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Bollettino ADAPT 17 giugno 2024 n. 24
Come evidenziato dal XXV Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva del Cnel, ancora poco si sa della contrattazione decentrata e in particolare della contrattazione aziendale. Le ricerche più robuste e sistematiche, con tentativi più o meno riusciti di analisi campionarie e comunque scientificamente attendibili, risalgono alla fine del secolo scorso sempre in ambito Cnel (vedi M. Tiraboschi, Il contributo del Cnel alla conoscenza delle dinamiche del mercato del lavoro e degli assetti normativi e retributivi espressi dalla contrattazione collettiva, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2023, n. 4, pp. 977-997).
Una delle maggiori criticità nella conoscenza del fenomeno riguarda, come noto, proprio il reperimento del materiale contrattuale. Questo fermo restando che, poi, l’analisi del testo contrattuale andrebbe integrata da una ricostruzione e verifica del contesto per comprenderne il reale impatto e l’effettivo grado di applicazione (in materia vedi, per utili indicazioni di metodo, D. Gottardi, Nota a contratto: l’accordo Pometon S.p.a. nello specchio rotto delle relazioni sindacali nel settore metalmeccanico, in Lavoro e Diritto, 2013, pp. 269-282).
Eppure, parliamo di un materiale cospicuo se è vero che, come attesta ancora il rapporto Cnel richiamando i dati forniti da Istat, il 23,1 per cento delle aziende del settore privato (con esclusione del solo settore agricolo) con almeno dieci dipendenti applica un contratto collettivo aziendale per una platea di lavoratori pari al 55,1 per cento del totale dei dipendenti di imprese con almeno dieci addetti. È però anche importante sottolineare che questi lavoratori non possono essere considerati l’insieme completo dei dipendenti interessati dalla contrattazione di secondo livello, poiché all’interno della stessa azienda tali accordi potrebbero non essere applicati alla totalità dei lavoratori.
In tempi recenti (dal 2016) l’unica rilevazione ufficiale in materia di contrattazione decentrata (territoriale e aziendale) è quella svolta dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nei suoi Report deposito contratti. Questi rapporti, ricavati dalla procedura per il deposito telematico dei contratti aziendali e territoriali che il Ministero ha attivato a seguito del Decreto interministeriale del 25 marzo 2016 (relativo alla detassazione dei premi di produttività), forniscono alcune indicazioni sul numero e sull’ambito di diffusione dei contratti decentrati oggetto di deposito ai fini della fruizione di agevolazioni fiscali, quindi non tutto l’universo della contrattazione aziendale.
I dati contenuti nei rispettivi report risultano utili per comprendere alcuni aspetti quantitativi del fenomeno, che seppure limitati ad alcune tipologie di accordi come quelli di produttività ovvero quelli di prossimità, ne dovrebbero rappresentare l’intero universo (es. tutte le aziende che richiedono la misura di incentivazione della contrattazione di produttività). Ciò in base al numero di contratti depositati che sono 95.596 a partire dal 2016, anno in cui è stata resa operativa la misura di detassazione della contrattazione di produttività.
Attualmente risultano depositati 10.078 contratti aziendali vigenti (a cui si aggiungono 2.094 contratti territoriali). Il report fornisce anche qualche indicazione sui settori (il 60% dei contratti depositati si riferisce ai servizi, il 39% all’industria e l’1% all’agricoltura) e soprattutto sulla ripartizione territoriale di detti accordi. Da questo ultimo punto di vista, secondo l’ultimo report disponibile, risulterebbe che la contrattazione aziendale è, come era lecito aspettarsi, molto più diffusa in Lombardia, Veneto e Piemonte rispetto a regioni come Calabria, Basilicata e Molise. In particolare, sempre secondo i dati dell’ultimo rapporto, in Lombardia risultano depositati 2.891 accordi aziendali, 1.070 in Veneto e 962 in Piemonte, mentre sono 60 i contratti depositati in Calabria, 48 in Basilicata e 19 in Molise.
Il punto, tuttavia, per comprendere l’affidabilità di questi dati, quantomeno ai fini di analisi e ricerca sul fenomeno, e quindi anche la validità della affermazione circa la scarsa penetrazione della contrattazione aziendale nelle regioni del Mezzogiorno, attiene ai criteri di raccolta e archiviazione dei testi contrattuali. Un problema noto alle parti sociali che nel tempo hanno costruito banche dati sulla contrattazione aziendale. Nel rapporto Fondazione di Vittorio – Cgil del 13 aprile 2022, per esempio, si sottolinea come gli accordi vengano catalogati in funzione del territorio su cui gli effetti dell’accordo di secondo livello si riflettono. Non così per il report del Ministero del lavoro, come vedremo a breve.
Si tratta di una questione non banale per fornire una mappatura attendibile del peso e della diffusione degli accordi aziendali anche nella prospettiva di realizzare un atlante della contrattazione collettiva in Italia (nel nostro caso ad integrazione dell’Atlante già realizzato da ADAPT per la contrattazione nazionale). Lo stesso archivio ADAPT della contrattazione collettiva, che ad oggi contiene oltre 5.000 accordi aziendali, ha subito nel tempo una evoluzione. Dalla prima banca dati (2004-2014) e fino al 2021 si teneva traccia del luogo di sottoscrizione, che è cosa diversa sia dall’ambito di applicazione del contratto sia dalla sede legale dell’azienda. A partire del 2022 si è deciso invece di considerare l’ambito di applicazione suddiviso in aree geografiche (nord, centro, sud e isole, multi-territoriale/nazionale). È utile quindi interrogarsi su come questi accordi vengano raccolti e catalogati dal Ministero del Lavoro per valutarne l’attendibilità.
L’articolo 14 del Decreto Legislativo n.151/2015 stabilisce che le agevolazioni legate alla stipula di contratti collettivi aziendali o territoriali siano riconosciute a condizione che questi vengano depositati in via telematica. Tale adempimento è necessario a prescindere dal tipo di agevolazione che può essere di natura fiscale, contributiva o di altro genere. Una volta effettuato il deposito telematico, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro mettono a disposizione delle altre amministrazioni e degli enti pubblici interessati le informazioni contenute nei contratti.
Dal 17 luglio 2019 l’applicativo informatico è semplificato e può essere utilizzato anche per depositare i contratti di primo livello. La procedura è strutturata in due fasi. In un primo momento, l’utente deve caricare il file in formato pdf e inserire alcune informazioni essenziali (dati del datore di lavoro/associazione di categoria che effettua il deposito, tipologia di contratto, data di sottoscrizione e periodo di validità). Successivamente, è prevista la possibilità di specificare l’agevolazione per cui si intende effettuare il deposito telematico (detassazione, decontribuzione per le misure di conciliazione tra i tempi di vita lavoro, credito d’imposta per la formazione 4.0, contrattazione di prossimità, omnicomprensività ex art. 3 del D.L. 318/96, accordo collettivo aziendale ex art. 14, co. 3 del D.L. 104/2020). Il sistema potrà chiedere, per alcune tipologie di deposito, di inserire alcuni dati aggiuntivi. Qualora la motivazione che rende necessario il deposito non sia nessuna di queste, l’utente potrà compilare il campo testuale “Altro”, aggiungendo ulteriori informazioni.
Nel manuale operativo (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Applicazione Deposito Telematico Contratti. Manuale Utente, 2020) non si specifica quale sia la sede competente per il deposito, se la sede legale o la sede dove fisicamente c’è la fabbrica o l’unità produttiva a cui si applica quel contratto. È vero che una FAQ del Ministero indica che l’impresa, in fase di deposito dell’accordo sul portale, sarebbe tenuta ad indicare l’ITL competente prendendo come riferimento l’ubicazione della propria sede legale. Tuttavia, questa indicazione non ha valore prescrittivo e non pare neppure nota tra gli addetti ai lavori che fanno riferimento al solo manuale.
Ora, è evidente che il riferimento alla sede legale dell’azienda rende problematico e fuorviante il dato sulla distruzione territoriale degli accordi almeno se teniamo come punto di riferimento per l’analisi il loro campo di applicazione, cioè il luogo dove effettivamente si applica. Molte imprese, specialmente quelle di grandi dimensioni, potrebbero infatti avere diversi siti produttivi e unità operative dislocate in diverse aree geografiche del Paese, rendendo l’ubicazione della sede legale un parametro poco rappresentativo dell’effettiva distribuzione territoriale degli accordi. Per questa ragione, l’archivio del Ministero del Lavoro potrebbe non fornire un quadro preciso e concreto sulla distribuzione geografica dei contratti decentrati e del loro impatto a livello locale.
Le finalità del Ministero non sono ovviamente di ricerca e analisi del fenomeno. Tuttavia, un allineamento tra le diverse banche dati sarebbe importante per far dialogare le diverse fonti informative sulla contrattazione decentrata e aziendale in particolare. Una armonizzazione dei parametri di catalogazione permetterebbe infatti una maggiore coerenza e comparabilità dei dati, fornendo una rappresentazione più accurata della contrattazione di secondo livello.
Jacopo Sala
Apprendista di ricerca ADAPT
Università di Modena e Reggio Emilia