che francese anche europeo e internazionale.

 

Per quanto riguarda il campione oggetto di analisi all’interno di ciascun rapporto vengono presi in considerazione tutti i testi di natura convenzionale firmati entro il mese di dicembre dell’anno oggetto di studio, e che sono stati depositati presso il Ministero del lavoro e portati a conoscenza della direzione generale del lavoro entro il mese di marzo dell’anno successivo. Secondo quanto previsto dal disposto del Codice del lavoro in vigore in Francia, tutti i contratti collettivi siglati a ciascun livello di contrattazione devono essere registrati presso il ministero di riferimento, che provvederà alla loro pubblicazione. Questa procedura garantisce che il campione ivi considerato fornisca dati parziali da un punto di vista del periodo di pubblicazione di riferimento, ma al contempo sia altamente rappresentativo in quanto ricomprende la totalità dei testi negoziati.

 

Con riguardo all’analisi qualitativa e dunque all’individuazione delle tematiche che sono state maggiormente oggetto di contrattazione, anche qui è possibile riscontrare una certa sistematicità: tutti e nove i report analizzati presentano una uniformità su quelli che, di anno in anno, sono stati i temi oggetto di maggior interesse, permettendo di avere così uno studio evolutivo e di raffronto sul contributo apportato dalla contrattazione collettiva in un determinato aspetto del settore lavoro. Le tematiche ricorrenti sono:

– Il salario e le premialità;

– La pensione integrativa e la previdenza sociale;

– L’uguaglianza uomo-donna;

– Le condizioni di lavoro;

– La formazione professionale;

– Le modalità di svolgimento della contrattazione collettiva.

 

Andando infine ad indagare quelle che dallo studio dei report risultano essere le tendenze dettate dalla contrattazione collettiva in Francia, l’analisi dei report tra il 2012 e il 2020 mostra tendenze estremamente differenti nei tre livelli di contrattazione considerati. Queste tendenze di carattere quantitativo diversificate sono ovviamente giustificabili, in primis, alla luce del primato che la legge francese attribuisce alla contrattazione aziendale rispetto agli accordi conclusi a livello settoriale su quelle che vengono considerate le tematiche calde del diritto del lavoro, le quali vengono maggiormente influenzate dal mutare del contesto socio-economico, e secondariamente dalle differenti scadenze nelle quali incorrono i vari accordi conclusi.

 

Se si guarda al dato degli accordi siglati a livello interprofessionale su scala nazionale, viene registrata una tendenza altalenante che, però, a partire dal 2019 subisce invece una costante anche se non eccessivamente significativa crescita con una lieve ricaduta poi nel 2020. Questa tipologia di accordi ha l’aspirazione ad essere applicata a più settori produttivi e dunque a creare nuovi diritti in favore dei lavoratori dipendenti e a migliorare la flessibilità delle imprese. Tendenzialmente, tra le tre, si tratta della categoria di accordi collettivi precorritrice rispetto a future modifiche legislative in tema di diritto del lavoro. Dunque l’oscillazione del numero di questo tipo di accordi tra il 2012 e il 2020 è stata notevolmente influenzata dalla correlata attività legislativa svoltasi a livello statuale.

 

Per quanto riguarda gli accordi conclusi a livello di singolo settore produttivo, se nel 2012 appare come un livello segnato da un fenomeno contrattualistico fortemente dinamico caratterizzato dalla conclusione di un elevato numero di accordi, la situazione cambia sensibilmente a partire dall’anno successivo in cui si inizia a registrare una tendenza fatta di alti e bassi che per vari anni manterrà il numero degli accordi sotto la soglia del 1000, dato che viene riconfermato nel 2020.

 

Per quanto riguarda invece il livello di maggiore prossimità, relativo cioè agli accordi collettivi conclusi a livello di singola impresa, nei primi due report considerati, si è avuta una crescita rispetto ai livelli del passato, con la conclusione di circa 39.000 accordi, cifra che a grandi linee rimane costante fino al 2018, anno in cui si assiste ad un exploit nella crescita con cifre che toccano i quasi 80.000 testi conclusi. Questa tendenza ad una crescita importante viene mantenuta anche negli ultimi due anni oggetto di analisi, dove vengono raggiunti picchi da 100.000 accordi.

 

Lo studio dell’esperienza francese può senza dubbio essere utile per arricchire il dibattito italiano sui metodi di analisi della contrattazione collettiva. Lo strumento che, nel panorama interno, più si avvicina a questa tipologia di report sono i rapporti presentati annualmente dalla Commissione dell’informazione del CNEL, che vanno ad analizzare il mercato del lavoro e la contrattazione collettiva. Ciò che contraddistingue i report francesi e che invece sembrerebbe essere un profilo solo recentemente sviluppato in quelli italiani è proprio il fatto di presentare il mercato del lavoro attraverso la lente della contrattazione, che in Francia, così come in Italia, risulta essere elemento centrale del sistema giuslavoristico. Guardare alla contrattazione collettiva e alle sue connessioni con il mercato del lavoro, ma senza rinunciare ad un’analisi connotata da profondità e organicità, infatti, è il punto di forza che rende i report francesi strumento di comprensione prezioso del mondo del lavoro e delle sue dinamiche, e che, se adottato sistematicamente, potrebbe risultare vincente anche nel panorama, italiano.

 

Marta Migliorino

ADAPT Junior Fellow

@martamigliorino

Contrattazione collettiva: una lezione dal caso francese

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui

Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT 26 aprile 2023, n. 16

 

Il sistema di relazioni industriali francese ha subito importanti modifiche a seguito di alcune ordinanze adottate nel 2017, conosciute come le “ordonnances Macron”. Esse hanno contribuito alla definizione dei campi di competenza dei diversi livelli di contrattazione, di categoria e aziendale, facendo chiarezza rispetto alle numerose riforme legislative che, nel tempo, sono intervenute in materia.

 

Storicamente la contrattazione collettiva a livello aziendale ha avuto come funzione principale quella di adattare le disposizioni previste nella contrattazione di categoria. Con i numerosi interventi legislativi degli ultimi anni, la contrattazione a livello aziendale ha tuttavia assunto un rilievo sempre maggiore, tanto da essere diventato il livello di riferimento e, dunque, il contratto collettivo applicabile nella maggior parte dei casi, ad eccezione di alcune limitate ipotesi in cui prevale la contrattazione di categoria. Un recente studio (N. Delahaie, A. Fretel, H. Petit, N. Farvaque, K. Guillas-Kavan, D. Messaoudi, M. Tallard e C. Vincent, Le rôle de la branche après les ordonnances Macron: entre permanence et renouvellement, in La revue de l’ires, 2022) si è fatto carico di mostrare le conseguenze di tali riforme in termini cercando di fornire una risposta sull’effettiva prevalenza della contrattazione aziendale rispetto a quella di categoria.

 

Senza entrare nello specifico di ogni riforma intervenuta in materia, è bene ricordare il quadro normativo previgente. In Francia, infatti, la contrattazione collettiva di categoria ha, da sempre, giocato un ruolo fondamentale nella strutturazione delle relazioni industriali, mentre gli accordi a livello aziendale erano rimasti per lungo tempo limitati alle grandi imprese pubbliche. Lo scenario cambia, a partire dagli anni 80, quando vengono mosse critiche nei confronti delle negoziazioni di categoria, considerate poco efficaci dal punto di vista economico, mentre, al contrario, viene sottolineata l’efficienza della contrattazione collettiva aziendale, resa possibile dalla vicinanza della stessa ai lavoratori e alla loro realtà economica. In parallelo a queste pubblicazioni accademiche, da inizio anni Ottanta sono state portate avanti importanti riforme istituzionali, aventi l’obiettivo quello di promuovere la negoziazione aziendale. Tali riforme istituzionali (a partire dalle riforme note come leggi Auroux) sono state qualificate come movimento di decentralizzazione delle negoziazioni collettive (décentralisation des négociations collectives).

 

Le ordonnances Macron (ordonnance n° 2017-1387 del 22 settembre 2017, loi n° 2017-1340 del 15 settembre 2017) possono essere considerate come un epigono di questi orientamenti. Nelle stesse si scorge l’intenzione del legislatore di rendere ancora più dinamiche e libere le modalità di negoziazione a livello aziendale, ponendosi in continuità con gli interventi legislativi precedenti che hanno attribuito sempre più autonomia alla contrattazione a livello aziendale rispetto a quella di categoria. Da questo momento l’articolazione tra i due livelli di contrattazione collettiva non è più intesa secondo una gerarchia, ma come una suddivisione di competenze tra i due livelli. L’obiettivo è quello di uscire dalla logica della derogazione, per arrivare ad una completa autonomia tra la contrattazione collettiva aziendale e quella di categoria.

 

In seguito a tali modifiche, sono distinti tre blocchi di negoziazione, la cui disciplina appare utile delineare, per comprendere quali siano i reali effetti pratici. Nel primo blocco (bloc 1 – domaines réservés), sono previste un numero limitato di tematiche, in cui prevale la contrattazione di categoria se quella aziendale non prevede delle garanzie equivalenti. Nonostante il numero di tali tematiche con le ordonnances Macron sia aumentato a 13 (da 6, come era previsto dalla loi du travail del 2016), la contrattazione di categoria non può più bloccare (verrouiller) al proprio livello la tematica di negoziazione come era previsto precedentemente, ma può solamente prevedere delle clausole di imperatività, che dovranno essere rispettate dalla contrattazione aziendale, dovendo essa prevedere delle garanzie almeno equivalenti. Con tale nuova formulazione si è giunti alla creazione di una nuova nozione giuridica, quella delle garanzie almeno equivalenti, “garanties au moins équivalents”, che si è sostituita alla classica formula presente nel codice del lavoro delle disposizioni più favorevoli per i lavoratori (principio di favore).

Nel secondo blocco (bloc 2 – Domaines que la branche peut se réserver sous condition) sono previste quattro tematiche in cui la contrattazione di categoria ha la possibilità di verrouiller ossia di bloccare al proprio livello determinate tematiche, tanto che l’accordo a livello aziendale, concluso successivamente, non può prevedere delle disposizioni differenti, a meno che, anche in questo caso, non siano almeno equivalenti. Prima delle ordonnances Macron del 2017, i temi erano illimitati, vengono, dunque, significativamente ridotti i campi di applicazione delle clausole di verrouillage.

 

Al di fuori di queste tematiche l’accordo a livello aziendale è libero, (bloc 3). Viene dunque messa in rilievo la centralità dell’accordo aziendale, in cui possono essere previste delle disposizioni meno favorevoli per i lavoratori.

 

Possiamo, dunque, notare che formalmente viene rinforzato il ruolo della contrattazione di categoria (i campi in cui essa presentava un carattere imperativo erano solo 6, sono diventati 13), ma sparisce, de facto, la gerarchia strutturale tra i due livelli di negoziazione, in favore della loro autonomia. Non si tratta più di avere, dunque, un accordo aziendale che si adatta alla contrattazione di categoria, ma di sapere in quali casi si debba applicare un accordo e in quali l’altro. Secondo la dottrina francese, se le disposizioni previste a livello aziendale sono almeno equivalenti all’accordo di categoria, prevale l’accordo aziendale. Si considera dunque che la contrattazione di categoria intervenga solo a titolo eccezionale.

 

D’altro lato, sembra che il potere della contrattazione di categoria sia, in tal modo, eccessivamente limitato. Questa affermazione viene mitigata riprendendo una disposizione, attualmente in vigore, della loi du travail del 2016, che ha introdotto l’obbligo di creare una commissione paritaria permanente di negoziazione e di interpretazione (Commission paritaire permanente de négociation et d’interprétation – CPPNI), presso ogni categoria, con il compito di vegliare e redigere un bilancio annuale degli accordi adottati a livello aziendale e dei loro impatti sulle condizioni di lavoro dei lavoratori. Oggi tale obbligo è previsto all’articolo L2232-9 del code du travail, obbligazione poi rinforzata anche dalle ordonnances del 2017.

 

Nonostante i vari interventi a livello legislativo, nella prassi, la contrattazione di categoria resta per molto tempo il perno immutabile della contrattazione collettiva. Infatti, alcuni recenti studi (vedi in particolare Jobert, Saglio, La mise en oeuvre des dispositions de la loi du 4 mai 2004, 2005; Mériaux, Evaluation de la loi du 4 mai 2004 sur la négociation d’accords dérogatoires dans les entreprises, 2008) si sono soffermati sull’impatto delle varie riforme sulla contrattazione collettiva ed hanno messo in evidenza, soprattutto in seguito alla legge del 2004 (loi del 4 maggio 2004) delle pratiche di non ricorso alla negoziazione a livello aziendale. Vari sono stati i motivi rimarcati dagli studi in questione: una incompetenza ed una inesperienza di contrattazione a livello aziendale, in particolare in caso di realtà aziendali molto piccole, accompagnata ad una conoscenza non approfondita dei testi giuridici; una paura di trovarsi in situazioni in cui manca la sicurezza giuridica, dovuta soprattutto alla rapidità con cui le riforme di sono succedute nel tempo; una regolamentazione economica delle imprese che si basa di fatto sulla regolamentazione a livello di categoria. Vengono posti all’attenzione del lettore due importanti studi, il primo effettuato nel 2004 e il secondo nel 2010, in cui si analizza il ricorso alla contrattazione di categoria su una serie di tematiche. L’analisi di tali grafici mostra come le imprese abbiano continuato a privilegiare la realtà economica e sociale della contrattazione di categoria e anzi, a prescindere dal tema analizzato, nel 2010 si fa un ricorso maggiore alla stessa rispetto al 2004. La particolarità del contesto economico del 2010, successivo a un’importante crisi economica, ha indotto i datori di lavoro a cercare sicurezza e stabilità nella contrattazione collettiva di categoria, la quale è rimasta, dunque, una referenza necessaria per le parti.

 

È bene però sottolineare che non tutte le categorie agiscono nello stesso modo. Ci sono, infatti, dei settori che si mostrano molto più attaccati al ruolo di regolamentazione svolto della categoria, rispetto ad altri. Con ruolo di regolamentazione (rôle de régulation) si fa riferimento alle condizioni minime di lavoro e di impiego fissate dagli accordi di categoria. Un esempio può essere rinvenuto nel settore relativo alle costruzioni (bâtiment), nel quale la contrattazione di categoria è vista come il luogo più pertinente per la regolamentazione professionale, avendo tenuto conto della particolare fragilità della contrattazione aziendale. Ancora, nel settore relativo al commercio (commerce) gli attori riconoscono alla contrattazione di categoria una funzione essenziale nella regolamentazione della concorrenza. In questo specifico contesto, le parti richiedono rapidamente l’estensione degli accordi siglati, in modo che essi vengano rispettati anche dalle aziende non aderenti, con l’obiettivo di limitare gli effetti della concorrenza. Può essere infine portato l’esempio del settore relativo alle proprietà (propriété) che riconosce anch’esso alla propria convenzione collettiva di categoria un forte ruolo di regolamentazione.

 

Questi esempi vengono temperati da altre realtà, come quella relativa agli uffici (bureau d’études), in cui la contrattazione di categoria non svolge un marcato ruolo di regolamentazione. Spesso queste categorie sono caratterizzate da una debole tradizione di negoziazione collettiva, sia a livello di categoria che a livello aziendale. In questi casi, la dottrina francese ritiene che gli accordi di categoria presentino una struttura più accompagnatrice, che di regolamentazione. Tanto che essi incitano le imprese e le parti a muoversi in una determinata direzione, senza, tuttavia, imporsi; per questo motivo si parla di soft law.

 

Ciò che possiamo ritenere è che gli effetti sono variabili da settore a settore: il criterio dominante è rappresentato dalla necessità di avere minime condizioni di lavoro e di impiego che contrastino la concorrenza tra le aziende. Dunque, se il costo del lavoro è un elemento chiave della concorrenza in un determinato mercato, si crea una forte incitazione alla conclusione di accordi che presentino delle disposizioni minimali, migliorabili a livello aziendale, per evitare, nel caso specifico, pratiche di dumping sociale.

 

Premesso ciò, la contrattazione di categoria ha cercato di imporsi mediante strategie di adattamento e di rinnovo, per contrastare le disposizioni delle ordonnances Macron. In particolare, le parti sociali hanno dovuto aggiornare i contenuti degli accordi per mantenere il ruolo di regolamentazione della concorrenza. Nel contratto collettivo di categoria del settore commercio, recentemente rinnovato, gli attori, per armonizzare le condizioni economiche tra aderenti e non aderenti, hanno integrato alcuni elementi della contrattazione, non previsti né nel primo blocco né nel secondo, all’interno di una tematica sulla quale avevano, invece, il potere di intervenire. Nonostante le ordonnances Macron abbiano previsto, in casi similari, la possibilità di derogare tali disposizioni, le aziende si sono conformate alla contrattazione collettiva, riconoscendole dunque un importante ruolo normativo.

 

Un ulteriore rilevante effetto delle ordonnances Macron (quali conseguenze dell’insieme delle riforme adottate) è stato quello di riconoscere, con il tempo, ulteriori funzioni alla contrattazione collettiva. Tra queste può essere riconosciuto un importante processo di istituzionalizzazione della categoria, rendendola un vero e proprio centro di risorse (centre de ressource) per le imprese, mettendo a disposizione delle imprese una serie di strumenti in tale ambito. L’obiettivo è quello di offrire una serie di misure che accompagnino le imprese, come ad esempio offrire delle guide su determinati argomenti, discriminazioni, uguaglianze, messe a disposizione delle aziende. Esemplificativa è la categoria relativa alle proprietà (propriété), in cui dal 1990 è stata adottata una politica attiva per la formazione e l’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani. Questo ruolo è stato rinforzato dalle ordonnances Macron.

 

In conclusione, è possibile affermare che la contrattazione di categoria non sia affatto in fase di regresso rispetto alla contrattazione aziendale. Nonostante vi siano stati numerosi interventi aventi l’obiettivo di vincolare e rendere più fragile la contrattazione di categoria, quest’ultima rimane una norma di referenza nella definizione delle condizioni di lavoro nelle aziende. Di fatti, le ordonnances Macron non hanno nei fatti modificato la percezione della contrattazione di categoria.

 

Inoltre, lo studio in esame ha confermato le principali funzioni della contrattazione collettiva di categoria: in primis, il ruolo di regolazione della concorrenza, il quale tuttavia è stato indebolito, tanto che gli attori hanno dovuto trovare dei metodi alternativi per mantenere la propria capacità normativa. In secondo luogo, la possibilità di mettere a disposizione delle imprese delle risorse: in questo caso, sembra che la funzione sia stata perfino rinforzata, in particolare nel caso delle piccole imprese.

 

Infine, possono essere sottolineate due importanti difficoltà a cui si può andare incontro: in primo luogo è stata rimarcata la differenza nella pratica del dialogo sociale nei vari settori. Vi sono infatti alcune categorie in cui c’è una debole tradizione di dialogo sociale, tanto che la contrattazione di categoria si trova in difficoltà ad esercitare la propria capacità di contrattazione. Altre difficoltà nascono, poi, per quelle imprese appartenenti a gruppi che intervengono in più settori, le quali possono, dunque, rientrare in più convenzioni collettive di categoria. Cresce allora rapidamente il rischio di concorrenza tra le varie contrattazioni di categoria. Queste difficoltà, in realtà, non sono figlie delle ordonnances Macron, ma ciclicamente si presentano ad ogni intervento legislativo senza che alcuna soluzione sia prevista in materia.

 

Angela Zaniboni

ADAPT Junior Fellow

@angzanib