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La contrattazione come strumento per la gestione di flussi migratori regolari e qualificati

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Bollettino ADAPT 1° luglio 2024, n. 26

 

La drammatica, inaccettabile morte di Satnam Singh, a seguito di un gravissimo infortunio sul lavoro nel mondo agricolo dell’Agro Pontino, ha scosso la coscienza dell’intero Paese.

Mentre è facile profetizzare che i riflettori mediatici sulle tragiche, scandalose e intollerabili condizioni in cui si trovano troppi lavoratori immigrati in Italia, non solo in quel settore e in quell’area geografica, le organizzazioni sindacali hanno il preciso dovere di mantenere alta l’attenzione e provare a costruire e a proporre contromisure efficaci e praticabili.

 
In questa sede non si intende discutere la necessità di un aumento dei controlli ispettivi e di sanzioni più incisive per il lavoro nero, lo sfruttamento e il caporalato: di questi temi, di assoluto rilievo, le organizzazioni sindacali possono essere portatrici e promotrici, ma la loro messa a terra dipende, pur sempre, da un intervento legislativo che renda norma effettiva la decisione.

Diverso è il caso nel quale le parti sociali hanno la possibilità di contribuire direttamente attraverso la contrattazione alla costruzione di canali di immigrazione legale e qualificata: infatti, ad esempio, nelle ultime settimane le parti sociali del settore della somministrazione di lavoro hanno cominciato a cimentarsi con l’applicazione pratica di un’opportunità offerta dal d.l. 20/2023, il cosiddetto “Decreto Cutro”.


L’art. 3 del suddetto testo legislativo, infatti, ha previsto la possibilità di ingresso, al di fuori delle quote dei decreti flussi, per i cittadini extracomunitari che completino un percorso formativo all’estero e siano, ovviamente, in possesso di un regolare contratto di lavoro.

Sulla scorta di tale disposizione relativa alla formazione, le parti sociali del settore della somministrazione di lavoro hanno sottoscritto i primi accordi relativi a percorsi formativi e professionali.

Le intese, che al momento riguardano lavoratori provenienti da Egitto e Filippine, si caratterizzano per alcuni punti qualificanti, nel tentativo di costruire un modello che porti benefici ai lavoratori, alle agenzie per il lavoro e all’intero sistema economico del nostro Paese.

 
In particolare, viene previsto il raggiungimento del livello A2 precedentemente all’ingresso in Italia, condizione migliorativa rispetto al livello A1 richiesto dalle linee guida del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (la diversa classificazione si riferisce al grado di apprendimento della lingua italiana).

Per quanto possa apparire quasi ovvio, di fronte all’ennesima morte sul lavoro in condizioni disumane, occorre ribadire ancora una volta che una comprensione accettabile della nostra lingua è presupposto indispensabile ed efficacissimo anticorpo nel costruire condizioni di lavoro dignitose e civili, con il pieno rispetto degli standard di sicurezza.

 
Proprio su questo aspetto, peraltro, gli accordi prevedono un preciso impegno, in seguito all’ingresso dei lavoratori sul suolo italiano, ad effettuare la formazione specifica con la massima celerità, certificandone successivamente l’effettivo svolgimento.

Inoltre, durante il percorso formativo precedente al trasferimento in Italia, sarà sempre assicurata la presenza di un mediatore culturale, nei casi in cui il team formativo appartenga ad una cultura differente rispetto a quella dei partecipanti.

Le agenzie per il lavoro si assumeranno, poi, l’intero costo del viaggio verso il nostro Paese e assicureranno ai lavoratori alloggi dignitosi, che saranno gratuiti per alcuni mesi.

 
Nei testi viene affrontato anche il fondamentale tema della continuità occupazionale: sarebbe paradossale, infatti, se persone coinvolte in questo percorso si trovassero, alla scadenza del proprio contratto o per qualunque altro motivo, ad aver perso il proprio titolo di residenza in Italia.

In questo senso, le agenzie per il lavoro coinvolte si sono impegnate a garantire una congrua durata dei contratti offerti e, soprattutto, a ricollocare i lavoratori altrove, nel caso in cui l’azienda utilizzatrice originaria non procedesse, al termine della somministrazione, all’assunzione diretta.

Tale ricollocazione potrà avvenire anche utilizzando gli strumenti offerti dal CCNL di settore e, in particolare, dagli articoli 25 e 32, che prevedono una indennità economica per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato in somministrazione posti in una condizione di nuova disponibilità al lavoro e la definizione di una procedura per mancanza di occasioni di lavoro, ovvero una serie di azioni e di politiche attive finalizzate a ricollocare i lavoratori.

 
Nella stessa direzione è stato previsto l’obbligo di dare notizia alle organizzazioni sindacali di tutte le situazioni (scadenza contrattuale, dimissioni, licenziamento ecc.) che possano portare al termine dell’esperienza professionale e possa mettere a rischio la permanenza legale del lavoratore in Italia.

Tutti gli accordi prevedono monitoraggi, effettuati congiuntamente dalle agenzie per il lavoro e dalle parti sindacali, in modo da verificare l’andamento dei progetti e i relativi risultati.
 
Di fronte al caporalato, allo sfruttamento e a morti come quella di Satnam Singh, il sindacato ha il dovere di alzare la voce, di denunciare e chiedere condizioni di lavoro degne.

Noi crediamo, però, che al sindacato competa anche il gravoso compito di provare a costruire, per mezzo della contrattazione e del dialogo sociale, un modello partecipativo che lo veda pienamente protagonista.

 

Daniel Zanda

Segretario Generale FeLSA CISL

@daniel_zanda

Contratti a termine: più fiducia nella contrattazione

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Bollettino speciale ADAPT 4 maggio 2023 n. 2

 

Come ormai noto anche ai non addetti ai lavori, nel c.d. “decreto lavoro” (ne riassume i contenuti F. Lombardo, Decreto lavoro: una lettura d’insieme del provvedimento) approvato nel tanto discusso (vedi F. Nespoli, Il Decreto lavoro e il Primo maggio della discordia) Consiglio dei Ministri del 1° maggio, ha trovato spazio la tanto annunciata riforma dei rapporti di lavoro a termine.

 

Rispetto alle prime bozze circolate nelle scorse settimane – che già nell’immediato avevano suscitato un dibattito tecnico e di opportunità (sul quale v. M. Tiraboschi, Lavoro a termine e certificazione delle causali: davvero una buona soluzione?) sull’originario rinvio alle commissioni di certificazione per la validazione delle «specifiche esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva» in assenza di intervento della contrattazione collettiva – già dal comunicato stampa di Palazzo Chigi e dalle ultimissime bozze in circolazione si possono cogliere alcune differenze – che delineano un impianto del nuovo sistema dei rapporti a termine, anche mediante somministrazione di lavoro, riassumibile nei termini che seguono.

 

Ferma restando la possibilità di stipulare o prorogare liberamente rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato, anche per il tramite della somministrazione di lavoro, entro i 12 mesi, nel caso di proroga che determinerà la prosecuzione oltre tale primo limite e comunque entro i 24 mesi, come anche assunzione della durata superiore ai 12 mesi o, infine, di rinnovo, sarà necessaria la sussistenza di una delle condizioni previste nel riformato art. 19, comma 1, decreto legislativo n. 81/2015.

 

In particolare, oltre alla più semplice e ricorrente esigenza sostitutiva di altri lavoratori in forza e assenti a qualunque titolo (anche senza obbligo di conservazione del posto), il Governo – riprendendo e di fatto generalizzando l’esperienza introdotta nella scorsa Legislatura (nel vigente art. 19, comma 1, lett. b-bis)[1]) – ha optato per un rinvio pieno alla contrattazione collettiva qualificata ex art. 51 decreto legislativo n. 81/2015. Saranno dunque i contratti collettivi nazionali, aziendali o territoriali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o dalle loro RSA/RSU, ad individuare le esigenze a fronte delle quali poter prolungare oltre i 12 mesi i rapporti a termine, o procedere al loro rinnovo.

 

Infine, nell’ipotesi di mancato esercizio della delega di legge da parte della contrattazione collettiva applicabile, il decreto prevede la facoltà di apposizione di una causale a livello individuale, sussistendo «esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva». Tale facoltà sarebbe ammessa in ogni caso entro il 30 aprile 2024, quasi nella consapevolezza della difficoltà di recepimento da parte della contrattazione collettiva delle varie riforme legislative (sul difficile coordinamento tra legge e contrattazione collettiva ed il ritmo delle riforme su esso impattanti, vedi M. Tiraboschi, Per uno studio della contrattazione collettiva, ADAPT University Press, 2021, 94-97).

 

Risulta invece abbandonato l’originario rinvio alle sedi di certificazione ex artt. 75 e ss. decreto legislativo n. 276/2003. Tale termine dovrebbe essere riferibile al momento di stipula della proroga o del rinnovo, potendo l’atto dispiegare i suoi effetti anche oltre il 2024 (si veda, su disposizione analoga, Nota INL del 16/09/2020).

 

L’impianto così delineato sembra riecheggiare le formulazioni della disciplina d’inizio Millennio, con l’indiretto richiamo al “causalone” del decreto legislativo n. 368/2001 ed al connesso rischio di riattivazione del contenzioso giudiziale (sul punto v. P. Ichino, Il decreto lavoro: un po’ poco per far festa). Invero, oggi, il salto di qualità dovrebbe essere concentrato sul ruolo delle parti sociali e della contrattazione collettiva, soprattutto aziendale o territoriale, nell’individuazione delle specifiche esigenze di apposizione del termine di durata superiore. Tutte da verificare saranno dunque le modalità e le tecniche di formulazione di dette clausole collettive, che dovranno essere opportunamente richiamate (e specificate, in aderenza alla condizione specifica del singolo caso concreto) sul piano della contrattualistica individuale. Qualche spunto lo si può già oggi rintracciare nei primissimi esercizi applicativi della delega di legge introdotta con la modifica dell’art. 19 intervenuta nel 2021. Si pensi, per il livello nazionale, al rinnovo del CCNL Cartai-cartotecnici del 28 luglio 2021 (su cui v. S. Rizzotti, Causali contratto a tempo determinato: l’opportunità colta dal CCNL Cartai Cartotecnici) come ad altri rinnovi di CCNL intervenuti lo scorso anno (sui quali vedi ADAPT, IX rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia (2022), in corso di pubblicazione, 11-13). Oppure alle ipotesi di contrattazione di prossimità maturata prima della modifica legislativa del 2021; intese che operavano nel senso di un adattamento e specificazione delle causali legali (vedi ADAPT, IX rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia (2022), in corso di pubblicazione, 276-277).

 

Altra cosa è invece ragionare sul tasso di copertura della contrattazione di livello aziendale e/o territoriale (si vedano, ad esempio, i dati riportati in L. Bordogna, R. Pedersini, Relazioni industriali. L’esperienza italiana nel contesto internazionale, il Mulino, 2019, 171-173), che – al fine di ricercare la più prossima specificità e comunque in assenza di previsioni di CCNL – rischia di depotenziare, almeno se sarà confermato il termine fissato, il rinvio stesso.

 

Un commento approfondito e di dettaglio sarà chiaramente praticabile solo una volta studiato con cura in tutte le sue implicazioni, anche indirette, il testo che uscirà anche dal percorso di conversione in legge. Quello che però appare evidente è che con la stabilizzazione del rinvio alla contrattazione collettiva qualificata di qualunque livello viene pienamente recuperato il più ampio principio della sussidiarietà e della regolazione di prossimità (largamente intesa), che significa però al tempo stesso assunzione di responsabilità da parte degli attori negoziali, pur nella consapevolezza del grado di possibile intervento del vaglio giudiziale (si vedano le riflessioni di M. Sacconi, Il mio canto libero – Giurisprudenza vs autonomia collettiva: chi produce il diritto vivente?).

 

Marco Menegotto

ADAPT Professional Fellow

@MarcoMenegotto

 

[1] «specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all’articolo 51»; lettera introdotta dall’art. 41-bis del decreto-legge n. 73/2021 (c.d. Sostegni bis).