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Appalti privati: best practices dall’accordo di Mondoconvenienza

Appalti privati: best practices dall’accordo di Mondoconvenienza

Bollettino ADAPT 30 giugno 2025, n. 25

 

Il 22 maggio 2025, Iris Mobili S.r.l. (Mondoconvenienza) ha sottoscritto con le organizzazioni sindacali Fisascat-Cisl, Filcams-Cgil e Uiltucs un accordo collettivo per la gestione della filiera produttiva: scopo del protocollo è quello di evitare che attraverso le catene di appalti possano essere alimentati fenomeni di sfruttamento del lavoro.

 

Si tratta di un accordo collettivo di indubbia rilevanza perché anzitutto mirato a dare concreta attuazione all’art. 29, comma 1-bis del d.lgs. n. 276/2003, che impone nell’ambito degli appalti e subappalti privati il rispetto di «un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l’attività oggetto dell’appalto e del subappalto».

 

Da questo punto di vista, l’accordo prevede che Iris Mobili deve richiedere ai propri appaltatori l’applicazione non solo dei contratti collettivi nazionali ma anche di quelli territoriali il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso all’oggetto dell’appalto e che siano sottoscritti dalle federazioni aderenti a Cgil, Cisl e Uil quali organizzazioni sindacali «maggiormente e comparativamente più rappresentative sul piano nazionale», come di frequente affermato anche dalla giurisprudenza. Si tratta di una “applicazione” che non sembrerebbe fare “sconti”, nel senso che questa debba essere integrale, quantomeno per quanto concerne il trattamento economico e normativo. La conseguenza che ne deriva è quella, sul piano pratico, di inserire nel contratto commerciale una clausola volta a sancire l’impegno dell’appaltatore ad applicare i suddetti contratti collettivi, scongiurando così anche un ipotetico ricorso ai contratti c.d. pirata, che nel terziario di mercato si presenta come fenomeno tutt’altro che marginale (G. Piglialarmi, M. Tiraboschi, Fare contrattazione nel terziario di mercato, vol. I e vol. II ADAPT University Press, 2025).

 

In secondo luogo tale accordo appare in linea con i recenti orientamenti ispettivi e della magistratura che sembrano sempre più diretti a responsabilizzare il committente sulla genuinità della catena di appalti e subappalti di cui si avvale.  E ciò non solo per quanto riguarda la c.d. responsabilità solidale, già prevista dall’art. 29, comma 2 del d.lgs. n. 276/2003, bensì con riferimento ad un più ampio e generale onere di controllo e vigilanza sull’intera filiera.

 

Allo stesso tempo, l’accordo collettivo si apprezza anche per aver “procedimentalizzato” l’iter per la stipulazione dei contratti di appalto.

 

Prima di ricorrere all’appalto, infatti, Iris Mobili deve compiere alcuni accertamenti tra i quali: a) verificare che l’appaltatore sia regolarmente iscritto nel registro delle imprese; b) che questo applichi un CCNL leader e che sia coerente con l’oggetto dell’attività da svolgere; c) che l’appaltatore rispetti gli standard di sicurezza imposti dalla legge e dalla contrattazione collettiva; d) che svolga il lavoro assegnato con una certa abitualità e quindi professionalità e che sia in possesso del DURC. L’accordo, dunque, impone al committente di effettuare una serie di verifiche pre-contrattuali, in assenza (o in violazione) delle quali, laddove si proceda comunque alla stipulazione del contratto di appalto, i sindacati potrebbero impugnare l’esternalizzazione vantando l’ipotesi di una condotta antisindacale ex art. 28 St. Lav.

 

La suddetta attività di verifica sembrerebbe porsi come una vera e propria leva di controllo indiretto del mercato. In un’ottica di law & economics, l’insieme degli obblighi che l’accordo collettivo pone in capo al committente dovrebbe indurre quest’ultimo a selezionare solo imprenditori affidabili, che siano cioè in grado di non compromettere i diritti sociali o produrre esternalità negative sotto il profilo della tutela del lavoro. L’obiettivo, in buona sostanza, pare essere quello di generare un “mercato virtuoso”, capace di escludere automaticamente da esso tutte le aziende che non sono capaci di garantire il pieno della normativa lavoristica e previdenziale: è questa del resto la finalità dell’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003 e quindi della responsabilità solidale, come si spiega bene nel messaggio INPS  27 gennaio 2022, n. 428.

 

Un simile meccanismo è stato recentemente introdotto, al livello settoriale, con il rinnovo del CCNL Logistica, trasporto merci e spedizioni, sottoscritto da 24 associazioni datoriali (tra cui Assologistica, e Fedit assistite da Confetra) e 3 sigle sindacali (Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti). Nel caso di specie, il nuovo articolo 42 ha introdotto un vero e proprio sistema di “Qualificazione della filiera” onerando gli appaltatori a rispettare una serie di requisiti, tra cui: la verifica dell’idoneità tecnico-professionale, la capacità finanziaria-economica e la regolarità contributiva e fiscale. Nel settore di riferimento è stata tipizzata altresì una causa di risoluzione del contratto di appalto in caso di mancato rispetto di determinate condizioni, tra cui l’applicazione di un CCNL diverso da quello c.d. di filiera della Logistica, trasporto merci e spedizioni (per un approfondimento si veda, G. Benincasa, Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/245 – Il rinnovo del CCNL Logistica, trasporto merci e spedizioni: maggiore flessibilità e inclusione per affrontare le sfide operative, Bollettino ADAPT 9 dicembre 2024, n. 44).

 

Da apprezzare è anche la clausola dell’accordo collettivo sottoscritto da Iris Mobili che impone all’appaltatore di essere autorizzato dal committente per subappaltare in tutto o in parte l’attività. Se da un lato è raro che in un accordo collettivo si inserisca una clausola di questo tipo – che del resto sembrerebbe richiamare quanto già disposto dall’art. 1656 c.c. – dall’altro la disposizione contrattuale è chiara nel consentire un solo subappalto (chiamato “di primo livello”) e non un sistema c.d. “a cascata” (cioè composto di più subappalti).

 

Da ultimo, oltre a contenere una serie di obblighi informativi (anche rispetto all’introduzione di nuove tecnologie e modelli di business) e a ribadire in non pochi punti la necessità che l’appaltatore applichi non solo il CCNL ma anche la contrattazione decentrata laddove esistente coerente con l’oggetto dell’appalto – sull’evidente scia della disciplina pubblicistica (cfr. art. 11 del d.lgs. n. 36/2023) – l’accordo collettivo si caratterizza per alcune disposizioni di chiusura, che riguardano proprio la sua efficacia temporale. Le disposizioni contrattuali, infatti, non si applicheranno solo ai contratti di appalto stipulati a partire dalla sottoscrizione dell’accordo collettivo ma anche ai contratti prorogati o rinnovati a partire dal 22 maggio 2025.

 

Sottoscritto dopo 27 mesi di trattativa e destinato ad incidere su oltre 6.000 lavoratori e lavoratrici della filiera produttiva di Mondoconvenienza, complessivamente l’accordo collettivo in commento potrebbe essere inteso come un tentativo (ben riuscito, almeno potenzialmente) di organizzare una contrattazione di filiera a livello aziendale, lungo la quale la pluralità di imprese coinvolte è tenuta a rispettare determinati standard normativi, onde evitare che la frammentazione dei processi produttivi si traduca (anche) in una forma di sfruttamento del lavoro (sul punto, cfr. da ultimo R. Schiavo, La funzione della contrattazione collettiva nelle catene produttive nazionali: la necessità di un patto di filiera, in LDE, 2021, n. 2). In questa prospettiva, l’accordo testimonia senz’altro come le “buone relazioni industriali” possano riuscire a governare le trasformazioni organizzative del lavoro, non essendo sempre necessario ricorrere alla leva legislativa per contrastare alcuni fenomeni che compromettono i livelli di tutela e alterano la concorrenza tra le imprese.

 

Giovanni Piglialarmi

Ricercatore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

ADAPT Senior Fellow

@Gio_Piglialarmi

 

Giada Benincasa

Vice-Presidente della Commissione di certificazione DEAL dell’Università di Modena e Reggio Emilia

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Di cosa parliamo quando parliamo di contrattazione di produttività? (Parte II) – Un quadro ragionato della reportistica ufficiale

Di cosa parliamo quando parliamo di contrattazione di produttività? (Parte II) – Un quadro ragionato della reportistica ufficiale

Bollettino ADAPT 30 giugno 2025, n. 25

 

Dal luglio 2016 il Ministero del Lavoro pubblica mensilmente un report di monitoraggio dei contratti collettivi di produttività. Questo strumento rappresenta, allo stato, l’unica fonte istituzionale di cui disponiamo per comprendere l’evoluzione degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione ai quali i contratti collettivi aziendali o territoriali legano la corresponsione dei premi di risultato nonché i criteri di individuazione delle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili di impresa. I report ministeriali si limitano tuttavia a una descrizione quantitativa del fenomeno, indubbiamente utile a tracciare alcune tendenze nel tempo del fenomeno ma non per entrare in profondità nei contenuti e tanto meno nella operatività degli accordi in questione.

 

Tali monitoraggi si basano sull’obbligo di deposito di detti contratti, da parte delle imprese, introdotto dall’articolo 14 del decreto legislativo n. 151 del 2015 come condizione per accedere agli incentivi previsti dalla legge n. 208/2015, articolo 1, commi 182-189 (sul tema si rinvia a G. Comi, M. Tiraboschi, Parte I – La normativa di incentivazione).
Nel tempo, il contenuto dei report si è ampliato. Oltre ai contratti legati alla misura di detassazione dei premi di risultato, dal 2018 vengono incluse anche intese che accedono ad altri tipi di agevolazioni, come la decontribuzione prevista dal Decreto Interministeriale 12 settembre 2017 per la conciliazione vita-lavoro e la contrattazione di prossimità disciplinata dal D.L. 138/2011. Nel presente contributo intendiamo concentrarci sulla prima sezione della reportistica ministeriale, relativa alla detassazione del premio di risultato, per offrire un quadro sintetico dell’andamento di questa forma di contrattazione di produttività in Italia tra il 2016 e il 2024.

 

Da una lettura longitudinale della reportistica, i dati mostrano una diffusione significativa del fenomeno nel periodo di vigenza della norma incentivante, per un totale di 108.546 contratti depositati al 15 maggio 2025, in netta crescita rispetto ai 17.318 depositati nel primo anno di attuazione della normativa (dicembre 2016). In origine, i report operavano una mera distinzione tra accordi aziendali e territoriali e si limitavano peraltro a registrare solo tre dei cinque obiettivi previsti dalla normativa per l’erogazione dei premi di risultato (produttività, redditività, qualità), escludendo efficienza e innovazione.

 

Contratti collettivi depositati (2016-2024)

 

2016

2017

2018

2019

2020

2021

2022

2023

2024

Unità

15.592

23.404

35.038

47.817

56.091

63.958

73.566

84.226

97.502

 

A partire dal giugno 2017, si assiste ad una svolta nei monitoraggi, perché si cominciano a evidenziare i contratti ancora “attivi” al momento della pubblicazione del report.

Questo dato ci restituisce l’immagine di un fenomeno dalla portata più contenuta, che all’inizio delle rilevazioni si attestava in media su 12.794 contratti attivi per l’anno 2018, mentre secondo l’ultimo monitoraggio si ferma a 13.042 unità (15 maggio 2025). Si consideri peraltro che negli anni di monitoraggio non si è mai superata la quota di 14 mila contratti attivi in media per ciascun anno (picco di 17.937 contratti attivi alla data del dicembre 2019). Pertanto, questo cambiamento nella reportistica ha sì migliorato la precisione dell’analisi, ma ha reso più difficile confrontare i dati con quelli precedenti. I report più datati, inoltre, risentono del “periodo transitorio” di avvio del sistema (contratti firmati nel 2015 depositati nel 2016), con un impatto negativo sulla loro affidabilità statistica.

 

Contratti collettivi attivi (2018-2024)

 

2018

2019

2020

2021

2022

2023

2024

Unità

12.794

14.133

12.148

10.700

9.654

10.972

13.761

 

Se si pone l’attenzione sugli obiettivi cui viene legata l’erogazione dei premi di risultato, notiamo come, nell’evoluzione temporale dei monitoraggi, la produttività sia rimasta l’obiettivo più frequentemente indicato sul totale dei contratti attivi (79% nel dicembre 2018 e 81% nel dicembre 2024). Eppure, questo dato, preso singolarmente, non è sufficiente a restituire la complessità delle dinamiche aziendali, a maggior ragione se si considera che tutt’oggi si continua a monitorare soltanto l’andamento di tre obiettivi (produttività, redditività e qualità). Efficienza ed innovazione vengono invece ancora tralasciate senza giustificazione alcuna, mentre crediamo che in un’ottica di controllo della crescita e sostenibilità aziendale a lungo termine sia fondamentale verificare se e quante imprese investono in questi fattori.

 

Obiettivi predeterminati per l’erogazione del premio di risultato (2018-2024)

 

2018

2019

2020

2021

2022

2023

2024

Produttività

10.088

11.031

9.485

8.482

7.622

8.630

11.020

Redditività

7.530

8.177

7.191

6.517

5.844

6.621

8.599

Qualità

6.222

6.693

5.589

5.051

4.901

5.583

6.905

 

Per quanto riguarda la distribuzione territoriale del fenomeno, dal marzo 2018 i dati dei report vengono disaggregati per macro-area geografica (Nord, Centro, Sud), consentendoci di evidenziare una netta concentrazione territoriale dei contratti nel Nord Italia (oltre il 70%). Tuttavia, si segnala una criticità metodologica, poiché la localizzazione fa riferimento alla sede legale (coincidente con la Direzione Territoriale del Lavoro presso cui si deposita il contratto) e non alla sede operativa, che sarebbe invece un parametro più utile per misurare l’impatto effettivo di produttività e premi (come osservato in J. Sala, M. Tiraboschi, Contrattazione aziendale: il problema della “localizzazione” degli accordi). Possiamo comunque accertare la tendenza costante a stipulare contratti di produttività nell’area settentrionale del Paese, indubbiamente condizionata anche dalla presenza di un maggior numero di imprese registrate in quelle regioni (il 28,7% nel Nord-ovest e il 22,7% nel Nord-est, dati ISTAT 2023).

 

Distribuzione territoriale (2018-2024)

 

2018

2019

2020

2021

2022

2023

2024

Nord

75%

77%

79%

76%

72%

72%

74%

Centro

17%

15%

15%

16%

19%

18%

16%

Sud

8%

7%

7%

8%

10%

10%

10%

 

Un altro aspetto interessante che è rimasto abbastanza stabile nel tempo riguarda la diffusione del fenomeno per dimensione delle imprese: la maggior parte dei contratti è sottoscritta da aziende con meno di 50 dipendenti (51% nel 2018 e 47% nel 2024, per una media del 49% negli anni). È questo un dato che sfata la diffusa percezione secondo cui solo le grandi imprese praticherebbero la contrattazione di secondo livello: le imprese sopra i 100 dipendenti coprono in realtà il 36% in media dei contratti. Ad ogni modo, se paragoniamo questo dato con quello della composizione del tessuto imprenditoriale italiano ci appare chiaro come le piccole-medie imprese siano sotto-rappresentate, costituendo la quasi totalità delle aziende registrate in Italia (99,6% secondo dati ISTAT, 2021).

 

Distribuzione per dimensione aziendale (2018-2024)

 

2018

2019

2020

2021

2022

2023

2024

< 50

51%

51%

54%

53%

46%

43%

47%

>=100

34%

34%

32%

33%

38%

41%

38%

50-99

15%

15%

14%

14%

16%

16%

15%

 

Quanto al settore economico, i report rivelano che sussiste una prevalenza continua dei contratti stipulati nei Servizi (59% nel 2018 e 60% nel 2024), un dato in linea con il peso di questo comparto nell’economia italiana (69,6% secondo dati ISTAT, 2021) nonché con la rilevanza data al dialogo sociale nel settore. Seguono l’Industria (39%) e l’Agricoltura (1%).

 

Distribuzione settoriale (2018-2024)

 

2018

2019

2020

2021

2022

2023

2024

Servizi

59%

56%

54%

56%

59%

60%

60%

Industria

40%

43%

45%

43%

40%

40%

39%

Agricoltura

1%

1%

1%

1%

1%

1%

1%

 

In aggiunta, i report pubblicati dal 2019 in poi riportano anche il numero stimato dei lavoratori coinvolti. Se nel 2020 la quota si attestava sotto i 3 milioni, nel 2024 raggiunge i 4 milioni nel 2024, su un totale di 15 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato. Ciò significa che oggigiorno il 26,4% dei dipendenti potenzialmente coinvolti può beneficiare di un premio di risultato legato alla produttività aziendale.

 

Lavoratori beneficiari (2020-2024)

 

2020

2021

2022

2023

2024

Unità

2.735.146

2.681.477

2.923.605

3.402.450

4.052.172

 

Inoltre, adottando il punto di vista dell’impatto del fenomeno sul lavoratore, appare importante la rilevazione del valore medio annuo del premio di risultato, il quale passa da un valore iniziale di 1.296,58 euro alla quota di 1.494,12 euro nel 2024. Il riferimento a questo dato è inedito e ci consente di cogliere come il fenomeno possa migliorare la condizione retributiva dei lavoratori. Tuttavia, va ricordato che questi dati si basano su autodichiarazioni aziendali (contenute nei modelli di deposito), senza controlli qualitativi sui testi dei contratti, e vanno quindi letti con cautela.

 

Stima del valore annuo del premio (2020-2024)

 

2020

2021

2022

2023

2024

Valore in euro

1.296,58

1.328,98

1.505,94

1.529,63

1.494,12

 

Infine, si segnala che il 2021 segna un forte calo nel numero dei contratti attivi e dei beneficiari, che influisce su ciascuno dei parametri di lettura individuati finora. Verosimilmente la decrescita si lega agli effetti della pandemia – come già rilevato in un Rapporto INAPP del 2022(AP. Paliotta, M. Resce, Il premio di risultato nella contrattazione collettiva) – ed invero si è dovuto attendere il periodo tra il 2022 e 2024 per assistere a una graduale ripresa, anche se su certi fronti non ancora sufficiente ad un ritorno pieno dei livelli del 2019.     

 

Il quadro finale che emerge da questa lettura trasversale dei report ministeriali restituisce un’immagine poco nitida del fenomeno, viziata dall’assenza di dati importanti, quali la rilevazione di tutti e cinque gli obiettivi a cui la legge collega l’erogazione del premio di risultato e il difetto di precisione nella localizzazione delle aziende sottoscriventi gli accordi. D’altro canto, i report non ci consentono di conoscere a quanto ammonta l’effettivo importo del premio guadagnato dai lavoratori a consuntivo delle verifiche sui risultati aziendali.

Nell’operazione di monitoraggio in generale pesa anche l’assenza di una valutazione approfondita della efficacia o meno delle misure pubbliche a sostegno della contrattazione di produttività.

 

In conclusione, la reportistica ministeriale offre uno strumento prezioso per osservare le dinamiche della contrattazione di produttività, ma dalla sua analisi emerge la necessità di un monitoraggio più accurato e di un’attenzione maggiore ai contenuti effettivi degli accordi aziendali, oltre che una maggior capacità di cogliere l’effettiva incidenza delle misure. I dati analizzati mostrano infatti una carenza di sistematicità nell’elaborazione dei monitoraggi – come già segnalato dal CNEL nei suoi Rapporti sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva. Per orientare meglio le politiche di incentivazione, occorre investire in una rilevazione più sistematica e qualitativa, capace di restituire un quadro più fedele delle trasformazioni in atto nei luoghi di lavoro, soprattutto in un contesto economico in cui la produttività del lavoro, la partecipazione finanziaria e la qualità della contrattazione aziendale sono tornate al centro del dibattito politico e istituzionale (si veda la recentissima Legge n. 76/2025 sulla partecipazione dei lavoratori).

 

Giulia Comi

PhD Candidate – ADAPT Università di Siena

@giulphil

 

* Le tabelle presenti nel testo sono realizzate attraverso la rielaborazione personale dei dati contenuti nei Report deposito contratti ex art. 14 del d.lgs. 151/2015, sezione prima, pubblicati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, pubblicati nel periodo intercorrente fra 2016 e 2024.

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/275 – L’accordo di rinnovo del CCNL Cemento, calce, gesso

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/275 – L’accordo di rinnovo del CCNL Cemento, calce, gesso

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT  9 giugno 2025, n. 22

 

Contesto del rinnovo

 

Lo scorso 8 maggio 2025 è stato siglato da Federbeton e Feneal-Uil, Filca-Cisl, Fillea-Cgil, l’accordo di rinnovo per il CCNL per i dipendenti delle aziende del cemento, calce, gesso. Il successivo 12 maggio l’accordo è stato siglato per adesione anche dalla UGL costruzioni

 

L’intesa arriva dopo l’accordo del 15 ottobre 2024 che – sulla base di specifica clausola di contratto (art. 44) – ha introdotto l’adeguamento salariale rispetto agli scostamenti inflattivi del triennio precedente e dopo una piattaforma sindacale unitaria presentata dalle organizzazioni sindacali il 29 ottobre 2024.

 

Parte economica

 

Con riferimento al trattamento economico minimo, si conferma il funzionamento dell’impianto contrattuale per quanto riguarda gli aumenti dei minimi tabellari.

 

L’accordo introduce un aumento a regime, a parametro 140, pari ad euro 175, da erogarsi in tre tranche nel mese di ottobre di ciascun anno (2025-2027).

 

Altri elementi riconducibili al trattamento economico complessivo, sono l’aumento del contributo a carico azienda in caso di iscrizione al fondo di previdenza complementare (+ 0,15% dal 1° luglio 2026 e ulteriori + 0,15% l’anno successivo, per un contributo aziendale a regime dello 2,8% della retribuzione utile ai fini del TFR), come anche quello relativo all’assistenza sanitaria integrativa (da 15 a 18 euro/mese, dal 1° gennaio 2026), questo sul presupposto dell’ampliamento delle coperture.

 

Un ulteriore voce che conosce un incremento è l’elemento di garanzia retributiva (art. 51-bis) assicurato ai lavoratori dipendenti di aziende prive di contrattazione in materia di premio di risultato, che dal 1° gennaio 2026 è definito in 300 euro lordi (contro i precedenti 170).

 

Tra le altre misure, si segnala l’attribuzione a totale copertura aziendale del costo pasto, che fa il paio con l’incremento dell’indennità sostitutiva del servizio mensa (art. 52) entrambe con decorrenza 1° gennaio 2026, nonché l’introduzione – dal 1° gennaio 2027 – della copertura aziendale per il lavaggio degli indumenti (art. 61-bis) per il personale operativo (operai, intermedi e impiegati tecnici) delle unità produttive del cemento, calce, gesso e malte.

 

Non banale, infine, l’estensione della platea dei destinatari del c.d. premio di anzianità (art. 74) anche alla categoria legale degli operai, sino ad ora esclusa.

 

Parte normativa

 

Diversi sono gli interventi sulla disciplina del rapporto di lavoro.

 

Si segnala, anzitutto, la modifica delle clausole relative al periodo di prova, la cui durata massima – in termini di mesi – è ora riferita a periodo di effettivo servizio, valorizzando dunque il criterio della prova concreta delle mansioni. Con un piccolo inciso fermi restando i limiti di legge») al primo comma dell’art. 21 di CCNL le Parti recepiscono, indirettamente, le nuove disposizioni in materia di durata massima della prova per i rapporti a termine (art. 7, d. lgs. n. 104/2022 come modificato dalla l. n. 203/2024) senza individuare discipline specifiche di settore.

 

Non mancano poi interventi mirati su altre importanti materie:

– per quanto riguarda l’inquadramento, viene sostituito – ogni qualvolta ricorra nelle definizioni dei diversi profili professionali – il termine «preposti» con «referenti», con ciò evitando possibili commistioni con figure tipiche del sistema di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;

– il periodo di conservazione del posto in caso di malattia per ricorso a terapie salvavita viene ulteriormente ampliato (da 7 a 10 mesi), tramite il meccanismo dello scomputo dal periodo massimo di 30 mesi, con ridefinizione del trattamento economico a carico azienda (art. 55);

– viene riportata la dichiarazione comune circa il contrasto alla violenza di genere;

– si aggiornano infine i riferimenti di legge in ambito genitorialità, con la previsione della frazionabilità ad ore dei congedi parentali (art. 58).

 

Parte obbligatoria

 

Meritano poi un cenno gli interventi di parte obbligatoria, che possiamo distinguere tra più semplici operazioni di manutenzione/aggiornamento e clausole che rispecchiano una determinata visione anche di settore.

 

I firmatari aggiornano la composizione numerica del Comitato Bilaterale dei Materiali da Costruzione (CBMC), assicurandone la costituzione (nel precedente rinnovo vi era la costituzione di un gruppo di lavoro per l’attivazione dello stesso) e l’operatività e riformulando taluni aspetti.

 

Confermati e riformulati gli importanti riferimenti al monitoraggio sull’evoluzione tecnologica e le sue ricadute anche in termini di riqualificazione, formazione, occupazione ed innovazione organizzativa, l’attenzione all’avvicendamento generazionale, al tutoraggio formativo e all’alternanza scuola-lavoro. Non manca poi un riferimento allo sviluppo sostenibile e alla tutela ambientale, anche con relazioni col territorio. Su questi punti d’interesse verte il programma di lavoro del CBMC.

 

Sempre sul piano delle relazioni a livello nazionale, si conferma l’operatività del gruppo di lavoro sull’inquadramento, con (nuovi) compiti specifici per l’individuazione di nuovi profili professionali legati a particolari tecnologie di prodotto/produzione o per l’aggiornamento di profili già presenti, nonché per la definizione dei lavori pesanti e disagiati.

A livello aziendale invece, ed in particolare per i gruppi, è infine integrato l’elenco dell’oggetto dell’informativa annuale alle organizzazioni sindacali, con il riferimento al rapporto biennale di genere, al bilancio di sostenibilità ed al ricorso all’intelligenza artificiale e sue possibili ricadute organizzative/occupazionali.

 

Valutazione d’insieme

 

La firma dell’accordo arriva a pochi mesi dalla predisposizione e presentazione della piattaforma di rinnovo e si colloca in un consolidato sistema di relazioni industriali che vede, al di là dei pur importanti elementi normativi, ancora al centro l’interesse per i livelli salariali ed i trattamenti economici connessi anche a prestazioni di welfare contrattuale.

 

Da una lettura sistematica dell’articolato si può verificare anche la gradualità degli incrementi delle voci di costo (previdenza, assistenza, indennità di vario tipo) con una distribuzione ragionata nel corso del triennio di vigenza del CCNL così come rinnovato.

 

Marco Menegotto

Ricercatore ADAPT Senior Fellow

@MarcoMenegotto

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/274 – Trattamento economico, contratto a termine e orario di lavoro: le novità introdotte dal rinnovo 2023-2026 del CCNL Esercizi Cinematografici

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/274 – Trattamento economico, contratto a termine e orario di lavoro: le novità introdotte dal rinnovo 2023-2026 del CCNL Esercizi Cinematografici

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 3 giugno 2025, n. 21

 

Contesto del rinnovo

 

I lavori di definizione del nuovo accordo contrattuale per il settore cinematografico e del cinema teatrale si sono conclusi il 23 gennaio 2025 con la stipula del rinnovo del CCNL tra l’A.N.E.C., associazione datoriale cui aderiscono le imprese che svolgono attività di esercizio cinematografico, e SLC CGIL, FISTel CISL e UILCOM UIL, federazioni sindacali che rappresentano i lavoratori del cinema (codice CNEL G211). Il rinnovo ha vigore a partire dal primo gennaio 2023 e rimane valido fino al 31 dicembre 2026.

 

Il primo CCNL disciplinante questo settore è stato stipulato nel marzo del 1964, mentre nel 2016 era stato sottoscritto l’ultimo rinnovo, rimasto in vigore fino al 31.12.2019. Dal gennaio 2020, infatti, sono cominciati i lavori per la stipula del successivo accordo, che tuttavia si sono arrestati nel febbraio 2020 a causa della pandemia COVID-19, per riprendere solo tre anni dopo. Il 31 maggio 2023 le parti coinvolte hanno raggiunto un primo accordo straordinario atto a disciplinare il settore nel periodo 2020-2022, per poi arrivare alla sottoscrizione del nuovo CCNL solo all’inizio del 2025.

 

Guardando ai dati, il numero delle aziende impegnate nel settore cinematografico è diminuito progressivamente nel corso degli anni, da 733 attive nel 2018 a 641 nel 2023, ma il calo di maggiore portata si registra nell’arco dell’anno successivo: le aziende esercenti nel 2024 risultano essere solo 253. Quanto al numero dei dipendenti del settore cinematografico, si registra un calo tra il 2018 e il 2021 ed una ripresa, con un progressivo aumento, tra il 2022 e il 2023. Tra il 2023 e il 2024, invece, si è verificato un grosso calo: da 7037 dipendenti nel 2023 a 1205 dipendenti nel 2024.

 

Parte economica

 

Per ciò che concerne la disciplina contrattuale del trattamento economico dei lavoratori del settore cinematografico e del cinema teatrale, vi sono interessanti novità sul piano del Trattamento Economico Minimo.

 

Segnatamente, il contratto predispone per il 4° livello un aumento progressivo dei minimi tabellari, per un totale di 200 euro. L’erogazione dell’importo è prevista in quattro tranche: la prima è erogata nel mese di gennaio 2023, la seconda nel novembre 2024, la quarta nel mese di luglio 2025, con una novità inedita per la terza tranche, trattandosi di 50,00 euro destinati in parte al welfare, essendo una quota del totale finalizzata all’adeguamento del livello superiore della polizza sanitaria (assorbendo i 10,00 euro destinati al Fondo “Salute Sempre” e i 5,00 euro destinati al Fondo Byblos, previsti dal precedente contratto) e confluendo il restante in buoni carburante e spese personali del dipendente.

 

Per ciò che concerne le maggiorazioni retributive per il lavoro domenicale, necessario secondo le parti firmatarie vista la particolare connotazione strutturale dell’attività nelle sale cinematografiche, all’art.16 del rinnovo del CCNL le parti convengono nell’applicare una maggiorazione del 10%, calcolata sul minimo tabellare per ogni ora di lavoro prestata nella giornata di domenica.

 

Parte normativa

 

La parte normativa del rinnovo del CCNL presenta una serie di novità su cui è interessante soffermare l’attenzione: si tratta delle disposizioni dedicate al contratto a termine, all’orario di lavoro, al lavoro agile e intermittente.

 

In particolare, è modificato l’articolo 11, rubricato “Contratto a termine”, che viene integrato con una disciplina della durata del contratto a tempo determinato nel settore cinematografico rispettosa dei paletti posti dalla normativa legale di riferimento (articolo 19 del d.lgs. n. 81 del 2015). La disposizione contrattuale, infatti, sancisce che la durata del contratto a termine concluso col lavoratore può superare i 12 mesi, a condizione che vi sia allegata una delle causali giustificatrici (ad esempio in casi di incrementi temporanei di lavoro, indisponibilità temporanea dell’organico, esigenze relative alla gestione di ferie e di permessi) e precisa che la sua durata massima non può superare i 24 mesi. L’articolo 11, in coerenza con quanto disposto dall’art. 19, comma 2 d.lgs. 81/2015, individua tre casi in cui la durata del contratto a tempo determinato può superare il limite dei 24 mesi: in caso di sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto; nei casi previsti dalla contrattazione aziendale; nel caso di stipula del c.d. “contratto in deroga” presso la sede dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro ai sensi dell’art. 19, comma 3 d.lgs. 81/2015. L’articolo 11 del CCNL riconosce inoltre la possibilità di prorogare la durata del contratto a termine per un massimo di quattro volte, in coerenza con gli articoli 19 e 21 del d.lgs. n. 81 del 2015.

 

Sul contingentamento dei lavoratori a termine, l’art. 11 del CCNL in esame, sfruttando la clausola di salvaguardia prevista dall’art. 23 d.lgs. n. 81/2015, consente l’assunzione a tempo determinato di un numero di lavoratori fino ad un massimo del 40% di quelli assunti a tempo determinato. Per le imprese con massimo 5 dipendenti a tempo indeterminato, è prevista l’assunzione di un numero di lavoratori a tempo determinato “fino al massimo del numero dei tempi indeterminati “Full-Time Equivalent” in forza”.

 

Il rinnovo del CCNL, inoltre, ha apportato integrazioni anche all’art. 53, rubricato “Orario di lavoro”, sia sul punto dell’orario normale che di quello straordinario. In conformità con la normativa di riferimento (art. 3 d.lgs. n. 66/2003), il contratto in esame prevede che la durata dell’orario normale di lavoro sia di 40 ore settimanali. In coerenza con l’articolo 16, lett. d del d.lgs. 66/2003 la disposizione contrattuale inserisce una deroga alla disciplina della durata settimanale dell’orario: precisa che per gli addetti ai lavori discontinui o di semplice attesa e custodia l’orario normale di lavoro non può superare le 60 ore settimanali e le 10 ore giornaliere.

 

Per ciò che concerne l’orario di lavoro massimo, il contratto ne calcola la durata media riferendosi ad un periodo di quattro mesi, come disposto dall’articolo 4, comma 3 del d.lgs. n. 66 del 2003. Inoltre, in coerenza con quanto disposto dall’art. 4, comma 4 d.lgs. 66/2003 il CCNL in esame prevede che, in caso di particolari esigenze organizzative, il computo potrà avvenire su un periodo di riferimento elevato fino a 12 mesi.

 

In materia di riposo giornaliero dei lavoratori del settore, l’art. 53 del CCNL prevede che in caso di particolari esigenze organizzative il riposo giornaliero di 11 ore possa essere fruito frazionatamente, prevedendo la possibilità di un riposo compensativo ove le 11 ore di riposo giornaliero non fossero assicurate.

 

Quanto alla disciplina contrattuale del lavoro straordinario, in coerenza con il comma 3 dell’articolo 5 del d.lgs. 66 del 2003, l’articolo 53 del nuovo CCNL ammette il ricorso al lavoro straordinario oltre il limite delle 250 ore in quelle che intende “particolari circostanze” (come eccezionali esigenze tecnico produttive, forza maggiore e in caso di pericolo grave ed immediato di danno all’attività lavorativa). Infine, il contratto applica l’articolo 5, ultimo comma del d.lgs. 66 del 2003, prevedendo che le parti possono concordare la fruizione da parte dei lavoratori di riposi compensativi in alternativa o in aggiunta alle maggiorazioni retributive per lavoro straordinario.

 

Nella sua parte normativa, inoltre, il CCNL inserisce due nuovi articoli: l’11 bis e l’11 ter, che disciplinano rispettivamente il lavoro intermittente e il lavoro agile.

 

L’articolo 11 bis del contratto introduce nel settore lavorativo cinematografico la stipula del contratto di lavoro intermittente, applicando la normativa di riferimento (artt. 13-15 del d.lgs. n. 81 del 2015) e ne indica le causali giustificatrici distinguendo tra quelle soggettive e quelle oggettive: la conclusione del contratto avverrà per prestazioni da svolgersi entro il compimento del 25° anno di età con lavoratori di età superiore a 55 anni o inferiore a 24 anni (causale soggettiva) mentre in caso di assenza improvvisa e non programmata di un’unità lavorativa o in presenza di un aumento di attività legato alla programmazione cinematografica si avrà la stipula di un contratto di lavoro intermittente, indipendentemente dall’età del lavoratore (giustificazioni oggettive).

 

L’articolo 11 ter, invece, disciplina il lavoro agile, c.d. smart working, ponendosi nell’ottica di favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti del settore e lo fa applicando gli articoli di riferimento della legge n. 81 del 2017 (artt. 18-24).

 

Infine, viene inserito l’articolo 61 bis che riconosce alle lavoratrici e ai lavoratori dipendenti del settore il diritto di fruire di congedi di maternità e paternità, garantendo agli stessi nei giorni di assenza una indennità integrativa corrisposta dall’azienda in aggiunta al trattamento economico erogato dall’Istituto assicuratore, che garantisca loro di raggiungere il 100% della normale retribuzione.

 

Parte obbligatoria

 

Quanto alla parte obbligatoria del nuovo CCNL, risultano modifiche relativamente all’esercizio del diritto sindacale di assemblea, nonché all’apertura di un nuovo Ente Bilaterale di categoria. L’articolo 32 dell’accordo, nella parte relativa al diritto dei lavoratori di riunirsi in assemblea, introduce un’importante condizione alla quale è subordinato il pagamento delle ore passate dal lavoratore in assemblea: il dipendente deve dimostrare l’effettiva partecipazione all’assemblea. La disposizione precisa, inoltre, che il lavoratore ha diritto alla retribuzione delle ore passate in assemblea, fino ad un massimo di 10 ore l’anno. Infine, il contratto prevede all’articolo 43 l’apertura di un nuovo Ente Bilaterale di categoria entro il 31 dicembre 2025.

 

Rimane da segnalare l’articolo 36 dell’accordo, che prescrive che le parti, trascorsi 10 mesi dalla firma del nuovo CCNL si riuniscano per mezzo dell’Osservatorio Nazionale per monitorare lo sviluppo della contrattazione di secondo livello.

 

Valutazione d’insieme

 

Gli elementi centrali del rinnovo risultano l’incremento economico, una rinnovata attenzione al welfare del dipendente, una nuova disciplina del contratto a termine e dell’orario di lavoro e l’introduzione del lavoro agile e del lavoro intermittente.

 

Il rinnovo 2023-2026 del CCNL Esercenti Cinematografici risulta equilibrato in riferimento alle conquiste di tutte le parti. I dipendenti del settore e le associazioni sindacali, grazie alle trattative, hanno ottenuto un aumento del Trattamento Economico Minimo del dipendente di euro 200 e, novità di non poco rilievo, l’attenzione dell’accordo al welfare del dipendente: una quota dei 200 euro è destinata alla polizza sanitaria e ai buoni spesa del personale. I lavoratori e le lavoratrici hanno inoltre ottenuto l’espresso riconoscimento di congedi di maternità e paternità, nonché la possibilità di lavorare in smart working conciliando al meglio i tempi di lavoro a quelli di vita. Anche per i datori di lavoro vi sono una serie di vantaggi: l’accordo permette ad ogni sala cinematografica di assumere lavoratori con contratto a termine fino al 40% del personale a tempo indeterminato, di prolungare il contratto a termine oltre i 24 mesi stipulando, alle condizioni prescritte, il c.d. contratto “in deroga” e quando le circostanze lo richiedono (per esempio in caso di eccezionali esigenze tecnico produttive) di contare sul lavoro straordinario dei propri dipendenti, anche oltre le 250 ore annuali.

 

Cristina Astolfi

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

 

L’accordo integrativo Everli per la regolamentazione dello “Shopper”

L’accordo integrativo Everli per la regolamentazione dello “Shopper”

Bollettino ADAPT 28 aprile 2025, n. 16

 

In data 9 Aprile 2025 come FeLSA CISL, insieme a Nidil e Uiltemp, abbiamo siglato un accordo nazionale con la piattaforma digitale Everli. L’intesa si colloca nel solco dell’accordo nazionale sottoscritto con l’Associazione Assogrocery nel febbraio 2024 per la disciplina del mondo e-grocery e la regolamentazione della figura dello shopper. La figura dello Shopper opera per il tramite della piattaforma digitale, occupandosi della preparazione del carrello di prodotti ordinati on line dal cliente, provvedendo a tutte le fasi dell’acquisto, raccolta, pagamento, distribuzione e recapito presso il domicilio del cliente. In Italia sono quasi 2.000 gli shopper e operano particolarmente in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna.

 

L’intesa aziendale sottoscritta con Everli (la principale piattaforma del settore in Italia) prevede un sistema di regolamentazione aziendale che valorizza l’affidabilità, l’esperienza e la qualità del servizio degli shopper. Oltre a riprendere gli elementi definiti nell’accordo nazionale quali compenso minimo per consegna, indennità per spesa pesante, indennità di disponibilità, diritto alla sospensione dell’account, tutela della malattia e dell’infortunio, permessi e altre tutele, l’accordo prevede una serie di diritti aggiuntivi e si prefigge l’obiettivo di implementare nuove prassi nella gestione dei rapporti lavorativi.

 

Tra i punti più significativi dell’intesa annoveriamo sicuramente i diritti sindacali, prevedendo l’introduzione e l’attivazione di permessi retribuiti e un’apposita bacheca online accessibile a tutti da tutti i territori. Su questo aspetto è importante evidenziare il ruolo che le rappresentanze sindacali aziendali hanno avuto, non solo nella gestione e conduzione della trattativa, ma soprattutto nel garantire una dinamica assolutamente partecipata di tutti i lavoratori all’andamento e valutazione del negoziato. Inoltre, è diventata ordinaria l’esperienza delle assemblee sindacali serali via Telegram. Pertanto, anche nell’ambito delle piattaforme digitali è possibile costruire una vera e viva rappresentanza sindacale.

 

La contrattazione inoltre interviene anche nella gestione dell’algoritmo, andando a definire una più equa gestione della distribuzione degli incarichi, visualizzazione delle proposte e prenotazione degli slot e orari lavorativi con l’obbiettivo di contrastare la discriminazione algoritmica, valorizzando e premiando al contempo gli shopper più meritevoli. Vengono identificate due platee differenti: gli shopper Senior, ovverosia coloro che vantano un’anzianità lavorativa importante e che svolgono questa attività in via prevalente e gli shopper junior, ossia tutti coloro che hanno appena effettuato iscrizione e accesso o svolgono questa attività come secondaria. È previsto anche un percorso per gli shopper che vogliano passare da junior a senior.

 

L’accordo interviene anche sul tema del bilanciamento vita lavoro: rispetto all’accordo di settore Assogrocery, sono implementate a 34 le giornate di sospensione dell’account per motivi di bilanciamento vita-lavoro. Si prevedono infine delle visite mediche a carico della piattaforma per tutti gli shopper e una formazione dedicata per lo svolgimento dell’attività.

 

L’accordo, il primo siglato tra OO.SS. e una piattaforma digitale, oltre a rappresentare un traguardo importante nell’ambito delle relazioni sindacali e nello sviluppo della contrattazione nei nuovi settori digitali, risulta fondamentale anche per la dinamica di partecipazione, attiva e propositiva, dei delegati Shopper che hanno potuto dare il loro concreto contributo al tavolo di trattativa.

Questa esperienza riconferma come la contrattazione sia lo strumento privilegiato per costruire tutele adeguate e pertinenti con il contesto di riferimento, in grado di coniugare gli elementi di autonomia di una tipologia contrattuale atipica, le esigenze di flessibilità delle imprese e le giuste rivendicazioni di tutela da parte delle lavoratrici e dei lavoratori, anche al di fuori del classico schema del lavoro subordinato.

 

Daniel Zanda

Segretario Generale FeLSA CISL

@daniel_zanda

Il lavoro del futuro: riflessioni su giovani e lavoro dal pensiero di Marco Biagi ad oggi*

Il lavoro del futuro: riflessioni su giovani e lavoro dal pensiero di Marco Biagi ad oggi*

Bollettino ADAPT 24 marzo 2025, n. 12

 

Il lavoro del futuro non è più un posto di lavoro ma un percorso caratterizzato da continue transizioni, lavorative, occupazionali e professionali. Quest’intuizione di Marco Biagi a distanza di vent’anni è quanto più attuale, in un contesto in cui le stesse trasformazioni digitali, ecologiche e demografiche impongono un ripensamento del lavoro che non è più una condizione statica, ma un processo che richiede un continuo adattamento. Questa prospettiva rappresenta un punto di partenza essenziale per l’apertura di questo convegno, dedicato quest’anno al tema giovani e lavoro, per i quali l’idea di un percorso personale e professionale in costruzione e continua evoluzione appare ancora più concreta.

 

Si tratta quindi di trovare e valorizzare strumenti e percorsi in grado di rendere possibili e facilitare queste transizioni, in grado, cioè, di affrontarne i rischi e coglierne le opportunità. Non si tratta di temi nuovi, né di strumenti inediti: molte delle soluzioni a cui farò di seguito riferimento avrebbero potuto essere adottate già in passato. Il loro valore risiede, quindi, nella consapevolezza che, oggi più che mai, debbano rappresentare il punto di partenza per orientare le politiche del lavoro e della formazione in una visione sistemica, in cui i diversi momenti formativi e professionali non siano considerati elementi separati, ma parte di un percorso interconnesso e continuo.

 

Parlando quindi di giovani e lavoro, è indubbio come la nostra riflessione debba partire dal tema del rapporto tra formazione e lavoro. Per anni si è infatti parlato della necessità di costruire un ponte tra formazione e mercato del lavoro. Oggi non si tratta più solo di creare connessioni, ma di promuovere una vera e propria integrazione, affinché i sistemi educativo e lavorativo non siano più concepiti come realtà separate, bensì come componenti dinamiche e interconnesse, capaci di accompagnare i soggetti lungo l’intero percorso professionale.

 

Strumenti come i percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento permettono agli studenti di affiancare lo studio a esperienze dirette nel mondo del lavoro, favorendo lo sviluppo di competenze trasversali e supportandoli nel loro percorso formativo, professionale e personale. Allo stesso modo, gli stage offrono un’opportunità concreta di acquisire esperienza in azienda, facilitando la comprensione delle dinamiche lavorative. Similmente l’apprendistato duale che rappresenta un modello formativo che integra studio e lavoro, garantendo una preparazione più pratica e aderente alle esigenze del mercato. E ancora, i percorsi universitari stessi, che non devono limitarsi alla formazione iniziale dei giovani, ma hanno il compito di contribuire alla formazione continua, creando veri e propri ecosistemi in cui istruzione, lavoro e ricerca si intrecciano. Infine, gli Istituti Tecnologici Superiori (ITS Academy) che offrono percorsi di alta specializzazione tecnica in settori strategici, rispondendo alle esigenze delle imprese e dei territori, dunque rappresentando non un semplice modello formativo, ma un efficace strumento di integrazione tra istruzione e lavoro.

 

È anche evidente, alla luce di quanto detto, come la formazione non debba essere vista solo come uno strumento per l’inserimento professionale, ma come una leva strategica per lo sviluppo personale e l’aggiornamento continuo, garantendo che le competenze e le professionalità stesse non diventino obsolete. In questo quadro, i fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua assumono un ruolo centrale, con le parti sociali che ne guidano la definizione e l’implementazione, così come risulta centrale garantire la trasparenza delle competenze mediante meccanismi di certificazione.

Gli attori delle relazioni industriali e del mercato del lavoro sono quindi chiamati a contribuire alla programmazione strategica delle politiche formative, oltre che di quelle del lavoro, assumendo un ruolo attivo nel comprendere e abilitare queste transizioni attraverso strumenti e percorsi dedicati.

 

Le parti sociali in parte hanno già colto questo invito come dimostrano alcuni rinnovi contrattuali dello scorso anno. Con riferimento all’apprendistato, nel CCNL Terziario Confcommercio, ad esempio, sono stati aggiornati i profili formativi dell’apprendistato professionalizzante, garantendo una maggiore aderenza tra formazione e competenze richieste dal mercato del lavoro; ancora il CCNL Distribuzione Moderna Organizzata che ha introdotto una disciplina strutturata in materia, con un focus invece sull’apprendistato duale, confermando dunque la necessità di un’integrazione tra formazione e lavoro; e similmente il CCNL Studi Professionali che lo ha esteso anche al praticantato, rafforzando così le tutele per i giovani professionisti. Con riferimento alla certificazione delle competenze, è opportuno richiamare invece il CCNL Elettrico che ha previsto l’istituzione di un libretto formativo digitale per documentare e attestare le conoscenze acquisite dai lavoratori. Un ruolo cruciale è inoltre affidato agli osservatori e comitati bilaterali, incaricati di analizzare i fabbisogni del settore, come previsto dal CCNL Industria Alimentare. Interessante, infine, come tutti i CCNL del settore alimentare venga promossa una possibile soluzione alla tensione tra formazione e lavoro con l’introduzione del patto formativo, che vincola il lavoratore a rimanere in azienda per un periodo di tempo determinato dopo aver usufruito di specifici percorsi di formazione.

 

In conclusione, nel dibattito attuale sul rapporto tra giovani e lavoro, le organizzazioni sindacali e le associazioni datoriali hanno quindi la responsabilità di guidare la costruzione dei mercati del lavoro che è diventata costruzione sociale dei mestieri e delle competenze. In questo senso, la governance deve essere ripensata in chiave solidale, promuovendo un patto sociale sul tema tra governo e parti sociali, ma anche incentivando la collaborazione a livello europeo e a livello territoriale e aziendale. Da un lato, infatti, come già evidenziava il professor Biagi all’inizio degli anni 2000, limitarsi alla prospettiva nazionale non è più sufficiente di fronte alle sfide globali e dunque “l’impegno delle associazioni imprenditoriali e delle organizzazioni sindacali su scala comunitaria potrebbe proprio essere quello di negoziare un’intesa che costituisca il presupposto per un intervento comunitario sui temi richiamati”, con riferimento alla costruzione di percorsi formativi di qualità, invito che fra l’altro sembra essere stato, almeno in parte, accolto dalla recente intesa europea tra Commissione e parti sociali cross-settoriali sul dialogo sociale. Dall’altro, è anche necessario rafforzare il principio di sussidiarietà, privilegiando accordi locali tra istituzioni, imprese, parti sociali, scuole e università, tali da integrare e favorire una transizione più fluida tra i sistemi di istruzione, formazione e lavoro.

 

Il quadro giuridico-istituzionale e le relazioni industriali sono chiamati a rispondere a questa sfida, integrando effettivamente il concetto di transizione nella definizione delle politiche normative e nella regolazione delle dinamiche delle relazioni industriali, per sviluppare una nuova visione strategica a lungo termine che metta al centro non più i posti di lavoro o semplicemente “il lavoratore”, ma la persona, a partire dai giovani.

 

Sara Prosdocimi

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

@ProsdocimiSara

 

*Intervento dell’autrice al Convegno in memoria di Marco Biagi “Giovani e Lavoro: l’attualità del pensiero di Marco Biagi”, CNEL, Roma, 18 marzo 2025

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/261 – CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi: Confesercenti e le associazioni sindacali di settore firmano il rinnovo

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/261 – CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi: Confesercenti e le associazioni sindacali di settore firmano il rinnovo

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 3 marzo 2025, n. 9

 

Contesto del rinnovo

 

Lo scorso 22 marzo 2024, Confesercenti e le Organizzazioni Sindacali Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs hanno firmato l’accordo per il rinnovo del CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi con decorrenza dal 1° aprile 2023 per la parte economica e dal 1° aprile 2024 per la parte normativa e validità triennale, fino al 31 marzo 2027. Tale rinnovo segna un punto di svolta importante, dopo un lungo periodo di vacanza contrattuale durato più di 4 anni, a seguito della scadenza del precedente contratto collettivo, datata 31 dicembre 2019.

 

Il percorso che ha portato alla firma dell’ipotesi di accordo è stato travagliato con fasi di aperto scontro tra le parti sociali, culminate in occasione dello sciopero del 22 dicembre 2023, indetto dalle principali sigle sindacali per chiedere il rinnovo dei numerosi contratti scaduti, tra cui quello del settore Terziario, Distribuzione e Servizi. Secondo quanto riportato da Uiltucs, le adesioni sono state in media pari al 70% degli occupati dei diversi settori, con oltre 20 mila lavoratori scesi in piazza nelle diverse manifestazioni organizzate in tutta Italia.

 

Parte economica

 

Sul piano economico, è importante ricordare che un primo intervento era già stato attuato nel dicembre 2022, quando, attraverso un protocollo straordinario, le parti avevano introdotto misure temporanee a favore dei lavoratori del settore. In quell’occasione era stato riconosciuto un importo una tantum di 300 euro, suddiviso in due scaglioni, insieme a un incremento di 30 euro della paga base. Entrambi gli importi, riferiti al IV livello, sono stati riparametrati per gli altri livelli di inquadramento.

Con l’accordo del 22 marzo, viene riconosciuto sia un incremento dei minimi tabellari sia l’erogazione di una somma una tantum, finalizzata a coprire l’intero periodo di vacanza contrattuale. Nello specifico viene previsto un incremento complessivo di 240 euro per il IV livello, distribuito in sei tranche, includendo l’aumento già introdotto nel 2022 ed erogato a marzo 2023. I successivi adeguamenti partiranno dal 1° aprile 2024 e si concluderanno nel febbraio 2027. Anche in questo caso, gli importi saranno riparametrati in base ai diversi livelli contrattuali.

Infine, con l’accordo integrativo firmato il 28 marzo 2024, le parti hanno inoltre confermato la non assorbibilità di tali somme rispetto ai futuri aumenti contrattuali.

 

In relazione all’importo una tantum, le parti hanno concordato un’ulteriore somma di 350 euro lordi per il IV livello, a completa copertura del periodo di vacanza contrattuale. Tale importo sarà corrisposto in due tranche di pari importo (175 euro ciascuna), con scadenze fissate a luglio 2024 e luglio 2025. L’erogazione sarà proporzionata in base alla durata del rapporto di lavoro e al servizio effettivamente prestato nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2022 e il 31 marzo 2023.

 

In relazione al fondo Aster, ovvero il fondo di assistenza sanitaria integrativa, le parti hanno optato per un incremento di 3 euro del contributo mensile obbligatorio a carico del datore di lavoro, a partire dal 1° aprile 2025. Con riferimenti ai Quadri è stata previsto un incremento di 20 euro con decorrenza 1° gennaio 2025 e ulteriori 20 euro dal 1° gennaio 2026.

 

Infine, in relazione esclusivamente ai contratti a tempo parziale, è stata introdotta una revisione dell’art. 95 relativo alle clausole elastiche, che consentono al datore di lavoro di incrementare le ore di lavoro rispetto a quanto originariamente concordato. In tale contesto, la retribuzione l’indennità annule spettante al lavoratore, che è possibile corrispondere in alternativa alla maggiorazione dell’1,5% sulla retribuzione lorda di fatto è stata aumentata di 35 euro, portandola a un totale di 155 euro, a decorrere dal 1° gennaio 2025.

 

Parte normativa

 

Sul versante normativo, l’accordo per il rinnovo del CCNL modifica, in primo luogo, le aree di attività, sia all’interno dell’area Commercio che dell’area Servizi, che definiscono il campo di applicazione del contratto collettivo. Di pari passo vengono introdotte delle novità in merito ai profili professionali esemplificativi associati a ciascuna declaratoria del sistema di classificazione del personale. Sul punto si segnala inoltre che le parti, mediante l’istituzione di una Commissione tecnica istituita ad hoc, rinviano alla definizione entro il periodo di vigenza del CCNL, delle esemplificazioni professionali appartenenti al settore dei servizi e nelle macroaree rientranti nella sfera di applicazione del CCNL. Inoltre, già con l’accordo del 22 marzo è stata riconosciuta l’esigenza di introdurre una nuova classificazione inerente alle assunzioni con contratti di apprendistato professionalizzante, seppur tale intervento viene rinviato ad un accordo successivo, da stipulare entro la fine di giugno 2024, tale scadenza è stata più volte prorogata fino al 31 ottobre dello stesso anno. In definitiva, tale intervento si è concretizzato con la stipula di un accordo integrativo in data 4 novembre 2024.

 

Un’altra rilevante novità riguarda i contratti a tempo determinato, a cui riguardo vengono introdotte nove tipologie di causali che possono essere legittimamente applicate ai contratti con durata compresa tra i 12 e i 24 mesi, nonché per le proroghe o i rinnovi che superano i 12 mesi. Le causali previste includono: nuove aperture; incrementi temporanei dell’attività lavorativa; periodi di ferie, saldi o festività natalizie e pasquali; assunzioni finalizzate alla riduzione dell’impatto ambientale, impiego nell’ambito del terziario avanzato e l’inserimento di lavoratori con competenze o metodologie specifiche in ambito digitale. Tuttavia, resta ferma la possibilità per la contrattazione di secondo livello di individuare ulteriori causali tali da giustificare l’assunzione di lavoratori, anche alla luce di particolari richieste legate al contesto di riferimento, ai sensi di quanto stabilito ex art. 19, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 81/2015.

Alla contrattazione decentrata, inoltre, viene demandata la sottoscrizione di un accordo relativo alle ipotesi di stagionalità nelle località turistiche che, ai sensi del novellato art. 75, deve indicare non solo le località a vocazione turistica ma altresì le connesse attività e i relativi periodi che determinano la necessità di assumere lavoratori a tempo determinato.

 

Nel presente CCNL inoltre, viene recepito anche il protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile del 7 dicembre 2021, riconoscendo l’importanza che il lavoro agile ricopre nell’organizzazione del lavoro, in ottica di un miglioramento nel conciliare i tempi di vita e lavoro oltre che garantire una riduzione dell’impatto ambientale.

 

Infine, rispetto al congedo parentale, le parti – oltre a riportare gli aggiornamenti alla disciplina derivanti dalle novità legislative – hanno concordato una riduzione a 5 giorni, rispetto ai 15 precedentemente previsti, del periodo di preavviso scritto per la fruizione del periodo. Inoltre, nel caso in cui il lavoratore usufruisca di tali congedi, il periodo di assenza dal lavoro viene in ogni caso computato in merito non solo all’anzianità di servizio ma anche per quanto riguarda ferie, tredicesima e quattordicesima mensilità.

 

Parte obbligatoria

 

Importanti innovazioni sono state introdotte anche nella parte obbligatoria del contratto collettivo, in primis viene stabiliti che in occasione dei rinnovi futuri, nel caso di assenza di un accordo di rinnovo nei 6 mesi successivi alla data di scadenza o di disdetta del CCNL o ancora dalla data di presentazione della piattaforma di rinnovo, verrà corrisposto ai lavoratori un elemento provvisorio della retribuzione, definito indennità di vacanza contrattuale per 14 mensilità, il cui importo sarà pari al 30% dell’IPCA al netto degli energetici importati all’anno corrente, applicato ai minimi contrattuali vigenti, inclusa l’indennità di contingenza.

 

In materia di pari opportunità, le parti, novellano l’art. 16 che disciplina i compiti assegnati alla Commissione Permanente per le Pari Opportunità, tra i quali figura quello di dare “piena attuazione alla normativa vigente, rendendosi parte attiva per la diffusione e la promozione di iniziative volte a ridurre l’eventuale divario di genere” e “sostenere percorsi di protezione delle vittime di violenza di genere”. Tale impegno si riscontra nell’introduzione del successivo art. 16-bis, contenente una particolare disciplina a tutela delle vittime che accedono al congedo previsto ex lege e che, in forza del CCNL, hanno diritto a condizioni di miglior favore, come la proroga del periodo di congedo per ulteriori 90 giorni con diritto al pagamento di un’indennità pari al 100% della retribuzione corrente, la possibilità di richiedere un trasferimento presso altra sede lavorativa e l’esonero dai turni disagiati per un periodo di un anno.

 

Importante è l’aumento del contributo obbligatorio, suddiviso tra aziende e lavoratori, per il finanziamento degli Enti Bilaterali Territoriali. Tale importo, pari allo 0,10% a carico del datore di lavoro e dello 0,05% del lavoratore sulla paga base e indennità di contingenza, viene riconosciuto non più su tredici ma su quattordici mensilità.

 

Infine, viene demandata ad un’apposita Commissione, entro il 31 dicembre 2025, il compito di valorizzare la centralità della formazione, individuando gli strumenti adatti a sviluppare nuove e migliori competenze.

 

Valutazione d’insieme

 

Come sottolineato in apertura, il rinnovo del Contratto collettivo è stato il frutto di un lungo percorso di confronto, a volte molto acceso, tra le parti sociali. La firma ha garantito ai lavoratori innanzitutto un aumento sul piano economico dei minimi tabellati, 240 euro per il IV livello, affiancato da una una tantum pari a 350 euro introdotta con lo scopo di coprire il lungo periodo di vacanza contrattuale, tali misure rappresentano un significativo riconoscimento economico per i lavoratori, che garantisce una maggiore stabilità retributiva. Esulando dal discorso economico, il contratto collettivo è stato aggiornato in maniera sostanziale, con una importante revisione sia delle aree di attività interessate dal CCNL, sia in merito alla classificazione del personale.

Inoltre, assumono ulteriore centralità l’impegno a garantire una sempre più efficace formazione dei lavoratori e la garanzia di parità opportunità per tutti i lavoratori.

 

Youri Giovannoni

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

@GiovannoniYouri

Partecipazione dei lavoratori e contrattazione collettiva: a che punto siamo?*

Partecipazione dei lavoratori e contrattazione collettiva: a che punto siamo?*

Bollettino ADAPT 3 marzo 2025, n. 9

 

Un attento osservatore delle relazioni industriali come Dario Di Vico, riferendosi alla possibile ed imminente approvazione del disegno di legge promosso dalla Cisl in materia di partecipazione dei lavoratori (la Camera dei deputati ha dato il via libera lo scorso mercoledì con 163 voti favorevoli, 57 astenuti e 40 contrari, qui il testo), ha parlato di un indubbio successo politico; il rischio, però, è che nella realtà dei luoghi di lavoro si tratti solo di una vittoria di facciata, perché la scelta sulla partecipazione dei lavoratori, nella proposta legislativa uscita dal dibattito alla Camera, rimane saldamente nelle mani dell’imprenditore. Il ruolo della contrattazione collettiva, sempre per Di Vico, è destinato a rimanere sullo sfondo e nei fatti sarà del tutto marginale (Corriere della Sera, 17 febbraio 2025, Meloni e il sindacato. La conta dei rischi).

 

Il disinteresse mostrato dal legislatore, oltre che dal dibattito politico-sindacale, nei confronti della contrattazione collettiva è in effetti quanto mai singolare se si pensa che oggi l’unico ambito in cui la partecipazione trova una regolazione concreta sono proprio i contratti collettivi di lavoro (tanto a livello nazionale che aziendale). Di questa ricca casistica contrattuale si sa tuttavia ancora ben poco, nonostante il crescente interesse registrato dai pochi osservatori (in genere sindacali) che si fanno carico del monitoraggio sistematico della contrattazione collettiva. Secondo il Ministero del Lavoro, l’11,4% degli oltre 10.500 contratti decentrati vigenti prevede forme di partecipazione (dato stabile negli ultimi cinque anni), mentre i contratti che disciplinano produttività e welfare sono nettamente superiori (rispettivamente 78,3% e 59,9%). Questi dati trovano conferma anche dall’osservatorio “FareContrattazione” di ADAPT, che raccoglie e analizza con continuità la contrattazione aziendale e settoriale, offrendo una panoramica concreta sulle dinamiche delle relazioni industriali in Italia.

 

Nonostante le resistenze culturali e il disinteresse legislativo, la partecipazione è in effetti una realtà contrattuale già consolidata. Lo stesso Patto della Fabbrica tra Confindustria e CGIL, CISL, UIL del 2018 aveva già indicato la partecipazione come un pilastro di un moderno sistema di relazioni industriali, e gli accordi collettivi lo hanno recepito, seppur con una effettività limitata. Nei settori più avanzati, come il metalmeccanico e il chimico-farmaceutico, la partecipazione si concretizza in strumenti soft (Osservatori aziendali, Commissioni paritetiche, Comitati). La maggior parte delle previsioni contrattuali di livello nazionale si limita infatti alla partecipazione tramite informazione e consultazione piuttosto che far riferimento a meccanismi realmente di co-gestione. Nel settore metalmeccanico, la contrattazione aziendale mostra un dinamismo significativo: il 67% degli accordi esaminati dai rapporti ADAPT sulla contrattazione contiene previsioni in materia di partecipazione, anche se solo nel 7% dei casi si tratta di forme di co-determinazione. Le pratiche più diffuse prevedono la costituzione di Commissioni aziendali (36% dei casi) e strumenti di monitoraggio e verifica. Esempi concreti si trovano in aziende come Brembo, Piaggio, Toyota e Ducati, che hanno istituito Commissioni tecniche paritetiche per il miglioramento dei processi produttivi, la formazione e l’organizzazione del lavoro. Strutturato anche il modello partecipativo del settore chimico-farmaceutico, dove il CCNL ha introdotto l’obbligo di costituire Osservatori aziendali per le imprese con più di 50 dipendenti. Questi organismi hanno una funzione consultiva e si occupano di temi come formazione, lavoro agile, riqualificazione professionale e innovazioni tecnologiche. Tra le aziende che hanno adottato strumenti partecipativi più avanzati si segnalano Bayer, Johnson & Johnson e Fater, che hanno implementato Osservatori e gruppi di lavoro dedicati alla gestione dell’orario di lavoro e della formazione.

 

Dal punto di vista tematico, la partecipazione si concentra prevalentemente su questioni relative alla organizzazione del lavoro – orario di lavoro e smart working (circa il 30% degli accordi), formazione e riqualificazione professionale (circa il 30% degli accordi), classificazione del personale (15%) – intesa dalle parti, datori di lavoro inclusi, come ambito privilegiato per la collaborazione dei lavoratori che (benché i titoli di giornali siano dedicati esclusivamente a partecipazione economica e strategica) apprezzano il coinvolgimento su queste materie quanto (e forse più) di una poltrona assegnata al sindacalista in un consiglio di amministrazione. In alcuni casi, gli accordi aziendali prevedono meccanismi di partecipazione diretta, come la cassetta delle idee (presente però solo nel 7% degli accordi), che consente ai lavoratori di avanzare proposte migliorative sulla produttività e l’efficienza. Tuttavia, la stragrande maggioranza delle esperienze di partecipazione rimane mediata dalle rappresentanze sindacali, che non vengono scavalcate da queste prassi come temuto da qualcuno, ma anzi ne detengono il pieno controllo e indirizzo strategico.

 

In conclusione si può ben ritenere che se il dibattito pubblico e il legislatore si soffermassero meno su astratte dichiarazioni di principio o bandiere politiche e più sulla realtà concreta delle relazioni di lavoro nelle aziende, emergerebbe con maggiore chiarezza il ruolo centrale della contrattazione collettiva nelle pratiche di partecipazione dei lavoratori. Probabilmente, si avrebbe anche meno paura della partecipazione, intesa non come una imposizione ideologica alla proprietà della azienda, ma come uno strumento pragmatico di miglioramento delle condizioni di lavoro, della qualità e produttività del lavoro e, dunque, anche della competitività delle imprese.

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

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*pubblicato anche su Contratti & contrattazione collettiva, n. 8/2025

 

Salari minimi e archivio nazionale dei contratti collettivi*

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Bollettino ADAPT 25 novembre 2024 n. 42

 

Lo scorso 15 novembre è scaduto il termine per la trasposizione negli ordinamenti nazionali della direttiva europea n. 2022/2041 sui salari minimi adeguati. Pochi Stati membri si sono fatti trovare pronti all’appuntamento. Unicamente Lituania, Romania e Repubblica Ceca hanno infatti adottato provvedimenti per adempiere alle prescrizioni europee. Mentre solo la Germania ha inviato formale documentazione alla Commissione UE per attestare la piena conformità della legislazione tedesca ai contenuti della direttiva. Pesa indubbiamente l’attesa per l’esito del ricorso promosso lo scorso anno dalla Danimarca, con il sostegno del governo svedese, davanti alla Corte di Giustizia europea per l’annullamento della direttiva. Per questi Paesi la determinazione del livello dei salari negli Stati membri sarebbe infatti materia che esula pacificamente dalle competenze del legislatore dell’Unione.

 

In Italia la direttiva e il percorso per la sua attuazione hanno invero riscosso ben poco interesse. Tutta l’attenzione, tanto nel dibattito politico-sindacale che nel confronto accademico, è stata infatti indirizzata sulla proposta di una legge per la fissazione dei salari minimi. Questo nonostante la direttiva non imponga agli Stati membri di introdurre un salario minimo legale, ammettendo infatti l’ipotesi che ciascuno Stato possa affidare la tutela dei salari alla contrattazione collettiva nei confronti della quale è se mai richiesto un maggior impegno dei legislatori interni per la sua promozione e per il rafforzamento della capacità delle parti sociali di determinare trattamenti retributivi minimi adeguati e trasparenti. Sono così uscite dai radar previsioni importanti contenute in questa direttiva; previsioni che, quale che sia l’esito della proposta sul salario minimo per legge, è bene ricordare perché si tratta di misure destinate a incidere sulle dinamiche salariali e sul funzionamento dei sistemi nazionali di contrattazione collettiva. Il riferimento è, in particolare, agli articoli 10 e 11 della direttiva che impongono, rispettivamente, un sistematico monitoraggio e processo di documentazione e valutazione delle dinamiche retributive (largamente assente nella nostra visione delle politiche del lavoro e nella nostra cultura delle relazioni industriali) e una facile accessibilità ai trattamenti retributivi da parte dei lavoratori e del pubblico in generale.

 

Da questo punto di vista merita, pertanto, di essere segnalato l’intervento del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro con due modifiche di grande rilievo del proprio regolamento (vedile in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 264 dell’11 novembre 2024)) che vanno appunto nella direzione di contribuire a dare piena ed effettiva attuazione alla direttiva anche nel nostro Paese.

La prima modifica attiene all’Archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro di cui all’articolo 17, commi 1-3, della legge 30 dicembre 1986, n. 936 (si veda il nuovo articolo 25-bis del regolamento del CNEL). Come è noto, la Commissione dell’informazione del CNEL impartisce alla direzione generale competente, anche attraverso l’approvazione di un apposito regolamento, gli indirizzi generali e le direttive per l’organizzazione e la gestione dell’archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro di cui all’articolo 17 della legge 936/1986. La modifica del regolamento richiede ora che l’organizzazione e la gestione dell’archivio dei contratti siano improntati ai principi di trasparenza e piena accessibilità «in modo tale da fornire alle istituzioni pubbliche e agli operatori informazioni chiare e utili a contribuire a un ordinato sviluppo delle relazioni industriali e di lavoro e a monitorare le dinamiche della contrattazione collettiva». L’organizzazione e la gestione dell’archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro devono in ogni caso «risultare coerenti con la normativa di recepimento della direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022 così da garantire, conformemente agli articoli 10 e 11 della medesima, pubblicità e totale trasparenza nel monitoraggio e nella raccolta dei dati».

 

La seconda modifica attiene al Procedimento istruttorio per l’attribuzione del codice alfanumerico unico di cui all’art. 16-quater del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 in sede di acquisizione del contratto collettivo nell’archivio di cui all’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 30 dicembre 1986, n. 936 (si veda il nuovo articolo 25-ter del regolamento del CNEL). Il regolamento consente ora di formulare alle parti firmatarie dei contratti collettivi nazionali di lavoro oggetto di deposito specifiche «osservazioni e richieste di chiarimenti» disponendo inoltre eventuali indagini sulle retribuzioni previste e applicate dai nuovi contratti collettivi nazionali di categoria per i quali si richieda l’attribuzione del codice alfanumerico unico. Entro il mese di gennaio e il mese di luglio di ogni anno il CNEL predisporrà «un apposito quadro sinottico e un prospetto riepilogativo» relativamente ai contratti depositati e ai rinnovi contrattuali avvenuti nel semestre precedente e per i quali è stata conseguentemente disposta l’assegnazione del codice alfanumerico unico così da garantire trasparenza sui contenuti dei contratti e sui loro firmati anche con riferimento al loro «effettivo radicamento nel sistema di relazioni industriali» ovvero al grado di «diffusione nel settore o sottosettore di riferimento» del relativo contratto visto che il CNEL è in grado di dare precise indicazioni sul numero reale di lavoratori e di aziende ai quali un CCNL è applicato.

 

Saranno ora Governo e Parlamento a valutare cosa rispondere alla Commissione europea per documentare la conformità o meno del nostro ordinamento giuridico alle prescrizioni della direttiva. L’impegno del CNEL per una maggiore conoscibilità e pubblicità dei testi contrattuali è comunque un contributo pragmatico per dare piena attuazione a una delle previsioni cardine della direttiva: quella che impone agli Stati membri di assicurare a tutti i lavoratori un facile accesso e informazioni complete rispetto ai trattamenti retributivi previsti dai contratti collettivi così da assicurare totale trasparenza e prevedibilità delle condizioni di lavoro ad essi applicabili.

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

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*pubblicato anche su Contratti & contrattazione collettiva, n. 44/2024

 

La contrattazione settoriale nel Regno Unito

La contrattazione settoriale nel Regno Unito

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Bollettino ADAPT 2 settembre 2024 n. 30

 

A differenza del panorama italiano, in cui la contrattazione c.d. “multi-datoriale” di settore è fortemente sviluppata, nel Regno Unito, sin dagli anni ’80 si è assistito ad un decentramento della contrattazione collettiva. Si è giunti, dunque, ad una situazione in cui la contrattazione di settore è tendenzialmente scomparsa e si è creato un mercato del lavoro altamente individualizzato con uno scarso ruolo dei sindacati.

 

All’interno del contributo Introducing sectoral bargaining in the UK: why it makes sense and how it might be done, Keith Sisson, professore emerito di Relazioni industriali presso l’Università di Warwick si dedica all’analisi di un potenziale reinserimento della contrattazione settoriale nel Regno Unito e ai benefici che questa comporterebbe sia per i sindacati che per le associazioni dei datori di lavoro. Nella seconda parte del suo contributo, si affrontano invece le questioni che sarebbe necessario risolvere nel caso in cui il Regno Unito riuscisse ad introdurre la contrattazione settoriale.

 

I benefici dell’introduzione di una contrattazione di settore

 

Il contributo prende le mosse dalla circostanza che i lavoratori inglesi avrebbero perso molto a causa del declino della contrattazione settoriale e della regolamentazione congiunta: un esempio sono gli aumenti salariali inferiori all’inflazione e la maggiore insicurezza dei rapporti di lavoro. È però interessante osservare come anche i datori di lavoro risultino impoveriti dallo scarno ruolo della contrattazione di settore, avendo ottenuto non tanto la flessibilità contrattuale sperata, quanto piuttosto una maggiore rigidità giuridica. In mancanza di accordi settoriali, infatti, è stato necessario introdurre una serie di tutele legali per la gestione dei rischi, ma non sempre soluzioni uniformi nel panorama nazionale risultano efficaci in contesti lavorativi fortemente differenziati.

 

È essenziale tenere a mente che quando si parla di contrattazione collettiva, non ci si riferisce al solo salario, ma a una regolamentazione congiunta di diverse questioni, come il coinvolgimento dei dipendenti, la formazione e lo sviluppo del personale, la disciplina del licenziamento e tanto altro. Sisson si dedica all’approfondimento dei benefici dello sviluppo della contrattazione di settore. Secondo l’autore, ci sono due ragioni principali per cui gli accordi settoriali devono essere preferiti alla regolamentazione legale: la prima è il maggiore coinvolgimento dei lavoratori e la seconda è la capacità della contrattazione collettiva di adeguarsi alle peculiarità dei singoli ambiti e settori.

 

La contrattazione di settore andrebbe preferita alla regolazione unilaterale aziendale, inoltre, perché per i datori di lavoro vi è un notevole risparmio sui costi di gestione delle relazioni di lavoro.

 

Sulla base dell’analisi dell’autore, un approccio di settore permetterebbe di uniformare le condizioni di lavoro delle aziende di un determinato ambito e di evitare che si crei una ricchezza fondata su salari bassi e cattive condizioni per i lavoratori. Questo approccio va a vantaggio sia dei sindacati che delle organizzazioni datoriali. Queste ultime, infatti, acquisirebbero un ruolo di intermediario, consentendo a tutte le aziende rappresentate e non solo alle grandi realtà, di partecipare ai processi di definizione delle politiche sul lavoro a livello nazionale.

 

Peraltro, i benefici del coinvolgimento dei rappresentanti sindacali e datoriali sono stati riconosciuti anche nel rapporto dell’OCSE, Global Deal report, Social Dialogue, Skills and Covid-19 (2020),  in cui si afferma che il dialogo sociale è stato fondamentale per affrontare i danni causati dalla pandemia. La contrattazione settoriale migliora, infatti, la qualità delle decisioni rendendole più coerenti con la specifica problematica. Un confronto costante con le organizzazioni rappresentative migliora la comprensione dei problemi e permette, all’insorgere di una crisi, di trovare un maggiore consenso e una maggiore apertura ad una soluzione condivisa.

 

All’interno del suo elaborato, Sisson elenca anche quelli che potrebbero essere i vantaggi degli accordi di settore a livello macroeconomico, ovvero:

1. un migliore bilanciamento fra salari, inflazione, livelli di disoccupazione e tassi di crescita economica. Sempre secondo l’OCSE (in Negotiating Our Way Up: Collective Bargaining in a Changing World of Work del 2019): “(…) il coordinamento aiuta le parti sociali a tenere conto della situazione del ciclo economico e degli effetti macroeconomici degli accordi salariali sulla competitività. Il livello effettivo di centralizzazione è un’altra dimensione cruciale: i sistemi in cui il decentramento è organizzato e coordinato dal centro (cioè sistemi in cui gli accordi a livello settoriale stabiliscono ampi quadri normativi ma lasciano le disposizioni di dettaglio alle negoziazioni di livello aziendale e dove il coordinamento è piuttosto forte) tendono a produrre buone performance occupazionali e una maggiore produttività”;

2. minori disuguaglianze. L’OCSE prende come riferimento tre misure per i confronti internazionali sulle disuguaglianze: la dispersione dei redditi (in base alla quale per salario basso si intende un salario inferiore di due terzi rispetto al salario orario mediano e per salario alto si considera quello che supera di 1,5 volte il salario orario mediano); il coefficiente di Gini (che condensa la distribuzione del reddito disponibile fra le famiglie in un numero compreso fra zero e uno; più alto il numero, maggiore la disuguaglianza); il c.d. “gender wage gap” misurato come differenza tra i guadagni mediani di uomini e donne rispetto ai guadagni mediani degli uomini. Con riferimento a tutte e tre le misure, la disuguaglianza risulta maggiore nel Regno Unito e negli Stati Uniti rispetto agli altri paesi OCSE, e ciò probabilmente è legato ad un maggiore decentramento (disorganizzato) della contrattazione collettiva. È emerso, infatti, che maggiori densità sindacale e centralizzazione/coordinamento della contrattazione salariale sono direttamente proporzionali ad una minore disuguaglianza salariale complessiva.

 

Contrattazione settoriale nel Regno Unito – Come introdurla

 

Sisson parte da un punto di attualità nel Regno Unito, ossia l’impegno da parte del Labour Party di introdurre un accordo nel settore socio-sanitario, ad oggi incapace di assolvere ai suoi compiti essenziali a causa di numerose questioni, tra cui l’assetto composto sia dal settore pubblico (NHS) che da servizi privati, problemi nell’assunzione e nel mantenimento della forza lavoro.

 

Nonostante il Labour Party mostri cautela verso il sostegno alla contrattazione di settore per l’intera economia del Regno Unito, questa è ritenuta particolarmente necessaria nella cosiddetta “foundational economy”, ovvero quella parte di economia composta da settori non competitivi e al di fuori della concorrenza internazionale (es.: assistenza all’infanzia, servizi di pulizie, logistica). Di particolare importanza è la struttura di questi settori, costituiti principalmente da piccole e medie imprese (PMI) costrette a contrattare individualmente, che quindi beneficerebbero grandemente dall’introduzione di un accordo di settore capace di abbattere i costi di transazione. Tuttavia, la debolezza delle parti datoriali nel settore è fonte di preoccupazione, rispetto alla quale accordi tripartiti (con il coinvolgimento del governo) potrebbero essere risolutivi.

 

Istituzioni principali

 

La proposta ha come punto di partenza i Wages Council e i contratti già consolidati, e la responsabilità statutaria di avviare le procedure spetterebbe al Segretario di Stato. Dopo la consultazione delle parti, egli dovrebbe quindi istituire un National Joint Council (NCJ) qualora “non esistesse una contrattazione collettiva efficace a livello settoriale; o la contrattazione collettiva presente nel settore non sia sufficiente a stabilire termini e condizioni minimi per l’intero settore in relazione alle materie obbligatorie”. Tale consiglio sarebbe composto da un pari numero di rappresentanti dei lavoratori e datori di lavoro e in cui il Segretario di Stato potrebbe decidere se inserire dei membri indipendenti con diritto di voto con il compito di conciliatori in caso di stallo delle negoziazioni. L’importanza degli accordi tripartiti rimarrebbe la stessa.

 

Gli accordi settoriali come codici anziché contratti

 

Sisson ricostruisce la storia del quadro giuridico riguardante le relazioni industriali, affermando che il declino della contrattazione collettiva in Regno Unito si riconduce spesso alla mancanza di contratti giuridicamente vincolanti, obbligari solo a livello d’onore e non come codici statutari in un contesto di common law. Tuttavia, di fatto non c’era nessun ostacolo per le parti sociali nel rendere i contratti negoziati legalmente vincolanti, quanto piuttosto una mancanza di volontà delle stesse parti e un’incompatibilità di linguaggio (a questo proposito la Royal Commission on Trade Union and Employers’ Associations argomentava che per essere codificati, essi avrebbero dovuto essere stati riscritti con l’ausilio di un avvocato professionista). Invero, la maggioranza della Commissione ha respinto le proposte di rendere giuridicamente vincolanti i contratti collettivi non tanto per motivi di principio, quanto piuttosto adducendo come causa la concretezza della contrattazione collettiva nel Regno Unito.

 

Dunque, oggi, per quanto riguarda la legislazione necessaria per introdurre la contrattazione settoriale, il suggerimento è di rendere gli accordi di settore dei contratti giuridicamente vincolanti, in forma di “Good Work sector Agreements”, e attuati, ad esempio, dagli stessi organismi governativi che vigilano sulle normative nazionali, come avviene in Irlanda e in Nuova Zelanda. A sostegno di tale proposta, si suggerisce l’introduzione di un nuovo sistema di Tribunale del Lavoro, articolato in più livelli, con giurisdizione esclusiva per trattare tutte le questioni relative al lavoro. Le criticità emerse per questa ipotesi riguardano i numerosi problemi di adattamento del quadro legislativo: difatti, la stessa Royal Commission afferma che il modello di common law britannico richiederebbe il lavoro congiunto di esperti di relazioni sindacali e di avvocati.

 

Per questi motivi, sono esplorate nel testo altre ipotesi, fra cui la possibilità di rendere l’accordo di settore un ‘Order’, il mancato rispetto del quale costituirebbe un reato, legittimando così i lavoratori a presentare una richiesta civile in caso di mancato pagamento delle tariffe appropriate; ovvero, consentire al Segretario di Stato di proporre alle parti sociali di trasformare il proprio accordo di settore in un Codice di Condotta dell’Acas, ente pubblico che fornisce servizi di consulenza, conciliazione e mediazione fra le parti sociali. È indubbio, d’altronde, che questo approccio richiederebbe minori aggiustamenti al quadro legislativo, avendo inoltre il vantaggio di far esprimere i contratti di settore nel linguaggio delle relazioni sindacali e di non richiedere il supporto di un avvocato, oltre a promuovere e condividere le relazioni industriali stesse, nonché le best practices con ruolo educativo fondamentale nell’aiutare le imprese a rimanere aggiornate sulle sfide di settore.

 

Se, da un lato, chiarisce Sisson, è chiaro che la scelta di un percorso rispetto a un altro dipenderà da come il governo vorrà promuovere gli accordi settoriali in termini di obiettivi e finalità, dall’altro è evidente che, qualunque sia il percorso scelto, vi sia la necessità di istituire un’autorità pubblica che controlli la legittimità degli accordi settoriali.

 

Il principio di equità

 

All’interno del documento, il principio di equità (fairness) assume un ruolo centrale, soprattutto riguardo alla priorità da attribuire al “lavoro equo” rispetto alla “paga equa”. Questo principio si articola in due dimensioni: l’equilibrio tra sforzi e benefici e l’equità nelle decisioni che vengono prese. Il pericolo di concentrarsi sulla sola questione del salario è che, infatti, questioni come queste così come il dialogo sociale, vengono marginalizzate perché poco si prestano alla “negoziazione distributiva”. In aggiunta, ciò deteriorerebbe anche la situazione delle PMI in quanto si aumenterebbe in maniera significativa il costo del lavoro, portando a tagli del personale e un aumento del carico di lavoro sui dipendenti rimanenti.

 

Il contenuto degli accordi

 

Due sono quindi le tipologie di contenuti degli accordi descritti da Sisson se venisse inserita la contrattazione settoriale, considerando poi che argomenti specifici varierebbero da settore a settore:

il lavoro equo, ripreso anche da Fair Work Tales, e in particolare le questioni relative a: giusta ricompensa; rappresentanza collettiva; sicurezza e flessibilità; possibilità di accesso; crescita e progresso; ambiente lavorativo sano e inclusivo; diritti sostanziali;

– la disciplina di questioni sostanziali come retribuzione, straordinari, pensioni e ferie, come riaffermato anche da una proposta del Trade Union Congress (TUC); aspetti procedurali e diritti dei lavoratori, come quello di informazione e consultazione.

 

È indubbio, però, afferma Sisson, che le proposte finali dovranno tenere in considerazione il rapporto fra i diversi livelli di contrattazione. Le preoccupazioni dell’autore riguardano principalmente il fenomeno della “decentralizzazione disorganizzata” che può verificarsi quando la contrattazione si sposta dal livello settoriale a quello aziendale senza alcun coordinamento tra i due livelli. Questo comporta infatti il rischio che l’autorità dell’accordo settoriale venga indebolita, soprattutto a discapito dei lavoratori nelle PMI, a causa delle deroghe, delle riforme e delle eccezioni previste a livello aziendale. Difatti, solo se avviene in maniera adeguata e dunque con un “decentramento organizzato”, caratterizzato da coordinamento fra i livelli, questa transizione può portare ad una situazione ideale in cui vengono affermate le condizioni minime a livello settoriale, senza il rischio che vengano messe in discussione nelle negoziazioni a livello aziendale.

 

A tal fine, il documento suggerisce la necessità che le stesse parti sociali sostengano lo sviluppo del dialogo sociale, in particolare attraverso una dichiarazione dell’obiettivo complessivo dell’accordo settoriale, dunque facendo esplicito riferimento alle questioni che l’accordo si propone di affrontare; ovvero l’organizzazione di incontri trimestrali del consiglio tripartito, con gruppi di lavoro congiunti che si occupino di ricercare e monitorare le principali criticità del settore, anche con l’ausilio di esperti e terze parti.

 

Per quanto riguarda invece il ruolo del governo nazionale guidato dai Labour, l’autore si rifà alle linee guida della Commissione Europea. Si richiama, in particolare, la necessità di:

– assicurare la consultazione delle parti sociali nella progettazione di politiche economiche e sociali;

– incoraggiare le parti sociali a prendere in considerazione nuove forme di lavoro;

– consentire alle organizzazioni datoriali e dei lavoratori di crescere, facendo in modo che abbiano le informazioni rilevanti e assicurando loro il supporto da parte del governo nazionale.

 

Promuovere la produttività

 

Afferma Sisson che, tuttavia, nelle discussioni sull’introduzione della contrattazione settoriale si è prestata poca o nessuna attenzione a come verranno finanziati i miglioramenti previsti in termini di salario e condizioni di lavoro, che ovviamente dipenderanno a seconda del settore. Ad esempio, nel settore socio-sanitario è probabile che i fondi possano arrivare direttamente dal governo nazionale nella forma di investimenti sulla forza lavoro. Diversamente, in altri settori, non essendo previsto alcun finanziamento a causa delle pressioni attese sulla spesa pubblica, si prevede che i finanziamenti potranno derivare dagli stessi profitti delle aziende.  Tuttavia, anche in questo caso alcune aziende registreranno alcune criticità poiché ancora intrappolate nello schema di “bassa retribuzione, bassa qualificazione, bassa produttività”. Considerando, dunque, la limitata capacità di redistribuzione dai lavoratori più pagati a quelli meno pagati all’interno del settore, queste aziende avranno bisogno di aiuto per migliorare la loro produttività e performance, agendo non solo sull’eliminazione del basso salario ma incentivando tutta una serie di politiche coordinate e di sotto investimento e crescita.

 

In generale, si raccomanda al governo nazionale di modificare il suo modello di sviluppo economico investendo nell’innovazione e nella produttività della foundational economy, oltre a eliminare fattori che minano standard lavorativi dignitosi.

 

Conclusioni

 

Auspicando l’introduzione della contrattazione settoriale nel Regno Unito, Sisson analizza nel suo paper come questo possa concretamente attuarsi nel contesto politico-legislativo attuale britannico. È evidente, infatti, che questa transizione possa avvenire in un sistema di common law, in cui gli accordi sono di difficile codificazione, solo attraverso concrete misure a sostegno. Sisson raccomanda, inoltre, una visione più ampia del concetto di contrattazione settoriale, non basata esclusivamente sull’aumento dei salari ma piuttosto sul ‘fair work’, ossia l’insieme delle garanzie di cui deve godere il lavoratore (es.: formazione, sicurezza).

 

Nel contesto delineato, è quindi chiaro come la proposta dell’attuale Governo di introdurre la contrattazione settoriale nell’ambito socio-sanitario possa essere un trampolino di lancio per mettere in pratica le proposte illustrate dall’autore per migliorare non solo la contrattazione collettiva, ma anche, attraverso essa, le condizioni di quei settori appartenenti alla ‘foundational economy.

 

Francesca Coluccia

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

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Emanuele Ligas

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

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