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Le causali contrattuali negli ultimi rinnovi: un’opzione da maneggiare con cura

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Bollettino ADAPT 15 aprile 2024, n. 15

 

In occasione degli ultimi rinnovi di contratti collettivi nazionali di lavoro del settore industriale e del commercio, si stanno affacciando sul panorama lavoristico le prime “causali contrattuali” per la proroga e/o il rinnovo di contratti a termine oltre i 12 mesi o per la stipula di simili tipologie contrattuali con durata superiore all’anno sin dall’instaurazione del primo rapporto di lavoro, disposte a livello nazionale. E ciò a seguito dell’ultimo intervento in materia (legge n. 18/2024, di conversione del “decreto milleproroghe”), con cui il Legislatore ha prorogato al 31 dicembre 2024 la possibilità di apposizione di una condizione (quelle “esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva”) sul piano individuale in assenza di interventi di natura contrattual-collettiva (ex art. 51 d. lgs. n. 81/2015) rispetto alla prima scadenza (30 aprile 2024) fissata nell’ambito del “decreto lavoro” (decreto-legge n. 48/2024) di riforma dell’intero perimetro normativo dei rapporti a tempo (per un commento approfondito cfr. E. Dagnino, C. Garofalo, G. Picco, P. Rausei (a cura di), Commentario al d.l. 4 maggio 2023, n. 48 c.d. “decreto lavoro”, convertito con modificazioni in l. 3 luglio 2023, n. 85, ADAPT University Press, E-book series n. 100/2023).

 

Invero, alcune esperienze, soprattutto di contrattazione aziendale ma anche a livello di CCNL (per uno sguardo su tali tendenze, v. ADAPT (a cura di), La contrattazione collettiva in Italia (2022), IX Rapporto Adapt, ADAPT University Press, 2023), si erano sviluppate già con la previgente norma introdotta all’epoca del Governo Draghi (art. 41-bis d.l. n. 73/2021).

 

La recentissima ipotesi di rinnovo del CCNL Confcommercio dello scorso 22 marzo per il tramite del nuovo art. 71-bis ha introdotto, tra le varie novità (per una panoramica dei contenuti cfr. C. Altilio, Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/196 – Il rinnovo del CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi: una prima rassegna delle principali novità), un rigido sistema di “casi”, ai sensi dell’art. 19, co. 1, lett. a), decreto legislativo n. 81/2015, che la stessa organizzazione datoriale si è rapidamente premurata di illustrare e specificare con apposita circolare. Si tratta di impiego di lavoratori a termine, oltre i 12 mesi, per i casi di: saldi, fiere, festività natalizie, festività pasquali, incremento temporaneo, nuove aperture; e fin qui sembra muoversi nell’ambito delle esigenze di picco di lavoro legate alle dinamiche organizzative/produttive infra-settoriali. Alcune altre, quali riduzione impatto ambientaleterziario avanzatodigitalizzazione, sono invece frutto di visione di prospettiva del settore, e riguardano vuoi l’assunzione di lavoratori con specifica professionalità utile all’esecuzione delle mansioni per le quali sono inseriti in azienda, vuoi la progettazione/realizzazione di prodotti innovativi e digitali. Vanno in effetti in questa direzione anche le nuove figure professionali introdotte con la revisione del sistema di classificazione e inquadramento del personale.

 

Nello stesso senso si è mosso, alcune settimane fa (accordo del 1° marzo 2024), il settore dell’industria alimentare, che – riformando il suo art. 18 – ha introdotto particolari condizioni sostanzialmente legate a progetti specifici, che riecheggiano, invero, la formulazione legislativa figlia del “decreto dignità”: “a) esecuzione di un progetto, un’opera o di un servizio definiti e predeterminati nel tempo e non rientranti nelle normali attività (es. migrazione a nuovi software, cambi di sistemi informaticietc.); b) realizzazione di progetti temporanei legati alla modifica e/o modernizzazione degli impianti produttivi e attivazione di nuovi processi produttivi (es. attività di engineering e impiantistica)”. Interessante l’inciso per cui tali causali non possono essere utilizzate per il lavoro in somministrazione, risultando così prevista una restrizione rispetto alle facoltà concesse dalla legislazione vigente (“Ai sensi dell’art. 19, comma 1, lettera a) (…) le Parti convengono che il contratto di lavoro a tempo determinato, non in somministrazione, può avere una durata superiore (…)”). Il medesimo articolo introduce poi un rinvio alla contrattazione aziendale, per l’individuazione di ulteriori causali; ipotesi non prevista nell’ambito del CCNL del terziario.

 

Vale la pena specificare, a rafforzamento della rilevanza di simili intese, come queste ultime arrestino, di fatto, la possibilità di apporre causali a livello individuale, al di fuori di quelle stabilite dal CCNL applicato, ferma restando la validità delle sole stipulate antecedentemente la data di rinnovo.

 

Anche a mente della giurisprudenza pregressa, sviluppatasi a seguito della diffusa applicazione del d. lgs. n. 368/2001, non sarà comunque sufficiente richiamare/riportare in lettera d’assunzione o proroga o rinnovo la causale individuata nel CCNL, dovendosi specificare ogni elemento utile ed oggettivo che dimostri la sussistenza della specifica esigenza con quello specifico lavoratore, nonché la connessione temporale con lo stesso. Dovrà quindi essere ad esempio esplicitato il progetto di modernizzazione dell’impianto produttivo, piuttosto che l’attività di digitalizzazione cui è adibito quel lavoratore con la relativa professionalità, anch’essa da esplicitare; e così via. Ed in questo senso dispone il CCNL Confcommercio, quando afferma come le condizioni ivi previste siano “da dettagliare” nel contratto individuale.

 

Come ogni dinamica tipica delle nostre materie, rileverà in fondo, per le considerazioni di cui sopra, la serietà degli approcci alla gestione fisiologica di tali istituti, da parte di aziende, operatori, legali e consulenti.

 

Marco Menegotto

ADAPT Professional Fellow

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L’archivio del Cnel dei contratti collettivi*

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Bollettino ADAPT 25 marzo 2024 n. 12

 

Il Consiglio Nazionale della Economia e del Lavoro (CNEL) – per quanto visto ancora oggi, da molti, con sospetto o una malcelata sufficienza – è l’unica sede in grado di offrire un contributo istituzionale alla conoscenza della contrattazione collettiva. Presso il CNEL è infatti istituito l’archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro (art. 17 legge n. 936/1986). Come spiegava Sergio Mattarella, relatore in Parlamento della legge n. 936, l’istituzione dell’archivio è una «operazione finalizzata al compito di far esprimere alle organizzazioni sociali, tramite il CNEL, una periodica valutazione sull’andamento retributivo e sulla condizione complessiva del mercato del lavoro, specie sotto il profilo normativo della contrattazione. (…) Una sorta di check point in grado di far convergere le forze sociali nella conoscenza e, auspicabilmente, nell’accettazione di tali dati prima che si avviino fasi di consultazione sociale o di contrattazione collettiva».

 

In questa prospettiva – ancora oggi di particolare rilevanza e attualità – può allora essere utile sottolineare la recente pubblicazione sul sito istituzionale del CNEL (alla voce Documenti – Studi, Indagini, Ricerche) di uno studio che spiega non solo la genesi dell’archivio e la sua storia oramai trentennale, ma anche gli sviluppi più recenti che ne segnano un deciso potenziamento e rilancio (CNEL, L’archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro – Art. 17, comma 1, legge n. 936/19862024)Un documento che, seppure redatto con rigore scientifico, si rivolge agli operatori del mercato del lavoro e, soprattutto, alle stesse parti sociali con l’obiettivo di rinnovare la funzione dell’archivio, come sopra brevemente tratteggiata, e di facilitarne l’accesso non solo a fini di studio ma anche a sostegno della qualità e della razionalizzazione del nostro sistema di relazioni industriali. Di questo parlava, del resto, già un corposo studio dello stesso CNEL, redatto a pochi anni dalla entrata in vigore della legge n. 936, dove si rintracciano le Linee progettuali per la struttura e l’organizzazione dell’archivio dei contratti (CNEL, Archivio dei contratti, archivio delle nomine, banca dati, documento Cnel n. 15, 1992, V Consiliatura, relatore Renato Brunetta).

 

Va peraltro evidenziato che, in conformità alle originarie direttive della Commissione dell’informazione del CNEL, nell’archivio sono stati inizialmente depositati «i contratti e gli accordi di ogni livello e ambito relativi sia al settore privato che a quello pubblico» e i relativi «accordi di rinnovo» (art. 1 delle Direttive della Commissione dell’informazione sulla organizzazione dell’Archivio della contrattazione collettiva ai sensi dell’art. 17 della legge n. 936/86, dicembre 1990, contenute all’interno del già menzionato documento Cnel n. 15/1992). Con il tempo l’archivio nazionale dei contratti si è trasformato in un archivio dei soli contratti collettivi nazionali di lavoro anche se si registra lo sforzo, nelle ultime due consiliature, di riattivare la raccolta e sistematizzazione della contrattazione collettiva decentrata. In fase di lancio è, in particolare, una indagine campionaria del CNEL, finalizzata a studiare, con il concorso dei centri studi della rappresentanza datoriale e sindacale, le dinamiche dalla contrattazione aziendale di produttività dal 2016 a oggi.

 

Le originarie direttive della Commissione dell’informazione erano ovviamente condizionate dalle tecnologie del tempo e dalla circostanza che non si era ancora sviluppata e radicata nell’uso comune la rete internet (il primo collegamento italiano, come noto, è del 1986). L’elenco dei contratti e degli accordi depositati, con indicazione delle parti stipulanti, veniva pertanto periodicamente affisso in un apposito albo presso il CNEL e di esso veniva data notizia mediante la pubblicazione sul Notiziario della Commissione dell’informazione. Oggi non è più così. L’archivio, in bella evidenza sulla home page del sito istituzionale del CNEL (www.cnel.it), è interamente open access e, nel tempo, potrà essere ulteriormente potenziato, previo accordo tra le parti sociali, attraverso l’utilizzo mirato della intelligenza artificiale considerando che, nell’archivio, sono presenti oltre 150mila testi contrattuali di varia epoca, natura, livello.

 

Attraverso i Report periodici diffusi dal CNEL si è potuto cominciare a prendere consapevolezza del fatto che, nel nostro Paese, da almeno un decennio, è in corso un costante incremento del numero di contratti collettivi di lavoro di livello nazionale. Vero anche che, se è cresciuto quantitativamente il numero dei contratti collettivi, resta ancora dominante la contrattazione promossa da Cgil, Cisl e Uil che, seppure firmi solo 210 contratti collettivi nazionali di lavoro rappresenta il 97% del totale dei lavoratori coperti dai CCNL depositati.

 

Tra gli elementi qualificanti del sistema di classificazione utilizzato dall’archivio contratti del CNEL, in esito al costante raccordo operativo con il flusso informativo INPS, va infine annoverato l’indice che rileva il numero di lavoratori a cui si applica ogni singolo contratto collettivo, che oggi – diversamente dal passato – può essere reso disponibile alla pubblica consultazione. Le risultanze di questo incrocio di informazioni consentono di conoscere il “peso specifico” di ogni CCNL in un determinato settore, di individuare gli accordi più “rappresentativi” quantomeno in termini di diffusione e effettiva applicazione. Alla data del 15 marzo 2024 (vedi la nota tecnica di accompagnamento del 18° Report CNEL sui CCNL depositati) risultano depositati in archivio ben 1033 CCNL di cui 971 relativi al settore privato, 18 al settore pubblico e 44 accordi economici collettivi che riguardano alcune categorie di autonomi e parasubordinati. Grazie ai flussi Uniemens (media delle dodici dichiarazioni mensili rese dell’anno 2022 dai datori di lavoro all’INPS) e al codice alfanumerico CNEL dei CCNL è tuttavia possibile verificare con certezza che sono solo 99 i CCNL con applicazione sopra i 10.000 dipendenti e che questi pochi CCNL coprono la quasi totalità dei dipendenti del settore privato: 13.398.243 lavoratori, pari al 96,9% della forza lavoro del settore privato tracciata da Uniemens (esclusi agricoltura e lavoro domestico), là dove ben 645 CCNL (pari al 72,7% dei contratti depositati al CNEL) si applicano a meno di 500 dipendenti e, in totale, coprono solo lo 0,3% dei dipendenti.

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

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*pubblicato anche su Contratti & contrattazione collettiva, n. 13/2024

 

La valutazione della maggiore rappresentatività comparativa dei CCNL secondo il TAR Lazio: presupposti e criticità

La valutazione della maggiore rappresentatività comparativa dei CCNL secondo il TAR Lazio: presupposti e criticità

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Bollettino ADAPT 26 febbraio 2024, n. 8

 

Con la sentenza del 30 ottobre 2023, n. 16048, la seconda sezione del TAR Lazio ha rigettato il ricorso di una società per l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione di una procedura a evidenza pubblica afferente all’affidamento di un servizio di contact center per il programma di razionalizzazione degli acquisti della Pubblica Amministrazione.

 

Tra i diversi motivi alla base della motivazione di rigetto del ricorso, in questa sede assume particolare interesse il quarto, il quale si lega al profilo della possibilità per l’operatore economico di scegliere di applicare un contratto collettivo nazionale diverso rispetto quello indicato dall’Amministrazione e al requisito della maggiore rappresentatività comparativa sul piano nazionale delle associazioni sindacali che lo sottoscrivono, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 30 comma 4, d.lgs. n. 50/2016 (oggi sostituito dall’art. 11 del d.lgs. n. 36/2023, c.d. “Codice dei Contratti Pubblici”).

 

Superando il precedente orientamento giurisprudenziale (cfr. Cons. St., Sez. III, 26 settembre 2022, n. 8300), il TAR statuisce come la valutazione del sindacato comparativamente più rappresentativo debba essere compiuta in relazione a uno specifico settore merceologico, realizzando una comparazione tra organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto contratti collettivi nazionali tra loro concorrenti in ragione di una sovrapposizione (talvolta anche parziale) dei rispettivi campi di applicazione.

 

Nel caso di specie, occorre anzitutto inquadrare brevemente la questione sul piano fattuale, con particolare attenzione alle censure mosse dalla società ricorrente alla decisione assunta dalla Pubblica Amministrazione, dalle quali scaturiscono i principi giurisprudenziale oggetto di interesse.

 

A detta della società ricorrente, l’impresa aggiudicataria doveva essere esclusa dalla gara sin dal principio, in quanto il CCNL scelto non avrebbe potuto trovare applicazione alla fattispecie in esame, in ragione del fatto che le associazioni sindacali ANPIT e CISAL non fossero “comparativamente più rappresentative”, bensì solo “maggiormente rappresentative”, risultando così lesivo di quanto disposto dall’art. 30 del d.lgs. n. 50/2016. Inoltre, l’impresa aggiudicataria non avrebbe fornito nemmeno adeguata dimostrazione nell’offerta economica che il CCNL applicato – il CCNL ANPIT-CISAL – fosse stato sottoscritto da associazioni comparativamente più rappresentative su base nazionale.

 

Tale lacuna, peraltro, non avrebbe potuto essere integrata successivamente tramite soccorso istruttorio, in quanto ciò avrebbe causato un intervento sul contenuto dell’offerta economica, non consentito dalla disciplina vigente in quanto lesivo del principio della par condicio degli operatori economici.

 

La lex specialis della procedura indetta disponeva espressamente che nel caso in cui l’operatore economico decidesse di non utilizzare il CCNL indicato dalla stazione appaltante nel bando – il CCNL Telecomunicazioni sottoscritto dalle organizzazioni sindacali Asstel, Fistel-Cisl, Slc-Cgil e Uilcom-Uil – esso avrebbe dovuto dare dimostrazione anche del fatto che il differente contratto collettivo applicato  fosse stato stipulato dalle associazioni datoriali e dei prestatori di lavoro “comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” e il cui ambito di applicazione fosse legato con l’attività oggetto dell’appalto svolto dall’impresa.

 

Tale disposizione risultava del tutto coerente con il quadro normativo di riferimento (art. 30, comma 4 del d.lgs. 50/2016, nonché art. 36 della legge n. 300/1970) e con l’uniforme orientamento giurisprudenziale. Difatti, in più occasioni la giurisprudenza amministrativa ha statuito il divieto in capo alla stazione appaltante di imporre come requisito di partecipazione alla procedura l’applicazione di un determinato CCNL, contestualmente riconoscendo come dalla libertà dell’esercizio dell’attività economica dell’impresa derivi la possibilità per lo stesso di prendere in considerazione un CCNL differente.

 

L’importante – e su questo punto si sofferma la sentenza commentata – è che l’impresa aggiudicataria dimostri che il CCNL prescelto non preveda condizioni peggiorative rispetto a quello individuato dall’Amministrazione e che sia sottoscritto da associazioni sindacali dotate del grado di rappresentatività richiesto dalla normativa.

 

La prima questione su cui il TAR Lazio ha voluto fare chiarezza riguarda la possibilità o meno per l’operatore di fornire la dimostrazione di conformità del CCNL prescelto al dispositivo normativo anche in un momento successivo rispetto alla presentazione dell’offerta economica.

 

Sul punto, occorre evidenziare due profili.

 

In primo luogo, come è noto, la disciplina dei contratti pubblici prevede la tassatività delle cause di esclusione dalla gara (art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50/2016, oggi artt. 94 e 95 del d.lgs. n. 36/2023), non essendo pertanto possibile per la stazione appaltante marginalizzare dalla procedura a evidenza pubblica l’operatore per motivi diversi rispetto quelli espressamente individuati nella normativa codicistica e nella lex specialis. Pertanto, l’assenza della previsione dell’esclusione per non aver fornito subito la dichiarazione di conformità ex art. 30 è un essenziale indicatore della possibilità di integrare tale aspetto successivamente. D’altronde, sulla scorta dell’uniforme orientamento giurisprudenziale, detto principio “è regola volta a favorire la massima partecipazione alle gare, con il divieto di aggravio del procedimento, e che mira, dunque, a correggere le soluzioni, diffuse nella prassi antecedente, le quali sfociavano in esclusioni anche per violazioni puramente formali” (così, ex multis, Cons. St., Sez. III, 7 agosto 2020, n. 4977; Cons. St., Sez. III, 1° luglio 2015, n. 3275).

 

In secondo luogo, la presentazione di chiarimenti ex post è legittima anche alla luce dell’applicazione della disciplina del soccorso istruttorio. In merito, si ricordi che detto istituto (art. 83, comma 9 del d.lgs. n. 50/2016, oggi art. 101 del d.lgs. n. 36/2023) può essere applicato per sanare le carenze di qualunque elemento formale dell’offerta, a condizione, come nel caso di cui si discute, che non si incida concretamente sul contenuto dell’offerta economica o tecnica, in quanto sarebbe violato uno dei principi cardine alla base della procedura a evidenza pubblica, nello specifico la “par condicio” dei concorrenti.

 

Quanto precede permette di approfondire la seconda questione oggetto di interesse, peraltro attualmente di crescente attenzione dopo l’entrata in vigore del nuovo Codice dei Contratti pubblici, consistente nel requisito della maggiore rappresentatività comparativa sul piano nazione dell’organizzazione sindacale stipulante il CCNL applicato dall’operatore economico.

 

Sul punto, il TAR Lazio supera di fatto l’orientamento precedente (cfr. Cons. St. n. 8300/2022, secondo cui la nozione di associazioni sindacali “comparativamente più rappresentative” include quei sindacati che – all’esito della comparazione con le altre associazioni sindacali che abbiano sottoscritto il CCNL concorrente – risultino più rappresentativi), riconducendo la determinazione della maggiore rappresentatività comparativa allo specifico settore merceologico di riferimento, attraverso la comparazione di organizzazioni sindacali sottoscrittrici di contratti collettivi nazionali tra loro «concorrenti» nel medesimo settore.

 

In merito, pare opportuno sollevare alcuni interrogativi.

 

Anzitutto, il citato comma 4 dell’art. 30 fa riferimento all’accertamento della rappresentatività comparata sia nei confronti delle organizzazioni dei lavoratori sia nei confronti delle associazioni datoriali; sul punto, si rileva come, nonostante il CCNL oggetto di accertamento sia stato sottoscritto sia dalle associazioni della CISAL che dell’ANPIT, la pronuncia non faccia alcun riferimento in merito all’ANPIT (cfr. pagg. 11 e 12 della sentenza).

 

Per quel che attiene all’affermazione della maggiore rappresentatività comparata della CISAL, il TAR motiva tale asserzione citando fonti di diritto di secondo grado – decreti della Presidenza del Consiglio e del Ministero del Lavoro – alla luce delle quali emergerebbe il profilo comparativo della rappresentatività su scala nazionale.

 

Si rilevi però che la rappresentatività dei decreti citati si riferisce a un contesto preciso, rappresentato dall’assegnazione al sindacato di funzioni e ruoli di partecipazione negli organismi pubblici – segnatamente il Comitato di Indirizzo e Vigilanza dell’INPS – ben diverso, pertanto, rispetto al profilo della sottoscrizione di un CCNL. In aggiunta, la valutazione è stata realizzata prendendo come parametro fonti risalenti al 2014, prive del profilo di attualità che parrebbe funzionale alla realizzazione di un’analisi sulla maggiore rappresentatività comparativa.

 

Infine, l’affermazione del TAR della maggiore rappresentatività comparativa del CCNL ANPIT CISAL non è seguita da alcun confronto del contratto scelto dalla società aggiudicataria con gli altri CCNL applicabili all’oggetto dell’appalto, all’esito del quale riscontrare che il contratto applicato sia effettivamente più rappresentativo sul piano nazionale. Più semplicemente, senza il raffronto tra i diversi CCNL applicabili sulla base dell’oggetto dell’appalto, come peraltro richiesto dalla normativa vigente, non risultano elementi in grado di accertare la maggiore rappresentatività comparativa di un dato CCNL.

 

Allo stesso tempo però, come statuito dalla pronuncia in epigrafe, per procedere a detta valutazione sarebbe stato necessario produrre in giudizio il CCNL con il quale realizzare l’analisi comparativa, essendo tale onere gravante sull’operatore economico e non riconducibile nel novero dei poteri di ufficio dell’organo giurisdizionale.

 

Difatti, al fine di ottenere la tutela della propria situazione giuridica soggettiva, la società ricorrente avrebbe dovuto indicare innanzi al giudice di prime cure il CCNL oggetto di comparazione, essendo insufficiente per tale ragione la mera citazione del precedente giurisprudenziale del Consiglio di Stato.

 

Edoardo Maria Poiani Landi 

Dottore in giurisprudenza presso l’Università Sapienza di Roma