Contratti a termine: più fiducia nella contrattazione

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Bollettino speciale ADAPT 4 maggio 2023 n. 2

 

Come ormai noto anche ai non addetti ai lavori, nel c.d. “decreto lavoro” (ne riassume i contenuti F. Lombardo, Decreto lavoro: una lettura d’insieme del provvedimento) approvato nel tanto discusso (vedi F. Nespoli, Il Decreto lavoro e il Primo maggio della discordia) Consiglio dei Ministri del 1° maggio, ha trovato spazio la tanto annunciata riforma dei rapporti di lavoro a termine.

 

Rispetto alle prime bozze circolate nelle scorse settimane – che già nell’immediato avevano suscitato un dibattito tecnico e di opportunità (sul quale v. M. Tiraboschi, Lavoro a termine e certificazione delle causali: davvero una buona soluzione?) sull’originario rinvio alle commissioni di certificazione per la validazione delle «specifiche esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva» in assenza di intervento della contrattazione collettiva – già dal comunicato stampa di Palazzo Chigi e dalle ultimissime bozze in circolazione si possono cogliere alcune differenze – che delineano un impianto del nuovo sistema dei rapporti a termine, anche mediante somministrazione di lavoro, riassumibile nei termini che seguono.

 

Ferma restando la possibilità di stipulare o prorogare liberamente rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato, anche per il tramite della somministrazione di lavoro, entro i 12 mesi, nel caso di proroga che determinerà la prosecuzione oltre tale primo limite e comunque entro i 24 mesi, come anche assunzione della durata superiore ai 12 mesi o, infine, di rinnovo, sarà necessaria la sussistenza di una delle condizioni previste nel riformato art. 19, comma 1, decreto legislativo n. 81/2015.

 

In particolare, oltre alla più semplice e ricorrente esigenza sostitutiva di altri lavoratori in forza e assenti a qualunque titolo (anche senza obbligo di conservazione del posto), il Governo – riprendendo e di fatto generalizzando l’esperienza introdotta nella scorsa Legislatura (nel vigente art. 19, comma 1, lett. b-bis)[1]) – ha optato per un rinvio pieno alla contrattazione collettiva qualificata ex art. 51 decreto legislativo n. 81/2015. Saranno dunque i contratti collettivi nazionali, aziendali o territoriali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o dalle loro RSA/RSU, ad individuare le esigenze a fronte delle quali poter prolungare oltre i 12 mesi i rapporti a termine, o procedere al loro rinnovo.

 

Infine, nell’ipotesi di mancato esercizio della delega di legge da parte della contrattazione collettiva applicabile, il decreto prevede la facoltà di apposizione di una causale a livello individuale, sussistendo «esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva». Tale facoltà sarebbe ammessa in ogni caso entro il 30 aprile 2024, quasi nella consapevolezza della difficoltà di recepimento da parte della contrattazione collettiva delle varie riforme legislative (sul difficile coordinamento tra legge e contrattazione collettiva ed il ritmo delle riforme su esso impattanti, vedi M. Tiraboschi, Per uno studio della contrattazione collettiva, ADAPT University Press, 2021, 94-97).

 

Risulta invece abbandonato l’originario rinvio alle sedi di certificazione ex artt. 75 e ss. decreto legislativo n. 276/2003. Tale termine dovrebbe essere riferibile al momento di stipula della proroga o del rinnovo, potendo l’atto dispiegare i suoi effetti anche oltre il 2024 (si veda, su disposizione analoga, Nota INL del 16/09/2020).

 

L’impianto così delineato sembra riecheggiare le formulazioni della disciplina d’inizio Millennio, con l’indiretto richiamo al “causalone” del decreto legislativo n. 368/2001 ed al connesso rischio di riattivazione del contenzioso giudiziale (sul punto v. P. Ichino, Il decreto lavoro: un po’ poco per far festa). Invero, oggi, il salto di qualità dovrebbe essere concentrato sul ruolo delle parti sociali e della contrattazione collettiva, soprattutto aziendale o territoriale, nell’individuazione delle specifiche esigenze di apposizione del termine di durata superiore. Tutte da verificare saranno dunque le modalità e le tecniche di formulazione di dette clausole collettive, che dovranno essere opportunamente richiamate (e specificate, in aderenza alla condizione specifica del singolo caso concreto) sul piano della contrattualistica individuale. Qualche spunto lo si può già oggi rintracciare nei primissimi esercizi applicativi della delega di legge introdotta con la modifica dell’art. 19 intervenuta nel 2021. Si pensi, per il livello nazionale, al rinnovo del CCNL Cartai-cartotecnici del 28 luglio 2021 (su cui v. S. Rizzotti, Causali contratto a tempo determinato: l’opportunità colta dal CCNL Cartai Cartotecnici) come ad altri rinnovi di CCNL intervenuti lo scorso anno (sui quali vedi ADAPT, IX rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia (2022), in corso di pubblicazione, 11-13). Oppure alle ipotesi di contrattazione di prossimità maturata prima della modifica legislativa del 2021; intese che operavano nel senso di un adattamento e specificazione delle causali legali (vedi ADAPT, IX rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia (2022), in corso di pubblicazione, 276-277).

 

Altra cosa è invece ragionare sul tasso di copertura della contrattazione di livello aziendale e/o territoriale (si vedano, ad esempio, i dati riportati in L. Bordogna, R. Pedersini, Relazioni industriali. L’esperienza italiana nel contesto internazionale, il Mulino, 2019, 171-173), che – al fine di ricercare la più prossima specificità e comunque in assenza di previsioni di CCNL – rischia di depotenziare, almeno se sarà confermato il termine fissato, il rinvio stesso.

 

Un commento approfondito e di dettaglio sarà chiaramente praticabile solo una volta studiato con cura in tutte le sue implicazioni, anche indirette, il testo che uscirà anche dal percorso di conversione in legge. Quello che però appare evidente è che con la stabilizzazione del rinvio alla contrattazione collettiva qualificata di qualunque livello viene pienamente recuperato il più ampio principio della sussidiarietà e della regolazione di prossimità (largamente intesa), che significa però al tempo stesso assunzione di responsabilità da parte degli attori negoziali, pur nella consapevolezza del grado di possibile intervento del vaglio giudiziale (si vedano le riflessioni di M. Sacconi, Il mio canto libero – Giurisprudenza vs autonomia collettiva: chi produce il diritto vivente?).

 

Marco Menegotto

ADAPT Professional Fellow

@MarcoMenegotto

 

[1] «specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all’articolo 51»; lettera introdotta dall’art. 41-bis del decreto-legge n. 73/2021 (c.d. Sostegni bis).

 

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