Ancora sulla contrapposizione (teorica) tra partecipazione e contrattazione

Bollettino ADAPT 27 gennaio 2025, n. 4

 

È in calendario per oggi (lunedì 27 gennaio 2025) l’avvio della discussione da parte della Assemblea della Camera dei Deputati della proposta di legge n. 1573 «La partecipazione al lavoro. Per una governance d’impresa partecipata dai lavoratori» dopo un lungo iter legislativo, avviatosi con la proposta di legge di iniziativa popolare promossa dalla Cisl nell’aprile 2023 e proseguito, fino al 23 gennaio scorso, in sede di Commissioni riunite VI Finanze e XI lavoro, dove il testo è stato esaminato e in più parti emendato. Eliminati, tra le altre cose, i meccanismi premiali volti a favorire la diffusione delle prassi partecipative di tipo gestionale e organizzativo, nonché l’obbligatorietà nel campo della consultazione dei lavoratori. Soppressi – almeno dal testo liberato dalle Commissioni e rimanendo comunque intatta l’autonomia negoziale collettiva di disporre liberamente della materia – i riferimenti ai contratti collettivi per l’attivazione di piani di partecipazione finanziaria dei lavoratori dipendenti e le forme di partecipazione organizzativa. Rimangono, al momento, gli incentivi economici per la partecipazione economica e finanziaria, l’istituzione di una Commissione presso il Cnel con compiti di monitoraggio e valutazione dell’implementazione della legge e un ruolo della contrattazione collettiva nel disciplinare forme di partecipazione gestionale e definire le modalità di funzionamento della partecipazione consultiva.

 

Ed è proprio sul ruolo della contrattazione collettiva nella partecipazione che si sono concentrate, nei giorni scorsi, le critiche sollevate tanto dal fronte datoriale quanto sindacale alla proposta di legge di matrice cislina, che peraltro nella sua formulazione originaria, poneva i contratti collettivi a potenziale fondamento della gran parte delle procedure partecipative previste (per un esame del testo di legge proposto dalla Cisl si veda la sezione monografica dedicata al tema dalla rivista Diritto delle relazioni industriali, n. 4/2023). Per un verso, i vertici di Confindustria hanno sostenuto che il rinvio di legge alla contrattazione collettiva per l’istituzione di forme di partecipazione finirebbe per inasprire il conflitto nei luoghi di lavoro, precludendo una reale libera scelta delle imprese in questo ambito. Per l’altro verso, il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha manifestato preoccupazioni a che la promozione della partecipazione dei lavoratori, soprattutto laddove sviluppata nell’ambito di Commissioni bilaterali, possa in qualche modo indebolire il ruolo e l’autonomia contrattuale delle rappresentanze dei lavoratori in azienda (RSU/RSA).

 

Ancora una volta, come in passato, dunque, la partecipazione risulta contesa tra una concezione tipicamente paternalistica, per la quale spetterebbe all’impresa concedere luoghi e strumenti di partecipazione, e la valorizzazione di un approccio conflittuale e di contrapposizione alle relazioni industriali, che la partecipazione potrebbe minare.

 

Non è questa la sede per un esame approfondito dell’articolato che, peraltro, potrebbe venire modificato ulteriormente nei prossimi giorni, né per tornare sulle ragioni ideologiche e culturali che hanno determinato storicamente il ritardo della partecipazione in Italia (sul tema è intervenuto recentemente anche Pietro Ichino in una intervista pubblicata sul bollettino ADAPT). Ciò che piuttosto ci preme sottolineare è come tanto nella “teoria” delle relazioni industriali (si veda la prefazione di Gino Giugni al celebre Contrattazione e partecipazione di Umberto Romagnoli, riedito nel 2024 in modalità open access da il Mulino) quanto nella “pratica” i due metodi, quello della partecipazione e quello della contrattazione collettiva, sono tutt’altro che alternativi tra loro e che, proprio perché spesso uniti dall’origine contrattuale della partecipazione, non risultano scevri nemmeno dalla volontà aziendale, dato che senza di questa non si potrebbe avere alcun contratto collettivo.

 

Delle possibilità di interazione sinergica tra contrattazione e partecipazione ne sono del resto testimoni diverse aziende e parti sociali, che in Italia hanno sviluppato la partecipazione per via negoziale. Una recente indagine condotta sui sistemi contrattuali della grande industria metalmeccanica e chimica, per esempio, mostra come la partecipazione, individuata tra i contenuti negoziali di primario interesse dalla stessa Confindustria nel Patto della Fabbrica del 2018, sia notevolmente promossa a livello di categoria e sviluppata anche al livello decentrato della contrattazione collettiva, dove due accordi collettivi su tre regolano procedure e prassi partecipative, benché quasi sempre nella forme deboli del confronto e dell’esame congiunto e non della co-decisionalità (vedi G. Impellizzieri, La cosiddetta “partecipazione organizzativa”: un primo bilancio a cinque anni dal Patto per la fabbrica, DRI, 3, 2024, consultabile in modalità open access). Nel solo 2024, inoltre, secondo le rilevazioni dell’osservatorio Farecontrattazione.it, quasi la  metà dei contratti aziendali analizzati contiene forme di partecipazione dei lavoratori (soprattutto a livello di consultazione ed esame congiunto) ai processi decisionali; quasi un terzo delle quali già si sviluppa nell’ambito di organismi bilaterali, composti da responsabili aziendali e rappresentanti dei lavoratori, e dedicati all’analisi congiunta e alla formulazione di proposte su temi come la formazione professionale, il welfare, le pari opportunità, la salute e la sicurezza, nonché i progetti di innovazione tecnologica e organizzativa (si vedano anche alcune esperienze specifiche, come il caso Rold). Quest’ultimo, in particolare, è un ambito dove l’azione contrattuale tradizionalmente fatica ad arrivare se non in una fase successiva, per deliberare sugli effetti (in termini di benessere e condizioni di lavoro) di decisioni già prese dalla direzione aziendale. Al contrario, attraverso le procedure di consultazione istituite dalla contrattazione collettiva, soprattutto nell’ambito di commissioni congiunte, sempre più rappresentanti dei lavoratori conquistano nuovi spazi di intervento nella valutazione dei piani per l’avanzamento tecnologico e organizzativo, prima che questi vengano formalmente adottati. Inoltre, l’analisi condotta su oltre 400 contratti aziendali sottoscritti nel 2024 fa emergere interessanti opportunità di interazione virtuosa tra partecipazione e contrattazione e addirittura, di potenziamento di quest’ultima, ad esempio attraverso la trasmissione alle delegazioni trattanti delle analisi e dei pareri formulati in sede di comitato bilaterale su questioni come il welfare e la conciliazione.

 

I dati e le informazioni sopra riportati non vogliono negare che la partecipazione, entrando in sede negoziale, possa diventare oggetto di scambio e quindi anche di conflitto (del resto la peculiarità della partecipazione è proprio la sua duplice natura come mezzo e come fine delle relazioni industriali, destinata quindi inevitabilmente a diventare materia di confronto tra le parti), ma mostrare che la contrattazione collettiva è già all’origine di diverse pratiche di partecipazione; questo anche in virtù della capacità del metodo negoziale (soprattutto laddove manca una rigida cornice legislativa) di inserire la partecipazione in un quadro di regole e procedure tali da assicurarle quella trasparenza e comprensibilità che sono tra i principali antidoti alla diffidenza e alle ostilità che la stessa Confindustria vorrebbe evitare e che invece un approccio unilaterale aziendale, esente da vincoli e impegni bilateralmente assunti, potrebbe finire per esacerbare. D’altro canto, non possiamo contestare del tutto nemmeno l’eventualità, paventata nei media dalla Cgil e certamente conosciuta anche dalla Cisl, che tra azione contrattuale e funzione consultiva e partecipativa possano generarsi occasioni di confronto, se non anche di conflitto, soprattutto con riferimento a temi organizzativi (come il welfare, la formazione, l’orario di lavoro, ecc.), potenzialmente oggetto di entrambi i canali di interlocuzione nelle aziende italiane. Piuttosto, con la breve ricognizione prima esposta, intendiamo fornire al dibattito politico e sindacale recentemente animatosi prove concrete che partecipazione e contrattazione possono ampliare, e non comprimere, le possibilità di voce ed espressione dei lavoratori in azienda; e che, anche qualora intervengano sui medesimi temi, non sono necessariamente in competizione e anzi, se governate con intelligenza dalle parti, possono ben integrarsi e sostenersi a vicenda, a beneficio di imprese e lavoratori.

 

Ilaria Armaroli

ADAPT Senior Fellow

@ilaria_armaroli

 

Giorgio Impellizzieri

Assegnista di ricerca in diritto del lavoro – Università degli studi di Modena e Reggio Emilia

ADAPT Senior Fellow

@giorgioimpe

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