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Il lavoro del futuro: riflessioni su giovani e lavoro dal pensiero di Marco Biagi ad oggi*

Il lavoro del futuro: riflessioni su giovani e lavoro dal pensiero di Marco Biagi ad oggi*

Bollettino ADAPT 24 marzo 2025, n. 12

 

Il lavoro del futuro non è più un posto di lavoro ma un percorso caratterizzato da continue transizioni, lavorative, occupazionali e professionali. Quest’intuizione di Marco Biagi a distanza di vent’anni è quanto più attuale, in un contesto in cui le stesse trasformazioni digitali, ecologiche e demografiche impongono un ripensamento del lavoro che non è più una condizione statica, ma un processo che richiede un continuo adattamento. Questa prospettiva rappresenta un punto di partenza essenziale per l’apertura di questo convegno, dedicato quest’anno al tema giovani e lavoro, per i quali l’idea di un percorso personale e professionale in costruzione e continua evoluzione appare ancora più concreta.

 

Si tratta quindi di trovare e valorizzare strumenti e percorsi in grado di rendere possibili e facilitare queste transizioni, in grado, cioè, di affrontarne i rischi e coglierne le opportunità. Non si tratta di temi nuovi, né di strumenti inediti: molte delle soluzioni a cui farò di seguito riferimento avrebbero potuto essere adottate già in passato. Il loro valore risiede, quindi, nella consapevolezza che, oggi più che mai, debbano rappresentare il punto di partenza per orientare le politiche del lavoro e della formazione in una visione sistemica, in cui i diversi momenti formativi e professionali non siano considerati elementi separati, ma parte di un percorso interconnesso e continuo.

 

Parlando quindi di giovani e lavoro, è indubbio come la nostra riflessione debba partire dal tema del rapporto tra formazione e lavoro. Per anni si è infatti parlato della necessità di costruire un ponte tra formazione e mercato del lavoro. Oggi non si tratta più solo di creare connessioni, ma di promuovere una vera e propria integrazione, affinché i sistemi educativo e lavorativo non siano più concepiti come realtà separate, bensì come componenti dinamiche e interconnesse, capaci di accompagnare i soggetti lungo l’intero percorso professionale.

 

Strumenti come i percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento permettono agli studenti di affiancare lo studio a esperienze dirette nel mondo del lavoro, favorendo lo sviluppo di competenze trasversali e supportandoli nel loro percorso formativo, professionale e personale. Allo stesso modo, gli stage offrono un’opportunità concreta di acquisire esperienza in azienda, facilitando la comprensione delle dinamiche lavorative. Similmente l’apprendistato duale che rappresenta un modello formativo che integra studio e lavoro, garantendo una preparazione più pratica e aderente alle esigenze del mercato. E ancora, i percorsi universitari stessi, che non devono limitarsi alla formazione iniziale dei giovani, ma hanno il compito di contribuire alla formazione continua, creando veri e propri ecosistemi in cui istruzione, lavoro e ricerca si intrecciano. Infine, gli Istituti Tecnologici Superiori (ITS Academy) che offrono percorsi di alta specializzazione tecnica in settori strategici, rispondendo alle esigenze delle imprese e dei territori, dunque rappresentando non un semplice modello formativo, ma un efficace strumento di integrazione tra istruzione e lavoro.

 

È anche evidente, alla luce di quanto detto, come la formazione non debba essere vista solo come uno strumento per l’inserimento professionale, ma come una leva strategica per lo sviluppo personale e l’aggiornamento continuo, garantendo che le competenze e le professionalità stesse non diventino obsolete. In questo quadro, i fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua assumono un ruolo centrale, con le parti sociali che ne guidano la definizione e l’implementazione, così come risulta centrale garantire la trasparenza delle competenze mediante meccanismi di certificazione.

Gli attori delle relazioni industriali e del mercato del lavoro sono quindi chiamati a contribuire alla programmazione strategica delle politiche formative, oltre che di quelle del lavoro, assumendo un ruolo attivo nel comprendere e abilitare queste transizioni attraverso strumenti e percorsi dedicati.

 

Le parti sociali in parte hanno già colto questo invito come dimostrano alcuni rinnovi contrattuali dello scorso anno. Con riferimento all’apprendistato, nel CCNL Terziario Confcommercio, ad esempio, sono stati aggiornati i profili formativi dell’apprendistato professionalizzante, garantendo una maggiore aderenza tra formazione e competenze richieste dal mercato del lavoro; ancora il CCNL Distribuzione Moderna Organizzata che ha introdotto una disciplina strutturata in materia, con un focus invece sull’apprendistato duale, confermando dunque la necessità di un’integrazione tra formazione e lavoro; e similmente il CCNL Studi Professionali che lo ha esteso anche al praticantato, rafforzando così le tutele per i giovani professionisti. Con riferimento alla certificazione delle competenze, è opportuno richiamare invece il CCNL Elettrico che ha previsto l’istituzione di un libretto formativo digitale per documentare e attestare le conoscenze acquisite dai lavoratori. Un ruolo cruciale è inoltre affidato agli osservatori e comitati bilaterali, incaricati di analizzare i fabbisogni del settore, come previsto dal CCNL Industria Alimentare. Interessante, infine, come tutti i CCNL del settore alimentare venga promossa una possibile soluzione alla tensione tra formazione e lavoro con l’introduzione del patto formativo, che vincola il lavoratore a rimanere in azienda per un periodo di tempo determinato dopo aver usufruito di specifici percorsi di formazione.

 

In conclusione, nel dibattito attuale sul rapporto tra giovani e lavoro, le organizzazioni sindacali e le associazioni datoriali hanno quindi la responsabilità di guidare la costruzione dei mercati del lavoro che è diventata costruzione sociale dei mestieri e delle competenze. In questo senso, la governance deve essere ripensata in chiave solidale, promuovendo un patto sociale sul tema tra governo e parti sociali, ma anche incentivando la collaborazione a livello europeo e a livello territoriale e aziendale. Da un lato, infatti, come già evidenziava il professor Biagi all’inizio degli anni 2000, limitarsi alla prospettiva nazionale non è più sufficiente di fronte alle sfide globali e dunque “l’impegno delle associazioni imprenditoriali e delle organizzazioni sindacali su scala comunitaria potrebbe proprio essere quello di negoziare un’intesa che costituisca il presupposto per un intervento comunitario sui temi richiamati”, con riferimento alla costruzione di percorsi formativi di qualità, invito che fra l’altro sembra essere stato, almeno in parte, accolto dalla recente intesa europea tra Commissione e parti sociali cross-settoriali sul dialogo sociale. Dall’altro, è anche necessario rafforzare il principio di sussidiarietà, privilegiando accordi locali tra istituzioni, imprese, parti sociali, scuole e università, tali da integrare e favorire una transizione più fluida tra i sistemi di istruzione, formazione e lavoro.

 

Il quadro giuridico-istituzionale e le relazioni industriali sono chiamati a rispondere a questa sfida, integrando effettivamente il concetto di transizione nella definizione delle politiche normative e nella regolazione delle dinamiche delle relazioni industriali, per sviluppare una nuova visione strategica a lungo termine che metta al centro non più i posti di lavoro o semplicemente “il lavoratore”, ma la persona, a partire dai giovani.

 

Sara Prosdocimi

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

@ProsdocimiSara

 

*Intervento dell’autrice al Convegno in memoria di Marco Biagi “Giovani e Lavoro: l’attualità del pensiero di Marco Biagi”, CNEL, Roma, 18 marzo 2025

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/263 – Il nuovo accordo aziendale Autogrill: tra revisione del premio di risultato e miglioramento dell’organizzazione vita-lavoro

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/263 – Il nuovo accordo aziendale Autogrill: tra revisione del premio di risultato e miglioramento dell’organizzazione vita-lavoro

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 24 marzo 2025, n. 12

 

Parti firmatarie e contesto

 

Il 17 febbraio 2025 è stato firmato l’accordo integrativo di Autogrill Italia da parte delle rappresentanze aziendali e le segreterie nazionali di Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil.

 

Il contratto, la cui ipotesi di accordo era stata firmata a dicembre, è entrato in vigore con decorrenza a partire dal 1° gennaio 2025 e avrà validità fino al 31 dicembre 2027.

 

La contrattazione dell’accordo aziendale è stata compiuta direttamente dalle segreterie nazionali delle organizzazioni sindacali di categoria che firmano il CCNL Pubblici esercizi (Fipe) – applicato dall’azienda – considerata l’ampia forza lavoro dell’azienda e la presenza della stessa su tutto il territorio nazionale. L’azienda, che è presente con circa 350 punti vendita in autostrade, aeroporti, stazioni, centri commerciali e centri cittadini, impiega infatti più di 8.000 persone – in prevalenza donne (66%) – e tocca picchi di 10.000 impiegati nei periodi estivi.

 

I contenuti dell’accordo

 

I contenuti dell’accordo sono molti e riguardano diverse tematiche. Una delle principali novità è rappresentata dalla rimodulazione del premio di risultato. Come ci ha spigato Alessandro Premoli, HR director di Autogrill, le nuove modalità di calcolo – a differenza delle precedenti che valorizzavano esclusivamente l’andamento dei singoli punti vendita – valorizzano tanto l’andamento generale dell’azienda, quanto quella del singolo punto vendita. Il premio, infatti, viene costituito da una c.d. “Quota base”, erogabile a ciascuna persona lavoratrice sulla base del risultato economico aziendale e un’ulteriore c.d. “Quota aggiuntiva” che premia i lavoratori e le lavorartici dei punti vendita maggiormente performanti. La quota base ha un valore crescente durante i tre anni di vigenza del contratto, fino ad arrivare a 200 euro nel 2027 e il massimale individuale annuale, comprensivo anche della quota aggiuntiva, può arrivare a 1.400 euro lordi l’anno. La conversione in welfare del premio, prevista nel contratto, permette poi di beneficiare di un credito welfare aggiuntivo del 10% in caso di conversione della quota base e del 15% nel caso di conversione della quota aggiuntiva.

 

Ulteriori novità che incidono sul reddito riguardano la revisione delle maggiorazioni per il lavoro festivo (nelle quali rientrano le dodici giornate di festività nazionali) che vengono calcolate non più in percentuale fissa ma in percentuale crescente con l’aumentare dei giorni festivi lavorati. Con il nuovo contratto, le maggiorazioni sono le seguenti: 21% per le prime tre giornate di festività lavorate; il 22% dalla quarta alla quinta giornata di festività lavorata; il 26% dalla sesta alla settima e il 30% dalla ottava alla dodicesima.

 

Per quanto concerne la malattia, il contratto conferma l’integrazione del 100% per i primi tre giorni, come disposto dal CCNL, anche nel caso in cui la malattia sia inferiore a cinque giorni in totale, e prevede un’ulteriore integrazione di 2,50 euro per ogni settimana non coperta da contribuzione nel caso di malattia che superi i trenta giorni.

 

Importanti accorgimenti sono stati presi anche relativamente all’organizzazione del lavoro e alla conciliazione vita-lavoro. In primo luogo, è stato previsto un favor per la turnazione su cinque giorni a settimana, con un riposo di almeno 48h consecutive in caso di due turni notturni consecutivi; inoltre è stato previsto che la programmazione dei turni debba regolarmente avvenire con tre settimane di anticipo.

 

Inoltre, anche la disciplina del part time viene rivista per garantire una migliore conciliazione delle esigenze personali, in particolar modo con l’introduzione di nuove motivazioni per la sospensione delle clausole flessibili (ad esempio per i lavoratori studenti, in caso di motivi di salute personali o di famigliari, in caso di esigenze di cura verso i figli e coì via).

 

In tema di orario di lavoro, infine, viene introdotta una pausa retribuita di venti minuti per il personale impiegato per più di sei ore al giorno, a cui si aggiungono dieci minuti di “tempo tuta”. Vengono aumentati i permessi a sostegno della vita familiare (riconosciuti ad esempio per l’inserimento all’asilo nido, la malattia dei figli e per l’assistenza a familiari gravemente infermi), e dello studio e viene ampliato l’utilizzo dei ROL e della banca ore solidale per singoli punti vendita, prevedendo una maggiorazione del 15% rispetto alle ore “donate”.

 

Ulteriori previsioni riguardano l’estensione delle ragioni che giustificano l’anticipo del TFR rispetto a quelle previste dalla legge, la conferma dei buoni carburante e la disciplina della trasferta e dei trasferimenti. Completano questo contratto le disposizioni relative ai diritti di informazione e diritti sindacali, l’istituzione di una commissione “security”, volta a monitorare eventuali fenomeni di piccola delinquenza e criminalità all’interno dei locali di Autogrill, una commissione “safety” dedicata alla salute e sicurezza sul lavoro, e una volta a promuovere le pari opportunità e contrastare le violenze e molestie sui luoghi di lavoro.

Valutazione d’insieme

 

Come riferito da Alessandro Premoli, questo contratto integrativo si inserisce nella storia ultra-quarantennale di contrattazione in Autogrill. Già nel 2015 il contratto integrativo portò a una ridefinizione degli assetti contrattuali che vengono rinforzati con l’accordo qui in commento. Al termine della fase di pandemia da COVID-19 e il rinnovo nel 2024 del CCNL applicato in azienda, l’esigenza delle parti sociali era quello di dare ulteriore impulso alle relazioni sindacali aziendali e migliorare la qualità complessiva delle condizioni di lavoro attraverso un nuovo contratto aziendale.

 

In conclusione, le parti sociali sono riuscite a rispondere alle peculiarità aziendali – dall’apertura 24h su 24 dei punti vendita all’impiego in prevalenza di personale a tempo parziale (circa il 60% dei lavoratori sono part timer) – in modo da garantire un trattamento economico più equo fra punti vendita e garantire maggiore flessibilità per il lavoratore e la lavoratrice che abbiano esigenze legate alla famiglia, allo studio o alla salute.

 

Federica Chirico

Apprendista di ricerca ADAPT

@fedechirico

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/261 – CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi: Confesercenti e le associazioni sindacali di settore firmano il rinnovo

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/261 – CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi: Confesercenti e le associazioni sindacali di settore firmano il rinnovo

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 3 marzo 2025, n. 9

 

Contesto del rinnovo

 

Lo scorso 22 marzo 2024, Confesercenti e le Organizzazioni Sindacali Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs hanno firmato l’accordo per il rinnovo del CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi con decorrenza dal 1° aprile 2023 per la parte economica e dal 1° aprile 2024 per la parte normativa e validità triennale, fino al 31 marzo 2027. Tale rinnovo segna un punto di svolta importante, dopo un lungo periodo di vacanza contrattuale durato più di 4 anni, a seguito della scadenza del precedente contratto collettivo, datata 31 dicembre 2019.

 

Il percorso che ha portato alla firma dell’ipotesi di accordo è stato travagliato con fasi di aperto scontro tra le parti sociali, culminate in occasione dello sciopero del 22 dicembre 2023, indetto dalle principali sigle sindacali per chiedere il rinnovo dei numerosi contratti scaduti, tra cui quello del settore Terziario, Distribuzione e Servizi. Secondo quanto riportato da Uiltucs, le adesioni sono state in media pari al 70% degli occupati dei diversi settori, con oltre 20 mila lavoratori scesi in piazza nelle diverse manifestazioni organizzate in tutta Italia.

 

Parte economica

 

Sul piano economico, è importante ricordare che un primo intervento era già stato attuato nel dicembre 2022, quando, attraverso un protocollo straordinario, le parti avevano introdotto misure temporanee a favore dei lavoratori del settore. In quell’occasione era stato riconosciuto un importo una tantum di 300 euro, suddiviso in due scaglioni, insieme a un incremento di 30 euro della paga base. Entrambi gli importi, riferiti al IV livello, sono stati riparametrati per gli altri livelli di inquadramento.

Con l’accordo del 22 marzo, viene riconosciuto sia un incremento dei minimi tabellari sia l’erogazione di una somma una tantum, finalizzata a coprire l’intero periodo di vacanza contrattuale. Nello specifico viene previsto un incremento complessivo di 240 euro per il IV livello, distribuito in sei tranche, includendo l’aumento già introdotto nel 2022 ed erogato a marzo 2023. I successivi adeguamenti partiranno dal 1° aprile 2024 e si concluderanno nel febbraio 2027. Anche in questo caso, gli importi saranno riparametrati in base ai diversi livelli contrattuali.

Infine, con l’accordo integrativo firmato il 28 marzo 2024, le parti hanno inoltre confermato la non assorbibilità di tali somme rispetto ai futuri aumenti contrattuali.

 

In relazione all’importo una tantum, le parti hanno concordato un’ulteriore somma di 350 euro lordi per il IV livello, a completa copertura del periodo di vacanza contrattuale. Tale importo sarà corrisposto in due tranche di pari importo (175 euro ciascuna), con scadenze fissate a luglio 2024 e luglio 2025. L’erogazione sarà proporzionata in base alla durata del rapporto di lavoro e al servizio effettivamente prestato nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2022 e il 31 marzo 2023.

 

In relazione al fondo Aster, ovvero il fondo di assistenza sanitaria integrativa, le parti hanno optato per un incremento di 3 euro del contributo mensile obbligatorio a carico del datore di lavoro, a partire dal 1° aprile 2025. Con riferimenti ai Quadri è stata previsto un incremento di 20 euro con decorrenza 1° gennaio 2025 e ulteriori 20 euro dal 1° gennaio 2026.

 

Infine, in relazione esclusivamente ai contratti a tempo parziale, è stata introdotta una revisione dell’art. 95 relativo alle clausole elastiche, che consentono al datore di lavoro di incrementare le ore di lavoro rispetto a quanto originariamente concordato. In tale contesto, la retribuzione l’indennità annule spettante al lavoratore, che è possibile corrispondere in alternativa alla maggiorazione dell’1,5% sulla retribuzione lorda di fatto è stata aumentata di 35 euro, portandola a un totale di 155 euro, a decorrere dal 1° gennaio 2025.

 

Parte normativa

 

Sul versante normativo, l’accordo per il rinnovo del CCNL modifica, in primo luogo, le aree di attività, sia all’interno dell’area Commercio che dell’area Servizi, che definiscono il campo di applicazione del contratto collettivo. Di pari passo vengono introdotte delle novità in merito ai profili professionali esemplificativi associati a ciascuna declaratoria del sistema di classificazione del personale. Sul punto si segnala inoltre che le parti, mediante l’istituzione di una Commissione tecnica istituita ad hoc, rinviano alla definizione entro il periodo di vigenza del CCNL, delle esemplificazioni professionali appartenenti al settore dei servizi e nelle macroaree rientranti nella sfera di applicazione del CCNL. Inoltre, già con l’accordo del 22 marzo è stata riconosciuta l’esigenza di introdurre una nuova classificazione inerente alle assunzioni con contratti di apprendistato professionalizzante, seppur tale intervento viene rinviato ad un accordo successivo, da stipulare entro la fine di giugno 2024, tale scadenza è stata più volte prorogata fino al 31 ottobre dello stesso anno. In definitiva, tale intervento si è concretizzato con la stipula di un accordo integrativo in data 4 novembre 2024.

 

Un’altra rilevante novità riguarda i contratti a tempo determinato, a cui riguardo vengono introdotte nove tipologie di causali che possono essere legittimamente applicate ai contratti con durata compresa tra i 12 e i 24 mesi, nonché per le proroghe o i rinnovi che superano i 12 mesi. Le causali previste includono: nuove aperture; incrementi temporanei dell’attività lavorativa; periodi di ferie, saldi o festività natalizie e pasquali; assunzioni finalizzate alla riduzione dell’impatto ambientale, impiego nell’ambito del terziario avanzato e l’inserimento di lavoratori con competenze o metodologie specifiche in ambito digitale. Tuttavia, resta ferma la possibilità per la contrattazione di secondo livello di individuare ulteriori causali tali da giustificare l’assunzione di lavoratori, anche alla luce di particolari richieste legate al contesto di riferimento, ai sensi di quanto stabilito ex art. 19, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 81/2015.

Alla contrattazione decentrata, inoltre, viene demandata la sottoscrizione di un accordo relativo alle ipotesi di stagionalità nelle località turistiche che, ai sensi del novellato art. 75, deve indicare non solo le località a vocazione turistica ma altresì le connesse attività e i relativi periodi che determinano la necessità di assumere lavoratori a tempo determinato.

 

Nel presente CCNL inoltre, viene recepito anche il protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile del 7 dicembre 2021, riconoscendo l’importanza che il lavoro agile ricopre nell’organizzazione del lavoro, in ottica di un miglioramento nel conciliare i tempi di vita e lavoro oltre che garantire una riduzione dell’impatto ambientale.

 

Infine, rispetto al congedo parentale, le parti – oltre a riportare gli aggiornamenti alla disciplina derivanti dalle novità legislative – hanno concordato una riduzione a 5 giorni, rispetto ai 15 precedentemente previsti, del periodo di preavviso scritto per la fruizione del periodo. Inoltre, nel caso in cui il lavoratore usufruisca di tali congedi, il periodo di assenza dal lavoro viene in ogni caso computato in merito non solo all’anzianità di servizio ma anche per quanto riguarda ferie, tredicesima e quattordicesima mensilità.

 

Parte obbligatoria

 

Importanti innovazioni sono state introdotte anche nella parte obbligatoria del contratto collettivo, in primis viene stabiliti che in occasione dei rinnovi futuri, nel caso di assenza di un accordo di rinnovo nei 6 mesi successivi alla data di scadenza o di disdetta del CCNL o ancora dalla data di presentazione della piattaforma di rinnovo, verrà corrisposto ai lavoratori un elemento provvisorio della retribuzione, definito indennità di vacanza contrattuale per 14 mensilità, il cui importo sarà pari al 30% dell’IPCA al netto degli energetici importati all’anno corrente, applicato ai minimi contrattuali vigenti, inclusa l’indennità di contingenza.

 

In materia di pari opportunità, le parti, novellano l’art. 16 che disciplina i compiti assegnati alla Commissione Permanente per le Pari Opportunità, tra i quali figura quello di dare “piena attuazione alla normativa vigente, rendendosi parte attiva per la diffusione e la promozione di iniziative volte a ridurre l’eventuale divario di genere” e “sostenere percorsi di protezione delle vittime di violenza di genere”. Tale impegno si riscontra nell’introduzione del successivo art. 16-bis, contenente una particolare disciplina a tutela delle vittime che accedono al congedo previsto ex lege e che, in forza del CCNL, hanno diritto a condizioni di miglior favore, come la proroga del periodo di congedo per ulteriori 90 giorni con diritto al pagamento di un’indennità pari al 100% della retribuzione corrente, la possibilità di richiedere un trasferimento presso altra sede lavorativa e l’esonero dai turni disagiati per un periodo di un anno.

 

Importante è l’aumento del contributo obbligatorio, suddiviso tra aziende e lavoratori, per il finanziamento degli Enti Bilaterali Territoriali. Tale importo, pari allo 0,10% a carico del datore di lavoro e dello 0,05% del lavoratore sulla paga base e indennità di contingenza, viene riconosciuto non più su tredici ma su quattordici mensilità.

 

Infine, viene demandata ad un’apposita Commissione, entro il 31 dicembre 2025, il compito di valorizzare la centralità della formazione, individuando gli strumenti adatti a sviluppare nuove e migliori competenze.

 

Valutazione d’insieme

 

Come sottolineato in apertura, il rinnovo del Contratto collettivo è stato il frutto di un lungo percorso di confronto, a volte molto acceso, tra le parti sociali. La firma ha garantito ai lavoratori innanzitutto un aumento sul piano economico dei minimi tabellati, 240 euro per il IV livello, affiancato da una una tantum pari a 350 euro introdotta con lo scopo di coprire il lungo periodo di vacanza contrattuale, tali misure rappresentano un significativo riconoscimento economico per i lavoratori, che garantisce una maggiore stabilità retributiva. Esulando dal discorso economico, il contratto collettivo è stato aggiornato in maniera sostanziale, con una importante revisione sia delle aree di attività interessate dal CCNL, sia in merito alla classificazione del personale.

Inoltre, assumono ulteriore centralità l’impegno a garantire una sempre più efficace formazione dei lavoratori e la garanzia di parità opportunità per tutti i lavoratori.

 

Youri Giovannoni

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

@GiovannoniYouri

Partecipazione dei lavoratori e contrattazione collettiva: a che punto siamo?*

Partecipazione dei lavoratori e contrattazione collettiva: a che punto siamo?*

Bollettino ADAPT 3 marzo 2025, n. 9

 

Un attento osservatore delle relazioni industriali come Dario Di Vico, riferendosi alla possibile ed imminente approvazione del disegno di legge promosso dalla Cisl in materia di partecipazione dei lavoratori (la Camera dei deputati ha dato il via libera lo scorso mercoledì con 163 voti favorevoli, 57 astenuti e 40 contrari, qui il testo), ha parlato di un indubbio successo politico; il rischio, però, è che nella realtà dei luoghi di lavoro si tratti solo di una vittoria di facciata, perché la scelta sulla partecipazione dei lavoratori, nella proposta legislativa uscita dal dibattito alla Camera, rimane saldamente nelle mani dell’imprenditore. Il ruolo della contrattazione collettiva, sempre per Di Vico, è destinato a rimanere sullo sfondo e nei fatti sarà del tutto marginale (Corriere della Sera, 17 febbraio 2025, Meloni e il sindacato. La conta dei rischi).

 

Il disinteresse mostrato dal legislatore, oltre che dal dibattito politico-sindacale, nei confronti della contrattazione collettiva è in effetti quanto mai singolare se si pensa che oggi l’unico ambito in cui la partecipazione trova una regolazione concreta sono proprio i contratti collettivi di lavoro (tanto a livello nazionale che aziendale). Di questa ricca casistica contrattuale si sa tuttavia ancora ben poco, nonostante il crescente interesse registrato dai pochi osservatori (in genere sindacali) che si fanno carico del monitoraggio sistematico della contrattazione collettiva. Secondo il Ministero del Lavoro, l’11,4% degli oltre 10.500 contratti decentrati vigenti prevede forme di partecipazione (dato stabile negli ultimi cinque anni), mentre i contratti che disciplinano produttività e welfare sono nettamente superiori (rispettivamente 78,3% e 59,9%). Questi dati trovano conferma anche dall’osservatorio “FareContrattazione” di ADAPT, che raccoglie e analizza con continuità la contrattazione aziendale e settoriale, offrendo una panoramica concreta sulle dinamiche delle relazioni industriali in Italia.

 

Nonostante le resistenze culturali e il disinteresse legislativo, la partecipazione è in effetti una realtà contrattuale già consolidata. Lo stesso Patto della Fabbrica tra Confindustria e CGIL, CISL, UIL del 2018 aveva già indicato la partecipazione come un pilastro di un moderno sistema di relazioni industriali, e gli accordi collettivi lo hanno recepito, seppur con una effettività limitata. Nei settori più avanzati, come il metalmeccanico e il chimico-farmaceutico, la partecipazione si concretizza in strumenti soft (Osservatori aziendali, Commissioni paritetiche, Comitati). La maggior parte delle previsioni contrattuali di livello nazionale si limita infatti alla partecipazione tramite informazione e consultazione piuttosto che far riferimento a meccanismi realmente di co-gestione. Nel settore metalmeccanico, la contrattazione aziendale mostra un dinamismo significativo: il 67% degli accordi esaminati dai rapporti ADAPT sulla contrattazione contiene previsioni in materia di partecipazione, anche se solo nel 7% dei casi si tratta di forme di co-determinazione. Le pratiche più diffuse prevedono la costituzione di Commissioni aziendali (36% dei casi) e strumenti di monitoraggio e verifica. Esempi concreti si trovano in aziende come Brembo, Piaggio, Toyota e Ducati, che hanno istituito Commissioni tecniche paritetiche per il miglioramento dei processi produttivi, la formazione e l’organizzazione del lavoro. Strutturato anche il modello partecipativo del settore chimico-farmaceutico, dove il CCNL ha introdotto l’obbligo di costituire Osservatori aziendali per le imprese con più di 50 dipendenti. Questi organismi hanno una funzione consultiva e si occupano di temi come formazione, lavoro agile, riqualificazione professionale e innovazioni tecnologiche. Tra le aziende che hanno adottato strumenti partecipativi più avanzati si segnalano Bayer, Johnson & Johnson e Fater, che hanno implementato Osservatori e gruppi di lavoro dedicati alla gestione dell’orario di lavoro e della formazione.

 

Dal punto di vista tematico, la partecipazione si concentra prevalentemente su questioni relative alla organizzazione del lavoro – orario di lavoro e smart working (circa il 30% degli accordi), formazione e riqualificazione professionale (circa il 30% degli accordi), classificazione del personale (15%) – intesa dalle parti, datori di lavoro inclusi, come ambito privilegiato per la collaborazione dei lavoratori che (benché i titoli di giornali siano dedicati esclusivamente a partecipazione economica e strategica) apprezzano il coinvolgimento su queste materie quanto (e forse più) di una poltrona assegnata al sindacalista in un consiglio di amministrazione. In alcuni casi, gli accordi aziendali prevedono meccanismi di partecipazione diretta, come la cassetta delle idee (presente però solo nel 7% degli accordi), che consente ai lavoratori di avanzare proposte migliorative sulla produttività e l’efficienza. Tuttavia, la stragrande maggioranza delle esperienze di partecipazione rimane mediata dalle rappresentanze sindacali, che non vengono scavalcate da queste prassi come temuto da qualcuno, ma anzi ne detengono il pieno controllo e indirizzo strategico.

 

In conclusione si può ben ritenere che se il dibattito pubblico e il legislatore si soffermassero meno su astratte dichiarazioni di principio o bandiere politiche e più sulla realtà concreta delle relazioni di lavoro nelle aziende, emergerebbe con maggiore chiarezza il ruolo centrale della contrattazione collettiva nelle pratiche di partecipazione dei lavoratori. Probabilmente, si avrebbe anche meno paura della partecipazione, intesa non come una imposizione ideologica alla proprietà della azienda, ma come uno strumento pragmatico di miglioramento delle condizioni di lavoro, della qualità e produttività del lavoro e, dunque, anche della competitività delle imprese.

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

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*pubblicato anche su Contratti & contrattazione collettiva, n. 8/2025

 

Salari minimi e archivio nazionale dei contratti collettivi*

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Bollettino ADAPT 25 novembre 2024 n. 42

 

Lo scorso 15 novembre è scaduto il termine per la trasposizione negli ordinamenti nazionali della direttiva europea n. 2022/2041 sui salari minimi adeguati. Pochi Stati membri si sono fatti trovare pronti all’appuntamento. Unicamente Lituania, Romania e Repubblica Ceca hanno infatti adottato provvedimenti per adempiere alle prescrizioni europee. Mentre solo la Germania ha inviato formale documentazione alla Commissione UE per attestare la piena conformità della legislazione tedesca ai contenuti della direttiva. Pesa indubbiamente l’attesa per l’esito del ricorso promosso lo scorso anno dalla Danimarca, con il sostegno del governo svedese, davanti alla Corte di Giustizia europea per l’annullamento della direttiva. Per questi Paesi la determinazione del livello dei salari negli Stati membri sarebbe infatti materia che esula pacificamente dalle competenze del legislatore dell’Unione.

 

In Italia la direttiva e il percorso per la sua attuazione hanno invero riscosso ben poco interesse. Tutta l’attenzione, tanto nel dibattito politico-sindacale che nel confronto accademico, è stata infatti indirizzata sulla proposta di una legge per la fissazione dei salari minimi. Questo nonostante la direttiva non imponga agli Stati membri di introdurre un salario minimo legale, ammettendo infatti l’ipotesi che ciascuno Stato possa affidare la tutela dei salari alla contrattazione collettiva nei confronti della quale è se mai richiesto un maggior impegno dei legislatori interni per la sua promozione e per il rafforzamento della capacità delle parti sociali di determinare trattamenti retributivi minimi adeguati e trasparenti. Sono così uscite dai radar previsioni importanti contenute in questa direttiva; previsioni che, quale che sia l’esito della proposta sul salario minimo per legge, è bene ricordare perché si tratta di misure destinate a incidere sulle dinamiche salariali e sul funzionamento dei sistemi nazionali di contrattazione collettiva. Il riferimento è, in particolare, agli articoli 10 e 11 della direttiva che impongono, rispettivamente, un sistematico monitoraggio e processo di documentazione e valutazione delle dinamiche retributive (largamente assente nella nostra visione delle politiche del lavoro e nella nostra cultura delle relazioni industriali) e una facile accessibilità ai trattamenti retributivi da parte dei lavoratori e del pubblico in generale.

 

Da questo punto di vista merita, pertanto, di essere segnalato l’intervento del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro con due modifiche di grande rilievo del proprio regolamento (vedile in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 264 dell’11 novembre 2024)) che vanno appunto nella direzione di contribuire a dare piena ed effettiva attuazione alla direttiva anche nel nostro Paese.

La prima modifica attiene all’Archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro di cui all’articolo 17, commi 1-3, della legge 30 dicembre 1986, n. 936 (si veda il nuovo articolo 25-bis del regolamento del CNEL). Come è noto, la Commissione dell’informazione del CNEL impartisce alla direzione generale competente, anche attraverso l’approvazione di un apposito regolamento, gli indirizzi generali e le direttive per l’organizzazione e la gestione dell’archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro di cui all’articolo 17 della legge 936/1986. La modifica del regolamento richiede ora che l’organizzazione e la gestione dell’archivio dei contratti siano improntati ai principi di trasparenza e piena accessibilità «in modo tale da fornire alle istituzioni pubbliche e agli operatori informazioni chiare e utili a contribuire a un ordinato sviluppo delle relazioni industriali e di lavoro e a monitorare le dinamiche della contrattazione collettiva». L’organizzazione e la gestione dell’archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro devono in ogni caso «risultare coerenti con la normativa di recepimento della direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022 così da garantire, conformemente agli articoli 10 e 11 della medesima, pubblicità e totale trasparenza nel monitoraggio e nella raccolta dei dati».

 

La seconda modifica attiene al Procedimento istruttorio per l’attribuzione del codice alfanumerico unico di cui all’art. 16-quater del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 in sede di acquisizione del contratto collettivo nell’archivio di cui all’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 30 dicembre 1986, n. 936 (si veda il nuovo articolo 25-ter del regolamento del CNEL). Il regolamento consente ora di formulare alle parti firmatarie dei contratti collettivi nazionali di lavoro oggetto di deposito specifiche «osservazioni e richieste di chiarimenti» disponendo inoltre eventuali indagini sulle retribuzioni previste e applicate dai nuovi contratti collettivi nazionali di categoria per i quali si richieda l’attribuzione del codice alfanumerico unico. Entro il mese di gennaio e il mese di luglio di ogni anno il CNEL predisporrà «un apposito quadro sinottico e un prospetto riepilogativo» relativamente ai contratti depositati e ai rinnovi contrattuali avvenuti nel semestre precedente e per i quali è stata conseguentemente disposta l’assegnazione del codice alfanumerico unico così da garantire trasparenza sui contenuti dei contratti e sui loro firmati anche con riferimento al loro «effettivo radicamento nel sistema di relazioni industriali» ovvero al grado di «diffusione nel settore o sottosettore di riferimento» del relativo contratto visto che il CNEL è in grado di dare precise indicazioni sul numero reale di lavoratori e di aziende ai quali un CCNL è applicato.

 

Saranno ora Governo e Parlamento a valutare cosa rispondere alla Commissione europea per documentare la conformità o meno del nostro ordinamento giuridico alle prescrizioni della direttiva. L’impegno del CNEL per una maggiore conoscibilità e pubblicità dei testi contrattuali è comunque un contributo pragmatico per dare piena attuazione a una delle previsioni cardine della direttiva: quella che impone agli Stati membri di assicurare a tutti i lavoratori un facile accesso e informazioni complete rispetto ai trattamenti retributivi previsti dai contratti collettivi così da assicurare totale trasparenza e prevedibilità delle condizioni di lavoro ad essi applicabili.

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

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*pubblicato anche su Contratti & contrattazione collettiva, n. 44/2024

 

La contrattazione settoriale nel Regno Unito

La contrattazione settoriale nel Regno Unito

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Bollettino ADAPT 2 settembre 2024 n. 30

 

A differenza del panorama italiano, in cui la contrattazione c.d. “multi-datoriale” di settore è fortemente sviluppata, nel Regno Unito, sin dagli anni ’80 si è assistito ad un decentramento della contrattazione collettiva. Si è giunti, dunque, ad una situazione in cui la contrattazione di settore è tendenzialmente scomparsa e si è creato un mercato del lavoro altamente individualizzato con uno scarso ruolo dei sindacati.

 

All’interno del contributo Introducing sectoral bargaining in the UK: why it makes sense and how it might be done, Keith Sisson, professore emerito di Relazioni industriali presso l’Università di Warwick si dedica all’analisi di un potenziale reinserimento della contrattazione settoriale nel Regno Unito e ai benefici che questa comporterebbe sia per i sindacati che per le associazioni dei datori di lavoro. Nella seconda parte del suo contributo, si affrontano invece le questioni che sarebbe necessario risolvere nel caso in cui il Regno Unito riuscisse ad introdurre la contrattazione settoriale.

 

I benefici dell’introduzione di una contrattazione di settore

 

Il contributo prende le mosse dalla circostanza che i lavoratori inglesi avrebbero perso molto a causa del declino della contrattazione settoriale e della regolamentazione congiunta: un esempio sono gli aumenti salariali inferiori all’inflazione e la maggiore insicurezza dei rapporti di lavoro. È però interessante osservare come anche i datori di lavoro risultino impoveriti dallo scarno ruolo della contrattazione di settore, avendo ottenuto non tanto la flessibilità contrattuale sperata, quanto piuttosto una maggiore rigidità giuridica. In mancanza di accordi settoriali, infatti, è stato necessario introdurre una serie di tutele legali per la gestione dei rischi, ma non sempre soluzioni uniformi nel panorama nazionale risultano efficaci in contesti lavorativi fortemente differenziati.

 

È essenziale tenere a mente che quando si parla di contrattazione collettiva, non ci si riferisce al solo salario, ma a una regolamentazione congiunta di diverse questioni, come il coinvolgimento dei dipendenti, la formazione e lo sviluppo del personale, la disciplina del licenziamento e tanto altro. Sisson si dedica all’approfondimento dei benefici dello sviluppo della contrattazione di settore. Secondo l’autore, ci sono due ragioni principali per cui gli accordi settoriali devono essere preferiti alla regolamentazione legale: la prima è il maggiore coinvolgimento dei lavoratori e la seconda è la capacità della contrattazione collettiva di adeguarsi alle peculiarità dei singoli ambiti e settori.

 

La contrattazione di settore andrebbe preferita alla regolazione unilaterale aziendale, inoltre, perché per i datori di lavoro vi è un notevole risparmio sui costi di gestione delle relazioni di lavoro.

 

Sulla base dell’analisi dell’autore, un approccio di settore permetterebbe di uniformare le condizioni di lavoro delle aziende di un determinato ambito e di evitare che si crei una ricchezza fondata su salari bassi e cattive condizioni per i lavoratori. Questo approccio va a vantaggio sia dei sindacati che delle organizzazioni datoriali. Queste ultime, infatti, acquisirebbero un ruolo di intermediario, consentendo a tutte le aziende rappresentate e non solo alle grandi realtà, di partecipare ai processi di definizione delle politiche sul lavoro a livello nazionale.

 

Peraltro, i benefici del coinvolgimento dei rappresentanti sindacali e datoriali sono stati riconosciuti anche nel rapporto dell’OCSE, Global Deal report, Social Dialogue, Skills and Covid-19 (2020),  in cui si afferma che il dialogo sociale è stato fondamentale per affrontare i danni causati dalla pandemia. La contrattazione settoriale migliora, infatti, la qualità delle decisioni rendendole più coerenti con la specifica problematica. Un confronto costante con le organizzazioni rappresentative migliora la comprensione dei problemi e permette, all’insorgere di una crisi, di trovare un maggiore consenso e una maggiore apertura ad una soluzione condivisa.

 

All’interno del suo elaborato, Sisson elenca anche quelli che potrebbero essere i vantaggi degli accordi di settore a livello macroeconomico, ovvero:

1. un migliore bilanciamento fra salari, inflazione, livelli di disoccupazione e tassi di crescita economica. Sempre secondo l’OCSE (in Negotiating Our Way Up: Collective Bargaining in a Changing World of Work del 2019): “(…) il coordinamento aiuta le parti sociali a tenere conto della situazione del ciclo economico e degli effetti macroeconomici degli accordi salariali sulla competitività. Il livello effettivo di centralizzazione è un’altra dimensione cruciale: i sistemi in cui il decentramento è organizzato e coordinato dal centro (cioè sistemi in cui gli accordi a livello settoriale stabiliscono ampi quadri normativi ma lasciano le disposizioni di dettaglio alle negoziazioni di livello aziendale e dove il coordinamento è piuttosto forte) tendono a produrre buone performance occupazionali e una maggiore produttività”;

2. minori disuguaglianze. L’OCSE prende come riferimento tre misure per i confronti internazionali sulle disuguaglianze: la dispersione dei redditi (in base alla quale per salario basso si intende un salario inferiore di due terzi rispetto al salario orario mediano e per salario alto si considera quello che supera di 1,5 volte il salario orario mediano); il coefficiente di Gini (che condensa la distribuzione del reddito disponibile fra le famiglie in un numero compreso fra zero e uno; più alto il numero, maggiore la disuguaglianza); il c.d. “gender wage gap” misurato come differenza tra i guadagni mediani di uomini e donne rispetto ai guadagni mediani degli uomini. Con riferimento a tutte e tre le misure, la disuguaglianza risulta maggiore nel Regno Unito e negli Stati Uniti rispetto agli altri paesi OCSE, e ciò probabilmente è legato ad un maggiore decentramento (disorganizzato) della contrattazione collettiva. È emerso, infatti, che maggiori densità sindacale e centralizzazione/coordinamento della contrattazione salariale sono direttamente proporzionali ad una minore disuguaglianza salariale complessiva.

 

Contrattazione settoriale nel Regno Unito – Come introdurla

 

Sisson parte da un punto di attualità nel Regno Unito, ossia l’impegno da parte del Labour Party di introdurre un accordo nel settore socio-sanitario, ad oggi incapace di assolvere ai suoi compiti essenziali a causa di numerose questioni, tra cui l’assetto composto sia dal settore pubblico (NHS) che da servizi privati, problemi nell’assunzione e nel mantenimento della forza lavoro.

 

Nonostante il Labour Party mostri cautela verso il sostegno alla contrattazione di settore per l’intera economia del Regno Unito, questa è ritenuta particolarmente necessaria nella cosiddetta “foundational economy”, ovvero quella parte di economia composta da settori non competitivi e al di fuori della concorrenza internazionale (es.: assistenza all’infanzia, servizi di pulizie, logistica). Di particolare importanza è la struttura di questi settori, costituiti principalmente da piccole e medie imprese (PMI) costrette a contrattare individualmente, che quindi beneficerebbero grandemente dall’introduzione di un accordo di settore capace di abbattere i costi di transazione. Tuttavia, la debolezza delle parti datoriali nel settore è fonte di preoccupazione, rispetto alla quale accordi tripartiti (con il coinvolgimento del governo) potrebbero essere risolutivi.

 

Istituzioni principali

 

La proposta ha come punto di partenza i Wages Council e i contratti già consolidati, e la responsabilità statutaria di avviare le procedure spetterebbe al Segretario di Stato. Dopo la consultazione delle parti, egli dovrebbe quindi istituire un National Joint Council (NCJ) qualora “non esistesse una contrattazione collettiva efficace a livello settoriale; o la contrattazione collettiva presente nel settore non sia sufficiente a stabilire termini e condizioni minimi per l’intero settore in relazione alle materie obbligatorie”. Tale consiglio sarebbe composto da un pari numero di rappresentanti dei lavoratori e datori di lavoro e in cui il Segretario di Stato potrebbe decidere se inserire dei membri indipendenti con diritto di voto con il compito di conciliatori in caso di stallo delle negoziazioni. L’importanza degli accordi tripartiti rimarrebbe la stessa.

 

Gli accordi settoriali come codici anziché contratti

 

Sisson ricostruisce la storia del quadro giuridico riguardante le relazioni industriali, affermando che il declino della contrattazione collettiva in Regno Unito si riconduce spesso alla mancanza di contratti giuridicamente vincolanti, obbligari solo a livello d’onore e non come codici statutari in un contesto di common law. Tuttavia, di fatto non c’era nessun ostacolo per le parti sociali nel rendere i contratti negoziati legalmente vincolanti, quanto piuttosto una mancanza di volontà delle stesse parti e un’incompatibilità di linguaggio (a questo proposito la Royal Commission on Trade Union and Employers’ Associations argomentava che per essere codificati, essi avrebbero dovuto essere stati riscritti con l’ausilio di un avvocato professionista). Invero, la maggioranza della Commissione ha respinto le proposte di rendere giuridicamente vincolanti i contratti collettivi non tanto per motivi di principio, quanto piuttosto adducendo come causa la concretezza della contrattazione collettiva nel Regno Unito.

 

Dunque, oggi, per quanto riguarda la legislazione necessaria per introdurre la contrattazione settoriale, il suggerimento è di rendere gli accordi di settore dei contratti giuridicamente vincolanti, in forma di “Good Work sector Agreements”, e attuati, ad esempio, dagli stessi organismi governativi che vigilano sulle normative nazionali, come avviene in Irlanda e in Nuova Zelanda. A sostegno di tale proposta, si suggerisce l’introduzione di un nuovo sistema di Tribunale del Lavoro, articolato in più livelli, con giurisdizione esclusiva per trattare tutte le questioni relative al lavoro. Le criticità emerse per questa ipotesi riguardano i numerosi problemi di adattamento del quadro legislativo: difatti, la stessa Royal Commission afferma che il modello di common law britannico richiederebbe il lavoro congiunto di esperti di relazioni sindacali e di avvocati.

 

Per questi motivi, sono esplorate nel testo altre ipotesi, fra cui la possibilità di rendere l’accordo di settore un ‘Order’, il mancato rispetto del quale costituirebbe un reato, legittimando così i lavoratori a presentare una richiesta civile in caso di mancato pagamento delle tariffe appropriate; ovvero, consentire al Segretario di Stato di proporre alle parti sociali di trasformare il proprio accordo di settore in un Codice di Condotta dell’Acas, ente pubblico che fornisce servizi di consulenza, conciliazione e mediazione fra le parti sociali. È indubbio, d’altronde, che questo approccio richiederebbe minori aggiustamenti al quadro legislativo, avendo inoltre il vantaggio di far esprimere i contratti di settore nel linguaggio delle relazioni sindacali e di non richiedere il supporto di un avvocato, oltre a promuovere e condividere le relazioni industriali stesse, nonché le best practices con ruolo educativo fondamentale nell’aiutare le imprese a rimanere aggiornate sulle sfide di settore.

 

Se, da un lato, chiarisce Sisson, è chiaro che la scelta di un percorso rispetto a un altro dipenderà da come il governo vorrà promuovere gli accordi settoriali in termini di obiettivi e finalità, dall’altro è evidente che, qualunque sia il percorso scelto, vi sia la necessità di istituire un’autorità pubblica che controlli la legittimità degli accordi settoriali.

 

Il principio di equità

 

All’interno del documento, il principio di equità (fairness) assume un ruolo centrale, soprattutto riguardo alla priorità da attribuire al “lavoro equo” rispetto alla “paga equa”. Questo principio si articola in due dimensioni: l’equilibrio tra sforzi e benefici e l’equità nelle decisioni che vengono prese. Il pericolo di concentrarsi sulla sola questione del salario è che, infatti, questioni come queste così come il dialogo sociale, vengono marginalizzate perché poco si prestano alla “negoziazione distributiva”. In aggiunta, ciò deteriorerebbe anche la situazione delle PMI in quanto si aumenterebbe in maniera significativa il costo del lavoro, portando a tagli del personale e un aumento del carico di lavoro sui dipendenti rimanenti.

 

Il contenuto degli accordi

 

Due sono quindi le tipologie di contenuti degli accordi descritti da Sisson se venisse inserita la contrattazione settoriale, considerando poi che argomenti specifici varierebbero da settore a settore:

il lavoro equo, ripreso anche da Fair Work Tales, e in particolare le questioni relative a: giusta ricompensa; rappresentanza collettiva; sicurezza e flessibilità; possibilità di accesso; crescita e progresso; ambiente lavorativo sano e inclusivo; diritti sostanziali;

– la disciplina di questioni sostanziali come retribuzione, straordinari, pensioni e ferie, come riaffermato anche da una proposta del Trade Union Congress (TUC); aspetti procedurali e diritti dei lavoratori, come quello di informazione e consultazione.

 

È indubbio, però, afferma Sisson, che le proposte finali dovranno tenere in considerazione il rapporto fra i diversi livelli di contrattazione. Le preoccupazioni dell’autore riguardano principalmente il fenomeno della “decentralizzazione disorganizzata” che può verificarsi quando la contrattazione si sposta dal livello settoriale a quello aziendale senza alcun coordinamento tra i due livelli. Questo comporta infatti il rischio che l’autorità dell’accordo settoriale venga indebolita, soprattutto a discapito dei lavoratori nelle PMI, a causa delle deroghe, delle riforme e delle eccezioni previste a livello aziendale. Difatti, solo se avviene in maniera adeguata e dunque con un “decentramento organizzato”, caratterizzato da coordinamento fra i livelli, questa transizione può portare ad una situazione ideale in cui vengono affermate le condizioni minime a livello settoriale, senza il rischio che vengano messe in discussione nelle negoziazioni a livello aziendale.

 

A tal fine, il documento suggerisce la necessità che le stesse parti sociali sostengano lo sviluppo del dialogo sociale, in particolare attraverso una dichiarazione dell’obiettivo complessivo dell’accordo settoriale, dunque facendo esplicito riferimento alle questioni che l’accordo si propone di affrontare; ovvero l’organizzazione di incontri trimestrali del consiglio tripartito, con gruppi di lavoro congiunti che si occupino di ricercare e monitorare le principali criticità del settore, anche con l’ausilio di esperti e terze parti.

 

Per quanto riguarda invece il ruolo del governo nazionale guidato dai Labour, l’autore si rifà alle linee guida della Commissione Europea. Si richiama, in particolare, la necessità di:

– assicurare la consultazione delle parti sociali nella progettazione di politiche economiche e sociali;

– incoraggiare le parti sociali a prendere in considerazione nuove forme di lavoro;

– consentire alle organizzazioni datoriali e dei lavoratori di crescere, facendo in modo che abbiano le informazioni rilevanti e assicurando loro il supporto da parte del governo nazionale.

 

Promuovere la produttività

 

Afferma Sisson che, tuttavia, nelle discussioni sull’introduzione della contrattazione settoriale si è prestata poca o nessuna attenzione a come verranno finanziati i miglioramenti previsti in termini di salario e condizioni di lavoro, che ovviamente dipenderanno a seconda del settore. Ad esempio, nel settore socio-sanitario è probabile che i fondi possano arrivare direttamente dal governo nazionale nella forma di investimenti sulla forza lavoro. Diversamente, in altri settori, non essendo previsto alcun finanziamento a causa delle pressioni attese sulla spesa pubblica, si prevede che i finanziamenti potranno derivare dagli stessi profitti delle aziende.  Tuttavia, anche in questo caso alcune aziende registreranno alcune criticità poiché ancora intrappolate nello schema di “bassa retribuzione, bassa qualificazione, bassa produttività”. Considerando, dunque, la limitata capacità di redistribuzione dai lavoratori più pagati a quelli meno pagati all’interno del settore, queste aziende avranno bisogno di aiuto per migliorare la loro produttività e performance, agendo non solo sull’eliminazione del basso salario ma incentivando tutta una serie di politiche coordinate e di sotto investimento e crescita.

 

In generale, si raccomanda al governo nazionale di modificare il suo modello di sviluppo economico investendo nell’innovazione e nella produttività della foundational economy, oltre a eliminare fattori che minano standard lavorativi dignitosi.

 

Conclusioni

 

Auspicando l’introduzione della contrattazione settoriale nel Regno Unito, Sisson analizza nel suo paper come questo possa concretamente attuarsi nel contesto politico-legislativo attuale britannico. È evidente, infatti, che questa transizione possa avvenire in un sistema di common law, in cui gli accordi sono di difficile codificazione, solo attraverso concrete misure a sostegno. Sisson raccomanda, inoltre, una visione più ampia del concetto di contrattazione settoriale, non basata esclusivamente sull’aumento dei salari ma piuttosto sul ‘fair work’, ossia l’insieme delle garanzie di cui deve godere il lavoratore (es.: formazione, sicurezza).

 

Nel contesto delineato, è quindi chiaro come la proposta dell’attuale Governo di introdurre la contrattazione settoriale nell’ambito socio-sanitario possa essere un trampolino di lancio per mettere in pratica le proposte illustrate dall’autore per migliorare non solo la contrattazione collettiva, ma anche, attraverso essa, le condizioni di quei settori appartenenti alla ‘foundational economy.

 

Francesca Coluccia

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

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Emanuele Ligas

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

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Le causali contrattuali negli ultimi rinnovi: un’opzione da maneggiare con cura

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Bollettino ADAPT 15 aprile 2024, n. 15

 

In occasione degli ultimi rinnovi di contratti collettivi nazionali di lavoro del settore industriale e del commercio, si stanno affacciando sul panorama lavoristico le prime “causali contrattuali” per la proroga e/o il rinnovo di contratti a termine oltre i 12 mesi o per la stipula di simili tipologie contrattuali con durata superiore all’anno sin dall’instaurazione del primo rapporto di lavoro, disposte a livello nazionale. E ciò a seguito dell’ultimo intervento in materia (legge n. 18/2024, di conversione del “decreto milleproroghe”), con cui il Legislatore ha prorogato al 31 dicembre 2024 la possibilità di apposizione di una condizione (quelle “esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva”) sul piano individuale in assenza di interventi di natura contrattual-collettiva (ex art. 51 d. lgs. n. 81/2015) rispetto alla prima scadenza (30 aprile 2024) fissata nell’ambito del “decreto lavoro” (decreto-legge n. 48/2024) di riforma dell’intero perimetro normativo dei rapporti a tempo (per un commento approfondito cfr. E. Dagnino, C. Garofalo, G. Picco, P. Rausei (a cura di), Commentario al d.l. 4 maggio 2023, n. 48 c.d. “decreto lavoro”, convertito con modificazioni in l. 3 luglio 2023, n. 85, ADAPT University Press, E-book series n. 100/2023).

 

Invero, alcune esperienze, soprattutto di contrattazione aziendale ma anche a livello di CCNL (per uno sguardo su tali tendenze, v. ADAPT (a cura di), La contrattazione collettiva in Italia (2022), IX Rapporto Adapt, ADAPT University Press, 2023), si erano sviluppate già con la previgente norma introdotta all’epoca del Governo Draghi (art. 41-bis d.l. n. 73/2021).

 

La recentissima ipotesi di rinnovo del CCNL Confcommercio dello scorso 22 marzo per il tramite del nuovo art. 71-bis ha introdotto, tra le varie novità (per una panoramica dei contenuti cfr. C. Altilio, Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/196 – Il rinnovo del CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi: una prima rassegna delle principali novità), un rigido sistema di “casi”, ai sensi dell’art. 19, co. 1, lett. a), decreto legislativo n. 81/2015, che la stessa organizzazione datoriale si è rapidamente premurata di illustrare e specificare con apposita circolare. Si tratta di impiego di lavoratori a termine, oltre i 12 mesi, per i casi di: saldi, fiere, festività natalizie, festività pasquali, incremento temporaneo, nuove aperture; e fin qui sembra muoversi nell’ambito delle esigenze di picco di lavoro legate alle dinamiche organizzative/produttive infra-settoriali. Alcune altre, quali riduzione impatto ambientaleterziario avanzatodigitalizzazione, sono invece frutto di visione di prospettiva del settore, e riguardano vuoi l’assunzione di lavoratori con specifica professionalità utile all’esecuzione delle mansioni per le quali sono inseriti in azienda, vuoi la progettazione/realizzazione di prodotti innovativi e digitali. Vanno in effetti in questa direzione anche le nuove figure professionali introdotte con la revisione del sistema di classificazione e inquadramento del personale.

 

Nello stesso senso si è mosso, alcune settimane fa (accordo del 1° marzo 2024), il settore dell’industria alimentare, che – riformando il suo art. 18 – ha introdotto particolari condizioni sostanzialmente legate a progetti specifici, che riecheggiano, invero, la formulazione legislativa figlia del “decreto dignità”: “a) esecuzione di un progetto, un’opera o di un servizio definiti e predeterminati nel tempo e non rientranti nelle normali attività (es. migrazione a nuovi software, cambi di sistemi informaticietc.); b) realizzazione di progetti temporanei legati alla modifica e/o modernizzazione degli impianti produttivi e attivazione di nuovi processi produttivi (es. attività di engineering e impiantistica)”. Interessante l’inciso per cui tali causali non possono essere utilizzate per il lavoro in somministrazione, risultando così prevista una restrizione rispetto alle facoltà concesse dalla legislazione vigente (“Ai sensi dell’art. 19, comma 1, lettera a) (…) le Parti convengono che il contratto di lavoro a tempo determinato, non in somministrazione, può avere una durata superiore (…)”). Il medesimo articolo introduce poi un rinvio alla contrattazione aziendale, per l’individuazione di ulteriori causali; ipotesi non prevista nell’ambito del CCNL del terziario.

 

Vale la pena specificare, a rafforzamento della rilevanza di simili intese, come queste ultime arrestino, di fatto, la possibilità di apporre causali a livello individuale, al di fuori di quelle stabilite dal CCNL applicato, ferma restando la validità delle sole stipulate antecedentemente la data di rinnovo.

 

Anche a mente della giurisprudenza pregressa, sviluppatasi a seguito della diffusa applicazione del d. lgs. n. 368/2001, non sarà comunque sufficiente richiamare/riportare in lettera d’assunzione o proroga o rinnovo la causale individuata nel CCNL, dovendosi specificare ogni elemento utile ed oggettivo che dimostri la sussistenza della specifica esigenza con quello specifico lavoratore, nonché la connessione temporale con lo stesso. Dovrà quindi essere ad esempio esplicitato il progetto di modernizzazione dell’impianto produttivo, piuttosto che l’attività di digitalizzazione cui è adibito quel lavoratore con la relativa professionalità, anch’essa da esplicitare; e così via. Ed in questo senso dispone il CCNL Confcommercio, quando afferma come le condizioni ivi previste siano “da dettagliare” nel contratto individuale.

 

Come ogni dinamica tipica delle nostre materie, rileverà in fondo, per le considerazioni di cui sopra, la serietà degli approcci alla gestione fisiologica di tali istituti, da parte di aziende, operatori, legali e consulenti.

 

Marco Menegotto

ADAPT Professional Fellow

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Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/199 – L’accordo IFOA: prospettive innovative su orario di lavoro e welfare aziendale

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/199 – L’accordo IFOA: prospettive innovative su orario di lavoro e welfare aziendale

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 15 aprile 2024, n. 15 

 

Oggetto e contesto

 

Il 15 febbraio 2024, IFOA ha stipulato con le rappresentanze sindacali aziendali, assistite da Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil, un nuovo accordo aziendale, superando e riunendo in un unico testo, integrativo rispetto alle previsioni del CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi, tutti i precedenti contratti collettivi di secondo livello sottoscritti nel corso degli anni. Nello specifico, con il nuovo accordo le parti mirano, da un lato, a superare il precedente contratto di solidarietà sottoscritto nel 2013 e tutte le intese ad esso collegate e, dall’altro, a consolidare prassi già in atto, a partire dalla regolazione del lavoro agile e dalle pratiche volte a garantire la conciliazione vita-lavoro.

 

Temi trattati / punti qualificanti / elementi originali o di novità

 

L’accordo si apre con la nuova disciplina dell’orario di lavoro in azienda, a cui dedica grande spazio. Nello specifico, l’intesa, nel superare il precedente contratto di solidarietà, prevede, rinviando alla sottoscrizione di accordi individuali ex art. 8, co. 2, D. Lgs. n. 81/2015, la trasformazione dei rapporti di lavoro a tempo pieno in rapporti a tempo parziale di durata pari a 38 ore settimanali. In questo senso, dunque, a tutti i fini normativi ed economici, l’orario di lavoro, una volta stipulati gli accordi individuali di trasformazione, sarà da considerarsi di 38 ore settimanali, con la conseguenza che, per il calcolo di tutti gli istituti – a partire dalla retribuzione – la cui determinazione avviene in base alla durata della prestazione lavorativa, avverrà un riproporzionamento sulla base di un impegno lavorativo quantificato in 38 ore anziché nelle 40 previste dal contratto collettivo nazionale.

 

Per quanto riguarda l’articolazione dell’orario, è precisato che la durata della prestazione lavorativa è distribuita su cinque giornate in maniera non omogenea, dal momento che dal lunedì al giovedì la giornata lavorativa ha una durata di otto ore e mezzo, mentre il venerdì di sole quattro ore. I lavoratori, inoltre, possono godere di fasce di flessibilità in entrata, dalle 8.00 alle 9.30, ed in uscita, dalle 17.00 (dalle 12.00 per il venerdì) in poi. È precisato, infine, che, nella giornata del venerdì, si prevede che i lavoratori eseguano la prestazione in modalità agile. Appare dunque evidente che l’articolazione dell’orario in IFOA permette una grande autonomia dei lavoratori nella gestione del proprio tempo di lavoro, un’autonomia che sembra confermata dall’obbligo, posto in capo agli stessi lavoratori, di rispettare l’orario, potendo anche effettuare, nell’arco di ciascun mese, recuperi compensativi tra le ore eccedenti e quelle mancanti rispetto all’orario previsto, con il solo vincolo di ricevere l’autorizzazione per eventuali recuperi superiori alle due ore giornaliere nonché effettuati al di fuori delle fasce di flessibilità.

 

L’intesa, poi, conferma quanto già previsto in azienda circa la regolazione del lavoro agile, identificato come strumento per incentivare una migliore conciliazione vita-lavoro e promuovere la genitorialità. Nello specifico, si prevede che ogni lavoratore abbia diritto ad eseguire, oltre che nella giornata del venerdì, la prestazione di lavoro in modalità agile in altre sei giornate al mese, da collocarsi esclusivamente tra il martedì e il giovedì. In ogni caso, però, il lavoratore è tenuto a concordare con il proprio responsabile la fruizione delle giornate di smart working, anche frazionabili in mezze giornate ove l’organizzazione del lavoro lo consenta. Ad alcune categorie di lavoratori (segnatamente: lavoratori con figli fino a 12 anni ovvero con figli affetti da disabilità; lavoratori affetti da disabilità; lavoratori affetti o a rischio contagio da covid; lavoratrici in stato di gravidanza; lavoratori residenti in luogo distante oltre un’ora di viaggio dalla sede di lavoro; lavoratori con genitori anziani non autosufficienti) è riconosciuta priorità nella fruizione di giornate di lavoro agile ulteriori rispetto alla misura massima di sei giornate al mese ovvero da collocare nella giornata del lunedì.

 

Infine, a chiusura delle disposizioni in materia di orario di lavoro, in virtù dell’ampiezza dell’articolazione oraria (che, previo accordo tra il lavoratore ed il suo responsabile, potrebbe coinvolgere, sia per esigenze del lavoratore sia per motivi organizzativi di IFOA, fasce orarie diverse da quelle normalmente previste) e delle peculiari esigenze organizzative che interessano l’azienda, l’intesa riconosce ai lavoratori un’indennità, detta di modulazione oraria, di 20 euro lordi erogata su 14 mensilità e utile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, affiancata dalla previsione di un superminimo individuale non assorbibile di 32 euro mensili.

 

Per quanto riguarda i profili retributivi, inoltre, l’accordo IFOA prevede anche la conferma dell’elemento (definito “elemento A”) retributivo integrativo, utile ai fini del calcolo di tutti gli istituti contrattuali – compreso il trattamento di fine rapporto – erogato per quattordici mensilità e parametrato, in base ai livelli di inquadramento, da un minimo di settanta euro ad un massimo di duecentootto.

Da sottolineare sono poi le previsioni in materia di welfare, a partire dal riconoscimento, per ogni giornata lavorata nel mese – ad eccezione delle giornate di lavoro inferiori a 4 ore -, di ticket restaurant di ammontare pari a 5 euro e dalla previsione di un piano di flexible benefits che prevede l’erogazione di un voucher di ammontare pari a 250 euro per lavoratore.

 

L’accordo, inoltre, interviene in materia di tutela della persona, della famiglia e della genitorialità, prevedendo e sistematizzando diverse misure di conciliazione vita-lavoro. Nello specifico, si prevedono tre giornate, anche frazionabili in mezze giornate, all’anno di permessi retribuiti per ragioni personali e familiari, che possono riguardare l’inserimento presso scuole dell’infanzia o asili e l’assistenza di figli o nipoti, un congedo aggiuntivo rispetto al congedo obbligatorio di legge per il padre lavoratore oppure altri eventi relativi a parenti o conviventi. Per quanto riguarda le lavoratrici madri, l’intesa prevede che, nei due mesi precedenti il parto e sino al terzo anno del figlio, possano concordare più incisive modalità di godimento della flessibilità oraria in entrata e in uscita nonché di fruizione delle giornate di lavoro agile, anche in deroga a quanto previsto dall’accordo stesso. Sempre in ottica di tutela della persona, inoltre, si prevede l’istituzione della banca ore etico-solidale, che permette, secondo quanto previsto dall’art. 24 D. Lgs. n. 151/2015, ai dipendenti di donare su base volontaria ore di ferie ai colleghi in situazioni di difficoltà.

 

Destano infine grande interesse due ulteriori previsioni. In primo luogo, l’intesa si occupa di promuovere e sostenere i percorsi formativi dei figli dei dipendenti, stabilendo particolari condizioni di favore per l’accesso ai servizi offerti da IFOA (tra cui spiccano corsi, colloqui, sostegno all’inserimento al lavoro e tirocini). In secondo luogo, le parti aziendali hanno istituito, per far fronte al diffuso aumento del livello di stress, ansia e disagio psicologico causato dalla sempre più difficile conciliazione vita-lavoro, un servizio di consulenza e orientamento psicologico, che consente a tutti i dipendenti interessati di poter fruire di un primo incontro di consulenza psicologica a titolo gratuito e di godere di tariffe agevolate per gli incontri successivi.

 

Valutazione d’insieme

 

L’analisi del contratto aziendale di IFOA permette di evidenziare due interessanti dimensioni che la contrattazione decentrata può fruttuosamente coltivare. Primariamente, come emerge anche dall’ampio spazio dedicato dallo stesso accordo al tema, è importante sottolineare gli importanti spazi di regolazione che legge e contrattazione nazionale delegano alla contrattazione di livello aziendale per quanto riguarda la disciplina dell’orario di lavoro, soprattutto nella sua dimensione organizzativa. Da questo punto di vista, come emerge dall’analisi svolta, l’accordo IFOA offre, anche in virtù delle peculiarità proprie dell’azienda, un interessante esempio di regolazione, in cui trovano una sintesi le diverse esigenze di autonomia del lavoratore nell’autodeterminazione dei profili temporali della prestazione lavorativa e di salvaguardia delle esigenze aziendali. In questo senso è da leggere, ad esempio, l’eliminazione delle timbrature in uscita, che sposta, nell’ottica di favorire la partecipazione del lavoratore, la misurazione della prestazione dal piano cronometrico a quello del raggiungimento dei risultati. Accanto alla centralità dell’orario, emerge la volontà delle parti di potenziare il welfare aziendale, prevedendo inediti strumenti volti a tutelare la persona che lavora in relazione anche a nuovi bisogni emergenti, come dimostra l’istituzione del servizio di consulenza e orientamento psicologico.

 

Francesco Alifano

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@FrancescoAlifan

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/192 – Il rinnovo del CCNL per i dipendenti degli studi e delle attività professionali

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/192 – Il rinnovo del CCNL per i dipendenti degli studi e delle attività professionali

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 4 marzo 2024, n. 9 

 

Contesto del rinnovo

 

Il 16 febbraio 2024, a seguito di una lunga trattativa Confprofessioni e Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs hanno sottoscritto l’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL per i dipendenti degli studi e delle attività professionali. Sulla negoziazione ha inciso il lungo periodo di vacanza contrattuale contraddistinto dalle conseguenze del contesto pandemico, dei diversi eventi bellici, della crisi energetica e dell’elevata inflazione. Avvenimenti che hanno avuto un’influenza sul tavolo della trattativa e hanno comportato la necessità di trovare un equilibrio tra le esigenze dei datori di lavoro liberi professionisti e dei lavoratori specialmente sotto il profilo del recupero inflattivo.

 

Nell’ambito dell’Ipotesi di rinnovo un ruolo centrale è attribuito al welfare che risulta ulteriormente rafforzato attraverso nuovi istituti e tramite il consolidamento di quelli già esistenti. Le regole del mercato del lavoro sono state invece rivisitate ed aggiornate per andare incontro alle moderne tendenze delle attività professionali.

 

Il CCNL per i dipendenti degli studi professionali è diventato d’altronde nel corso del tempo il punto di riferimento per l’intero settore professionale allargando la sua sfera di applicazione alle nuove professioni indipendentemente dalla presenza o meno di un albo od ordine di riferimento e contestualmente alle attività più strutturate come quelle svolte sotto forme aggregative societarie come le STP/STA o i grandi studi/ambulatori specialmente nell’ambito medico-sanitario. Questa mutazione si riflette anche nella denominazione del CCNL, ora “studi ed attività professionali”, che è volta ad estendere il perimetro di copertura in un mondo in costante mutamento quale quello del lavoro autonomo professionale.

 

Confprofessioni e le controparti sindacali proprio in considerazione dell’evoluzione costante delle professioni, del mercato del lavoro, della digitalizzazione, dell’intelligenza artificiale hanno deciso di costituire una specifica commissione paritetica sui profili professionali per monitorare le esigenze del settore in termini di obsolescenza e aggiornamento delle figure professionali e dei relativi profili formativi.

 

Parte normativa

 

L’Accordo interviene disciplinando diversi aspetti del mercato del lavoro, tra cui l’apprendistato di primo, secondo e terzo livello. Le Parti nel confermare questo strumento quale principale canale di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro hanno inteso dare una normazione specifica sia all’apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale, sia all’apprendistato professionalizzante.

 

Nuova linfa è stata data anche all’apprendistato di terzo livello, in particolare quello per il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche la cui durata coincide con il periodo richiesto per la pratica professionale. Per l’attuazione di questa tipologia di apprendistato, per la quale sono state definite regole puntuali, sarà necessario attivare protocolli tra datori di lavoro ed istituzioni competenti. Le Parti Sociali hanno così fornito ai praticanti le tutele bilaterali e di welfare previste dalla contrattazione collettiva.

 

All’interno dell’Ipotesi di rinnovo sono state regolamentate le causali che permettono le assunzioni o le proroghe del lavoro a tempo determinato oltre i 12 mesi acausali. Le Parti hanno individuato in particolare le ipotesi di incremento temporaneo (inteso come incremento dell’attività conseguente all’ottenimento da parte del datore di lavoro di incarichi professionali temporanei di durata superiore a 12 mesi o prorogati oltre i 12 mesi) e di nuova attività (intesa come l’avvio di nuova attività o l’aggregazione – si pensi alle Società tra professionisti, – o la fusione per i primi 36 mesi dall’avvio delle stesse).

 

È stato statuito inoltre che il limite massimo percentuale del 30% di utilizzo del contratto a termine non si applichi: a) nella fase di avvio di nuove attività per i primi 18 mesi elevabili a 24 mesi dalla contrattazione territoriale; b) per ragioni di carattere sostitutivo; c) con lavoratori di età superiore a 55 anni; d) assunzione di lavoratori sospesi con l’intervento della cassa integrazione guadagni straordinaria o di analoghi ammortizzatori sociali (Cigo oppure sospesi nell’ambito della disciplina sui fondi di solidarietà ex art. 26 e segg. D.lgs. n. 148/2015); e) assunzione di lavoratori percettori della Naspi; f) assunzione di lavoratrici che rientrano sul mercato del lavoro dopo un periodo di disoccupazione di almeno 12 mesi ininterrotti oppure con uno o più periodi lavorati fino a 8 mesi complessivi nei 24 mesi prima dell’assunzione a termine.

 

Permangono altri strumenti di flessibilità per favorire l’accesso di determinate categorie di lavoratori quali il contratto di reimpiego (per il reinserimento dei soggetti over 50 e degli inoccupati o disoccupati di lungo periodo) ed il lavoro a chiamata per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo, che oltre nelle ipotesi previste per legge, le Parti hanno stabilito possano essere effettuate in alcune circostanze quali: le dichiarazioni annuali nell’area professionale ed economica-amministrativa, l’implementazione dei processi di digitalizzazione, l’archiviazione di documenti per tutte le aree professionali.

È stata data una disciplina compiuta al lavoro agile all’interno del CCNL che trae origine dal Protocollo sottoscritto il 7 dicembre 2021 in sede ministeriale assieme alle altre rappresentanze sindacali e datoriali.

Le Parti, hanno altresì definito, all’art. 16 bis un apposito permesso per la prevenzione pari ad una giornata lavorativa per anno di vigenza contrattuale da fruire nell’anno di maturazione per effettuare le attività di prevenzione previste dal piano sanitario della Cadiprof (Cassa di assistenza sanitaria per i lavoratori degli studi professionali).

 

L’intesa oltre ad aggiornare le disposizioni in materia di congedi parentali e maternità alle più recenti novità introdotte dal legislatore prevede, per gli eventi che si verificheranno a partire dal 1° gennaio 2025, l’integrazione dell’indennità di maternità da parte del lavoro sino a raggiungere il 90% della retribuzione mensile lorda.

 

Parte economica

 

Le Parti hanno previsto una durata triennale del CCNL con un aumento retributivo al III livello che ammonta a 215 euro suddivisi in quattro tranche (105 al 1° marzo 2024, 45 al 1° ottobre 2024, 45 al 1° ottobre 2025, 20 euro al 1° dicembre 2026).

È stato inoltre stabilito un importo una tantum a copertura del periodo intercorso tra la scadenza del CCNL avvenuta il 31 marzo 2018 e la data di sottoscrizione del rinnovo (16 febbraio 2024). La somma dell’una tantum è pari a 400 euro per ogni livello di inquadramento e spetta ai lavoratori in forza alla data di sottoscrizione del CCNL. Detti importi, che verranno riconosciuti in due tranche annuali, potranno essere erogati attraverso gli strumenti di welfare previsti dalla normativa vigente.

 

L’Accordo dispone un potenziamento dei diversi strumenti di welfare bilaterale di derivazione contrattuale. Nello specifico è stato previsto un aumento della contribuzione alla bilateralità di settore pari a 2 euro da destinare ad Ebipro e 5 euro per Cadiprof finalizzato all’estensione delle coperture sanitarie anche ai familiari dei lavoratori iscritti (art. 13 bis dell’ipotesi di rinnovo del CCNL).

 

Permane il welfare integrativo per i liberi professionisti in capo ad apposita gestione all’interno dell’ente bilaterale Ebipro che si attiva in modo automatico qualora si abbiano dei dipendenti, novità che era stata uno dei tratti caratterizzanti del precedente rinnovo e che trova ora un consolidamento.

 

Relazioni sindacali

 

Le Parti Firmatarie hanno deciso di porre una particolare attenzione alle relazioni sindacali di livello decentrato stabilendo che possano essere definite intese temporaneamente modificative degli istituti del CCNL riguardanti modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, orario, organizzazione del lavoro con l’obiettivo di favorire l’incremento della qualità e produttività del lavoro di consentire la gestione di crisi settoriali, nonché l’emersione, la stabilizzazione e l’incremento dell’occupazione. È stata definita inoltre una delega alla contrattazione di secondo livello regionale per la definizione di accordi connessi alle attività stagionali.

L’Ipotesi di Accordo prevede una specifica regolamentazione della bilateralità sul territorio con l’introduzione degli “sportelli territoriali”, sede regionale cui le Parti Sociali possono affidare alcune funzioni quali: promozione delle attività di sostegno al reddito dell’Ente Bilaterale Nazionale; salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e supporto per la definizione di RLST e OPT; promozione e supporto alle prestazioni e ai servizi della bilateralità nazionale; promozione di percorsi mirati con Fondoprofessioni ed EBIPRO in materia di formazione, qualificazione, riqualificazione professionale, apprendistato e tirocini formativi e di orientamento.

 

Valutazione d’insieme

 

Nonostante le numerose difficoltà derivanti dal contesto post-pandemico, dalla crisi energetica, dall’acuirsi dei conflitti bellici, nonché da un’elevata inflazione l’Accordo sul CCNL per i dipendenti degli studi professionali e delle attività professionali, rappresenta un importante passo per le relazioni sindacali del settore e di tutto il terziario all’insegna del potenziamento del welfare e della bilateralità.

 

Andrea Zoppo

Area Lavoro Confprofessioni

@AndreaZoppo

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/168 – Il fattore “professionalità” nella retribuzione negoziale: spunti dalla contrattazione collettiva aziendale

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 17 luglio 2023, n. 27

 

La questione salariale è al centro del dibattito politico sindacale da tempo, tanto più nell’ultimo anno, per via delle dinamiche inflazionistiche e della proposta di legge di istituzione di un salario minimo legale (vedi, da ultimo, M. Tiraboschi, Alcune precisazioni tecniche sulla proposta di legge per un salario minimo legale di 9 euro lordi, in questo numero).

In questa sede non interessa approfondire i profili di complessità della proposta di legge, né entrare nel discorso, comprensibilmente più “mediatico”, della adeguatezza degli importi proposti o dell’impatto di un salario minimo legale nel sistema delle relazioni industriali italiane. Piuttosto, si vuole portare alla luce una tendenza della contrattazione collettiva che, più in sordina, va diffondendosi nei diversi territori e comparti e che, almeno in parte, interviene sui sistemi retributivi, ripensandoli in termini moderni e più attenti alla qualità del lavoro e alla produttività, la leva principale per la tutela dei salari.

 

L’obiettivo di questo breve contributo è quello di dar conto di alcune casistiche aziendali particolarmente significative.

 

Un primo esempio, è il recente protocollo per il rinnovo del contratto collettivo aziendale di Balenciaga Logistica, sottoscritto il 22 maggio 2023 dalle rappresentanze sindacali unitarie e dai rappresentanti territoriali di Filctem-CGIL, Femca-CISL, Uiltec-UIL. Tra le altre cose, l’intesa è intervenuta sul «sistema di valutazione e classificazione» riformando i livelli retributivi secondo un nuovo sistema di misurazione e retribuzione della performance. Già il previgente accordo prevedeva la possibilità che un incremento automatico dei salari dell’1,75% potesse essere ulteriormente accresciuto, fino al 3%, sulla base della valutazione annuale delle performance individuali. Il nuovo sistema mantiene i meccanismi premiali, dopo gli esiti della prima sperimentazione, e ridisegna i criteri di valutazione nonché il sistema di classificazione e inquadramento del personale aziendale. Ciascun lavoratore è valutato, al termine dell’anno, sulla base di cinque competenze:

 

Ciascuno di questi comportamenti può essere valutato secondo cinque livelli: (A) Eccellente; (B) buono; (C) In linea; (D) Da migliorare. Nel primo caso il dipendente avrà un incremento retributivo dell’1,25%, nel secondo dello 0,95% e nel terzo dello 0,65%. Rispetto al sistema previgente, è stata eliminata la valutazione “molto buono” che aveva dato adito ad alcune incertezze applicative in termini di accertamento rispetto alla contigua valutazione “eccellente” e sostituito il giudizio “inadeguato” con quello “da migliorare”.

 

Inoltre è costruito un nuovo sistema (autonomo rispetto al livello nazionale) di classificazione del personale per cui lavoratori sono distribuiti in “Job Families”, «che corrispondono ai differenti campi di expertise» (Product development; Industrial operations; ecc.), e in “Band” che, invece, definiscono i diversi livelli di responsabilità dei ruoli professionali (know how, skills, problem solving, autonomia decisionale). L’appartenenza a un “Band” corrisponde a un livello retributivo e, in quanto determinata da competenze e funzioni trasversali (p.e. polifunzionalità, grado di autonomia, ecc.), può accomunare anche professioni di natura molto diversa (p.e. un tecnico di calzature esperto e un financial controller possono appartenere allo stesso “band”).

 

Sempre nel settore tessile-moda, è più risalente il caso Gucci che, già nel 2017 (vedi A. Carbone, Inquadramento, formazione e welfare: il modello Gucci, Bollettino ADAPT 2 ottobre 2017, n. 32), ha introdotto un sistema retributivo che, a partire da una riforma del mansionario e della classificazione del personale aziendale, tenesse conto dei comportamenti concretamente agiti dai lavoratori. Il più recente accordo del 7 luglio 2022, sottoscritto da organizzazioni sindacali nazionali di Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs, ha confermato un simile modello, prevedendo che al termine di ogni anno ciascun dipendente dell’azienda incontri il proprio responsabile e riceva una valutazione basata su quattro dimensioni: (i) know how (tecnico e manageriale); (ii) problem solving (capacità nelle relazioni interpersonali); (iii) interazione (contesto del pensiero e complessità nella ricerca delle soluzioni); (iv) accountability (discrezionalità, dimensione influenzata e influenza).

 

Un ulteriore caso, questa volta concernente l’industria alimentare, è quello dell’accordo siglato dall’azienda produttrice di succhi di frutta lucana JONICA JUICE, dalle RSA e dalla FAI-CISL Basilicata, relativo alla fissazione di criteri per la corresponsione del premio di risultato.

La valutazione della performance individuale dei dipendenti avviene attraverso la compilazione di una scheda individuale da parte del Direttore di stabilimento (Valutatore), ripartita in due sezioni denominate “Caratteristiche individuali” e “Caratteristiche di reparto”. Il valutatore dovrà assegnare al lavoratore un punteggio per ogni specifico indicatore inserito nella scheda, da 2 (non valutabile) a 10 (ottimo): il punteggio massimo raggiungibile è di 100, ripartito attribuendo il 40% alla sezione riguardante le caratteristiche individuali e il 60% alla sezione delle caratteristiche di reparto.

La somma dei punti totali causerà l’inserimento del lavoratore in una delle sei fasce di produttività previste dall’accordo – a cui corrisponderà un diverso importo del premio: nello specifico, la premialità scatta unicamente nel caso di punteggio superiore a 50. Al dipendente che raggiunge il punteggio più alto all’interno del Reparto viene attribuita un’ulteriore premialità extra pari al 10% dell’importo del premio individuale maturato.

 

Esistono due differenti modelli di scheda individuale, uno per i responsabili di reparto, e uno per gli addetti al ciclo di produzione, i cui indici variano leggermente.

 

Tale sistema di valutazione delle performance non rappresenta un’assoluta novità all’interno del settore dell’industria alimentare: esso, infatti, appare simile alla “pagella” sulla base della quale i dipendenti dell’azienda cioccolatiera ICAM ricevono, dal 2021, parte della retribuzione di professionalità (vedi L. Roesel, Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/22 – Il nuovo mansionario in ICAM, Bollettino ADAPT 29 marzo 2021 n. 12 a secondo delle valutazioni ricevute dal capo reparto delle proprie competenze “produttive”, “manutentive”, “tecnologiche” e “qualitative”, nonché dell’ “approccio professionale al lavoro” (che si riferisce «all’atteggiamento, alla disponibilità e predisposizione di ogni persona intesa come approccio e visione del lavoro»).

 

A questi accordi aziendali altri potrebbero aggiungersi (si veda a tal proposito l’approfondimento tematico «Salari e professionalità nella contrattazione collettiva», contenuto nel II Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia di ADAPT, spec. pp. 303-325), a tacere di quanto previsto nei sistemi di classificazione e inquadramento dei contratti collettivi nazionali più innovativi, come quelli della metalmeccanica o del settore chimico-industriale, nei quali i livelli retributivi sono sempre più ancorati alle competenze e alle professionalità agite piuttosto che a compiti e mansioni standardizzati.

 

Si tratta di prime sperimentazioni, ancora da affinare, ma che dicono di una transizione in atto, almeno per certi livelli professionali, dal mercato del tempo di lavoro al mercato delle competenze e delle professionalità. Vi sono dei rischi, come quelli di una individualizzazione dei percorsi di carriera, soprattutto nei casi in cui nei sistemi di valutazione non è previsto il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali (nei casi Gucci e Icam è prevista l’attivazione di commissioni paritetiche di supervisione per esempio). Oppure quelli più strettamente giuridici, di difficoltà a identificare la prestazione lavorativa dedotta in contratto, che può sembrare indeterminata o indeterminabile quando riferita ad “atteggiamenti” e a “competenze” non puntualmente definite. Ciò nonostante, è una transizione che non va scoraggiata, rappresentando un potenziale viatico per migliorare la produttività del lavoro nonché, se adeguatamente realizzata, la stessa esperienza delle persone che lavorano.

 

Giorgio Impellizzieri

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@giorgioimpe

 

Diletta Porcheddu

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@DPorcheddu