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Il Quarto rapporto FDV-CGIL sulla contrattazione di secondo livello: da strumento di analisi dei contratti a risorsa di innovazione organizzativa

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Bollettino ADAPT 30 settembre 2024, n. 34

 

A poco più di due anni dall’ultima edizione, lo scorso 17 settembre è stato presentato (qui i video della presentazione: https://www.bollettinoadapt.it/presentazione-del-iv-rapporto-sulla-contrattazione-di-ii-livello/) e poi pubblicato il Quarto rapporto sulla contrattazione di secondo livello, frutto della collaborazione tra l’area Politiche contrattuali della CGIL e la Fondazione Di Vittorio (FDV).

 

Pur mantenendo una struttura fedele alle precedenti edizioni, questo rapporto potenzia la dimensione qualitativa nello studio della contrattazione aziendale con affondi interessanti in particolare sulle procedure partecipative, le misure per la conciliazione vita-lavoro e le pari opportunità e la gestione delle cosiddette “transizioni gemelle” (digitale e ambientale), dove alcune clausole contrattuali vengono descritte e valutate anche in relazione all’assetto legislativo. È però l’analisi quantitativa l’elemento di maggior forza del rapporto FDV-CGIL, non solo per le tante variabili misurate ma anche per la capacità di metterle in relazione le une con le altre (come nella valutazione della frequenza di un certo tema rispetto ai settori merceologici di afferenza dei contratti o alla classe dimensionale aziendale) e di fornire una valutazione longitudinale. Oltre all’ampiezza e profondità temporale dell’analisi quantitativa, è possibile apprezzare anche una certa flessibilità, nella misura in cui vengono inserite voci inedite nei casi in cui lo richieda l’osservazione stessa della prassi contrattuale (come dimostra, ad esempio, l’approfondimento sui contenuti della bilateralità negoziata nella contrattazione territoriale).

 

Obiettivi e campione dell’indagine

 

Un ulteriore aspetto di novità di questo ultimo rapporto riguarda la prospettiva analitica e progettuale entro cui è inserito e realizzato. Diversamente dalle prime tre edizioni, il Quarto rapporto affianca all’obiettivo tradizionale di una valutazione qualitativa e quantitativa dell’azione contrattuale, un più ampio progetto di innovazione organizzativa della confederazione sindacale: l’evoluzione tecnologica dell’archivio della contrattazione di secondo livello (attualmente in corso) e l’analisi biennale dei relativi accordi sono infatti messe in relazione alla necessità di una rilevazione puntuale dei dati sul tesseramento e sulla rappresentanza sindacale in azienda (attingendo tanto al sistema informatico della CGIL, su cui si sta investendo, quanto alle strumentazioni di enti esterni, come l’INPS), nella prospettiva di una maggiore integrazione tra le sfere d’intervento della rappresentanza e della contrattazione.

 

Elementi di criticità nel raggiungimento di questo obiettivo restano tuttavia la mancanza di un archivio pubblico dei contratti di secondo livello e le difficoltà di reperimento dei contratti e di costruzione di campioni statisticamente rappresentativi. Circostanze ben note al gruppo di ricerca della CGIL, che per il Quarto rapporto ha costruito un campione (non probabilistico) di 1.924 accordi (202 di livello regionale, provinciale e di sito, 1.697 di livello aziendale e 25 di altra natura) sottoscritti nel triennio 2021-2023, e reperiti attraverso la ricerca nei siti delle sigle sindacali firmatarie e il contatto con le segreterie di riferimento. Il campione non contiene la totalità degli accordi raccolti ma ne rappresenta una selezione ragionata, cercando di bilanciare (con modalità che tuttavia non sono dettagliate nel documento) le federazioni firmatarie e le aree geografiche di afferenza.

 

Struttura del rapporto e dimensioni analitiche

 

Analogamente ai precedenti rapporti, anche questa pubblicazione è strutturata in quattro capitoli principali: il primo ospita una descrizione delle caratteristiche del campione di accordi; il secondo è dedicato agli aspetti generali e ai contenuti degli accordi territoriali; il terzo approfondisce le caratteristiche delle aziende firmatarie degli accordi selezionati; e il quarto si concentra sui contenuti della contrattazione aziendale, con l’aggiunta di focus specifici su temi come la partecipazione, le azioni contrattuali per far fronte all’inflazione, le misure di conciliazione vita-lavoro, le pari opportunità, e le transizioni “gemelle” (digitale e ambientale).

 

Tra le variabili prese in considerazione nell’analisi dei contratti collettivi, si elencano: l’anno di sottoscrizione, la durata, la tipologia di accordo, il livello di sottoscrizione, l’area geografica di afferenza, il luogo di firma, le parti firmatarie, il settore merceologico e le aree tematiche trattate. Per quanto riguarda il settore merceologico, esso è determinato tenendo conto della categoria sindacale firmataria, del codice ATECO associato all’azienda, nonché, qualora mancassero le informazioni precedenti, anche del contratto nazionale applicato. Ne risulta una classificazione in 13 settori merceologici che riprende in larga parte quella adottata dal CNEL, con una differenza in particolare: la voce “Altri” è stata tolta, mentre è stata aggiunta la categoria “Enti o istituzioni pubbliche”. Con riferimento, invece, alle aree tematiche, a seguito di un confronto con gli schemi adottati nei rapporti OCSEL (della CISL), ADAPT e CNEL e dell’osservazione della prassi contrattuale, è stata elaborata una griglia composta da 11 aree tematiche (Relazioni e diritti sindacali; Trattamento economico; Orario di lavoro; Organizzazione del lavoro; Inquadramento e formazione; Occupazione e rapporto di lavoro; Ambiente, salute e sicurezza; Welfare integrativo; Diritti e prestazioni sociali; Politiche industriali e crisi aziendali), ciascuna delle quali si articola in ulteriori norme/voci specifiche.

 

Per la costruzione del terzo capitolo, è stata realizzata una matrice leggermente diversa avente come base le aziende firmatarie anziché gli accordi. Tra le dimensioni analitiche considerate in questo caso ci sono: il tipo di società, la nazionalità, la ripartizione geografica, il settore merceologico, il numero di lavoratori, la classe dimensionale, il fatturato annuo, e le aree tematiche trattate. Alcune di queste informazioni sono state ricavate dalla banca dati Aida (Analisi Informatizzata delle Aziende Italiane) distribuita da Bureau van Dijk.

 

Contenuti ed evidenze

 

Nel primo capitolo, si dà conto delle caratteristiche del campione di accordi (territoriali, aziendali e di altra natura) selezionati. In particolare, si denota una maggiore concentrazione di accordi sottoscritti nel 2021, su cui del resto ci si era già in parte concentrati nel Terzo rapporto, e una quota minore di accordi conclusi nel 2023, che presumibilmente saranno oggetto anche del Quinto rapporto[1]. Inoltre, vi è un’ampissima incidenza di accordi dal perimetro multiterritoriale/nazionale, dovuto alla presenza sia di intese sottoscritte da grandi gruppi aziendali (soprattutto nel credito, nel settore energetico e nel terziario cooperativo) che di protocolli nazionali di secondo livello. Mettendo a confronto l’area geografica di afferenza dei contratti con il luogo di sottoscrizione, non si ottengono informazioni del tutto coincidenti. Infatti, se da un lato, l’area geografica su cui incide la gran parte di accordi è il Nord Italia (soprattutto per la concentrazione sulle regioni Emilia-Romagna e Lombardia), molti accordi risultano sottoscritti anche nel Lazio e telematicamente. Di rilievo inoltre è il fatto che solo il 4,4% degli accordi aziendali analizzato è firmato da RSU/RSA senza l’assistenza delle organizzazioni sindacali, nonostante la titolarità negoziale attribuita alle rappresentanze sindacali da diversi accordi interconfederali. Il settore merceologico maggiormente rappresentato è quello delle aziende di servizi (che include realtà dei settori elettrico, gas e acqua, delle telecomunicazioni, del facility management e dei servizi integrati), seguito dalla meccanica e dai trasporti. Con riferimento invece alle aree tematiche trattate, confrontando i dati di tutti e quattro i rapporti FDV-CGIL, i ricercatori rilevano: una frequenza piuttosto costante di temi come l’orario di lavoro, l’inquadramento e la formazione e l’occupazione e i rapporti di lavoro; l’ascesa delle aree afferenti al welfare integrativo e ai diritti e prestazioni sociali, così come di quelle connesse all’organizzazione del lavoro e alla salute e sicurezza, presumibilmente anche per l’impatto della pandemia da Covid-19; e nell’ultimo triennio, con il superamento del periodo emergenziale, l’importante ripresa della contrattazione sul trattamento economico.

 

Nel primo capitolo è inoltre contenuto un paragrafo dedicato al confronto tra i principali dati a disposizione sulla copertura della contrattazione di secondo livello. Attingendo alle più recenti rilevazioni del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (con riferimento alla contrattazione sui premi di risultato), e ai dati forniti da ISTAT e INAPP, si rileva il perdurare di una copertura limitata della contrattazione di secondo livello, nonostante gli incentivi fiscali e contributivi predisposti negli ultimi anni, che non avrebbero infatti impedito le attuali criticità sul fronte della dinamica salariale e della produttività.

 

Con riferimento alla contrattazione territoriale, su cui ci si concentra nel secondo capitolo, si registra una distribuzione geografica maggiormente omogenea, grazie alla presenza di molti rinnovi del settore agricolo ed edile in territori meridionali. Proprio i comparti agricolo ed edile risultano quelli maggiormente rappresentati, per via della stagione dei rinnovi provinciali condotta rispettivamente nel 2021 e nel 2023. Le aree tematiche più trattate sono invece relative alle relazioni industriali (soprattutto per la contrattazione sulla bilateralità) e al trattamento economico (per la presenza di elementi retributivi sia fissi che variabili). Altri temi ricorrenti sono l’occupazione e i rapporti di lavoro (considerata l’incidenza di clausole sulle tipologie contrattuali, assunzioni e gestione degli appalti) e il welfare. Chiude il secondo capitolo un approfondimento sui 25 accordi di altra natura, non classificabili né come aziendali, né come territoriali, configurando perlopiù protocolli interconfederali, accordi nazionali di secondo livello e dichiarazioni congiunte.

 

Il terzo capitolo sintetizza le principali caratteristiche delle 896 realtà firmatarie dei contratti aziendali analizzati. Nello specifico, si riporta una considerevole concentrazione di aziende nella manifattura, nonostante una buona copertura anche delle aziende di servizi (in particolare, quelle del settore energetico e della distribuzione di gas e acqua) e dei trasporti. Usando la piattaforma Aida – Bureau van Dijk, è possibile per il gruppo di ricerca della CGIL risalire al numero di addetti di 854 aziende firmatarie (restano fuori le realtà del settore pubblico e quelle classificate in “Altro” per cui l’informazione non è disponibile). Complessivamente, si tratta di circa 1.247.848 lavoratori che secondo il rapporto, sarebbero interessati dagli accordi aziendali, anche se non è chiaro se e come questo dato tenga conto di quegli accordi che non coprono intere aziende o gruppi ma singole unità produttive (114 secondo quanto scritto nel primo capitolo). Con riferimento, invece, al fatturato, il dato è ricavabile solo per 791 aziende e ammonta complessivamente a 238.767.134 euro: un numero piuttosto elevato, data la concentrazione di grandi gruppi industriali nel campione considerato. Infine, relativamente alle aree tematiche, relazioni e diritti sindacali ricorrono nel 70% dei contratti sottoscritti dalle imprese con 1.000 o più addetti e in oltre il 50% dei contratti delle realtà medie e medio-grandi; le percentuali scendono invece sensibilmente se si considerano le imprese più piccole. In generale, la contrattazione nelle imprese più grandi si caratterizza per un elevato grado di variabilità dei temi trattati, mentre gli accordi firmati nelle realtà di più piccole dimensioni si concentrano soprattutto sul trattamento economico e sull’orario di lavoro. A questo proposito, va anche considerato che la presenza di più di un accordo sottoscritto nel triennio analizzato da molte delle imprese di grandi dimensioni impatta sulla relativa frequenza e variabilità dei temi trattati.

 

Il quarto capitolo, infine, approfondisce i temi trattati nella contrattazione aziendale. Nel dettaglio, il trattamento economico è la materia di gran lunga più negoziata (51,2%) nel triennio 2021-2023, seguita da relazioni e diritti sindacali (39%), orario di lavoro (34,6%), organizzazione del lavoro (32,9%) e welfare integrativo (30,5%). Scendono sotto al 30% dei contratti aziendali, i temi relativi all’inquadramento e formazione (29,5%), ai diritti e prestazioni sociali (24,3%), all’occupazione e rapporto di lavoro (23,3%), alle politiche industriali e crisi di impresa (20,8%) e all’ambiente, salute e sicurezza (17,2%). Per ogni macro-area tematica, sono fornite maggiori informazioni rispetto agli specifici istituti contrattati, la relativa frequenza nei singoli anni considerati nel Quarto rapporto (anche nel confronto con le annualità precedentemente mappate), e le interazioni con altre norme contrattuali e dimensioni analitiche, come il settore merceologico e la classe dimensionale aziendale. Tra le risultanze del capitolo si possono annoverare: l’incidenza dell’esame congiunto come procedura partecipativa (15,4%) e il calo delle commissioni paritetiche rispetto alla frequenza registrata dal precedente rapporto (passando dal 12% al 6,2% degli accordi aziendali), che del resto riguardava anche gli anni dedicati alla gestione della pandemia; la crescita, nel triennio di osservazione, della contrattazione sulla retribuzione variabile, dal 27,9% degli accordi nel 2021 al 52,8% di quelli del 2023, e la relativa concentrazione nel settore manifatturiero; dal 2021 al 2023, il raddoppio dei casi in cui è contrattato un importo retributivo fisso (dal 9,3% al 20,3% degli accordi), presumibilmente in risposta alla spinta inflazionistica; l’importo medio del premio di risultato contrattato nel triennio 2021-2023 pari a 1.692 euro, in aumento rispetto ai rapporti precedenti, ancorché in larga parte legato a obiettivi tradizionali di produttività e redditività, con un ricorso sempre maggiore alla riparametrazione del premio sulla base della presenza al lavoro; l’evoluzione quantitativa e qualitativa della contrattazione aziendale sullo smartworking, che oggi interessa il 19% degli accordi aziendali (rispetto al 7% degli accordi analizzati nel triennio 2017-2019) e vanta una disciplina sempre più articolata (comprendente, ad esempio, il diritto alla disconnessione, la formazione per i lavoratori interessati, la protezione dei dati sensibili, ecc.); l’incidenza della formazione professionale e della formazione all’innovazione nei contratti aziendali analizzati e la contestuale marginalità delle previsioni su inquadramento e mansioni; l’aumento delle misure di welfare integrativo (che nell’accezione del rapporto include sia forme di assistenza sanitaria e previdenziale integrativa che di welfare aziendale per come definito dagli artt. 51 e 100 del TUIR) e di welfarizzazione del premio di risultato, che passano complessivamente dal 24,6% nel 2021 al 42,7% nel 2023; la contrattazione su diritti e prestazioni sociali particolarmente importante nei contratti aziendali del terziario; e la crescita delle misure di flessibilità oraria, dal 17% degli accordi aziendali analizzati nel precedente rapporto al 28% dell’attuale.

 

Ilaria Armaroli

Ricercatrice ADAPT Senior fellow

@ilaria_armaroli

 

[1] Dato che i rapporti FDV-CGIL vengono pubblicati ogni due anni analizzando però un triennio di contrattazione, alcune annualità sono considerate in due diversi rapporti.

La contrattazione come strumento per la gestione di flussi migratori regolari e qualificati

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Bollettino ADAPT 1° luglio 2024, n. 26

 

La drammatica, inaccettabile morte di Satnam Singh, a seguito di un gravissimo infortunio sul lavoro nel mondo agricolo dell’Agro Pontino, ha scosso la coscienza dell’intero Paese.

Mentre è facile profetizzare che i riflettori mediatici sulle tragiche, scandalose e intollerabili condizioni in cui si trovano troppi lavoratori immigrati in Italia, non solo in quel settore e in quell’area geografica, le organizzazioni sindacali hanno il preciso dovere di mantenere alta l’attenzione e provare a costruire e a proporre contromisure efficaci e praticabili.

 
In questa sede non si intende discutere la necessità di un aumento dei controlli ispettivi e di sanzioni più incisive per il lavoro nero, lo sfruttamento e il caporalato: di questi temi, di assoluto rilievo, le organizzazioni sindacali possono essere portatrici e promotrici, ma la loro messa a terra dipende, pur sempre, da un intervento legislativo che renda norma effettiva la decisione.

Diverso è il caso nel quale le parti sociali hanno la possibilità di contribuire direttamente attraverso la contrattazione alla costruzione di canali di immigrazione legale e qualificata: infatti, ad esempio, nelle ultime settimane le parti sociali del settore della somministrazione di lavoro hanno cominciato a cimentarsi con l’applicazione pratica di un’opportunità offerta dal d.l. 20/2023, il cosiddetto “Decreto Cutro”.


L’art. 3 del suddetto testo legislativo, infatti, ha previsto la possibilità di ingresso, al di fuori delle quote dei decreti flussi, per i cittadini extracomunitari che completino un percorso formativo all’estero e siano, ovviamente, in possesso di un regolare contratto di lavoro.

Sulla scorta di tale disposizione relativa alla formazione, le parti sociali del settore della somministrazione di lavoro hanno sottoscritto i primi accordi relativi a percorsi formativi e professionali.

Le intese, che al momento riguardano lavoratori provenienti da Egitto e Filippine, si caratterizzano per alcuni punti qualificanti, nel tentativo di costruire un modello che porti benefici ai lavoratori, alle agenzie per il lavoro e all’intero sistema economico del nostro Paese.

 
In particolare, viene previsto il raggiungimento del livello A2 precedentemente all’ingresso in Italia, condizione migliorativa rispetto al livello A1 richiesto dalle linee guida del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (la diversa classificazione si riferisce al grado di apprendimento della lingua italiana).

Per quanto possa apparire quasi ovvio, di fronte all’ennesima morte sul lavoro in condizioni disumane, occorre ribadire ancora una volta che una comprensione accettabile della nostra lingua è presupposto indispensabile ed efficacissimo anticorpo nel costruire condizioni di lavoro dignitose e civili, con il pieno rispetto degli standard di sicurezza.

 
Proprio su questo aspetto, peraltro, gli accordi prevedono un preciso impegno, in seguito all’ingresso dei lavoratori sul suolo italiano, ad effettuare la formazione specifica con la massima celerità, certificandone successivamente l’effettivo svolgimento.

Inoltre, durante il percorso formativo precedente al trasferimento in Italia, sarà sempre assicurata la presenza di un mediatore culturale, nei casi in cui il team formativo appartenga ad una cultura differente rispetto a quella dei partecipanti.

Le agenzie per il lavoro si assumeranno, poi, l’intero costo del viaggio verso il nostro Paese e assicureranno ai lavoratori alloggi dignitosi, che saranno gratuiti per alcuni mesi.

 
Nei testi viene affrontato anche il fondamentale tema della continuità occupazionale: sarebbe paradossale, infatti, se persone coinvolte in questo percorso si trovassero, alla scadenza del proprio contratto o per qualunque altro motivo, ad aver perso il proprio titolo di residenza in Italia.

In questo senso, le agenzie per il lavoro coinvolte si sono impegnate a garantire una congrua durata dei contratti offerti e, soprattutto, a ricollocare i lavoratori altrove, nel caso in cui l’azienda utilizzatrice originaria non procedesse, al termine della somministrazione, all’assunzione diretta.

Tale ricollocazione potrà avvenire anche utilizzando gli strumenti offerti dal CCNL di settore e, in particolare, dagli articoli 25 e 32, che prevedono una indennità economica per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato in somministrazione posti in una condizione di nuova disponibilità al lavoro e la definizione di una procedura per mancanza di occasioni di lavoro, ovvero una serie di azioni e di politiche attive finalizzate a ricollocare i lavoratori.

 
Nella stessa direzione è stato previsto l’obbligo di dare notizia alle organizzazioni sindacali di tutte le situazioni (scadenza contrattuale, dimissioni, licenziamento ecc.) che possano portare al termine dell’esperienza professionale e possa mettere a rischio la permanenza legale del lavoratore in Italia.

Tutti gli accordi prevedono monitoraggi, effettuati congiuntamente dalle agenzie per il lavoro e dalle parti sindacali, in modo da verificare l’andamento dei progetti e i relativi risultati.
 
Di fronte al caporalato, allo sfruttamento e a morti come quella di Satnam Singh, il sindacato ha il dovere di alzare la voce, di denunciare e chiedere condizioni di lavoro degne.

Noi crediamo, però, che al sindacato competa anche il gravoso compito di provare a costruire, per mezzo della contrattazione e del dialogo sociale, un modello partecipativo che lo veda pienamente protagonista.

 

Daniel Zanda

Segretario Generale FeLSA CISL

@daniel_zanda

Contratti a termine: più fiducia nella contrattazione

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Bollettino speciale ADAPT 4 maggio 2023 n. 2

 

Come ormai noto anche ai non addetti ai lavori, nel c.d. “decreto lavoro” (ne riassume i contenuti F. Lombardo, Decreto lavoro: una lettura d’insieme del provvedimento) approvato nel tanto discusso (vedi F. Nespoli, Il Decreto lavoro e il Primo maggio della discordia) Consiglio dei Ministri del 1° maggio, ha trovato spazio la tanto annunciata riforma dei rapporti di lavoro a termine.

 

Rispetto alle prime bozze circolate nelle scorse settimane – che già nell’immediato avevano suscitato un dibattito tecnico e di opportunità (sul quale v. M. Tiraboschi, Lavoro a termine e certificazione delle causali: davvero una buona soluzione?) sull’originario rinvio alle commissioni di certificazione per la validazione delle «specifiche esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva» in assenza di intervento della contrattazione collettiva – già dal comunicato stampa di Palazzo Chigi e dalle ultimissime bozze in circolazione si possono cogliere alcune differenze – che delineano un impianto del nuovo sistema dei rapporti a termine, anche mediante somministrazione di lavoro, riassumibile nei termini che seguono.

 

Ferma restando la possibilità di stipulare o prorogare liberamente rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato, anche per il tramite della somministrazione di lavoro, entro i 12 mesi, nel caso di proroga che determinerà la prosecuzione oltre tale primo limite e comunque entro i 24 mesi, come anche assunzione della durata superiore ai 12 mesi o, infine, di rinnovo, sarà necessaria la sussistenza di una delle condizioni previste nel riformato art. 19, comma 1, decreto legislativo n. 81/2015.

 

In particolare, oltre alla più semplice e ricorrente esigenza sostitutiva di altri lavoratori in forza e assenti a qualunque titolo (anche senza obbligo di conservazione del posto), il Governo – riprendendo e di fatto generalizzando l’esperienza introdotta nella scorsa Legislatura (nel vigente art. 19, comma 1, lett. b-bis)[1]) – ha optato per un rinvio pieno alla contrattazione collettiva qualificata ex art. 51 decreto legislativo n. 81/2015. Saranno dunque i contratti collettivi nazionali, aziendali o territoriali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o dalle loro RSA/RSU, ad individuare le esigenze a fronte delle quali poter prolungare oltre i 12 mesi i rapporti a termine, o procedere al loro rinnovo.

 

Infine, nell’ipotesi di mancato esercizio della delega di legge da parte della contrattazione collettiva applicabile, il decreto prevede la facoltà di apposizione di una causale a livello individuale, sussistendo «esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva». Tale facoltà sarebbe ammessa in ogni caso entro il 30 aprile 2024, quasi nella consapevolezza della difficoltà di recepimento da parte della contrattazione collettiva delle varie riforme legislative (sul difficile coordinamento tra legge e contrattazione collettiva ed il ritmo delle riforme su esso impattanti, vedi M. Tiraboschi, Per uno studio della contrattazione collettiva, ADAPT University Press, 2021, 94-97).

 

Risulta invece abbandonato l’originario rinvio alle sedi di certificazione ex artt. 75 e ss. decreto legislativo n. 276/2003. Tale termine dovrebbe essere riferibile al momento di stipula della proroga o del rinnovo, potendo l’atto dispiegare i suoi effetti anche oltre il 2024 (si veda, su disposizione analoga, Nota INL del 16/09/2020).

 

L’impianto così delineato sembra riecheggiare le formulazioni della disciplina d’inizio Millennio, con l’indiretto richiamo al “causalone” del decreto legislativo n. 368/2001 ed al connesso rischio di riattivazione del contenzioso giudiziale (sul punto v. P. Ichino, Il decreto lavoro: un po’ poco per far festa). Invero, oggi, il salto di qualità dovrebbe essere concentrato sul ruolo delle parti sociali e della contrattazione collettiva, soprattutto aziendale o territoriale, nell’individuazione delle specifiche esigenze di apposizione del termine di durata superiore. Tutte da verificare saranno dunque le modalità e le tecniche di formulazione di dette clausole collettive, che dovranno essere opportunamente richiamate (e specificate, in aderenza alla condizione specifica del singolo caso concreto) sul piano della contrattualistica individuale. Qualche spunto lo si può già oggi rintracciare nei primissimi esercizi applicativi della delega di legge introdotta con la modifica dell’art. 19 intervenuta nel 2021. Si pensi, per il livello nazionale, al rinnovo del CCNL Cartai-cartotecnici del 28 luglio 2021 (su cui v. S. Rizzotti, Causali contratto a tempo determinato: l’opportunità colta dal CCNL Cartai Cartotecnici) come ad altri rinnovi di CCNL intervenuti lo scorso anno (sui quali vedi ADAPT, IX rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia (2022), in corso di pubblicazione, 11-13). Oppure alle ipotesi di contrattazione di prossimità maturata prima della modifica legislativa del 2021; intese che operavano nel senso di un adattamento e specificazione delle causali legali (vedi ADAPT, IX rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia (2022), in corso di pubblicazione, 276-277).

 

Altra cosa è invece ragionare sul tasso di copertura della contrattazione di livello aziendale e/o territoriale (si vedano, ad esempio, i dati riportati in L. Bordogna, R. Pedersini, Relazioni industriali. L’esperienza italiana nel contesto internazionale, il Mulino, 2019, 171-173), che – al fine di ricercare la più prossima specificità e comunque in assenza di previsioni di CCNL – rischia di depotenziare, almeno se sarà confermato il termine fissato, il rinvio stesso.

 

Un commento approfondito e di dettaglio sarà chiaramente praticabile solo una volta studiato con cura in tutte le sue implicazioni, anche indirette, il testo che uscirà anche dal percorso di conversione in legge. Quello che però appare evidente è che con la stabilizzazione del rinvio alla contrattazione collettiva qualificata di qualunque livello viene pienamente recuperato il più ampio principio della sussidiarietà e della regolazione di prossimità (largamente intesa), che significa però al tempo stesso assunzione di responsabilità da parte degli attori negoziali, pur nella consapevolezza del grado di possibile intervento del vaglio giudiziale (si vedano le riflessioni di M. Sacconi, Il mio canto libero – Giurisprudenza vs autonomia collettiva: chi produce il diritto vivente?).

 

Marco Menegotto

ADAPT Professional Fellow

@MarcoMenegotto

 

[1] «specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all’articolo 51»; lettera introdotta dall’art. 41-bis del decreto-legge n. 73/2021 (c.d. Sostegni bis).