parti sociali

Il coinvolgimento delle parti sociali nell’implementazione dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza: evidenze dall’ultimo report Eurofound

Il coinvolgimento delle parti sociali nell’implementazione dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza: evidenze dall’ultimo report Eurofound

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui

Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT  3 aprile 2023, n. 13

 

Il Dispositivo per la ripresa e resilienza (Recovery and Resilience Facility) rappresenta lo strumento principale del Piano NextGenerationEU, un ambizioso programma di investimenti e riforme finalizzato a stimolare la crescita e a stabilizzare l’attuale contesto europeo post-crisi. Questo strumento, orientato alla domanda e basato sulle performance, è una componente chiave della strategia orientata al futuro dell’UE, destinato a contribuire significativamente all’European Green Deal. A oltre un anno e mezzo dalla sua adozione, la valutazione della Commissione Europea di luglio 2022 indica che l’implementazione dei Piani di Ripresa e Resilienza sta procedendo adeguatamente. Tuttavia, il coinvolgimento delle parti sociali nella preparazione e implementazione dei suddetti, stabilito nel regolamento del Recovery and Resilience Facility, è stata alquanto insufficiente. Un recente studio elaborato da Eurofound ha infatti evidenziato una certa insoddisfazione per la qualità generale del coinvolgimento delle parti sociali, con i sindacati maggiormente critici del loro ruolo nell’esecuzione degli investimenti e le organizzazioni dei datori di lavoro più positive, soprattutto in merito alle politiche di digitalizzazione rivolte alle PMI. Viene, inoltre, rilevato come il coinvolgimento delle stesse sia stato più evidente durante la progettazione dei Piani, svoltasi principalmente nel 2021, rispetto alla fase di implementazione.

 

Coinvolgimento generale

 

Ad eccezione di alcuni Stati membri come Repubblica Ceca, Spagna e Svezia, e di alcuni aspetti specifici come il tempo dedicato alla consultazione in Danimarca, le valutazioni delle parti sociali per quanto riguarda l’attuazione dei Piani di Ripresa e Resilienza e la preparazione dei Programmi Nazionali di Riforma risultano molto simili.

 

La maggioranza delle parti sociali reclama che il tempo dedicato al loro coinvolgimento nella stesura dei Programmi Nazionali di Riforma o nell’attuazione delle varie misure incluse nel Piano di Ripresa e Resilienza sia stato inadeguato. Sono poi in molti ad affermare che in alcuni Stati membri è mancato un vero e proprio processo di consultazione e discussione, nonostante diversi Stati abbiano istituito nuovi organismi con il fine specifico di coinvolgere le parti. In aggiunta, viene lamentato che, anche quando si verifica, la consultazione è tipicamente un processo piuttosto formale e superficiale in cui le decisioni vengono adottate unilateralmente dal governo. Un ulteriore criticità emersa si riferisce, inoltre, al fatto che le autorità nazionali hanno dimostrato di non riflettere adeguatamente le opinioni e le proposte dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro, mentre la partecipazione alle istituzioni di dialogo sociale tripartito è stata principalmente limitata allo scambio di informazioni.

 

Tuttavia, tali conclusioni generali dovrebbero essere contestualizzate in riferimento alle strutture nazionali di dialogo sociale e all’impatto che una procedura senza precedenti come lo sviluppo dei Piani di Ripresa e Resilienza ha avuto sulla politica nazionale. Infatti, le valutazioni delle parti sociali possono essere influenzate da vari fattori, come ad esempio le diverse velocità degli Stati membri nell’attuazione delle riforme e degli investimenti, il fatto che il processo di attuazione sia ancora alle prime fasi, la complessità e la diversità delle misure nei PRR che ha favorito in alcuni casi la consultazione degli esperti rispetto ai processi di dialogo sociale, le diverse architetture di governance degli Stati membri che influiscono sul livello di attuazione (centrale, federale o regionale), l’assenza di coordinamento tra i vari ministeri e dipartimenti coinvolti, il diverso impatto finanziario dei Piani all’interno dei vari Stati membri, l’importanza attribuita dalle stesse parti sociali ai PRR, o dispute nazionali e divergenze in merito al dialogo sociale che potrebbero aver influenzato le risposte fornite. Ciononostante, la qualità e l’intensità del coinvolgimento dimostra ancora una volta che nei Paesi con strutture di dialogo sociale ben stabilite, l’attuazione delle riforme richiede un impegno costante con le parti sociali.

 

Coinvolgimento per categoria di misure in 11 Stati membri

 

In merito all’analisi della partecipazione delle parti sociali nello sviluppo e nell’attuazione di alcune delle misure più rilevanti del Piano di Ripresa e Resilienza, basata esclusivamente su 11 Stati membri( Bulgaria, Croazia, Estonia, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia), il report indica che le parti sociali tendono ad essere più coinvolte nelle misure afferenti alla dimensione della giustizia, in quanto rientrano generalmente nelle loro competenze (prestazioni sociali, dialogo sociale, ecc.). Tuttavia, ciò non vale per tutti gli Stati membri. Infatti, sono stati frequenti casi in cui le stesse parti hanno criticato la qualità del loro coinvolgimento in misure chiave che avrebbero dovuto essere oggetto di significativi processi di dialogo sociale (ad esempio, nel caso del nuovo Registro generale delle organizzazioni sindacali in Grecia). D’altro canto, le parti sociali sono risultate meno coinvolte nelle misure relative alla sostenibilità e, in particolare, alla transizione digitale e alla produttività. L’analisi ha inoltre mostrato che vi è stata una partecipazione disuguale dei sindacati e delle organizzazioni datoriali in diverse misure. In generale, sembra che le organizzazioni datoriali siano state più prominenti dei sindacati nell’attuazione di misure relative alle competenze digitali (ad esempio, in Estonia e Grecia) e alla sostenibilità (ad esempio, in Estonia, Grecia e Romania). Al contrario, i sindacati in alcuni Stati membri sono stati più coinvolti in misure concernenti la dimensione della giustizia (ad esempio, regolamentazione delle entità dell’economia sociale in Polonia o emendamenti legali contro la corruzione in Slovacchia).

 

Indirizzi politici

 

Il rapporto in questione offre diverse indicazioni politiche sulla base delle criticità emerse. In primo luogo, viene ribadita la necessità di intensificare gli sforzi per migliorare la qualità del coinvolgimento delle parti sociali al fine di garantire una corretta implementazione dei Piani di Ripresa e Resilienza, in linea con gli interessi dei datori di lavoro, dei lavoratori e della società nel suo insieme. Infatti, il coinvolgimento delle medesime nella formulazione delle politiche e in particolare nell’implementazione dei suddetti Piani è un indicatore della qualità del dialogo sociale, come dimostrato durante la crisi COVID-19, in cui il dialogo sociale di buona qualità ha contribuito a gestire la crisi e mitigare i suoi effetti economici e sociali. Inoltre, una volta adottati i Piani, è importante mantenere il coinvolgimento delle parti sociali anche nella fase di implementazione delle misure, e non solo in quella di preparazione. Poiché l’attuazione del Dispositivo per la ripresa e resilienza, compreso REPowerEU, rimarrà al centro della politica macroeconomica dell’UE, l’attuazione delle diverse riforme e investimenti inclusi nei Piani di Ripresa e Resilienza richiederà, parimenti, l’instaurazione di una dinamica idonea al coinvolgimento efficace delle parti sociali in fase di consultazione, soprattutto nei Paesi membri dove si è segnalata una carenza di dialogo sociale. Occorre altresì garantire che le lacune e la frammentazione tra le attività dei diversi dipartimenti governativi e i diversi livelli di governo non siano di impedimento all’efficace coinvolgimento delle parti sociali. Infatti, un approccio governativo nazionale omogeneo o unificato per includere le stesse nell’attuazione dei PRR aiuterebbe a facilitare i periodi e le procedure di consultazione. Allo stesso modo, i Paesi membri dovrebbero prendere in considerazione il bisogno di sforzi aggiuntivi volti a migliorare la segnalazione del coinvolgimento delle parti sociali nei Programmi Nazionali di Riforma, ad esempio indicando quali misure sono supportate dalle stesse o fornendo ulteriori dettagli sulle procedure di consultazione.

 

Valeria Virgili

ADAPT Junior Fellow

@Virgil11Valeria

L’accordo tra parti sociali europee per una direttiva condivisa sul telelavoro: una occasione per riportare il dibattito italiano sullo smart working sul giusto binario

L’accordo tra parti sociali europee per una direttiva condivisa sul telelavoro: una occasione per riportare il dibattito italiano sullo smart working sul giusto binario

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui

Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT 4 luglio 2022, n. 26

 

A poco meno di vent’anni dall’Accordo quadro sul telelavoro del 16 luglio 2002, le parti sociali europee – nell’ambito del programma per il dialogo sociale europeo 2022-2024 – hanno deciso di riprendere in mano il processo di definizione di un quadro comune per tutti i Paesi dell’Unione in materia, dopo che, soprattutto negli ultimi anni, le discipline nazionali hanno cominciato a discostarsi da una cornice normativa che cominciava a mostrare i segni del tempo rispetto al c.d. telelavoro di terza generazione (E. Dagnino, What does telework mean in the 21st century? Face to face with Jon Messenger). Esempio eclatante è stato certamente quello italiano, dove il tentativo di assecondare le nuove forme di lavoro da remoto è passato attraverso una disciplina, quella del lavoro agile, che non pochi dubbi ha lasciato con riferimento alle sovrapposizioni e alle deviazioni rispetto al quadro normativo definito dall’accordo quadro europeo e alle discipline contrattual-collettive di recepimento interno (M. Tiraboschi, Il lavoro agile tra legge e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro).

 

In questo senso, la volontà delle parti sociali europee risulta di particolare interesse sia nel metodo che nel merito rispetto a un tema di particolare complessità che non può certo essere affrontato attraverso inutili scorciatoie o trascurando problemi centrali come il tema della salute e sicurezza nei nuovi contesti di lavoro. Al primo punto dell’intesa raggiunta il 28 giugno 2022 si legge che, al fine di adattare la disciplina del telelavoro alle nuove esigenze connesse alla digitalizzazione del lavoro (lavoro ibrido, diritto alla disconnessione, organizzazione del lavoro, salute e sicurezza e trattamento dei dati, tra gli altri aspetti), la strada da perseguire è quella della «revisione e aggiornamento dell’Accordo autonomo sul telelavoro del 2002 da approntare per l’adozione tramite un accordo giuridicamente vincolante implementato attraverso una direttiva».

 

Dal punto di vista del metodo, rispetto a quanto avvenuto nel 2002 e in termini analoghi a quanto avvenuto in materia di contratto a termine, la strada prescelta è quella della stipulazione di un accordo in vista di una sua attuazione da parte delle istituzioni europee (c.d. statutory agreements) e non «secondo le procedure e le prassi proprie delle parti sociali e degli Stati membri» (c.d. non-statutory agreements), con conseguenze di estremo rilievo in punto di vincoli per il legislatore interno, dal momento che l’efficacia diretta degli accordi autonomi è esclusa dalla dottrina maggioritaria e quantomeno dubbia (in tema F. D’Addio, Considerazioni sulla complessa disciplina del telelavoro nel settore privato alla luce dell’entrata in vigore della legge n. 81/2017 e della possibile sovrapposizione con il lavoro agile, in DRI, 2017, 4, 1012-1015), mentre l’attuazione tramite direttiva garantisce piena cogenza nei confronti del legislatore. Peraltro, considerando che il nuovo accordo avrà ad oggetto, per espressa previsione delle parti, anche il diritto alla disconnessione, la scelta è destinata a superare la Risoluzione del Parlamento del 2021 (Risoluzione del Parlamento europeo del 21 gennaio 2021 recante raccomandazioni alla Commissione sul diritto alla disconnessione (2019/2181(INL))) in cui si invitava la Commissione a presentare una proposta di direttiva in materia col rischio di comprimere il ruolo degli attori asociali rispetto a questo diritto di nuova generazione.

 

Passando ai profili sostanziali della proposta, pur nella stringatezza dei contenuti, il programma 2022-2024 offre alcuni elementi di estremo interesse anche in prospettiva interna, considerando che proprio sul lavoro da remoto “all’italiana”, ossia il c.d. lavoro agile, è in corso un dibattito parlamentare in vista della sua revisione (su cui M. Menegotto, Lavoro agile: prospettive accidentate di riforma). Sul punto, infatti, emerge la corretta posizione delle parti sociali europee di ricondurre ad unità le nuove forme di “lavoro da remoto” (un po’ come già fatto in Italia dall’articolo 3, comma 10, del testo unico di salute e sicurezza che ha un campo di applicazione uniforme e generalizzato) adattando la disciplina alla nuova realtà del telelavoro, senza proporre segmentazioni più o meno sostenibili giuridicamente rispetto alla definizione di cosa sia il telelavoro e senza inseguire le mode manageriali del momento che spesso si reggono su ipotesi giuridicamente infondate (es. che il telelavoro imponga una postazione fissa ovvero che il telelavoro sia strutturalmente incompatibile con la presenza in alternanza in azienda). Oltre alla esigenza di rispondere alle problematiche sollevate dalla esperienza del lavoro da remoto pandemico e dalla intensificazione del controllo tecnologico (si parla di vera e propria sorveglianza) e della invasività del lavoro nella vita privata, l’intesa fa espresso riferimento al lavoro ibrido, mostrando una diversa sensibilità, invero già propria dell’accordo del 2002 (vedi M. Biagi, T. Treu, Lavoro e Information Technology: riflessioni sul caso italiano, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2002), rispetto a un legislatore nazionale ancorato alla subordinazione e denotando la consapevolezza che per il telelavoro del futuro non è tanto la semplificazione degli oneri (le denunciate rigidità su costi e misure prevenzionistiche del telelavoro d’antan), ma una ridefinizione del lavoro da remoto nella nuova organizzazione del lavoro, «in particular the management of online workers and the link with working-time, health and safety, work life balance, surveillance, privacy, and data protection».

 

Date queste premesse, non si devono sottostimare i potenziali effetti di tale processo normativo sul fronte interno: ancora una volta ci si può attendere che sia il legislatore sovranazionale, questa volta vestendo i panni delle parti sociali europee, a correggere le incoerenze del quadro normativo italiano in materia di lavoro da remoto che da tempo si denunciano e a riallineare il nostro ordinamento alle buone pratiche europee in materia. Rispetto all’intenso attivismo in materia di lavoro agile – il testo unificato al momento in discussione fa sintesi di dieci diverse proposte di legge – sarebbe quindi preferibile mettersi nella prospettiva di una ridefinizione del quadro di riferimento coerente con le istanze europee.

 

Emanuele Dagnino

Ricercatore di diritto del lavoro,

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@EmanueleDagnino

 

Michele Tiraboschi

Ordinario di diritto del lavoro,

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@MicheTiraboschi