Bollettino ADAPT 11 luglio 2022, n. 27
A gennaio 2022 la struttura per le crisi d’impresa del Ministero dello sviluppo economico informava la stampa che l’anno si apriva con 69 tavoli di crisi ed un totale di circa 80mila lavoratori coinvolti. Secondo i numeri che circolano in Via Veneto negli ultimi 10 anni, solo nei tavoli di confronto aperti al MiSE negli ultimi dieci anni sono state coinvolte oltre 500 medio-grandi aziende (il 20% circa delle quali interessate da procedure di amministrazione straordinaria, dati riportati da Giampiero Castano in Relazioni industriali e contrattazione collettiva nella gestione delle crisi aziendali, in Working Paper ADAPT n. 2/2022).
Si tratta di un dato meramente indicativo del numero e della tipologia delle crisi aziendali o dei processi di riorganizzazione aziendale che si sono svolti nel nostro Paese negli anni più recenti.
Sul sito ufficiale del Mise si possano consultare i verbali relativi alle singole sedute, ma ad oggi non sono reperibili dati rielaborati in merito alla natura delle crisi, al numero di lavoratori coinvolti e alla soluzione individuata (o meno).
Non tutte le casistiche di crisi giungono inoltre ai vertici nazionali di confronto con le Istituzioni. Molte si svolgono a livello regionale e altre si risolvono per un verso o per l’altro senza nemmeno sperimentare il coinvolgimento delle istituzioni oltre il livello comunale.
Una premessa fondamentale per inquadrare il fenomeno delle crisi aziendali e dei processi di riorganizzazione riguarda dunque un’estrema eterogeneità nella loro. Il 10 giugno scorso i dottorandi della Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro ADAPT ed Università degli Studi di Siena e i partecipanti al corso di specializzazione ADAPT in Diritto delle Relazioni Industriali hanno avuto l’opportunità di su questo argomento attraverso il seminario dal titolo “Teoria e pratica delle crisi aziendali. Profili giuridici, previdenziali e sindacali”. In merito alla varietà di tipologie di processi di crisi/riorganizzazione, è intervenuto in particolare il Dottor Giampietro Castano, responsabile dell’area Gestione crisi d’Impresa presso il Ministero dello Sviluppo Economico da novembre 2007 a gennaio 2019, durante svoltosi a Bergamo il 10 giugno 2022, una prima distinzione si può operare fra le crisi determinate da necessità di ristrutturazioni ma che non mettono in discussione la continuità dell’impresa e quelle nelle quali le aziende risultano insolventi, non in grado pertanto di assolvere agli obblighi economici e patrimoniali. (sul punto, cfr. G. Castano, Relazioni industriali e contrattazione collettiva nella gestione delle crisi aziendali, in Working Paper ADAPT n. 2 2022).
Nei casi di crisi per necessità di ristrutturazione o riorganizzazione le procedure giuridiche a cui generalmente si ricorre sono quelle per richiedere la cassa integrazione straordinaria (L. 148/2015), quale sostegno al reddito per i lavoratori delle aziende che devono affrontare una crisi temporanea.
Ove poi si verificasse l’impossibilità a continuare l’attività dell’impresa si fa riferimento al codice delle crisi d’impresa (Dlgs. 14/2019), che prevede strumenti giuridici quali il Concordato preventivo (art.84), la Liquidazione giudiziale (art.121), il Concordato nella liquidazione giudiziale (art.240), la Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa (Recentemente introdotta da D.l. 118/2021). Ci si può poi avvalere delle procedure relative ai licenziamenti collettivi (L.223/1991) o al trasferimento d’azienda (L. 428/1990).
La diversa natura delle crisi implica il coinvolgimento di stakeholder differenti, in grado di influenzare le sorti della vicenda. Ove non si tratti di casistiche di riorganizzazione, infatti, ciò che risulta centrale è un solido sistema di relazioni industriali, sono chiamati a trattare e sono i soggetti direttamente interessati i rappresentanti dell’azienda, quelli delle segreterie sindacali ai vari livelli (nazionale, regionale e di territorio) i rappresentanti dei lavoratori (RSU o RSA) e le Istituzioni (nazionali o regionali).
Ove, invece, si consideri un caso di insolvenza la platea degli stakeholder si allarga notevolmente, si tratta di vicende regolate da procedimenti giuridici che coinvolgono giudici, organi delle procedure, istituzioni governative. Inoltre l’insolvenza genera spesso la necessità di ricorrere ad investitori o a procedure di trasferimento d’azienda e, dunque, a nuovi imprenditori. Infine, vi sono procedimenti giuridici i quali comportano la presenza di creditori, dal cui voto può dipendere la continuità aziendale (ad esempio nel caso del concordato).
In un contesto caratterizzato da una tale pluralità di attori si innescano naturalmente dei processi comunicativi, interni ed esterni, attraverso i quali le parti esercitano pressione le une sulle altre. Il tutto in un ambiente della comunicazione pubblica nel quale, nel corso dell’ultimo decennio, le notizie relativa ai casi di crisi e riorganizzazioni aziendali hanno trovato sempre maggiore eco.
Protagonisti indiscussi di questi processi sono senza dubbio i sindacati, ossia le organizzazioni maggiormente interessate ad utilizzare la leva del potere comunicativo e mediatico per controbilanciare il potere decisionale del management; il quale agisce invece spesso ricercando la minore esposizione pubblica possibile.
Per quanto concerne i profili della comunicazione pubblica le organizzazioni sindacali hanno a disposizione numerosi strumenti e canali attraverso cui esprimersi ed esercitare pressione nei confronti dell’azienda e delle istituzioni: comunicati stampa, iniziative pubbliche (cortei, picchetti, presidi), post sui canali social.
La comunicazione è poi interna, nei confronti dei propri iscritti al fine di creare un interesse condiviso da portare avanti nei confronti dell’azienda.
Il libero confronto tra le parti è altresì giuridicamente codificato sia da una normativa che lo regola quale momento fisiologico fra le aziende e le Organizzazioni sindacali (L.25/2097) sia da un apparato di norme riguardante le procedure di informazione e consultazione obbligatorie in momenti di “crisi” patologica (Si pensi alla procedura di mobilità ex 223/1991 Art. 4, alla Cassa Integrazione Straordinaria ex L. 148/2015 Art. 24, al Trasferimento d’azienda ex L. 428/1990 Art. 47 ed infine alla composizione negoziata della crisi d’impresa D.l. 118/2021 Art. 4 comma 8).
Le tecniche comunicative messe in campo attraverso la comunicazione pubblica ed interna, in particolare da parte dei sindacati, si intrecciano dunque con i procedimenti giuridici previsti dal nostro ordinamento per la risoluzione delle crisi favorendo o ostacolando la possibilità di giungere ad intese.
Le Organizzazioni Sindacali possono dunque ricorrere a strategie comunicative con lo scopo di influenzare l’esito delle questioni vertenziali e, in alcuni casi, di indurre la controparte ad assumere decisioni differenti da quelle di partenza. In questo senso l’esposizione mediatica risulta sicuramente una delle tecniche più efficaci, ma si consideri altresì l’attenzione che si può ottenere da parte delle Istituzioni. Tale pressione sui diversi soggetti coinvolti, in particolare azienda ed istituzioni, si esercita tramite l’organizzazione di iniziative che vengono poi raccontate a mezzo stampa o più recentemente sui social media, fra queste si annoverano i presidi, i cortei, i picchetti e lo sciopero.
Come ha mostrato un’analisi già pubblicata sul VII Rapporto ADAPT sulla Contrattazione collettiva in Italia svolta su un campione di 338 casi di crisi aziendali consumatesi nell’ultimo decennio, non è possibile individuare una relazione biunivoca tra l’esposizione mediatica delle vertenze e il livello di centralità della sede all’interno del quale si svolge il relativo tavolo di confronto. Sono in altre parole frequenti, benché minoritari, casi di crisi e riorganizzazioni aziendali che sono state gestite al MiSE, ma che non hanno goduto di un’eco mediatica particolarmente ampia (si veda F. Nespoli Tra conflitto e contrattazione: dieci anni di crisi aziendali in VII Rapporto sulla Contrattazione Collettiva p. 4 e ss.). Come ha osservato lo stesso dott. Castano, non è difficile menzionare casi in cui non si è registrata una proporzionalità tra il numero di lavoratori coinvolti dalla vertenza e l’esposizione mediatica della vicenda. Ciò a dimostrazione di come sulla comunicazione pubblica di queste vicende influiscano processi di simbolizzazione e strumentalizzazione politica che seguono dinamiche ancora da esplorare.
In questo senso la direttiva relativa alla gestione della crisi d’impresa siglata dal ministro Giorgetti nell’ottobre 2021 stabilisce i parametri attraverso i quali si valuta se le crisi vertenziali possano approdare sui tavoli del ministero. Le questioni considerate di interesse nazionale sono quelle che riguardano imprese che hanno più di 250 dipendenti assunti in Italia, sono localizzate in una regione italiana in cui la crisi dell’impresa può comportare effetti significativi su livelli occupazionali o sistema produttivo, svolgono un’attività di particolare rilevanza in termini di indotto per il sistema economico- produttivo e infine imprese titolari di marchi storici di interesse nazionale iscritti nell’apposito registro (reperibile qui). Sarà dunque interessante poter effettuare un confronto tra i processi comunicativi innescati nell’ambito della gestione delle crisi pre e post approvazione di questa direttiva.
Non meno interesse destano le conseguenze giuridiche che l’interlocuzione tra le parti produce quando si addiviene ad una soluzione negoziale: accordi siglati dalle parti, attraverso i quali si giunge alla risoluzione della vertenza. Talvolta questi ultimi sono il frutto dei procedimenti di informazione e consultazione giuridicamente normati menzionati pocanzi, in altri casi si tratta dell’esito della negoziazione avvenuta sui tavoli istituzionali regionali, al Mise o presso le aziende. Gli effetti derivanti dalla stipula di accordi non sono solo giuridici, gli impegni assunti dalle parti hanno infatti anche un valore di tipo reputazionale e contribuiscono alla creazione di narrative con le quali si interpreteranno le vicende successive alla crisi.
Il contenuto di tali accordi copre un ventaglio molto ampio di soluzioni, andando dall’attivazione della cassa integrazione, con l’obiettivo di contenere gli esuberi, all’utilizzo di politiche attive e di ricollocamento, creando ad esempio reti di territorio con altre aziende (vedi Lombardo F. Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/2 – Accordo Laika: verso relazioni industriali di territorio? In Bollettino ADAPT 18 gennaio 2021, n. 2) sino alla condivisione di un vero e proprio piano industriale.
Recentemente il legislatore ha tentato di riformare l’accesso alla CIG con la legge n. 234/2021 [commi 191-223] che ha modificato in più punti la normativa in materia di CIGS e di Fondi Bilaterali di sostegno al reddito. Sul punto durante il già citati seminario si è soffermato il prof. Domenico Garofalo, già professore ordinario di Diritto del Lavoro presso l’università di Bari, il quale ha sottolineato che l’essenza della riforma del 2021 (entrata in vigore il 1° gennaio 2022) potrebbe essere identificata nella volontà di acceleratore il processo di collegamento tra politiche passive e politiche attive. Un processo da lungo tempo auspicato ma ancora lontano dal realizzarsi (per un approfondimento sistematico sul panorama degli strumenti di tutela dei lavoratori coinvolti nelle crisi aziendali e nei processi di riorganizzazione, si veda il WP a firma dello stesso prof. Garofalo, dal titolo Gli strumenti di gestione della crisi di impresa. Un quadro d’insieme. pubblicato nel Bollettino ADAPT n. 27/2022). Per questo motivo si tratta di una sfera di pertinenza, quella delle politiche attive, alla quale la comunicazione pubblica del sindacato dovrà prepararsi a dare la giusta risonanza.
Ad ogni modo, con riferimento al contenuto degli accordi siglati nei contesti di gestione di crisi aziendali e ristrutturazioni, le questioni aperte, ad avviso di chi scrive, sono innanzitutto relative alla portata giuridica di tali accordi. Ossia sono relative agli obblighi o impegni assunti dalle parti e delle conseguenze derivanti dal mancato rispetto di questi ultimi. La comunicazione si rivela in questo senso un’arma a doppio taglio: è capace di influenzare i processi di produzione degli accordi attraverso la leva reputazionale, ma al contempo può trattarsi di accordi che non vincolano giuridicamente i comportamenti delle parti, soprattutto a distanza di tempo e comunque garantendo l’effettività delle tutele dal punto di vista del diritto. Col rischio che accordi declamati oggi possano tramutarsi in vittorie di Pirro domani.
Infine si segnala un ultimo spunto di riflessione. Come sostenuto sia dal Professor Domenico Garofalo sia dal Dottor Castano, durante il già citato seminario del 10 giugno, esiste una responsabilità politica nella costruzione di norme relative al confronto. Vi sono talune casistiche in cui la procedimentalizzazione del confronto risulta insufficiente. Si consideri ad esempio la “misura anti-delocalizzazione” (art. 1, commi 224-236, l. n. 234/2021) Indubbiamente un buon primo risultato è costituito dalle sanzioni previste in caso di mancata presentazione alle organizzazioni sindacali di un piano per limitare le ricadute occupazionali ed economiche derivanti dalla chiusura, ci si domanda tuttavia se non sarà necessario nel caso specifico restringere ulteriormente la libertà di impresa.
Il confronto dunque fra parti sociali ed istituzioni che mira ad influire sulla gestione delle crisi si estende anche ad aspetti di sistema, influenzati dal lobbying politico istituzionale. La comunicazione pubblica nella gestione dei processi di crisi e riorganizzazioni aziendali si configura così come un’attività a 360 gradi per il sindacato, un’attività in espansione, da curare e sviluppare attraverso la formazione di professionalità specifiche. Una sfida dunque non solo comunicativa, ma anche organizzativa.
Serena Bergamaschi
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena
@SerenaBergamas1