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Le conciliazioni in sede sindacale tra “formalismi”, oneri probatori e contrattazione collettiva

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Bollettino ADAPT 2 dicembre 2024 n. 43

 

Non sono passate di certo inosservate le recenti pronunce della Corte di Cassazione riguardanti i presupposti affinché una conciliazione esperita in sede sindacale possa sortire gli effetti previsti dall’art. 2113, comma 4 cod. civ. e cioè l’inoppugnabilità delle rinunce e delle transazioni concordate dalle parti. I nuovi approdi giurisprudenziali, infatti, stanno facendo discutere tutti gli attori coinvolti nei processi di negoziazione dei c.d. verbali tombali, cioè quegli accordi in cui le parti del rapporto di lavoro dirimono in via definitiva ogni lite in occasione della relativa cessazione.

 

Con ordinanza 18 gennaio 2024, n. 1975, la Corte di Cassazione ha ritenuto che non sia necessario che la conciliazione sia sottoscritta presso una sede sindacale intesa nella sua dimensione “materiale”, essendo piuttosto sufficiente che il lavoratore (o la lavoratrice) sia pienamente informato e reso consapevole da un sindacalista circa le conseguenze giuridiche derivanti dalla sottoscrizione dell’accordo. In altri termini, ciò che è essenziale, ai fini della validità di una conciliazione in sede sindacale e della produzione degli effetti previsti dall’art. 2113, comma 4 cod. civ., è che il sindacalista aiuti il lavoratore a comprendere e valutare la convenienza dell’accordo rispetto all’oggetto della lite, accertandosi che la sua volontà non sia stata coartata o condizionata (anche) dal datore di lavoro. In tale quadro, nell’ordinanza la Corte precisa che la sede sindacale nella sua accezione fisico-topografica non rappresenterebbe un requisito formale ma solo “funzionale” ad assicurare al lavoratore l’esercizio di un libero convincimento, senza alcun condizionamento (cfr. punto 5 dell’ordinanza). Se, però, il lavoratore ha effettivamente ricevuto una adeguata assistenza sindacale, il fatto che poi l’accordo sia stato sottoscritto presso la sede aziendale (nel caso di specie, uno studio oculistico) non rileva, con conseguente idoneità dell’accordo a produrre l’effetto dell’inoppugnabilità previsto dall’art. 2113, comma 4 cod. civ.

 

Sennonché, qualche mese dopo, la Suprema Corte è ritornata sulla questione: nella ordinanza 15 aprile 2024, n. 10065, gli ermellini hanno sostenuto che la conciliazione in sede sindacale non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette. Secondo la Corte, i luoghi designati dall’art. 2113, comma 4 cod. civ.  sono tassativi e non ammettono alternative, «sia perché direttamente collegati all’organo deputato alla conciliazione e sia perché in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro» (cfr. punto 18 dell’ordinanza). Pertanto, la sede sindacale alla quale farebbe riferimento tanto l’art. 2113, comma 4 cod. civ. che l’art. 411, comma 3, cod. proc. civ., non va intesa solo come “luogo virtuale di protezione” del lavoratore, integrata dalla sola presenza del sindacalista, bensì anche come “luogo fisico-topografico”.

 

Nel registrare l’esistenza di due orientamenti tra loro parzialmente in contrasto – rispetto ai quali sarebbe auspicabile un intervento nomofilattico da parte della stessa Corte – v’è però da notare, in prima battuta, che l’eventuale verbale di conciliazione sottoscritto in una sede che non sia quella “fisica” dell’associazione sindacale non darebbe luogo automaticamente ad una invalidità dell’atto, essendo sempre possibile dimostrare che, in realtà, il lavoratore (o la lavoratrice) sia stato messo nelle condizioni di poter maturare il suo libero convincimento grazie ad una effettiva assistenza del sindacalista. È questa, del resto, la conclusione alla quale perviene l’ordinanza 18 gennaio 2024, n. 1975: se la conciliazione è stata conclusa nella sede sindacale intesa in senso “materiale”, posto che la prova della piena consapevolezza dell’atto dispositivo del lavoratore può dirsi in re ipsa o desumersi in via presuntiva «graverà sul lavoratore l’onere di provare che, ciononostante, egli non ha avuto effettiva assistenza sindacale»; diversamente, laddove la conciliazione sia stata conclusa in una sede diversa, l’onere della prova grava sul datore di lavoro, il quale deve dimostrare che, nonostante l’assenza di una sede protetta intesa in senso “fisico”, il lavoratore, grazie all’effettiva assistenza sindacale, ha comunque avuto modo di comprendere contenuto ed effetto delle dichiarazioni negoziali sottoscritte.

 

Posta in questi termini, dunque, la questione si sposterebbe semmai sull’eventuale ripartizione degli oneri probatori, anche perché non è sempre detto che per il solo fatto che la negoziazione dell’accordo si sia svolta presso una sede sindacale il lavoratore sia stato adeguatamente assistito ai fini del compimento delle dovute valutazioni che occorre fare in una fase in cui si sta per rinunciare definitivamente all’accertamento dei diritti connessi al rapporto di lavoro, molti dei quali inderogabili e quindi indisponibili. Pertanto, anche laddove dovesse accertarsi che la conciliazione sia stata conclusa non presso la sede sindacale ma in presenza di un sindacalista che abbia effettivamente assistito il lavoratore, l’accertamento dell’invalidità della conciliazione dipenderebbe dalla capacità del datore di lavoro di dimostrare che il lavoratore non ha subito alcun condizionamento e che sia stato adeguatamente assistito.

 

Inoltre, a non convincere del tutto il rigido orientamento assunto dalla Corte nella ordinanza 15 aprile 2024, n. 10065, sovviene la lettera della legge la quale, proprio con riferimento alla conciliazione in sede sindacale, riconosce un significativo spazio di regolazione alla contrattazione collettiva. L’art. 412-ter cod. proc. civ., infatti, prevede che la conciliazione può essere esperita «altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative». Dunque, il contratto collettivo – a qualunque livello esso sia sottoscritto (nazionale, territoriale o aziendale) posto che la norma nulla dice al riguardo – ha il potere di definire delle modalità conciliative proprie, che possono anche prescindere dalla fisicità del luogo, purché idonee a tutelare la posizione di debolezza negoziale del lavoratore, dati gli effetti che scaturiscono da un accordo di conciliazione ex art. 2113, comma 4 cod. civ. È in questa cornice concettuale che deve essere ricondotto il recente accordo collettivo territoriale sottoscritto a Treviso il 22 ottobre 2024, da Confindustria Veneto Est e le confederazioni sindacali locali Cgil, Cisl e Uil. Coltivando legittimamente il rinvio che l’art. 412-ter cod. proc. civ. depone in favore della contrattazione collettiva, l’accordo prevede espressamente che per “sede sindacale” deve intendersi «qualunque luogo e/o locale», inclusi i locali dell’impresa, o quelli dell’associazione datoriale firmataria, «che sia concordemente individuato quale sede di stipulazione della conciliazione da parte del lavoratore, dell’organizzazione sindacale che lo assiste, del datore di lavoro e di Confindustria Veneto Est», se coinvolta.

 

Allo scopo di garantire un adeguato livello di tutela al lavoratore, l’accordo prevede che l’organizzazione sindacale che assiste il lavoratore debba poter essere messa al corrente del luogo ove si svolgerà la conciliazione, in modo tale da poter verificare preventivamente se vi siano i rischi di particolari condizionamenti del lavoratore. Non solo; a presidio di una maggiore tutela del lavoratore, l’accordo prescrive anche la necessaria e contestuale presenza del sindacalista nel medesimo luogo in cui si trova il lavoratore al momento della conciliazione, anche quando questa si svolga da remoto. L’accordo, dunque, definisce una procedura nel pieno rispetto degli spazi di regolazione che la legge affida all’autonomia collettiva, senza che da questa possano desumersi particolari vincoli spaziali o procedurali. È in questo senso che si giustifica la scelta delle organizzazioni sindacali di non porre l’accento sulla dimensione fisica del luogo ma sulle procedure, evidentemente consapevoli anche del fatto che l’unico precedente giurisprudenziale a propendere per una concezione anche “fisica” di sede sindacale riguarda un caso in cui le parti del rapporto avevano conciliato senza seguire delle procedure definite da alcun accordo o contratto collettivo, seguendo piuttosto la prassi (cioè conciliare presso i locali aziendali e in assenza di una disciplina collettiva di riferimento che autorizzi una tale procedura prevedendo delle contromisure).

 

Nicoletta Serrani

ADAPT Labour Lawyers associate

@Nicserrani

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/243 – Il nuovo accordo quadro Tagesmutter: tra sviluppo della professionalità e riconoscimento del valore sociale

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/243 – Il nuovo accordo quadro Tagesmutter: tra sviluppo della professionalità e riconoscimento del valore sociale

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 25 novembre 2024, n. 42

 

Contesto del rinnovo

 

Lo scorso 30 ottobre 2024, a Roma, è stato firmato il rinnovo dell’accordo quadro per le tagesmutter, da parte dell’associazione professionale Tagesmutter Domus e la Felsa Cisl Nazionale. Si tratta di un accordo ex art. 2, comma 2, lett. a) del d.lgs. n. 81/2015, che ha lo scopo di regolamentare il lavoro delle tagesmutter impiegate con contratti di collaborazione coordinata e continuativa presso le cooperative sociali/enti gestori aderenti all’associazione professionale Tagesmutter Domus. Più precisamente, secondo quanto stabilito nell’art. 1, l’accordo “si applica ad ogni forma di lavoro non subordinato e riconducibile ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa sottoscritti esclusivamente dagli Enti associati all’interno della rete nazionale riconosciuta dalla stessa associazione professionale Tagesmutter Domus e quindi tra i soci accreditati”.

 

La tagesmutter, definita anche “mamma di giorno”, è una figura professionale – dapprima diffusasi nei paesi del nord Europa e successivamente, a partire dal 2002, anche in Italia – che si occupa dell’educazione e della cura di bambini (tra gli 0 e i 14 anni d’età) presso il proprio domicilio o in un luogo altro adeguato alla cura. Si tratta di una figura, come esplicitato nelle premesse dell’accordo, “preziosa nell’ambito dei servizi di conciliazione e socio-educativi”. Come ulteriormente precisato da Francesca Piscione, segretaria nazionale della Felsa Cisl, che ha sottoscritto l’intesa sul lato sindacale “non è da sottovalutare l’importanza che queste professioniste hanno nell’ambito della crescita dei bambini tra gli 0 e i 14 anni. Dai racconti forniti da molte nostre associate emerge che molte di loro accudiscono i bambini durante l’asilo nido ma poi li accompagnano nella fase scolare; quindi, si innesca quel meccanismo di fiducia che noi crediamo debba essere riconosciuto sia a livello sociale che a livello economico”.

 

Nelle premesse del rinnovato accordo, così come nell’intesa del 2018, viene specificato che le tagesmutter domus e le organizzazioni/enti soci aggregati iscritti all’associazione professionale tagesmutter domus che intendono applicare il contratto sono vincolati a una serie di garanzie e previsioni così come stabilite dall’Associazione. Tra le azioni è esplicitata la necessità di “garantire la formazione permanente accreditata” che, come vedremo, è un elemento essenziale e ben chiarito nell’accordo. In aggiunta, al fine di dare conto al lettore della ricaduta sociale del presente rinnovo, utilizzando sempre le parole di Francesca Piscione, è bene specificare che “questo accordo raffigura in chiave negoziale quella che è la conciliazione vita-lavoro. In questo caso la conciliazione è bidirezionale; perché da una parte la tagesmutter assicura dei servizi alle mamme lavoratrici garantendo maggiore flessibilità perché, a differenza degli asili nido che hanno degli orari prestabiliti, le tagesmutter hanno una copertura oraria più ampia e, nel contempo, realizzano la conciliazione vita-lavoro per sé stesse perché possono accudire sia i loro figli che quelli di altre mamme”.

 

L’accordo ha decorrenza dal 1° gennaio 2025 e ha durata triennale.

 

Parte economica

 

Una novità rilevante del presente rinnovo riguarda la determinazione di una quota oraria minima lorda di compenso, che varia in base alla presenza del numero di minori da accudire. Sotto questo aspetto, il nuovo testo contrattuale si differenzia dal precedente accordo, che fissava un corrispettivo fisso indipendente dal numero di bambini compresenti. È infatti stabilito un numero minimo di bambini pari a tre e un limite massimo individuato nella presenza massima di 5 bambini, compresi i propri figli. Invero, il compenso minimo orario per la cura di tre bambini è ora pari a 11,50 euro lordi, mentre nel precedente accordo era di 9,75 euro (fino al 30/06/2019 era di 9,50 euro). Il compenso orario per 4 bambini è invece pari a 14 euro l’ora mentre per 5 minori è di 17,50 euro.

Un altro elemento di originalità dell’accordo risiede nell’individuazione di un extra bonus annuale (art. 5) che verrà erogato a titolo di gratifica contrattuale. L’accordo stabilisce che gli enti gestori dovranno accantonare una maggiorazione annuale sui compensi lordi della collaboratrice che sarà calcolata entro una specifica progressione temporale. Nel dettaglio dal 1° gennaio 2025 la quota prevista sarà pari all’1% con erogazione del bonus contrattuale entro il 31 marzo 2026; dal 1° gennaio 2026 la quota prevista sarà dell’1,50% con erogazione entro il 31 marzo 2027 e dal 1° gennaio 2027 sarà del 2% con una erogazione del bonus contrattuale entro il 31 marzo 2028.

 

Parte normativa

 

In linea con quanto stabilito nella precedente intesa, anche nel presente rinnovo contrattuale viene sancita l’importanza della formazione per queste figure (art. 9). È prevista sia la formazione iniziale, abilitante all’esercizio della professione, sia quella permanente che è obbligatoria per almeno 30 ore annue. La formazione continua deve essere erogata gratuitamente da parte dei singoli enti gestori in collaborazione con l’associazione professionale.

Rispetto all’accordo del 2018 il presente rinnovo identifica una percentuale superiore del contributo che i singoli enti gestori devono riconoscere alle associate che si autofinanziano il costo della formazione in ingresso pari a 200 ore d’aula e 50 ore di tirocinio/avviamento. Il rinnovo prevede che i singoli enti gestori si impegnano ad intervenire alle spese da sostenere nella misura non inferiore al 7% in qualità di contributo per l’avvio dell’attività, che si dettaglia – a titolo esemplificativo – nella fornitura di: manualistica di carattere pedagogico e di sicurezza del luogo di lavoro; lavoro del personale di coordinamento a supporto della tagesmutter per la predisposizione/preparazione della messa in sicurezza della casa; materiale promozionale per la diffusione nel territorio e pubblicazione sulle pagine social (…) eventuali attrezzature per l’allestimento degli spazi, quali materiali per le attività gioco nel contesto casa, per la cura del bambino, seggiolini, alzate da tavolo, pubblicazioni per bambini, anche usati se in disponibilità dell’Ente gestore e nella rete”. In aggiunta, rispetto al precedente accordo, tra le misure finanziabili da parte degli enti è stata inserita la “presenza dei referenti del servizio tagesmutter domus per incontri pubblici e istituzionali per la conoscenza del servizio”.

 

Parte obbligatoria

 

Per quanto riguarda la parte obbligatoria, nell’accordo sono contenuti continui rimandi alla contrattazione di secondo livello, alla quale è demandata la disciplina, migliorativa, di differenti istituti. Tale scelta, come testimoniato sempre da Francesca Piscione, “è ragionata e risiede nel riconoscimento della capacità della contrattazione di individuare e intercettare le specifiche esigenze dei territori e generare risposte sempre più pertinenti per le persone che rappresentiamo”. È il caso, per esempio, del rinvio a condizioni di miglior favore in merito al compenso, ma anche dell’utilizzo, destinazione e modalità di erogazione dell’extra bonus annuale (misure di welfare, previdenza complementare e/o polizze assicurative integrative di natura sanitaria), nonché della individuazione di ulteriori rimborsi e indennità di frequenza per le attività formative. Nell’alveo delle novità relative alla disciplina collettiva, nel nuovo art. 10  sui diritti sindacali viene precisato che “l’associazione professionale Tagesmutter Domus si impegna a comunicare alla struttura Felsa territorialmente competente, con almeno 15 giorni di preavviso, il periodo di svolgimento dei (…) momenti formativi (modulo di almeno 2 ore sui diritti e doveri delle lavoratrici), ovvero di natura preventiva e/o programmata, al fine di agevolare l’individuazione di una data condivisa in cui tenere il modulo sindacale”. Un’altra novità riguarda il rinvio alla contrattazione di secondo livello per l’eventuale definizione di tempi di preavviso diversi da quelli stipulati dalle parti, per i casi di recesso del contratto sia da parte del committente che della collaboratrice (art. 12). L’art. 6, così come l’accordo del 2018, considerata la particolarità dell’attività, prevede la definizione di eventuali accordi regionali tra gli enti gestori territoriali e le parti firmatarie.

 

Valutazione d’insieme

 

Il rinnovo del presente accordo rappresenta un passo avanti nel riconoscimento della professionalità e valorizzazione della tagesmutter che, pur essendo un profilo riconosciuto dalla legge 4/2013 non è ancora ampiamente diffusa e radicata omogeneamente su tutto il suolo nazionale.

 

In conclusione, preso atto di una condizione di svantaggio della maggior parte delle donne nel mercato del lavoro in Italia, dove spesso la maternità comporta una penalizzazione nello sviluppo delle carriere, unitamente alla scarsa diffusione di servizi per l’infanzia (sia pubblici che privati), la sottoscrizione di questo rinnovo e l’impegno dichiarato dalle parti a far conoscere la professione rappresentano strumenti che, congiuntamente, potrebbero disinnescare alcune delle difficoltà ancora esistenti nel binomio maternità e lavoro.

 

Stefania Negri

Ricercatrice ADAPT Senior Fellow

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Conciliazioni sindacali (anche) “da remoto”: brevi note su un recente accordo sottoscritto a Treviso

Conciliazioni sindacali (anche) “da remoto”: brevi note su un recente accordo sottoscritto a Treviso

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Bollettino ADAPT 28 ottobre 2024 n. 38

 

Il 22 ottobre 2024 è stato sottoscritto a Treviso un accordo collettivo territoriale «per l’individuazione delle sedi e delle modalità per le conciliazioni delle controversie di lavoro (artt. 411 e 412-ter c.p.c.)», anche qualora queste si svolgano “da remoto”. Firmatari dell’accordo risultano essere la Confindustria Veneto Est e le confederazioni sindacali locali CgilCisl e Uil. Scopo dell’accordo è quello di «individuare le sedi e le modalità idonee alla stipulazione di conciliazioni individuali in materia di lavoro» in sede sindacale, al fine di sottrarre gli accordi conciliativi dal regime di impugnazione previsto dall’art. 2113, comma 2 c.c. (come prevede espressamente l’art. 2113, comma 4 c.c.).


 
L’interesse a definire e individuare con un accordo collettivo quali siano gli spazi che possono essere intesi alla stregua di una “sede sindacale” – competenza che sulla materia la contrattazione ha per espressa delega della legge (art. 412-ter c.p.c.) – è dettato da (non meglio precisate) «ragioni organizzative e logistiche». L’accordo prevede espressamente che per “sede sindacale” deve intendersi «qualunque luogo e/o locale», inclusi i locali dell’impresa, o quelli dell’associazione datoriale firmataria, «che sia concordemente individuato quale sede di stipulazione della conciliazione da parte del lavoratore, dell’organizzazione sindacale che lo assiste, del datore di lavoro e di Confindustria Veneto Est», se coinvolta.


 
Inoltre, l’accordo prevede espressamente che la conciliazione si intenderà validamente stipulata ai sensi dell’art. 2113, comma 4 c.c. “in sede sindacale” anche quando questa «sia conclusa in modalità “da remoto”, ovvero per il tramite di piattaforme telematiche che mettano in contatto le parti non fisicamente presenti in uno stesso locale, purché tali piattaforme consentano la identificabilità delle parti stesse».


 
Infine, l’accordo definisce alcuni requisiti che la conciliazione in sede sindacale deve presentare ai fini della produzione degli effetti di cui all’art. 2113, comma 4 c.c. (cioè l’inoppugnabilità) tra i quali: a) l’effettiva assistenza da parte del sindacalista affinché il lavoratore, una volta reso consapevole del contenuto dell’accordo, sia messo in condizione di poter valutare l’opportunità di sottoscrivere il verbale di conciliazione; b) la contestuale presenza del sindacalista nel medesimo luogo in cui si trova il lavoratore al momento della conciliazione, anche quando questa si svolga da remoto; c) la necessità di dare atto nel verbale di conciliazione della consapevolezza da parte del lavoratore del luogo prescelto per negoziare l’accordo di conciliazione e della assistenza sindacale ricevuta; d) nel caso di conciliazioni da remoto, è necessario che il verbale sia sottoscritto dalle parti «tramite firma autografa su copia analogica» dell’accordo condiviso tramite scansione, escludendo così la possibilità di poter utilizzare la firma digitale certificata.


 
L’accordo territoriale solleva inevitabilmente alcuni interrogativi, non solo per diversi aspetti legati al suo contenuto ma anche perché sottoscritto nel bel mezzo dell’iter parlamentare riguardante il DDL Lavoro n. 1532-bis che tra le tante cose detta anche una specifica disposizione per le conciliazioni da remoto (cfr. G. Piglialarmi, N. Serrani, Le conciliazioni in materia di lavoro: le novità del DDL Lavoro, in Bollettino speciale ADAPT 18 ottobre 2024, n. 5).


 
Procedendo con ordine, un primo nodo che la prima lettura dell’accordo solleva riguarda l’efficacia soggettiva dello stesso: per espressa volontà delle parti, questo si applica «senza limiti di tempo, alle conciliazioni tra lavoratori che siano assistiti da funzionari delle organizzazioni sindacali» sottoscriventi e «datori di lavoro associati a Confindustria Veneto Est» o assistiti comunque da quest’ultima. Dunque, il presupposto per poter invocare il rispetto delle modalità conciliative stabilite in questo accordo è che le parti diano mandato di farsi assistere alle organizzazioni sindacali (dei lavoratori e dei datori di lavoro) sottoscriventi.


 
Viene da chiedersi, però, come si concilia il contenuto di questo accordo territoriale – che legittimamente si inserisce in uno spazio regolativo che la legge demanda all’autonomia collettiva (art. 412-ter c.p.c.) – con le specifiche previsioni dei CCNL sottoscritti dalle federazioni di categoria aderenti a Confindustria e le rispettive federazioni sindacali dei lavoratori di categoria aderenti alle tre confederazioni Cgil, Cisl e Uil. A titolo di esempio, l’art. 80 del CCNL Industria Alimentare (codice E012) prevede espressamente che in caso di controversia tra le parti inerente allo svolgimento del rapporto di lavoro, queste dovranno obbligatoriamente sottoporre la questione «a commissioni costituite dalle strutture territoriali di Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil» con la collaborazione delle associazioni datoriali per espletare il tentativo di conciliazione in sede sindacale prima di adire l’autorità giudiziaria.


 
Lasciando da parte la questione relativa al fatto che il CCNL ritenga ancora sussistere un obbligo che non è più tale per la legge (art. 410 c.p.c.), trattandosi solo di una facoltà salvo i casi espressamente previsti – aspetto, questo, che pure meriterebbe qualche riflessione – il CCNL Industria Alimentare individua una specifica commissione territoriale presso la quale esperire il tentativo di conciliazione; commissione, peraltro, che deve essere costituita e gestita da federazioni di categoria (datoriali e sindacali) e non a livello confederale-territoriale. Da questo punto di vista, dunque, si pone un problema di carattere endo-sindacale poiché occorre comprendere se un lavoratore e un’impresa dell’industria alimentare operanti a Treviso e che applicano al rapporto di lavoro il CCNL E012, possano conciliare seguendo l’iter stabilito nel CCNL dalle federazioni di categoria o quello definito nell’accordo territoriale sottoscritto dalle confederazioni sindacali.


 
Il problema potrebbe essere affrontato prendendo le mosse da diversi punti di vista. Per un verso, l’accordo territoriale potrebbe essere applicabile in via residuale, cioè laddove i CCNL ricadenti nel sistema contrattuale di Confindustria non contemplino una specifica disciplina al riguardo. Diversamente, laddove il CCNL applicato nell’impresa detti una specifica disciplina – come nel caso sopra richiamato – le modalità conciliative stabilite dall’accordo territoriale non possono avere alcun seguito, salva l’ipotesi in cui si inquadri il suddetto accordo territoriale nel prisma della contrattazione di prossimità (art. 8 del d.l. n. 138/2011). Come è noto, gli accordi di prossimità – che possono essere sottoscritti sia a livello aziendale che territoriale – possono dettare specifiche disposizioni legate ad alcuni aspetti del rapporto di lavoro, anche in deroga alla legge o al CCNL, purché siano espressamente individuati nel testo dell’accordo – oltreché la volontà di avvalersi di un accordo ex art. 8 – alcuni obiettivi da raggiungere o esigenze da soddisfare.


 
Da questo punto di vista, se l’accordo territoriale interviene su una “materia” che può essere oggetto di un contratto di prossimità (perché inerisce gli aspetti legati, sia pure non direttamente, al recesso dal rapporto di lavoro; cfr. art. 8, comma 2, lett. e) del d.l. n. 138/2011), risulterebbe però assente il riferimento alla disposizione normativa e anche scarsamente motivato sotto il profilo delle esigenze che giustificano una simile pattuizione nel territorio di Treviso (evocare, infatti, una non meglio precisata “ragione logistica” sarebbe poca cosa rispetto ad una giustificazione molto più pregnante che la consolidata giurisprudenza in materia richiede ai fini della legittimità dell’accordo di prossimità).


 
Un altro aspetto controverso riguarda la possibilità di considerare come “sede sindacale” anche i locali aziendali, previo accordo tra le parti e le organizzazioni sindacali. Anche in questo caso, si pone un grosso interrogativo: come si concilia questa scelta delle parti sindacali rispetto a quella “austera” giurisprudenza che ritiene la conciliazione conclusa presso i locali aziendali impugnabile, nonostante questa sia avvenuta in presenza del sindacalista (salvo prova contraria fornita dal datore di lavoro)? Proprio di recente, infatti, è stato escluso che la sede aziendale possa assurgere a “sede protetta” per espletare un tentativo di conciliazione e sottoscrivere un accordo ex art. 2113, comma 4 c.c. giacché questa non ha «il carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente alla assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore» (Cass. Civ. Sez. Lav. 15 aprile 2024, n. 10065). In altri termini, il fatto che l’art. 412-ter c.p.c. abiliti la contrattazione a definire “sedi” e “modalità” della conciliazione in sede sindacale, non si tradurrebbe in una sorta di “delega in bianco” per cui il contratto o l’accordo collettivo possa poi “eleggere” qualsiasi luogo a sede sindacale. L’approccio del formante giurisprudenziale sembra prediligere, invece, una interpretazione molto più restrittiva, nel senso che il contratto collettivo può definire quali siano le sedi sindacali presso le quali esperire il tentativo di conciliazione purché queste siano idonee a non condizionare la libertà decisionale del lavoratore.


 
Last but not least, viene da chiedersi come si coordinino le disposizioni dell’accordo territoriale relative alle conciliazioni “da remoto” con l’art. 20 del DDL Lavoro che, oltre ad abilitare anche le sedi sindacali a ricorrere alle conciliazioni telematiche, affida ad un decreto ministeriale la competenza a stabilire «le regole tecniche per l’adozione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione» nelle conciliazioni in materia di lavoro che si svolgeranno “a distanza”. Da un lato, è opportuno specificare che ad ora le modalità definite nell’accordo sindacale trevigiano sono ancora del tutto valide ed efficaci posto che l’art. 20, comma 4 del DDL fa salve le modalità e le prassi vigenti fino all’emanazione del decreto ministeriale, che dovrà avvenire nei 12 mesi successivi all’entrata in vigore del DDL. Dall’altro, è pur vero che l’accordo collettivo territoriale registra l’impegno delle parti a modificare l’articolato nel caso di «interventi normativi o giurisprudenziali» riguardanti l’oggetto dell’accordo.


 
Tuttavia, giova precisare che a fare da sfondo a tutti gli aspetti tecnico-giuridici sopra accennati vi sarebbe la volontà dell’autonomia collettiva di voler cominciare a regolare una prassi già molto diffusa  quella delle conciliazioni da remoto, appunto – allo scopo di definire delle misure di garanzia in favore del lavoratore e, allo stesso tempo, fornire maggiori rassicurazioni per le imprese circa la inoppugnabilità dei verbali di conciliazione sottoscritti attraverso la modalità telematica. In questo senso, l’accordo territoriale può essere inteso come un primo passo verso la regolazione di una procedura (tendenzialmente) rispettosa dei principi giurisprudenziali in materia, onde evitare che tutto venga lasciato all’informalità con non poche conseguenze sulla validità delle conciliazioni in sede sindacale (per alcuni rilievi critici sulle conciliazioni da remoto e i relativi rischi di impugnabilità, sia consentito il rinvio a G. Piglialarmi, Contributo allo studio della certificazione nei rapporti di lavoro, ADAPT University Press, 2024, cap. V).


 
Giovanni Piglialarmi

Ricercatore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

ADAPT Senior Fellow

@Gio_Piglialarmi

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/239 – Angelini Pharma investe sul benessere dei dipendenti con un ampliamento delle misure di welfare occupazionale

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/239 – Angelini Pharma investe sul benessere dei dipendenti con un ampliamento delle misure di welfare occupazionale

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Bollettino ADAPT 28 ottobre 2024, n. 38

 

Parti firmatarie

 

Il 4 dicembre 2023 presso lo storico stabilimento di Ancona è stato sottoscritto l’accordo di rinnovo del contratto integrativo di Angelini Pharma tra la Direzione Aziendale e le RSU, assistite dalle segreterie nazionali di Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec Uil, con efficacia fino al 31 dicembre 2026. L’azienda centenaria del settore farmaceutico è tra le più importanti a livello nazionale ed europeo grazie ad una rete di oltre 1.500 dipendenti e collaboratori, tre stabilimenti produttivi in Italia e due all’estero.

 

La trattativa

 

La sottoscrizione del rinnovo del contratto integrativo aziendale ha rappresentato l’esito di confronto avvenuto con una serie di incontri nazionali, territoriali e aziendali. Come ci ha raccontato Lorenzo Grattini, RSU che ha partecipato alla sottoscrizione dell’accordo, il rinnovo ha preso le mosse nell’ambito dell’Osservatorio Nazionale, in seno al quale l’azienda ha indicato le linee strategiche di sviluppo per il prossimo triennio, per poi svilupparsi nei vari stabilimenti. I vari incontri a livello territoriale e aziendale sono contraddistinti dalla presentazione della piattaforma unitaria sindacale, la quale tiene conto dell’andamento dell’impresa – che è oggetto di attenzione costante da parte del sindacato, anche attraverso incontri periodici – e dei bisogni rilevati dai lavoratori, attraverso una mappatura definita attraverso assemblee dedicate e il dialogo continuo con le persone.

Oggetto specifico di approfondimento, anche con l’Azienda, sono stati diversi temi riguardanti sia la parte normativa che economica, con particolare attenzione alle politiche di welfare e work-life balance nonché in materia di salute e sicurezza e sostenibilità.

 

Il contesto

 

La definizione dei contenuti dell’accordo è infatti guidata dalla consapevolezza circa le grandi sfide poste dalle transizioni digitale e ambientale. Per questo le parti hanno concordato obiettivi e misure gestionali per garantire e mantenere uno sviluppo sostenibile e capace di rispondere alle esigenze dell’aziende e dei lavoratori.

A tal fine sono individuate diverse linee di intervento, come l’investimento in attività formative a sostegno della professionalità e dell’occupazione dei lavoratori; la riduzione dell’impatto ambientale della produzione e una maggiore partecipazione dei lavoratori attraverso consultazioni periodiche delle rappresentanze sindacali e organismi pariteticamente costituiti a livello aziendale.

L’intesa rappresenta dunque la base di un processo di crescita aziendale sostenibile e reciprocamente soddisfacente, nella consapevolezza che il dialogo costante e costruttivo sia uno strumento efficace per realizzare gli interessi dell’impresa e dei lavoratori.

 

I contenuti dell’accordo

 

Le parti hanno teso anzitutto a valorizzare il sistema di relazioni industriali aziendale, investendo in strumenti paritetici, formazione congiunta delle RSU e dei manager nonché occasioni e incontri periodici con l’obiettivo di implementare un sistema di partecipazione e informazione.

 

Tra i temi oggetto di confronto tra azienda e i rappresentati dei lavoratori nel corso della vigenza del contratto vi è l’organizzazione del lavoro, con la finalità di ricercare dei modelli organizzativi flessibili, efficaci ed efficienti, in grado di garantire la corretta distribuzione dei carichi di lavoro e la collaborazione proficua tra lavoratori.

 

In generale, nell’accordo, ricorre spesso il rinvio all’analisi congiunta e/o alla consultazione delle RSU con riferimento a diversi strumenti di welfare occupazionale che hanno un impatto sull’organizzazione del lavoro.

 

Tra questi, per quanto concerne gli strumenti di flessibilità, si prevede un ampliamento della fascia di ingresso dalle 8 alle 9.30 e viene fatta salva la possibilità di valutare, previo confronto con la RSU, una più ampia modalità di fruizione del lavoro agile a fronte di particolari situazioni familiari o personali. Negli uffici ove non è applicabile il lavoro agile, le parti concordano di ricercare ove necessario tutte le possibili soluzioni per consentire la fruizione del part-time o, in alternativa, per l’utilizzo di formule di orario flessibili.

 

Diverse sono le condizioni di miglior favore rispetto all’utilizzo delle fattispecie sospensive dal lavoro come il congedo di paternità (10 giorni di permesso retribuito aggiuntivi), congedo parentale (2 mesi di congedo retribuiti al 50% dopo i primi 6, da fruire entro i primi 20 mesi di vita del bambino/a), congedo per le vittime di violenza di genere (3 mesi di congedo retribuito aggiuntivi). Nei confronti di quest’ultima categoria di dipendenti, le parti si impegnano altresì a valutare congiuntamente l’adozione di ulteriori iniziative tese a offrire un maggiore sostegno in termini di rimodulazione dell’orario di lavoro, ampliamento del periodo di aspettativa e accesso alla banca ore solidale nonché di trasferimento presso altri stabilimenti del Gruppo.

 

A tutela della salute dei dipendenti, oltre a confermare quanto previsto in materia di assistenza sanitaria integrativa tramite Faschim, viene sancito che l’utilizzo di permessi per visita medica giustificati con apposito certificato non sono considerati nel computo delle assenze per malattia ai fini del premio di partecipazione nonché il riconoscimento del 100% della retribuzione fino al raggiungimento del periodo di comporto per i lavoratori affetti da malattia oncologiche e/o cronico/degenerative. Di particolare interesse è l’istituzione del c.d. sportello psicologico, un servizio messo a disposizione dei dipendenti che possono, in modo volontario e in forma anonima, iniziare dei percorsi di sostegno psicologico personalizzati. Come sottolineato da Lorenzo Grattini, “rispetto a quanto concordato in sede di accordo, si sono da subito registrate delle novità grazie all’eliminazione del limite prima previsto delle otto sedute garantite, consentendo così l’attivazione di percorsi senza un limite per la singola persona. Lo sportello psicologico rappresenta un servizio nato a seguito di un percorso iniziato anni fa quando è stata rilevata la necessità di affrontare con strumenti idonei alcune situazioni particolarmente fragili e delicate”. In generale, nei contesti lavorativi emerge sempre più la necessità di affrontare lo stress e gli impatti negativi che esso ha sulla salute, sia esso di origine legata alle caratteristiche del lavoro in sé – pensiamo per esempio alle conseguenze nel lungo periodo del lavoro su turni, anche notturni – o da situazioni personali e familiari specifiche. “Nel penultimo integrativo Angelini era già stato poi riconosciuto questo bisogno e con la sottoscrizione dell’accordo del dicembre 2023 è stato messo a disposizione uno strumento per soddisfare al meglio questa esigenza”.

 

A sostegno delle responsabilità di cura nei confronti dei familiari, oltre ai congedi, sono diverse le soluzioni individuate dalle parti, tra le quali vi è il riconoscimento di 3 giorni di permesso retribuito, fruibile anche a mezze giornate, per inserimento dei figli all’asilo nido/scuola materna o per assistenza ai familiari entro il secondo grado oppure la sottoscrizione di una convenzione con un asilo nido vicino alla sede aziendale per riservare dei posti per i figli dei dipendenti. La convenzione, come sottolineato da Lorenzo Grattini, è una soluzione adottata a livello aziendale da oltre un decennio; tuttavia, è necessario fare i conti anche con i cambiamenti della popolazione aziendale nel corso del tempo. “Se prima, infatti, moltissimi lavoratori vivevano nel comune in cui ha sede lo stabilimento, oggi, invece, si registra molta più mobilità territoriale. Questo è un fattore importante da considerate, perché consente di riflettere sulla necessità di rimodulare gli strumenti: molto probabilmente per un dipendente che risiede in un comune lontano può essere molto più utile contributo per le spese della retta dell’asilo nido anziché avere il servizio vicino allo stabilimento, visto che in quest’ultimo caso non potrebbe utilizzarlo.”

 

Particolarmente significativi, in ottica di valorizzazione delle diversità e adozione di pratiche più inclusive e di pari opportunità, sono alcune previsioni indirizzate alle coppie unite civilmente (equiparate a quelle sposate per l’accesso ai diversi istituti) e ai lavoratori più svantaggiati (nei confronti dei quali si rinvia all’adozione di soluzioni di sostegno adatte alle specifiche esigenze) nonché l’istituzione del Diversity & Inclusion Manager per facilitare, in generale, lo sviluppo di strategie aziendali più inclusive, anche in accordo con i rappresentanti dei lavoratori.

 

Sempre in materia di welfare aziendale, l’accordo sancisce il riconoscimento di un credito annuale da utilizzare in flexible benefits pari a 800 euro per il 2024 e il 2025, elevato a 850 euro nel 2026, anche per i lavoratori a tempo parziale. Un riproporzionamento dell’ammontare è previsto per i lavoratori a tempo determinato (500 euro annui) e per i lavoratori assenti senza diritto alla retribuzione, in proporzionale alle assenze relative all’anno precedente complessivamente superiori a 15 giorni (fatta eccezione per le aspettative facoltative post partum e per gravi motivi familiari).

 

In generale il welfare aziendale può essere un canale utile per riconoscere diverse prestazioni e servizi ma, come evidenzia Lorenzo Grattini, non sempre la sua introduzione viene sin da subito apprezzata dai lavoratori. Ad esempio, rispetto ai flexible benefits, “la loro introduzione è stata vista inizialmente con molta diffidenza da parte dei lavoratori, che apprezzavano invece di più strumenti dalla natura monetaria. In realtà, non molto dopo, c’è stata un’inversione di tendenza poiché sono state evidenti la convenienza e la potenzialità di questa possibilità e ciò ha portato nel corso del tempo anche ad un aumento dell’importo che oggi si attesta a 850 euro per tutti i lavoratori, una cifra considerevole e superiore alla media. In generale, il welfare aziendale è un tema aperto e ci consente di dare delle risposte importanti ai lavoratori, anche per i più giovani”.

E tale tendenza si registra anche rispetto alla previdenza complementare, “dove a livello aziendale i tassi di adesione a livello aziendale superano il 90%” e all’assistenza sanitaria integrativa, rispetto alla quale “si discuterà nei prossimi mesi circa la possibilità di estendere alcune condizioni migliorative a tutta la popolazione aziendale, proprio perché il tema è particolarmente sentito dai lavoratori”.

 

Infine, tra i contenuti dell’accordo integrativo, figura la disciplina del premio di partecipazione, ancorato su parametri di redditività e produttività, i cui importi annui per il triennio di vigenza del contratto vanno dai 2.400 per il 2024 ai 2.450 per gli anni successivi, corrisposti in due tranche annuali. In ogni caso, l’importo del premio viene parametrato sul numero di assenze per malattia – al fine di ridimensionare il fenomeno dell’assenteismo – secondo indicatori specificatamente individuati dalle parti. È altresì prevista la welfarizzazione del premio di risultato, visto che i lavoratori possono destinare gli importi – una quota minima del 5% e suoi multipli – al fondo di previdenza complementare Fonchim oppure in flexible benefits. In caso di conversione, l’azienda aumenterà del 20% l’ammontare della quota optata.

 

Valutazione d’insieme

 

Il tema della conciliazione tra responsabilità e tempi associati alla vita personale, familiare e personale è sempre più centrale oggi, non solo nel dibattito pubblico, ma anche come tema di negoziazione a livello nazionale e aziendale. Rispetto al caso di Angelini Pharma, ciò appare confermato. Secondo Lorenzo Grattini, infatti, “le esigenze dei lavoratori – soprattutto quelli più giovani – stanno cambiando e il tema del work-life balance è fondamentale oggetto di confronto anche con l’azienda, anche attraverso l’utilizzo di strumenti paritetici. Da questo punto di vista, oltre ad azionare i tradizionali strumenti, potrebbe essere d’interesse sperimentare ove possibile la “settimana corta”, per venire incontro alle esigenze legate alla gestione dei tempi che, se ottimale, sappiamo avere un impatto positivo sul benessere del dipendente e, conseguentemente, anche sulla produttività dell’azienda”.

 

Chiara Altilio

PhD Candidate – ADAPT Università di Siena

@chialtilio

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/163 – Il Contratto Integrativo Birra Peroni mette al centro la persona

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 5 giugno 2023, n. 21

 

Il 9 maggio 2023, presso la sede di Unindustria a Roma, il Coordinamento Nazionale delle RSU, assistite dalle Segreterie nazionali di Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil, hanno siglato, d’accordo con la Società Birra Peroni S.R.L., assistita da Unindustria, il Contratto Integrativo di Gruppo, arricchito da un verbale sulla definizione del Lavoro Agile (Flexible Working) ed un’ulteriore precisazione rispetto all’occupazione e alla disponibilità dell’azienda di stabilizzare il proprio personale, in virtù del c.d. principio delle “vasche comunicanti”.

 

Il rinnovo del contratto integrativo si inserisce in un momento estremamente complesso e poco prevedibile sia da un punto di vista macroeconomico che da un punto di vista sociale. Se infatti da un lato si è dovuta affrontare prima la Pandemia, poi la guerra di aggressione russa e, infine, un naturale rincaro dei prezzi e un incremento dell’inflazione, dall’altro sono cambiati anche gli stili di vita e di lavoro, nonché le abitudini di acquisto e consumo. Tutto ciò fa sì che debbano cambiare i modelli organizzativi del lavoro -più flessibili e concilianti- così come le strategie e i modelli di business, i quali devono rispondere ad un consumatore sempre più attento a tematiche di sostenibilità ambientale e sociale.

 

Vista la strategia su cui fa leva Birra Peroni -persone, pianeta, portfolio e profitto- per quanto riguarda le relazioni industriali le parti convengono che entro il mese di settembre 2023 sarà istituita a livello nazionale la Commissione bilaterale tecnica e non negoziale in tema di “Formazione, professionalità e competenze”, con il compito di analizzare il sistema di competenze e dei meccanismi di valorizzazione delle stesse. Rientra nella stessa strategia l’impegno delle Parti di voler prevenire e contrastare discriminazioni o violenze. A tal proposito l’Azienda vuole dare attuazione all’Accordo Interconfederale 11/02/2016 e all’accordo quadro a livello europeo del 26/04/2007 sulle molestie e sulla violenza nei luoghi di lavoro e sta valutando l’adozione della Certificazione per la parità di genere prevista dalla legge 162/2021.

 

Rispetto all’organizzazione del lavoro, viene sottolineata l’importanza dei modelli organizzativi della flessibilità e del ciclo continuo, legati a diversi fattori come il criterio della stagionalità, la variabilità dell’andamento del mercato ed il far parte di un contesto internazionale nel quale è necessario assicurare competitività ed efficienza. All’interno di tale strategia aziendale e con la volontà di un’organizzazione del lavoro più flessibile, si inserisce l’accordo sul Lavoro Agile, anch’esso siglato dalle Parti a Roma il 9 maggio 2023. L’accordo regolamenta l’istituto, definendo chi può accedere alla modalità da remoto (impiegati e quadri), per quanti giorni al mese (11 giorni lavorativi mensili), le caratteristiche che deve avere il luogo prescelto dalla lavoratrice/lavoratore da remoto, ma anche l’orario lavorativo e il diritto alla disconnessione. Viene inoltre previsto che per i genitori con figli fino a 3 anni compiuti e per categorie di lavoratori fragili è possibile estendere le giornate di lavoro da remoto, finanche -per i genitori- ad un’estensione pari all’80% dei giorni lavorativi mensili.

 

Il contratto integrativo prevede anche la definizione di un Premio di Partecipazione, variabile e non determinabile a priori, basato sulla condivisione di meccanismi semplificati e sull’effettivo livello di partecipazione di tutte le risorse al raggiungimento di obiettivi variabili. Le lavoratrici e i lavoratori, in possesso dei requisiti previsti dalla normativa fiscale, potranno scegliere se convertire parte del Premio in prestazioni o servizi di welfare anziché come erogazione monetaria. Nel caso in cui venga effettivamente scelta la conversione, la quota di Premio convertita sarà maggiorata id una percentuale pari al 10%. Per il 2023 le Parti hanno anche deciso di mettere a disposizione di tutte le lavoratrici e lavoratori a tempo indeterminato in forza al 9 maggio 2023 un valore di welfare pari a €200,00.

Per quanto riguarda gli aspetti economici, dal 1° ottobre 2023, in tutti e tre gli stabilimenti, il valore dei ticket restaurant per il turno notturno aumenterà da 5,00 a 6,00€ e dal 1° ottobre 2024 tale aumento riguarderà tutte le tipologie di turno.

 

Il contratto integrativo, partendo sempre dal presupposto di porre la persona al centro, dà molto peso alla conciliazione vita e lavoro, ampliando la sfera dei permessi. Vengono riconosciute due mezze giornate retribuite addizionali quale condizione di miglior favore rispetto a quanto previsto dalla normativa e dal CCNL, da utilizzare complessivamente per visite pediatriche e specialistiche per figlie/i fino ai 14 anni, permessi speciali per l’assistenza ai genitori anziani, permessi speciali per l’inserimento al nido di bambini fino a 3 anni di età. Inoltre, è stabilito che quanto previsto per i coniugati venga esteso anche alle persone unite civilmente ex L. 78/2016 e alle convivenze di fatto. Inoltre, ai padri vengono riconosciuti dieci giorni retribuiti di c.d. congedo di paternità addizionale, giorni aggiuntivi rispetto a quanto già previsto dalla legge, che devono essere utilizzati entro un anno dalla nascita/ingresso in famiglia. Il congedo di paternità obbligatorio e quello addizionale -per un totale di 22 giorni- vengono riconosciuti anche a quelle lavoratrici e a quei lavoratori che svolgono di fatto funzioni genitoriali in modo continuativo, anche nell’ambito di coppie omogenitoriali, senza essere riconosciuti legalmente come genitori, in mancanza della registrazione del rapporto di genitorialità presso l’anagrafe o gli enti competenti. È estremamente interessante anche la previsione rispetto al reinserimento al lavoro: i neogenitori, infatti, al rientro da periodi di congedo di maternità e/o paternità continuativi di durata superiore a 5 mesi, potranno accedere ad un programma di mentoring aziendale volto a facilitare il rientro e accelerare il processo di acquisizione dei cambiamenti avvenuti nel frattempo in azienda. A livello locale, inoltre, potranno essere previsti specifici percorsi formativi. Sempre a proposito del benessere dei dipendenti, Birra Peroni accorda l’attivazione del servizio di assistenza e sostegno psicologico telefonico e virtuale, servizio esteso anche ai familiari.

 

Infine, in via sperimentale viene introdotto lo strumento ferie e ROL c.d. solidali per favorire la solidarietà collettiva tra i colleghi.

In generale il nuovo contratto integrativo, che verrà applicato in tutti e tre i siti produttivi di Birra Peroni e che avrà validità fino al 31 dicembre 2025, mette al centro la persona e il suo benessere; ciò risulta evidente viste tutte le novità introdotte in tema di conciliazione e lavoro agile, ma anche guardando all’impegno che le parti si prendono in tema di formazione e di sicurezza sul lavoro. Il tutto avviene in uno scenario caratterizzato da fortissima volatilità ed incertezza, scenario che Birra Peroni è riuscita ad affrontare anche grazie al contributo di lavoratrici e lavoratori e che, in linea con la strategia «Creare connessioni di lavoro», è intenzionata a portare avanti attraverso investimenti tecnologici ed innovazioni di prodotti, nel rispetto costante degli alti standard di qualità e sicurezza.

 

Francesca Valente

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@valentefranc