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Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/263 – Il nuovo accordo aziendale Autogrill: tra revisione del premio di risultato e miglioramento dell’organizzazione vita-lavoro

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/263 – Il nuovo accordo aziendale Autogrill: tra revisione del premio di risultato e miglioramento dell’organizzazione vita-lavoro

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 24 marzo 2025, n. 12

 

Parti firmatarie e contesto

 

Il 17 febbraio 2025 è stato firmato l’accordo integrativo di Autogrill Italia da parte delle rappresentanze aziendali e le segreterie nazionali di Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil.

 

Il contratto, la cui ipotesi di accordo era stata firmata a dicembre, è entrato in vigore con decorrenza a partire dal 1° gennaio 2025 e avrà validità fino al 31 dicembre 2027.

 

La contrattazione dell’accordo aziendale è stata compiuta direttamente dalle segreterie nazionali delle organizzazioni sindacali di categoria che firmano il CCNL Pubblici esercizi (Fipe) – applicato dall’azienda – considerata l’ampia forza lavoro dell’azienda e la presenza della stessa su tutto il territorio nazionale. L’azienda, che è presente con circa 350 punti vendita in autostrade, aeroporti, stazioni, centri commerciali e centri cittadini, impiega infatti più di 8.000 persone – in prevalenza donne (66%) – e tocca picchi di 10.000 impiegati nei periodi estivi.

 

I contenuti dell’accordo

 

I contenuti dell’accordo sono molti e riguardano diverse tematiche. Una delle principali novità è rappresentata dalla rimodulazione del premio di risultato. Come ci ha spigato Alessandro Premoli, HR director di Autogrill, le nuove modalità di calcolo – a differenza delle precedenti che valorizzavano esclusivamente l’andamento dei singoli punti vendita – valorizzano tanto l’andamento generale dell’azienda, quanto quella del singolo punto vendita. Il premio, infatti, viene costituito da una c.d. “Quota base”, erogabile a ciascuna persona lavoratrice sulla base del risultato economico aziendale e un’ulteriore c.d. “Quota aggiuntiva” che premia i lavoratori e le lavorartici dei punti vendita maggiormente performanti. La quota base ha un valore crescente durante i tre anni di vigenza del contratto, fino ad arrivare a 200 euro nel 2027 e il massimale individuale annuale, comprensivo anche della quota aggiuntiva, può arrivare a 1.400 euro lordi l’anno. La conversione in welfare del premio, prevista nel contratto, permette poi di beneficiare di un credito welfare aggiuntivo del 10% in caso di conversione della quota base e del 15% nel caso di conversione della quota aggiuntiva.

 

Ulteriori novità che incidono sul reddito riguardano la revisione delle maggiorazioni per il lavoro festivo (nelle quali rientrano le dodici giornate di festività nazionali) che vengono calcolate non più in percentuale fissa ma in percentuale crescente con l’aumentare dei giorni festivi lavorati. Con il nuovo contratto, le maggiorazioni sono le seguenti: 21% per le prime tre giornate di festività lavorate; il 22% dalla quarta alla quinta giornata di festività lavorata; il 26% dalla sesta alla settima e il 30% dalla ottava alla dodicesima.

 

Per quanto concerne la malattia, il contratto conferma l’integrazione del 100% per i primi tre giorni, come disposto dal CCNL, anche nel caso in cui la malattia sia inferiore a cinque giorni in totale, e prevede un’ulteriore integrazione di 2,50 euro per ogni settimana non coperta da contribuzione nel caso di malattia che superi i trenta giorni.

 

Importanti accorgimenti sono stati presi anche relativamente all’organizzazione del lavoro e alla conciliazione vita-lavoro. In primo luogo, è stato previsto un favor per la turnazione su cinque giorni a settimana, con un riposo di almeno 48h consecutive in caso di due turni notturni consecutivi; inoltre è stato previsto che la programmazione dei turni debba regolarmente avvenire con tre settimane di anticipo.

 

Inoltre, anche la disciplina del part time viene rivista per garantire una migliore conciliazione delle esigenze personali, in particolar modo con l’introduzione di nuove motivazioni per la sospensione delle clausole flessibili (ad esempio per i lavoratori studenti, in caso di motivi di salute personali o di famigliari, in caso di esigenze di cura verso i figli e coì via).

 

In tema di orario di lavoro, infine, viene introdotta una pausa retribuita di venti minuti per il personale impiegato per più di sei ore al giorno, a cui si aggiungono dieci minuti di “tempo tuta”. Vengono aumentati i permessi a sostegno della vita familiare (riconosciuti ad esempio per l’inserimento all’asilo nido, la malattia dei figli e per l’assistenza a familiari gravemente infermi), e dello studio e viene ampliato l’utilizzo dei ROL e della banca ore solidale per singoli punti vendita, prevedendo una maggiorazione del 15% rispetto alle ore “donate”.

 

Ulteriori previsioni riguardano l’estensione delle ragioni che giustificano l’anticipo del TFR rispetto a quelle previste dalla legge, la conferma dei buoni carburante e la disciplina della trasferta e dei trasferimenti. Completano questo contratto le disposizioni relative ai diritti di informazione e diritti sindacali, l’istituzione di una commissione “security”, volta a monitorare eventuali fenomeni di piccola delinquenza e criminalità all’interno dei locali di Autogrill, una commissione “safety” dedicata alla salute e sicurezza sul lavoro, e una volta a promuovere le pari opportunità e contrastare le violenze e molestie sui luoghi di lavoro.

Valutazione d’insieme

 

Come riferito da Alessandro Premoli, questo contratto integrativo si inserisce nella storia ultra-quarantennale di contrattazione in Autogrill. Già nel 2015 il contratto integrativo portò a una ridefinizione degli assetti contrattuali che vengono rinforzati con l’accordo qui in commento. Al termine della fase di pandemia da COVID-19 e il rinnovo nel 2024 del CCNL applicato in azienda, l’esigenza delle parti sociali era quello di dare ulteriore impulso alle relazioni sindacali aziendali e migliorare la qualità complessiva delle condizioni di lavoro attraverso un nuovo contratto aziendale.

 

In conclusione, le parti sociali sono riuscite a rispondere alle peculiarità aziendali – dall’apertura 24h su 24 dei punti vendita all’impiego in prevalenza di personale a tempo parziale (circa il 60% dei lavoratori sono part timer) – in modo da garantire un trattamento economico più equo fra punti vendita e garantire maggiore flessibilità per il lavoratore e la lavoratrice che abbiano esigenze legate alla famiglia, allo studio o alla salute.

 

Federica Chirico

Apprendista di ricerca ADAPT

@fedechirico

Rischi psicosociali e benessere dei dipendenti: i risultati di un progetto sulla salute mentale nel settore metalmeccanico in Italia

Rischi psicosociali e benessere dei dipendenti: i risultati di un progetto sulla salute mentale nel settore metalmeccanico in Italia

Bollettino ADAPT 17 marzo 2025, n. 11

 

Nell’ambito di un progetto co-finanziato dall’Unione Europea, “IncreMe(n)tal – Increasing Metalworkers’ representatives’ Awareness and Skills on Mental Health Protection & Promotion in the Workplace” un gruppo di ricercatrici di Fondazione ADAPT e ADAPT sta indagando il tema della salute mentale dei lavoratori e delle lavoratrici nel settore metalmeccanico in Italia, insieme a un gruppo di esperti a cui è affidato l’approfondimento dello stesso tema in altri 6 paesi target (Belgio, Irlanda, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Turchia).

 

Il progetto, coordinato dalla FIM-CISL, vede la partecipazione di diversi enti di ricerca, università e parti sociali e mira a fornire una formazione di qualità ai sindacalisti e ai rappresentanti dei lavoratori nell’industria metalmeccanica nei 7 paesi target e a livello transnazionale.

 

È già disponibile online un primo report che sintetizza i risultati delle attività di ricerca documentaria e sul campo condotte nel primo anno di progetto, con un focus proprio sul contesto italiano (Deliverable 2.1. “National Highlight – Italia”). In particolare, il report dà conto sia del contesto normativo e teorico di riferimento in materia di rischi psicosociali, organizzazione del lavoro e salute mentale dei dipendenti, sia di quanto emerso dalla somministrazione di un questionario a 35 lavoratori e lavoratrici e la conduzione di interviste a 5 rispondenti (due rappresentanti dei lavoratori a livello aziendale, uno a livello nazionale e due rappresentanti aziendali del dipartimento risorse umane) impiegati nel settore metalmeccanico. La ricerca sul campo, strutturata coerentemente al quadro di riferimento delineato a livello europeo dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) e dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound) in materia di rischi psicosociali, ha consentito di verificare i risultati della ricerca desk effettuata.

 

Prima di dare conto di alcuni risultati, occorre anzitutto chiarire quali sono i fattori associati al lavoro che possono generare un peggioramento del benessere dei dipendenti. Riprendendo il framework teorico definito a livello europeo all’Eurofound, i fattori che hanno un effetto negativo sulla salute mentale e fisica dei dipendenti sono legati a quegli aspetti del lavoro che richiedono uno sforzo della persona che comporta con un costo fisico, psicologico e sociale (c.d.“Job stressors[1]).

 

Attraverso il questionario, è stato chiesto ai rispondenti qual è il livello di importanza associato ai diversi job stressors che hanno potenzialmente un effetto negativo sulla salute mentale e sul benessere dei dipendenti.

Secondo circa un terzo dei rispondenti al questionario, tutti i fattori di rischio correlati al lavoro inclusi nell’indagine sono almeno moderatamente importanti nelle loro aziende/nel settore metalmeccanico.

Per oltre il 40% degli intervistati alcuni fattori di rischio sono molto importanti, come la scarsa comunicazione all’interno dell’azienda e la percezione di azioni discriminatorie alla luce di determinate caratteristiche personali che portano all’adozione di comportamenti sfavorevoli. Secondo quasi la metà degli intervistati (46%), le preoccupazioni finanziarie e l’interferenza tra lavoro e vita privata sono fattori di rischio psicosociale particolarmente importanti. Secondo l’85% degli intervistati, avere difficoltà a trattare certi argomenti con un i propri superiori e colleghi rappresenta un fattore importante che incide negativamente sul benessere dei lavoratori, così come incidono negativamente – secondo circa l’80% dei rispondenti – molestie, violenze, abusi, in generale, la presenza di atteggiamenti e azioni discriminatorie.

 

Il 35% dei rispondenti ha valutato il benessere mentale generale nella propria organizzazione come scarso, il 31% come buono e il 23% come accettabile.  Quasi la metà dei rispondenti al questionario, inoltre, ritiene che l’ambiente di lavoro abbia un’influenza piuttosto forte sul benessere e sulla salute mentale (46%).

 

Per quanto riguarda le azioni per la prevenzione e la gestione dei rischi psicosociali, è stato chiesto ai partecipanti quali sono le iniziative concretamente intraprese nelle aziende o più in generale nel settore di appartenenza.

 

I risultati mostrano che i rischi psicosociali sono oggetto di specifiche politiche nel 42% dei casi. Tuttavia, una percentuale pressoché analoga (38%) si registra in direzione opposta. Le azioni più frequentemente affrontate nelle policy aziendali sono quelle contro i comportamenti sociali avversi (62%), le discriminazioni (42%). Gli effetti negativi generati da un’organizzazione del lavoro inefficiente, ad esempio carichi di lavoro eccessivi, orari di lavoro non socievoli e interferenze negative tra lavoro e vita personale/familiare, sono raramente presi in considerazione.

 

La presenza di fattori di stress lavoro-correlati nel contesto organizzativo può essere rintracciata attraverso la rilevazione di alcuni sintomi e/o segnali. Da questo punto di vista, l’indagine ha individuato tra i più comuni: stress (19%), burnout (14%), ansia e presentismo (13%) ed esaurimento (12%). Secondo il 65% dei partecipanti, questi sintomi sono sperimentati in particolare dai lavoratori appartenenti a gruppi di lavoratori più vulnerabili, in particolare coloro con condizioni contrattuali precarie (75%) e le donne (69%).

 

Nonostante l’incremento dell’attenzione al tema della salute mentale a seguito della pandemia di COVID-19, tuttavia, la mancanza di consapevolezza sul tema a livello aziendale è stata individuata come un ostacolo alla prevenzione e gestione dei rischi psicosociali dagli intervistati, sia sul versante aziendale che sindacale. Un ulteriore ostacolo è lo stigma, visto che molti lavoratori non parlano dei loro problemi per paura di essere giudicati o penalizzati nella loro carriera.

 

Per comprendere meglio quali azioni ed eventi rappresentano una minaccia per la salute mentale e l’integrità psicofisica dei lavoratori, è stata poi approfondita la percezione dei rispondenti con riferimento a fatti, atti e atteggiamenti discriminatori.

 

I dati raccolti mostrano che un terzo dei rispondenti ritiene che i lavoratori siano leggermente esposti a molestie (sessuali/verbali/di genere). Il 40% afferma che i lavoratori sono leggermente esposti a bullismo e quasi la metà (48%) ritiene che vi sia anche una leggera esposizione a minacce. Un’esposizione moderata è registrata in relazione all’abuso verbale (36%) mentre un quinto dei rispondenti afferma che è presente anche in relazione a molestie e bullismo. Tuttavia, quasi nessuno dei comportamenti considerati sarebbe estremamente diffuso, tanto che si registrano percentuali prossime allo zero per il livello massimo di esposizione.

 

Attraverso il questionario è stato poi chiesto se nelle aziende sono presenti dei fattori che invece supportano i dipendenti nel contrastare la presenza di fattori legati al lavoro che generano un impatto negativo sulla salute (c.d. “Job Resources[2]). Sul punto, i dati mostrano la disponibilità delle risorse lavorative risulta inferiore al 50% per 13 delle 14 categorie analizzate. L’unica eccezione riguarda la retribuzione adeguata, che il 57% degli intervistati considera disponibile.

 

Più in generale, dalla ricerca condotta emerge che il tema della salute mentale è probabilmente ancora difficile da gestire a livello aziendale. Il 42% dei rispondenti ritiene che la cultura aziendale a supporto della salute mentale dei dipendenti sia scarsa e il 29% ritiene che sia molto scarsa.

 

Per migliorare la cultura aziendale in merito all’importanza della salute mentale e del benessere dei dipendenti, è necessario aumentare la consapevolezza relativamente ai rischi psicosociali, secondo ben l’83% degli intervistati.

 

Ciò è particolarmente importante soprattutto se si considera che i nuovi modelli organizzativi possono avere una significativa incidenza sulla salute mentale dei lavoratori. Ad esempio, le connessioni tra digitalizzazione e salute mentale risultano particolarmente evidenti: i rischi psicosociali più frequentemente menzionati da parte degli intervistati sono infatti la ridotta interazione sociale (in particolare legata al lavoro da remoto) e l’eccessiva porosità tra vita privata e lavorativa. Le interviste evidenziano anche la rilevanza di questioni come l’aumento dell’orario di lavoro, la difficoltà nel chiedere supporto ai colleghi, il crescente senso di inadeguatezza correlato alla necessità di un continuo aggiornamento delle competenze digitali e i ritmi di lavoro sempre più frenetici.

 

Nel report viene altresì approfondito il ruolo delle parti sociali nell’affrontare la tematica dei rischi psicosociali sul posto di lavoro. Dalla ricerca sul campo è emerso, da un lato, che attualmente la salute mentale sembra non ricoprire un ruolo centrale nelle agende dei sindacati. Invero, il benessere dei dipendenti e la salute mentale sono temi oggi menzionati solo in relazione a questioni quali l’equilibrio tra lavoro e vita privata o il diritto alla disconnessione. Dall’altro lato, invece, è emerso che la contrattazione collettiva è considerata uno strumento fondamentale per la tutela della salute mentale dei lavoratori.

 

In conclusione, i risultati descritti nel report consentono di evidenziare due questioni principali. La prima è la necessità di fare luce sul ruolo attuale e potenziale della contrattazione collettiva per sostenere il benessere dei dipendenti. Ciò ha portato a indagare sia sulle misure riconosciute a livello nazionale, ad esempio attraverso l’assistenza sanitaria integrativa, sia a livello aziendale, attraverso la rilevazione di buone pratiche aziendali provenienti dal settore metalmeccanico e che sviluppano diverse strategie proprio in tema di benessere e salute mentale dei dipendenti. La seconda questione afferisce invece alla necessità di promuovere la diffusione di una cultura maggiormente sensibile al tema della salute mentale, anche in ambito sindacale. Da questo punto di vista, la formazione che verrà sviluppata nell’ambito del progetto IncreMe(n)tal, sia a livello nazionale che transnazionale, può essere utile per fare un passo avanti in questa direzione.

 

Chiara Altilio

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

@chialtilio

 

[1] Sono considerati “job stressors” ovvero fattori di rischio i seguenti: a) Comportamenti sociali negativi (abuso verbale o minacce, bullismo, molestie o violenza); b) Scarsa comunicazione all’interno dell’organizzazione c) Scarsa cooperazione all’interno dell’organizzazione; c) Paura di perdere il lavoro; d) Richieste emotive (dover affrontare superiori, colleghi difficili, ecc.); e) Orari di lavoro antisociali (lavorare molte ore, di notte, con breve preavviso o nel proprio tempo libero); f) Carichi di lavoro eccessivi (volume di lavoro molto alto da gestire); g) Discriminazione (trattamento sfavorevole o ingiusto sul lavoro in base a determinate caratteristiche); h) Preoccupazioni finanziarie (capacità di sbarcare il lunario della propria famiglia); i) Interferenza lavoro-vita privata (preoccuparsi del lavoro quando non si lavora, sentirsi troppo stanchi dopo il lavoro per fare lavori domestici o avere difficoltà a concentrarsi sul lavoro a causa di responsabilità familiari). Cfr. L. Szekér et al., Psychosocial risks to workers’ wellbeing: lessons from the Covid-19 pandemic, Eurofound Research Report, 2023.

 

[2] Sono individuate come “job resources”: a) Opportunità di carriera; b) Retribuzione adeguata; c) Orari di lavoro flessibili; d) Supporto da parte del management; e) Partecipazione organizzativa; f) Riconoscimento; g) Utilizzo delle competenze, h) Supporto sociale; i) Autonomia nello svolgimento delle mansioni; l) Importanza delle mansioni; m) Opportunità di formazione; n) Fiducia; o) Voce; p) Conciliazione vita-lavoro. Cfr. L. Szekér et al., Psychosocial risks to workers’ wellbeing: lessons from the Covid-19 pandemic, Eurofound Research Report, 2023.

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/262 – Il rinnovo del contratto del turismo (Assoturismo-Confesercenti)

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/262 – Il rinnovo del contratto del turismo (Assoturismo-Confesercenti)

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 17 marzo 2025, n. 11

 

Contesto del rinnovo

 

Il 22 luglio 2024 è stato rinnovato il CCNL per i dipendenti da Aziende del Settore Turismo, il cui codice Cnel è H058. Il contratto è sottoscritto da Fiepet, Fiba, Assohotel, Assocamping, Assoviaggi e Assoturismo-Confesercenti per la parte datoriale e da Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil per la parte sindacale.

 

Si tratta del secondo contratto collettivo più applicato per il turismo (il primo è quello sottoscritto da Federalberghi) e coinvolge circa 60 mila lavoratori stando ai dati del flusso Uniemens per il 2024.

 

Il contratto è valido dal 1° luglio 2024 al 31 dicembre 2027 (salvo la presenza della clausola di ultravigenza all’art. 199) ma le Parti si impegnano a rivedersi nel breve termine (entro il 30 settembre 2024) per sottoscrivere una contrattazione unica per il settore. Infatti, il contratto è ancora suddiviso tra una Parte generale e diverse Parti speciali (tra cui Pubblici esercizi, stabilimenti balneari ed alberghi diurni; aziende alberghiere e complessi turistico-ricettivi all’aria aperta; imprese di viaggio e turismo). Con la clausola finale, inoltre, le Parti stabiliscono di incontrarsi entro sei mesi dalla scadenza del contratto per un confronto volto a valutare possibili soluzioni relativo al periodo di vacanza contrattuale.

 

Parte economica

 

Nella parte economica la principale novità – che riguarda ciascuna parte speciale – è l’aumento dei minimi tabellari di 200 euro sul quarto livello entro la fine del 2027. Vengono inoltre mantenuti minimi più bassi per le aziende minori e vengono aumentati anche i minimi dei lavoratori extra e di surroga (aumento pari a 2,87 euro l’ora in totale per il quarto livello, nella sezione pubblici esercizi, stabilimenti balneari e alberghi diurni).

 

Per le aziende alberghiere e i complessi turistico ricettivi vengono introdotti due nuovi indicatori per il premio di risultato: il tasso di occupazione delle camere e le giornate lavorate per presenza. Sempre nella medesima parte speciale vengono aumentati gli importi della convenzione per la fornitura del vitto e dell’alloggio per le aziende alberghiere. Dal 1° luglio 2024 al pranzo corrispondono 0,95 euro; la prima colazione 0,17 euro e il pernottamento 1,09 euro. A partire dal 1° gennaio 2026 i prezzi saranno portati rispettivamente a: 1,05 euro, 0,19 euro e 1,17 euro.

 

Nella parte generale inoltre viene abrogato l’articolo relativamente al divieto di accettazione delle mance.

 

Relativamente alla diffusione della contrattazione di secondo livello vengono confermati gli importi degli elementi distinti dalla retribuzione (edr) nel caso in cui un’azienda non abbia contrattazione integrativa o questa non preveda un premio di risultato, sarà dovuta una cifra una tantum ai lavoratori pari a 140 euro per il IV livello.

 

Parte normativa

 

Relativamente alla classificazione del personale sono state introdotte alcune figure professionali ma la novità riguarda l’adibizione a mansioni superiori: il contratto stabilisce che in caso ad assegnazione a mansioni superiori, l’assegnazione diventa definitiva – salvo diversa volontà delle parti e solo nel caso in cui non si tratti di sostituzione di altro lavoratore – dopo tre mesi (mentre prima era “dopo un periodo non superiore a tre mesi”).

 

Nella sezione sulle aziende alberghiere e sui complessi turistico-ricettivi all’aria aperta la disciplina sugli appalti è stata modificata per coinvolgere maggiormente le organizzazioni sindacali territoriali aderenti alle associazioni firmatarie il CCNL, anche nel caso di successivi campi d’appalto e in caso di internalizzazione.

 

Nella medesima sezione ci sono novità sull’utilizzo del contratto a tempo determinato (tra i dodici e i ventiquattro mesi). In particolare, viene introdotta la causale dei “grandi eventi” tra cui l’esemplificazione del giubileo, dell’Expo e delle Olimpiadi.

 

Parte obbligatoria

 

Per la parte obbligatoria le Parti sono intervenute sul campo di applicazione specificandolo in modo più puntuale senza che tuttavia siano da segnalare particolari novità.

 

È stata inoltre aggiornata la disciplina sulla Pari opportunità, integrandola con anche le più recenti disposizioni di legge e con la direttiva (UE) 2023/970 del 10 maggio 2023 ed è stato istituito un “Garante della Parità”.

 

Viene inoltre istituito (all’art. 177 bis) un congedo per le donne vittime di violenza di genere. La norma si adegua alla previsione dell’art. 24 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80 per cui la donna lavoratrice inserita in percorsi di protezione relativi a violenza di genere ha diritto a un periodo di congedo retribuito di tre mesi, ulteriormente prorogabile di tre mesi. Inoltre, la lavoratrice ha diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, cambio di unità produttiva, un altro turno di lavoro o anche – grazie all’assistenza all’ente bilaterale – alla ricollocazione in un’altra azienda.

 

Anche per quanto riguarda i congedi parentali, la disposizione contenuta nel contratto collettiva recepisce in modo più puntuale le disposizioni di legge.

 

In tema di welfare, si è intervenuto sull’assistenza sanitaria Quadri, fissata in 340 euro a carico dell’azienda e 50 euro a carico del dipendente e dal 1° gennaio 2025 il contributo viene incrementato di 20 euro a carico del datore di lavoro e dal 1° gennaio 2026 di altri 20 euro. Il contributo a favore del Fondo Aster (Fondo di assistenza sanitaria integrativa) è incrementato di tre euro mensili a carico del datore di lavoro a partire da gennaio 2027.

 

Viene confermata anche la quota destinata agli Enti bilaterali e della quota da destinare ai lavoratori nel caso in cui il datore non partecipi alla bilateralità.

 

Valutazione d’insieme

 

Il rinnovo qui in commento si inserisce sulla scia dei rinnovi del terziario avuta nel corso del 2024. Fra le novità più interessanti c’è sicuramente il fatto che le parti vogliono rinnovare la disciplina regolando in modo unitario le parti speciali, tuttavia è da monitorare il reale rispetto del proposito. Nel complesso, tra incrementi retributivi e miglioramenti delle casse di welfare per i Quadri e del Fondo di assistenza sanitaria integrativa, risulta apprezzabile anche l’attenzione posta alle dinamiche di genere e alla tutela delle donne lavoratrici vittime di violenza di genere.

 

Federica Chirico

Apprendista di ricerca ADAPT

@fedechirico

Ancora su appalti pubblici, contratti collettivi e salario minimo

Ancora su appalti pubblici, contratti collettivi e salario minimo

Bollettino ADAPT 10 marzo 2025, n. 10

 

La tutela salariale e contrattuale nell’ambito degli appalti pubblici non cessa di far parlare di sé. Per un verso, a qualche mese di distanza dall’approvazione del decreto correttivo (d.lgs. n. 209/2024) al Codice degli appalti pubblici (d.lgs. n. 36/2023), l’ANAC sta già contribuendo a rendere operativo uno dei maggiori profili di novità della disciplina: la dichiarazione dell’equivalenza delle tutele tra il CCNL indicato nel bando di gara e il CCNL in concreto applicato dall’operatore economico.

 

Con la delibera n. 14 del 14 gennaio 2025, l’Authority ha già provveduto a negare l’equivalenza delle tutele tra il CCNL ANISA e il CCNL ANGAF, evidenziando come il primo preveda una retribuzione mensile più o meno equivalente a quella prevista dall’altro CCNL ma da dividere per 40 ore settimanali anziché per 39 ore settimanali. In altri termini, ad una retribuzione (quasi) equivalente, corrisponderebbe invece un orario di lavoro differente e quindi una minore retribuzione oraria minima per i lavoratori. Peraltro, considerando che parte dell’attività affidata in appalto sarebbe stata svolta in orario notturno, il CCNL ANISA non prevede le medesime maggiorazioni retributive previste dal CCNL ANGAF, avvantaggiando così sul costo del lavoro l’operatore economico che applica il CCNL sottoscritto dalla Confsal.

 

Con la delibera n. 32 del 5 febbraio 2025, invece, l’ANAC ha negato ad un operatore economico la possibilità di ritenersi esonerato dalla presentazione della dichiarazione di equivalenza per il solo fatto di applicare il CCNL Metalmeccanici Artigiani rispetto al CCNL Metalmeccanici Industria, quale contratto collettivo indicato nel bando di gara. In questo caso, l’Authority ha ritenuto di non poter accogliere l’eccezione prevista ora dall’art. 3, comma 1 dell’Allegato I01 al d.lgs. n. 36/2023, secondo il quale «si considerano equivalenti le tutele» quando il contratto collettivo applicato dall’operatore economico è sottoscritto dalle medesime organizzazioni sindacali dei lavoratori ma da diverse associazioni datoriali rispetto a quelle che firmano il CCNL indicato nel bando di gara, per ragioni legate «alla dimensione o alla natura giuridica dell’impresa». In questo specifico caso, infatti, l’impresa diretta dall’operatore economico aveva perso già da tempo, per superamento dei requisiti dimensionali, la qualifica di impresa artigiana e pertanto, pur essendo libera di continuare ad applicare il CCNL Metalmeccanici Artigiani, avrebbe comunque dovuto dimostrare l’equivalenza delle tutele da questo previste rispetto a quelle prescritte dal CCNL Metalmeccanici Industria.
Per altro verso, invece, la presa di posizione da parte di regioni ed enti locali sulla questione del salario minimo da garantire ai lavoratori alle dipendenze degli appaltatori della pubblica amministrazione non sembra trovare alcun argine.

 

Nonostante il Consiglio dei Ministri abbia provveduto ad impugnare una legge regionale volta a stabilire che gli appaltatori della pubblica amministrazione debbano garantire una retribuzione minima oraria di almeno 9 euro (per una panoramica sulle diverse iniziative e questioni sollevate, cfr. da ultimo G. Piglialarmi, Salario minimo e contratti pubblici: impugnate le leggi regionali della Puglia, in Bollettino ADAPT 10 febbraio 2025, n. 6) la giunta regionale della Toscana ha approvato una proposta di legge – ora al vaglio del Consiglio regionale – per stabilire che nell’ambito degli appalti pubblici, inclusi quelli degli enti strumentali e società in houseil contratto collettivo indicato nel bando di gara deve prevedere «un trattamento economico minimo inderogabile pari a 9,00 (nove/00) euro l’ora» (così il testo della mozione n. 1727, presentata in Consiglio regionale il 17 settembre 2024 e dalla quale deriva la proposta di legge di cui si discute).

 

Si tratta dell’ennesima iniziativa che solleva gli stessi dubbi: può o non può una regione o un ente locale stabilire delle condizioni in un bando di gara che vadano poi ad incidere sulla regolamentazione della materia salariale e quindi del rapporto di lavoro? Sebbene sia stata chiamata la magistratura a pronunciarsi sulla questione, è diffusa però l’opinione che queste iniziative non abbiano una vera e propria base (e legittimità) giuridica, dimostrandosi piuttosto di essere delle partiche di moral suasion, finalizzate a “sensibilizzare” il legislatore nazionale sulla questione salariale, il cui dibattito parlamentare è rimasto fermo al palo.

 

Tuttavia, vi è chi ha ritenuto l’iniziativa della giunta toscana rispettosa dei vincoli imposti dall’art. 117 Cost. in quanto l’obiettivo perseguito non sarebbe tanto quello di imporre una tariffa minima inderogabile quanto quello di tenere conto, nella valutazione tecnica dell’offerta fatta dall’operatore economico in fase di gara, della circostanza che alcuni di loro applichino ai dipendenti un trattamento economico minimo pari a 9 euro, prevedendo in tal caso il riconoscimento di punti preferenziali per l’attribuzione dell’appalto a questi ultimi.

 

Sebbene questa tesi sia ancora tutta da verificare dal punto di vista della tenuta giuridica, resta il fatto che il Codice degli appalti pubblici (d.lgs. n. 36/2023) non conferisce alcun potere agli enti pubblici concedenti/contraenti di stabilire ulteriori garanzie e condizioni in materia di lavoro oltre a quelle previste dalla legge. Gli enti, infatti, devono solo limitarsi a verificare che l’operatore economico rispetti quanto previsto dall’art. 11 del d.lgs. n. 36 del 2023 (e cioè l’applicazione di un CCNL sottoscritto da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente; in alternativa, che il CCNL prescelto dall’operatore economico presenti delle tutele economiche e normative equivalenti al CCNL indicato nel bando di gara).

 

Peraltro, l’iniziativa della giunta regionale toscana ha generato non poche aspettative nell’ambito del mondo sindacale, una parte del quale ora, proprio in virtù dell’iter avviato per l’approvazione della legge, chiede che alcuni bandi di gara per l’affidamento del servizio di portierato vengano ritirati perché prevedono l’applicazione del CCNL Multiservizi, la cui paga oraria è ritenuta inferiore ai 9 euro l’ora (si veda il comunicato stampa dell’organizzazione sindacale autonoma USB del 6 marzo 2025). In buona sostanza, dunque, la strategia dell’USB sembra essere quella di fare pressione sull’ente regionale per far ritirare l’attuale bando e far indire nuovamente la gara una volta che sia stata approvata la legge regionale per la tutela salariale negli appalti pubblici.

 

Giovanni Piglialarmi

Ricercatore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

ADAPT Senior Fellow

@Gio_Piglialarmi

Tra “diritto d’espressione” e “dialogo professionale”: la partecipazione diretta alla francese che offre spunti all’Italia

Tra “diritto d’espressione” e “dialogo professionale”: la partecipazione diretta alla francese che offre spunti all’Italia

 

Bollettino ADAPT 3 marzo 2025, n. 9

 

La partecipazione dei lavoratori alle decisioni d’impresa non si realizza solo mediante le rappresentanze. In Italia, ad esempio, al netto delle difficoltà di rilevazione in questo ambito, nel 60% degli stabilimenti campionati dalla European Company Survey (2019), i lavoratori godrebbero di un grado “elevato” (26%) o “moderato” (34%) di influenza diretta sui processi decisionali; le aree interessate al maggior contributo dei lavoratori sarebbero l’organizzazione e l’efficienza dei processi di lavoro, la formazione e lo sviluppo delle competenze e l’orario di lavoro.

 

Eppure, questo canale di espressione dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro è quasi sempre ignorato dagli attori e studiosi delle relazioni industriali, essendo in larga parte sviluppato dalle aziende in via unilaterale e informale, ed essendo privo, ad eccezione delle previsioni inserite nella legge di bilancio a partire dal 2016 e di qualche recente contratto nazionale di categoria (da ultimo, il rinnovo del CCNL Tessile 2024), di un quadro istituzionale di riferimento. Anche per questo, le possibilità di complementarità e interazione tra partecipazione diretta e indiretta (o rappresentativa) dei lavoratori risultano scarsamente esplorate e rimesse quasi esclusivamente alla sperimentazione e creatività delle parti sociali in azienda.

 

Nonostante questa condizione di scarsa istituzionalizzazione della partecipazione diretta accomuni anche altri Paesi in Europa, ce ne è uno dove invece il diritto di espressione disintermediato dei lavoratori è sancito per via legislativa da oltre 40 anni e dal 2013 è riaffermato dalla contrattazione nazionale sempre più spesso con il nome di dialogue professionnel. È il caso della Francia.

 

La partecipazione diretta nella legge francese

 

La partecipazione diretta dei lavoratori trova il suo fondamento giuridico nelle leggi Auroux del 1982 che per la prima volta introducono, nell’ordinamento francese, il “diritto d’espressione diretta e collettiva dei lavoratori” (droit d’expression directe et collective des salariés): diretta, perché priva della mediazione della rappresentanza; collettiva, perché sviluppata nell’ambito di unità o gruppi di lavoro. Si tratta, in altri termini, del diritto del lavoratore ad esprimere le proprie opinioni «sul contenuto, le condizioni di svolgimento e l’organizzazione del proprio lavoro» (articolo L2281-1 del Codice del lavoro). Inizialmente, è riconosciuto nelle sole aziende con più di 200 dipendenti, ma dal 1986 viene esteso anche alle realtà con più di 50 dipendenti. L’obiettivo del legislatore è duplice: rendere il luogo di lavoro un posto maggiormente democratico e aumentare la produttività e il buon funzionamento dell’azienda.

 

Pur definendo i principi generali del diritto d’espressione, le leggi Auroux ne subordinano il pieno esercizio alla sottoscrizione di un accordo collettivo tra azienda e rappresentanti dei lavoratori, che regoli le modalità e gli argomenti specifici sui quali coinvolgere direttamente i lavoratori. In questo modo, la partecipazione diretta può inoltre adattarsi alle concrete esigenze delle aziende.

 

Più recentemente, a seguito delle Ordonnances Macron del 2017, che hanno riformato il Codice del lavoro francese, il diritto d’espressione diretta e collettiva è fatto oggetto di negoziazione aziendale obbligatoria (senza l’obbligo di concludere l’accordo ma solo di trattare) nell’ambito della parità professionale e della qualità della vita (articolo L2281-5). Nel dettaglio, stando all’articolo L2281-10 del Codice del lavoro, l’accordo aziendale deve includere previsioni sulle procedure di organizzazione delle riunioni, la loro frequenza e durata, gli strumenti digitali a disposizione dei lavoratori, nonché le modalità per garantire l’interazione tra questa forma di democrazia diretta e la rappresentanza dei lavoratori. Nello specifico, devono essere chiarite «le misure volte a garantire la libertà di espressione dei lavoratori, la trasmissione al datore di lavoro delle richieste e delle proposte dei lavoratori, nonché delle opinioni espresse dai lavoratori quando consultati dal datore di lavoro, fatte salve le disposizioni relative agli organismi di rappresentanza». Inoltre, sono da specificare le modalità tese a consentire ai lavoratori interessati, alle organizzazioni sindacali operanti in azienda e ai rappresentanti dei lavoratori «di prendere conoscenza delle richieste, dei pareri e delle proposte provenienti dai gruppi di discussione, nonché delle azioni intraprese in merito».

 

Il ruolo della contrattazione collettiva

 

Pochi anni prima dell’intervento di Macron, anche la contrattazione nazionale, soprattutto per la motivazione di una parte del sindacato francese, è intervenuta sul diritto d’espressione dei lavoratori, ribadendo la sua importanza. L’accordo nazionale interconfederale del 2013 sulla qualità della vita sul lavoro e la parità professionale contiene, infatti, una sezione espressamente dedicata a questo istituto, dove si incoraggiano le imprese ad offrire ai lavoratori la possibilità di esprimersi sulla qualità dei beni e dei servizi che producono, e sulle condizioni e sull’efficacia del proprio lavoro. Il coinvolgimento dei lavoratori è ulteriormente promosso in tre recenti accordi interconfederali in tema di telelavoro (26 novembre 2020), transizione ecologica (11 aprile 2023) e inserimento dei lavoratori anziani (14 novembre 2024), nonché in alcuni contratti nazionali di settore.

 

In questi casi, inoltre, al tradizionale diritto d’espressione sancito dalle leggi Auroux, è affiancata e talvolta integrata anche la moderna nozione di “dialogo professionale” (dialogue professionnel), originalmente coniata dalla stessa autonomia collettiva.

 

Un esempio in questo senso è offerto dal contratto collettivo della metallurgia (7 febbraio 2022) che definisce il diritto d’espressione diretta e collettiva come una delle possibili declinazioni del dialogo professionale. Quest’ultimo, inteso come tutte le forme di comunicazione e condivisione diretta dei lavoratori sulle questioni operative delle attività d’impresa, è inoltre distinto dal cosiddetto “dialogo sociale” (dialogue social), che configura invece l’insieme delle informazioni, consultazioni e negoziazioni che coinvolgono il datore di lavoro e i rappresentanti dei lavoratori. Le parti affermano altresì che il dialogo professionale e il dialogo sociale sono i due elementi costitutivi del dialogo in azienda, si esercitano in maniera complementare per la realizzazione di interessi comuni e coesistono nella loro diversità per rendere più ricche e profonde le relazioni tra le parti. In particolare, il dialogo professionale non invade, né ostacola il dialogo sociale ma lo integra ed espande, arricchendo le procedure di consultazione e contrattazione con le idee e le proposte dei lavoratori, e consentendo un maggior coinvolgimento dei lavoratori nelle questioni operative di cui la rappresentanza è solo informata.

 

Fra i principali temi che sono oggetto del dialogo professionale nella contrattazione nazionale e aziendale in Francia, spiccano, secondo la ricostruzione realizzata da Frédéric Géa (nel contributo Du dialogue professionnel, pubblicato nella Revue de droit du travail di gennaio 2025), la salute sul lavoro e in generale la qualità della vita lavorativa, il lavoro da remoto e l’innovazione.

 

La partecipazione diretta nella pratica e gli spunti per l’Italia

 

Nonostante l’introduzione per via legislativa e la sua recente riaffermazione ad opera della contrattazione collettiva, il diritto d’espressione diretta e collettiva dei lavoratori è stato scarsamente utilizzato da sindacati e datori del lavoro e anche quando contrattato, risulta debolmente implementato. Secondo uno studio condotto da Camille Dupuy, Alexis Louvion e Jules Simha per conto del sindacato francese CFTC (L’espression directe et collective en entreprise: des chiffres aux pratiques, giugno 2024), nell’ambito di 997 accordi aziendali sottoscritti tra il 2014 e il 2023, la qualità della partecipazione diretta, declinata attraverso gruppi di discussione, sarebbe mediocre, sulla base di parametri come la frequenza delle riunioni, la loro durata, l’iniziativa dei lavoratori, l’efficacia della trasmissione delle informazioni e dei riscontri. L’analisi qualitativa su tre casi aziendali dimostrerebbe altresì la scarsa applicazione del diritto d’espressione regolato nei contratti aziendali, il controllo prevalentemente manageriale sull’organizzazione delle riunioni e sui temi oggetto di discussione e lo scarso impatto della voce dei lavoratori sulle decisioni organizzative. Peserebbero su questi esiti, oltre alla vaghezza delle previsioni contrattuali, anche i timori di marginalizzazione della voce collettiva, la scarsa conoscenza dell’istituto da parte degli attori coinvolti, e la mancanza, per i lavoratori, delle risorse materiali e cognitive per dare attivazione e rendere esigibili le dinamiche di discussione e confronto. Inoltre, l’intensificazione dei ritmi di lavoro potrebbe ulteriormente compromettere la creazione di spazi e tempi per la riflessione collettiva in azienda.

 

Dalla prospettiva italiana, però, il caso francese può offrire importanti insegnamenti. Non solo ci mostra una possibilità (ancora poco sondata nel contesto italiano) di integrazione concettuale e normativa della partecipazione diretta nel framework delle relazioni industriali, grazie alla definizione che la legge storicamente e le parti sociali, soprattutto negli ultimi anni, hanno dato al diritto d’espressione e al dialogo professionale, raccordandoli alla rappresentanza e alla contrattazione. Questo anche in ragione dell’importanza di entrambi i canali di partecipazione per affrontare le attuali trasformazioni (come tra l’altro ribadito dall’accordo interconfederale del 2023 sulla transizione ecologica e il dialogo sociale). Ma l’esempio della Francia ci mette in guardia anche dall’illusione che basti fornire alla partecipazione diretta una cornice istituzionale e collettiva per affrancarla dall’unilateralità dell’iniziativa manageriale, garantirne una gestione e un controllo condivisi e renderla uno strumento effettivo di democrazia nei luoghi di lavoro. Al contrario, un quadro regolativo sui diritti partecipativi che non sia opportunamente definito a livello aziendale e accompagnato da un’adeguata formazione di entrambe le parti coinvolte e dal sostegno alla presenza e all’azione della rappresentanza per il contemperamento delle finalità economiche con quelle democratiche e sociali della partecipazione, è destinato ad essere insufficiente.

 

Dello stato specifico della partecipazione diretta dei lavoratori in Italia e dei tentativi di interazione con la rappresentanza sindacale, si occuperà il report nazionale del progetto di ricerca europeo BroadVoice, di cui vi daremo conto nei prossimi mesi.

 

Ilaria Armaroli

Ricercatrice ADAPT Senior Fellow
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Federica Chirico

Apprendista di ricerca ADAPT

@fedechirico

 

Partecipazione dei lavoratori e contrattazione collettiva: a che punto siamo?*

Partecipazione dei lavoratori e contrattazione collettiva: a che punto siamo?*

Bollettino ADAPT 3 marzo 2025, n. 9

 

Un attento osservatore delle relazioni industriali come Dario Di Vico, riferendosi alla possibile ed imminente approvazione del disegno di legge promosso dalla Cisl in materia di partecipazione dei lavoratori (la Camera dei deputati ha dato il via libera lo scorso mercoledì con 163 voti favorevoli, 57 astenuti e 40 contrari, qui il testo), ha parlato di un indubbio successo politico; il rischio, però, è che nella realtà dei luoghi di lavoro si tratti solo di una vittoria di facciata, perché la scelta sulla partecipazione dei lavoratori, nella proposta legislativa uscita dal dibattito alla Camera, rimane saldamente nelle mani dell’imprenditore. Il ruolo della contrattazione collettiva, sempre per Di Vico, è destinato a rimanere sullo sfondo e nei fatti sarà del tutto marginale (Corriere della Sera, 17 febbraio 2025, Meloni e il sindacato. La conta dei rischi).

 

Il disinteresse mostrato dal legislatore, oltre che dal dibattito politico-sindacale, nei confronti della contrattazione collettiva è in effetti quanto mai singolare se si pensa che oggi l’unico ambito in cui la partecipazione trova una regolazione concreta sono proprio i contratti collettivi di lavoro (tanto a livello nazionale che aziendale). Di questa ricca casistica contrattuale si sa tuttavia ancora ben poco, nonostante il crescente interesse registrato dai pochi osservatori (in genere sindacali) che si fanno carico del monitoraggio sistematico della contrattazione collettiva. Secondo il Ministero del Lavoro, l’11,4% degli oltre 10.500 contratti decentrati vigenti prevede forme di partecipazione (dato stabile negli ultimi cinque anni), mentre i contratti che disciplinano produttività e welfare sono nettamente superiori (rispettivamente 78,3% e 59,9%). Questi dati trovano conferma anche dall’osservatorio “FareContrattazione” di ADAPT, che raccoglie e analizza con continuità la contrattazione aziendale e settoriale, offrendo una panoramica concreta sulle dinamiche delle relazioni industriali in Italia.

 

Nonostante le resistenze culturali e il disinteresse legislativo, la partecipazione è in effetti una realtà contrattuale già consolidata. Lo stesso Patto della Fabbrica tra Confindustria e CGIL, CISL, UIL del 2018 aveva già indicato la partecipazione come un pilastro di un moderno sistema di relazioni industriali, e gli accordi collettivi lo hanno recepito, seppur con una effettività limitata. Nei settori più avanzati, come il metalmeccanico e il chimico-farmaceutico, la partecipazione si concretizza in strumenti soft (Osservatori aziendali, Commissioni paritetiche, Comitati). La maggior parte delle previsioni contrattuali di livello nazionale si limita infatti alla partecipazione tramite informazione e consultazione piuttosto che far riferimento a meccanismi realmente di co-gestione. Nel settore metalmeccanico, la contrattazione aziendale mostra un dinamismo significativo: il 67% degli accordi esaminati dai rapporti ADAPT sulla contrattazione contiene previsioni in materia di partecipazione, anche se solo nel 7% dei casi si tratta di forme di co-determinazione. Le pratiche più diffuse prevedono la costituzione di Commissioni aziendali (36% dei casi) e strumenti di monitoraggio e verifica. Esempi concreti si trovano in aziende come Brembo, Piaggio, Toyota e Ducati, che hanno istituito Commissioni tecniche paritetiche per il miglioramento dei processi produttivi, la formazione e l’organizzazione del lavoro. Strutturato anche il modello partecipativo del settore chimico-farmaceutico, dove il CCNL ha introdotto l’obbligo di costituire Osservatori aziendali per le imprese con più di 50 dipendenti. Questi organismi hanno una funzione consultiva e si occupano di temi come formazione, lavoro agile, riqualificazione professionale e innovazioni tecnologiche. Tra le aziende che hanno adottato strumenti partecipativi più avanzati si segnalano Bayer, Johnson & Johnson e Fater, che hanno implementato Osservatori e gruppi di lavoro dedicati alla gestione dell’orario di lavoro e della formazione.

 

Dal punto di vista tematico, la partecipazione si concentra prevalentemente su questioni relative alla organizzazione del lavoro – orario di lavoro e smart working (circa il 30% degli accordi), formazione e riqualificazione professionale (circa il 30% degli accordi), classificazione del personale (15%) – intesa dalle parti, datori di lavoro inclusi, come ambito privilegiato per la collaborazione dei lavoratori che (benché i titoli di giornali siano dedicati esclusivamente a partecipazione economica e strategica) apprezzano il coinvolgimento su queste materie quanto (e forse più) di una poltrona assegnata al sindacalista in un consiglio di amministrazione. In alcuni casi, gli accordi aziendali prevedono meccanismi di partecipazione diretta, come la cassetta delle idee (presente però solo nel 7% degli accordi), che consente ai lavoratori di avanzare proposte migliorative sulla produttività e l’efficienza. Tuttavia, la stragrande maggioranza delle esperienze di partecipazione rimane mediata dalle rappresentanze sindacali, che non vengono scavalcate da queste prassi come temuto da qualcuno, ma anzi ne detengono il pieno controllo e indirizzo strategico.

 

In conclusione si può ben ritenere che se il dibattito pubblico e il legislatore si soffermassero meno su astratte dichiarazioni di principio o bandiere politiche e più sulla realtà concreta delle relazioni di lavoro nelle aziende, emergerebbe con maggiore chiarezza il ruolo centrale della contrattazione collettiva nelle pratiche di partecipazione dei lavoratori. Probabilmente, si avrebbe anche meno paura della partecipazione, intesa non come una imposizione ideologica alla proprietà della azienda, ma come uno strumento pragmatico di miglioramento delle condizioni di lavoro, della qualità e produttività del lavoro e, dunque, anche della competitività delle imprese.

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

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*pubblicato anche su Contratti & contrattazione collettiva, n. 8/2025

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/260 – Il CCNL elettrico: temi economici, normativi e di relazioni industriali al centro del rinnovo lampo

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/260 – Il CCNL elettrico: temi economici, normativi e di relazioni industriali al centro del rinnovo lampo

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 24 febbraio 2025, n. 8

 

Contesto del rinnovo

 

L’11 febbraio 2025 è stato sottoscritto il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per gli Addetti al Settore Elettrico. L’intesa è stata raggiunta tra le organizzazioni sindacali FILCTEM-CGIL, FLAEI-CISL e UILTEC-UIL, in rappresentanza dei lavoratori, e le associazioni datoriali Elettricità Futura, Utilitalia, assieme a Enel S.p.A., GSE S.p.A., Terna S.p.A. ed Energia Libera.

 

Le trattative per il contratto che interessa 60.000 dipendenti di 130 aziende sono state avviate il 21 gennaio 2025 dopo la scadenza del precedente contratto il 31 dicembre 2024, e si sono concluse in tempi eccezionalmente rapidi in soli 20 giorni.

 

Il nuovo CCNL, valido per il triennio 2025-2027, introduce miglioramenti significativi nelle condizioni di lavoro, tra cui aumenti salariali, un rafforzamento della previdenza complementare, una riduzione dell’orario di lavoro e un incremento delle ore di formazione.

 

Parte economica

 

Questa tornata contrattuale è stata profondamente caratterizzata dall’aspetto economico. Infatti, le parti hanno dovuto tener conto sia dell’IPCA previsionale per il triennio 2025-2027 sia dello scostamento tra quanto riconosciuto nel rinnovo del 2022 relativamente al triennio 2022-2024 e l’inflazione effettivamente registrata.

 

L’incremento retributivo totale è di 312 euro. In particolare, per quanto concerne il TEM, sono stati stabiliti incrementi medi nel triennio di 290 euro per il parametro medio 179,76, suddivisi in quattro tranche: 90 euro ad aprile 2025, 65 euro ad aprile 2026, 65 euro ad aprile 2027 e 70 euro a ottobre 2027.

 

Sul fronte del welfare, le aziende si sono impegnate ad aumentare i contributi ai fondi di previdenza complementare, con un incremento di 3 euro nel 2026 e di 4 euro nel 2027 per 14 mensilità, e a rafforzare le risorse destinate all’assistenza sanitaria integrativa, con un aumento di 2 euro nel 2026 e di 3 euro nel 2027, sempre per 14 mensilità.

Inoltre, il rinnovo prevede un aumento delle risorse a livello di settore da destinare all’incentivazione della produttività pari a 15 euro per 14 mensilità per tutta la durata del contratto, pari a 210 euro annui. Tali importi sono stati definiti a livello nazionale, ma sono condizionati al raggiungimento di specifici obiettivi di crescita della produttività, qualità, efficienza, redditività e innovazione definiti a livello aziendale e sono destinati a incrementare i premi di risultato esistenti.

 

Per i lavoratori a cui si applica la disciplina speciale prevista dal verbale di accordo dell’11 giugno 2021, impiegati nei servizi di efficienza energetica e assistenza ai clienti, l’incremento del TEM è pari a 220 euro per il parametro medio 134,19. Le risorse da destinare all’incentivazione della produttività sono pari 140 euro annui per la durata del contratto, importo che si aggiunge ad eventuali premi aziendali stabiliti a livello locale.

 

È stato inoltre confermato il meccanismo di adeguamento già adottato nel rinnovo precedente, prevedendo che le quote relative alla produttività possano rientrare nel trattamento economico minimo qualora l’IPCA al netto degli energetici importati sia superiore di almeno 0,5% rispetto alla previsione sul triennio. Invece, qualora l’inflazione sia compresa in un intervallo positivo o negativo + – 0,5% rispetto a quanto previsto al momento della sottoscrizione dell’accordo, non è prevista alcuna variazione sui minimi e l’importo stanziato di 15 euro resta consolidato in produttività. Infine, in caso di inflazione inferiore al 0,5 % rispetto a quanto previsto, non si procede ad alcun consolidamento.

 

Parte normativa

 

Diverse le novità introdotte con il presente rinnovo anche per la parte normativa. Il nuovo contratto collettivo, come previsto, ha recepito le novità introdotte con gli accordi collettivi dell’11 settembre 2024. In particolare, è stato integrato il Protocollo sulle Nuove Professionalità, Competenze Emergenti e Classificazione, che ha identificato sia le nuove competenze richieste dal settore sia l’evoluzione dei mestieri più tradizionali, come quelli legati alle attività commerciali e all’assistenza clienti, soggetti a profondi cambiamenti operativi e organizzativi. Questo lavoro ha portato alla definizione di 70 nuovi profili professionali e ambiti di attività, aggiornando le declaratorie del CCNL, che si limitavano a una descrizione generale delle categorie di lavoratori. Questa operazione ha un duplice obiettivo: riconoscere il valore delle competenze dei lavoratori e garantire una corretta assegnazione dei ruoli in azienda, contribuendo così a valorizzare le professionalità. Inoltre, fornisce un riferimento utile per orientare i piani formativi aziendali e per sviluppare azioni di politiche attive nel settore. A questo si collega il secondo accordo collettivo firmato l’11 settembre 2024, dedicato ai programmi di orientamento per i nuovi assunti, ai corsi di formazione e alle politiche attive per l’occupazione. Il rinnovo contrattuale ha recepito le proposte avanzate dalle Parti sociali per migliorare l’occupabilità dei lavoratori e favorire l’ingresso di nuove risorse, prevedendo anche l’introduzione del libretto formativo digitale, che certificherà la formazione svolta e le competenze acquisite di ciascun dipendente, garantendone la portabilità.

 

In materia di tutela della maternità e paternità è stato introdotto l’impegno da parte delle Parti sociali a promuovere, a livello aziendale, accordi volti a migliorare le misure di sostegno alla maternità e alla paternità rispetto alla normativa vigente (es. congedo obbligatorio di paternità, congedo parentale, permessi, ecc.) con l’obiettivo di favorire, attraverso politiche aziendali più avanzate, rispetto alle disposizioni di legge, una maggiore condivisione della genitorialità.

 

Viene introdotto, inoltre un miglioramento delle disposizioni contrattuali riguardanti la conservazione del posto di lavoro in caso di malattia. Nello specifico, il comma 1 dell’art. 21 stabilisce che, in caso di assenza per malattia accertata che impedisca lo svolgimento della prestazione lavorativa, il dipendente, se non in periodo di prova, ha diritto alla conservazione del posto per un periodo massimo di 12 mesi. La principale innovazione introdotta nel rinnovo contrattuale riguarda il computo di tale periodo: il nuovo testo prevede che, qualora il lavoratore necessiti di un percorso riabilitativo in continuità con un ricovero ospedaliero, il periodo di degenza presso apposite strutture sanitarie non si considera più incluso nel calcolo dei 12 mesi di conservazione del posto.

 

Migliora anche la conservazione del posto per i lavoratori con disabilità, recependo le novità introdotte dal d.lgs. 62/2024 (per un’analisi più approfondita v. Castellucci F., Corti M., Pace C., Simonini F., D. lgs. n. 62/2024 e inclusione lavorativa: la cornice delle politiche attive rivolte alle persone con disabilità, Bollettino speciale 3 luglio 2024, n.3) che passa da 12 a 18 mesi consecutivi e, da 18 a 24 mesi non consecutivi nell’arco del triennio, con piena copertura retributiva.

 

Una delle novità più significative di questo rinnovo riguarda la riduzione dell’orario di lavoro, in linea con le recenti evoluzioni contrattuali in altri settori. Le Parti sociali del settore elettrico hanno infatti introdotto due modifiche all’articolo 27 del CCNL Elettrici, riguardante per l’appunto il tema dell’orario di lavoro. La prima riguarda il comma 15 e prevede un aumento delle ore di permessi annui retribuiti (le cosiddette ore di ROL – Riduzione Orario di Lavoro) per il personale semiturnista con un orario settimanale di 40 ore. Per questi lavoratori, le ore di riduzione passano da 76 a 96 ore annue.  La seconda modifica interviene sulla lettera g, comma 34, in merito alle LOP (Libertà Ore Pomeridiane), note anche come “vigile”, ossia le giornate del 31 dicembre (Capodanno), 24 dicembre (Vigilia di Natale) e 2 novembre che diventano interamente non lavorative, mentre in precedenza il riposo era previsto solo per il pomeriggio. Questo porta a un aumento di un giorno e mezzo delle ore di riposo annuali. Rimane invece invariata la mezza giornata di libertà per il Sabato Santo (vigilia di Pasqua), che continuerà a essere applicata solo nel pomeriggio.

 

Tra le novità normative introdotte, cambia anche la disciplina delle ferie per i neoassunti. L’aumento dei giorni di ferie inizierà dal terzo anno per un giorno lavorativo ogni anno di anzianità, anziché dal sesto, fino a raggiungere un massimo di 24 giorni annui per ciascun lavoratore, oppure 26 giorni per chi ha una settimana lavorativa di sei giorni.

 

Ancora, il diritto soggettivo alla formazione è stato ulteriormente rafforzato, con un incremento delle ore dedicate: 45 ore nel triennio 2026-2028 e 50 ore nel triennio 2027-2029.

 

Il nuovo CCNL rafforza inoltre il diritto allo studio per i lavoratori studenti iscritti a corsi regolari di istruzione. In occasione degli esami, questi lavoratori avranno diritto a permessi retribuiti, con un’estensione delle tutele agli esami relativi all’intero ciclo di istruzione terziaria (ITS, laurea triennale, magistrale o a ciclo unico, master universitario, dottorato di ricerca) e non più limitati ai soli esami universitari.

 

Il rinnovo contrattuale introduce infine novità a favore delle vittime di violenza di genere, con un’attenzione particolare al rafforzamento delle misure di sostegno. Sebbene una regolamentazione più dettagliata sia demandata agli accordi di secondo livello, il nuovo CCNL amplia le tutele per le lavoratrici inserite in percorsi di protezione previsti dall’art. 24 del D. Lgs. 80/2015. In particolare, il periodo di astensione retribuita dal lavoro viene esteso da 6 a 12 mesi, mentre il diritto a richiedere aspettativa non retribuita aumenta da 24 a 36 mesi, offrendo così un sostegno più concreto nel percorso di uscita dalla violenza.

 

Parte obbligatoria

 

Il nuovo CCNL prosegue il percorso avviato con il precedente rinnovo, che ha segnato un cambiamento culturale significativo sui temi della transizione energetica e digitale. In questa direzione, le parti hanno ampliato le competenze e le materie di analisi dell’Osservatorio di settore, includendo anche l’intelligenza artificiale. A tal fine, è stato introdotto l’obbligo di consultazione e confronto preventivo tra aziende e organizzazioni sindacali, con l’obiettivo di condurre un’analisi congiunta sugli effetti dell’IA, valutandone l’impatto sull’occupazione e sull’organizzazione del lavoro.

 

Il nuovo contratto recepisce inoltre quanto disposto dal d.lgs. 125/2024 in attuazione della direttiva 2022/2464 (la c.d. Corporate Sustainability Reporting Directive) che prevede la possibilità dopo l’approvazione del bilancio consuntivo dell’anno su richiesta delle organizzazioni sindacali di realizzare incontri in cui l’azienda fornisca informazioni anche, fra le altre materie, sulle questioni ambientali di rilevanza societaria e la presentazione del bilancio ambientale.

 

Infine, le parti hanno richiamato le Convenzioni interconfederali sottoscritte con l’INPS per l’attuazione del Testo Unico sulla Rappresentanza. Nello specifico, le aziende che applicano il CCNL del settore elettrico sono quindi tenute a rispettare gli adempimenti necessari per certificare il dato della rappresentanza sindacale, sottolineando così l’importanza della tutela e della rappresentatività dei lavoratori nel settore.

 

Valutazione d’insieme

 

Il rinnovo del CCNL per il settore elettrico 2025-2027 rappresenta un traguardo significativo per rapidità e qualità delle misure adottate. Oltre agli aumenti salariali e al rafforzamento della previdenza complementare, l’accordo introduce tutele avanzate per genitorialità, malattia e infortunio, oltre a una riduzione dell’orario di lavoro e novità in materia di ferie e permessi retribuiti, dimostrando una crescente attenzione all’equilibrio tra vita lavorativa e personale, in linea con le tendenze più avanzate in materia di organizzazione del lavoro. In aggiunta, l’aggiornamento delle declaratorie professionali, il libretto formativo digitale e il potenziamento della formazione rispondono alle sfide delle transizioni energetica e digitale, favorendo l’occupabilità, così come l’ampliamento delle competenze dell’Osservatorio di settore, con l’inclusione dell’intelligenza artificiale tra le materie di confronto sindacale, mostra una valorizzazione del sistema di relazioni industriali e degli istituti bilaterali.

 

Grande soddisfazione espressa, dunque, sia da parte datoriale che sindacale per un rinnovo che rimette al centro del settore elettrico le relazioni industriali.

 

Alice Cireddu

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

@AliceCireddu

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/259 – Il rinnovo del CCNL Industria turistica

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/259 – Il rinnovo del CCNL Industria turistica

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 24 febbraio 2024, n. 8

 

Contesto del rinnovo

 

Il 21 dicembre 2024 è stato firmato il rinnovo del CCNL industria turistica sottoscritto da Federturismo Confindustria, l’Associazione Italiana Confindustria Alberghi (Aica) e Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil. Si tratta del CCNL il cui codice CNEL è H05B, applicato a più di 30.000 lavoratori e lavoratrici su tutto il territorio nazionale. Il rinnovo, che sostituisce il testo precedentemente approvato il 14 novembre 2016, ha decorrenza a partire dal 1° gennaio 2025, fino al 31 dicembre 2027.

 

Parte economica

 

Le parti concordando un aumento della paga base nazionale conglobata di 200 euro per il livello medio C2 da erogare in quattro tranche (per la generalità dei lavoratori gli scatti avvengono a gennaio 2025, giugno 2025, maggio 2026 e aprile 2027; per i dipendenti delle imprese di viaggio e turismo e congressi le erogazioni avvengono a gennaio 2025, settembre 2025, settembre 2026, giugno e dicembre 2027). A questi aumenti si aggiunge l’erogazione di un importo una tantum di 450 euro lordi, da riconoscere in 2 tranche (gennaio e giugno 2025), che per i dipendenti del comparto imprese di viaggio e turismo e congressi è invece di 320 euro lordi.

 

Vengono aumentati i contributi a carico datoriale del finanziamento del Fondo di assistenza sanitaria integrativa (Fontur) nella misura di tre euro mensili. A partire dal 1° gennaio 2027 il contributo dovuto al fondo sarà pari a 13 euro a carico dell’azienda e di 2 euro a carico del lavoratore. Aumenta anche la contribuzione per la Cassa Assistenza per i quadri (Qu.A.S.), portata a 380 euro annuali a carico del datore, mentre rimangono immodificati i 50 euro a carico del quadro. L’omissione del versamento delle quote a Fontur comporta l’erogazione di un elemento distinto della retribuzione pari a 16 euro lordi al mese.

 

Le Parti sociali, nel rinnovare la parte economica, hanno previsto l’inclusione dei periodi di congedo di maternità e paternità (sia obbligatorio che alternativo) nel calcolo della maturazione e corresponsione integrale della tredicesima mensilità. Analoga previsione è stata adottata per la quattordicesima mensilità, nella quale, a partire da dicembre 2027, saranno considerati anche i periodi di congedo parentale. Tra le altre novità economiche, spicca l’abolizione del divieto per il personale di accettare mance.

 

La disciplina sui trattamenti salariali integrativi, prevista dall’art. 8 come obbligo di finanziamento del sostegno al reddito dei lavoratori coinvolti in processi di crisi e/o di ristrutturazione e/o riorganizzazione aziendale, viene meno a seguito dell’introduzione della Legge 30 dicembre 2021, n. 234.

 

Viene inoltre parzialmente modificata la disciplina prevista per il premio di risultato, confermando le cifre dell’elemento di garanzia nel caso in cui non vi sia contrattazione di secondo livello o questa non regoli la materia del premio di risultato.

 

Parte normativa

 

Per quanto riguarda la modifica della parte normativa, le parti sociali sono intervenute sulla disciplina degli appalti da un lato ampliando e chiarendo gli obblighi del datore di lavoro nel caso in cui esternalizzi e nel caso di cambio di appalti successivi; dall’altro lato si introduce un articolo specifico per l’insourcing, ovvero la pratica di assumere in gestione diretta un servizio precedentemente affidato alla gestione di un appaltatore.

 

La disciplina della tutela della genitorialità viene riformulata per adeguarla alle nuove previsioni normative e si prevede che i periodi di congedo per maternità, paternità e di congedo parentale siano utili ai fini della maturazione dei permessi e delle ferie.

 

Parte obbligatoria

 

Per la parte obbligatoria del contratto collettivo, le Parti si sono ampiamente occupate di rinnovare la disciplina relativa alla bilateralità e alla governance degli enti bilaterali, in particolare rinnovando la materia per garantire un controllo maggiore nella gestione delle risorse. Un esempio è rappresentato dalla disponibilità minima che deve avere un ente bilaterale (pari a 70.000 euro) per poter essere costituito a livello territoriale.

 

Per le pari opportunità, invece, si prevede l’adeguamento della disciplina alle norme europee, in particolare tramite l’introduzione del Garante della Parità nelle aziende con più di 50 dipendenti, specializzato in questioni di genere. Viene inoltre introdotto un articolo specifico (art. 5 bis) relativo al “Contrasto alla violenza e alle molestie nei luoghi di lavoro” che segnala l’interesse delle parti sociali a porre maggiore attenzione sul tema insistendo soprattutto sulla necessità di una formazione dei lavoratori. Viene infine introdotto anche l’art. 130-bis “Congedi per le donne vittime di violenza di genere” per garantire periodi di congedo retribuito alle donne lavoratrici inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere.

 

Valutazione d’insieme

 

Il rinnovo del CCNL industria turistica introducendo importanti novità sia dal punto di vista economico che normativo e obbligatorio. Tra gli aspetti più rilevanti, spiccano gli aumenti retributivi, l’integrazione delle mensilità aggiuntive durante i periodi di congedo parentale e l’integrazione dei contributi ai fondi di assistenza sanitaria. Dal punto di vista normativo, le modifiche in tema di appalti, tutela della genitorialità e insourcing testimoniano un’attenzione crescente verso le condizioni lavorative. Infine, l’inclusione di misure per il contrasto alla violenza di genere e il rafforzamento della governance degli enti bilaterali evidenziano un impegno a promuovere la parità e il benessere dei lavoratori, garantendo maggiore equità e trasparenza nel settore.

 

Federica Chirico

Apprendista di ricerca ADAPT

@fedechirico

Sindacati e contrattazione: perché due CCNL non bastano a parlare di spaccatura

Sindacati e contrattazione: perché due CCNL non bastano a parlare di spaccatura

 

Bollettino ADAPT 24 febbraio 2025, n. 8

 

Davvero i sindacati sono divisi anche nella contrattazione perché Cgil e Uil non hanno firmato i CCNL Funzioni Centrali e Sanità? Si continuano a siglare rinnovi unitari negli altri settori e quei due CCNL hanno un’evidente valenza politica: la controparte è, in sostanza, il Governo.
 

***

 

A seguito dell’endorsment della Presidente del Consiglio – e di altri membri del Governo – verso il metodo e il merito delle proposte della Cisl, il tema della divisione tra il sindacato di via Po e la CGIL ha appassionato editorialisti e opinionisti di pressoché tutti i giornali italiani. Per diversi giorni.

 

Michele Tiraboschi ha già scritto dell’errore di prospettiva commesso da alcune analisi che attribuiscono a questa divisione il colore di una inconciliabilità patologica, anziché ricondurla alle sue ragioni culturali, ossia a un pluralismo sindacale strettamente legato alla storia politica e istituzionale italiana (La contesa “politica” tra Cgil e Cisl e una guerra di posizione che non aiuta a superare lo stallo, in Bollettino ADAPT 23 febbraio 2025).

 

Questa semplificazione che equipara la divisione sindacale a una – vera o presunta – debolezza della rappresentanza è accompagnata da una complementare distrazionese sul piano politico le sigle confederali – ma le forza della rappresentanza in generale – sono ben lontane dal poter siglare un patto sociale su qualsivoglia punto dell’agenda, i sindacati confederali non sono invece certo divisi sul terreno della contrattazione. Eppure i giornali, quando vogliono parlare delle divisioni in campo, includono anche due esempi eminenti di separazione sui tavoli negoziali: quella sul rinnovo del CCNL sanità e quella sul rinnovo del CCNL per i dipendenti pubblici delle Funzioni Centrali.

 

Come è noto, Cgil, Uil e Usb hanno criticato quest’ultima intesa, firmata da una maggioranza risicata (53% delle sigle rappresentative), ritenendolo insufficiente per affrontare l’aumento del costo della vita. E hanno indetto una consultazione per coinvolgere lavoratori e lavoratrici nel giudicare il rinnovo. Parimenti, nella sanità Cgil, Uil e Nursing Up hanno deciso di non firmare la preintesa per il nuovo contratto 2022-2024 del comparto sanità, mentre Nursind, Fials e Cisl hanno approvato l’intesa.

 

Ma davvero sulla base di questi due casi possiamo dire che i sindacati confederali siano divisi anche nella contrattazione? Un paio di dati, che è impossibile trascurare, consentono di smentire fondamentalmente questa conclusione: di mese in mese, si continuano a siglare rinnovi unitari negli altri settori; e la vicenda legata a quei due CCNL ha un’evidente valenza politica giacché la controparte è, in sostanza, il Governo.

 

Quanto al primo punto, come testimoniano gli aggiornamento presenti sul sito FareContrattazione.itnei primi due mesi scarsi del 2025 (al momento in cui scrivo, febbraio non è ancora terminato) le sigle di settore dei sindacati confederali hanno firmato unitariamente con le relative controparti datoriali ben 9 CCNL: il CCNL della Somministrazione, il nuovo CCNL Edilizia ANIEM, il rinnovo del CCNL Consorzi e Cooperative Agricole, il rinnovo per i dirigenti delle imprese cooperative, il rinnovo del CCNL Dipendenti Agenzie Marittime, il rinnovo del CCNL Industria Armatoriale, il rinnovo del CCNL delle Fondazioni Lirico Sinfoniche, il rinnovo del CCNL Terme e il nuovo CCNL Artigianato – Area Comunicazione. C’è poi il tavolo al momento fermo per il rinnovo dei metalmeccanici, dove però non paiono intravedersi particolari divisioni sul fronte sindacale.

 

Quanto al secondo punto, non si può non considerare che questa battaglia contrattuale sia legata alla contrapposizione all’esecutivo sul piano politico. Tant’è che i sindacati che non hanno firmato addebitano al governo la responsabilità di aver stanziato per il rinnovo risorse troppo scarse. Non voglio dunque qui affermare che siano negoziazioni scevre di un contenuto contrattuale (la disponibilità a firmare ruotava appunto attorno a due condizioni: aumenti tabellari significativamente maggiori e lo sblocco del salario accessorio), ma sono negoziazioni giocoforza condizionate dal (o, se si vuole, funzionali al) posizionamento nei confronti dell’esecutivo. D’altronde potrebbero le sigle che hanno scioperato contro la legge di bilancio firmare coerentemente contratti in cui la partita salariale dipende da stanziamenti pubblici?

 

Le divisioni nel pubblico sono poi, certo, un segnale importante; foriero di preoccupazioni espresse dagli esperti. Per esempio, secondo alcune interpretazioni, la mancata firma del CCNL Funzioni Centrali da parte di Cgil e Uil rischia di impedire la firma di accordi integrativi e, quindi, di compromettere il metodo negoziale nelle PA (così Mainardi intervistato da Claudio Tucci,  Pa, con gli altolà di Cgil e Uil a rischio i contratti integrativi, Il Sole 24 Ore, 30 gennaio 2025). Ma da qui ad assumere queste due vicende come un segno della divisione del mondo sindacale nella contrattazione ne passa.

 

Probabilmente a produrre questa semplificazione è la difficoltà a capire le ragioni della diversa dinamica con cui le differenze culturali si articolano sul piano politico e su quello contrattuale (il tema è stato posto anche da Cazzola sul Sussidiario.net “La divaricazione crescente tra chi firma contratti e chi fa slogan”, 18 febbraio 2025). Il punto è che la contrattazione è un terreno di esercizio pratico e concreto, condotto dalle sigle di settore, le quali firmando unitariamente i rinnovi fanno evolvere i sistemi di relazioni contrattuali mantenendoli al contempo. Mentre l’agone politico è uno strumento di posizionamento ideologico, e quando orientato a obiettivi di risultato legislativo tende a muoversi d’anticipo, cercando pur minime conquiste di innovazione o, al contrario, evitando l’approvazione di provvedimenti che possano aprire brecce verso futuri indesiderati. Va da sé che advocacy e relazioni istituzionali abbiano tempi e modi diversi rispetto alla contrattazione; che, ad oggi, rimane viva e vegeta nella confederalità Italiana.

 

Francesco Nespoli
Ricercatore Università di Roma LUMSA

ADAPT Senior Fellow

@Franznespoli

 

Salario minimo e contratti pubblici: impugnate le leggi regionali della Puglia

Salario minimo e contratti pubblici: impugnate le leggi regionali della Puglia

Bollettino ADAPT 10 febbraio 2025, n. 6

 

La legge regionale della Puglia n. 30 del 21 novembre 2024 rappresenta l’ennesima iniziativa – l’ultima di una lunga serie – promossa dalle regioni e dagli enti locali di introdurre il c.d. salario minimo, dopo l’arresto dei lavori parlamentari per l’approvazione di una legge nazionale in materia. Già lo scorso anno, il Comune di Firenze, attraverso una delibera, aveva stabilito che gli operatori economici aggiudicatari di un appalto presso l’ente, avrebbero dovuto corrispondere ai propri dipendenti un “un trattamento economico minimo inderogabile pari a 9 euro l’ora” (cfr. G. Piglialarmi, Retribuzione e appalti pubblici: alcune considerazioni sulla recente “rivolta” dei Comuni, in Bollettino ADAPT 25 marzo 2024, n. 12). All’iniziativa dell’ente fiorentino, era seguita quella del Comune di Napoli e del Comune di Bacoli. L’ente, in quest’ultimo caso, aveva imposto ai titolari di una concessione demaniale o di uno stabilimento balneare di assicurare ai bagnini e ad altri loro dipendenti un salario di almeno 9 euro l’ora (cfr. G. Piglialarmi, M. Tiraboschi, Salario minimo: la piccola rivolta e la grande ipocrisia dei Comuni, in Bollettino ADAPT 8 aprile 2024 n. 14).

 

Non dissimile è il contenuto della legge della regione Puglia, il cui obiettivo è quello di tutelare la «retribuzione minima salariale» dei lavoratori nell’ambito dei contratti pubblici (inclusi i contratti di appalto) che l’ente stipulerà con gli operatori economici privati (art. 1). A questo scopo, la legge n. 30 del 2024 prevede che oltre alla regione, anche «le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le Sanitaservice, le agenzie regionali e tutti gli enti strumentali regionali» che vogliano appaltare opere e servizi alle imprese private, devono verificare «che i contratti [collettivi, ndr] indicati nelle procedure di gara prevedano un trattamento economico minimo inderogabile pari a nove euro l’ora» (art. 2).

 

Dopo una prima fase di “inerzia”, il Governo ha deciso di porre un freno a queste iniziative: nelle scorse settimane, infatti, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli, ha deciso di deliberare l’impugnazione della legge regionale della Puglia, ritenendole in contrasto con l’art. 97 e l’art. 117 della Costituzione.

 

Si tratta dell’inizio di un epilogo che avevamo già paventato lo scorso anno, quando diversi comuni italiani avevano incominciato ad adottare simili iniziative allo scopo di dare seguito alla proposta legislativa di introdurre un salario minimo legale pari a 9 euro l’ora (v. sempre G. Piglialarmi, Retribuzione e appalti pubblici: alcune considerazioni sulla recente “rivolta” dei Comuni, in Bollettino ADAPT 25 marzo 2024, n. 12). In quel frangente, fu messo in evidenza proprio che simili iniziative potevano collidere con la Carta costituzionale poiché la regolamentazione del rapporto di lavoro rientra nella esclusiva potestà legislativa dello Stato (art. 117 Cost.). Peraltro, le disposizioni del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36 del 2023) non conferisce alcun potere agli enti pubblici concedenti/contraenti di stabilire ulteriori garanzie e condizioni in materia di lavoro oltre a quelle previste dalla legge. In altri termini, dunque, gli enti devono solo limitarsi a verificare che l’operatore economico rispetti quanto previsto dall’art. 11 del d.lgs. n. 36 del 2023 (e cioè l’applicazione di un CCNL sottoscritto da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente; in alternativa, che il CCNL prescelto dall’operatore economico presenti delle tutele economiche e normative equivalenti al CCNL indicato nel bando di gara). Occorrerà monitorare, dunque, la conclusione alla quale perverrà l’autorità giudiziaria competente in materia.

 

Giovanni Piglialarmi

Ricercatore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

ADAPT Senior Fellow

@Gio_Piglialarmi