Politically (in)correct – Il CNEL propone misure per rafforzare l’Archivio dei CCNL
ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro
Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui
Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it
Bollettino ADAPT 19 aprile 2022, n. 15
Gli uffici del CNEL stanno lavorando ad alcuni emendamenti riguardanti il riordino delle funzioni dell’archivio dei CCNL, anche in relazione alla disciplina del codice alfanumerico con il quale, in collaborazione con l’Inps, si cerca di contrastare il fenomeno dei contratti c.d. pirati. Nella Nota viene spiegato il meccanismo elusivo. In questo contesto prolifera ampiamente il lavoro povero perché c’è una sorta di indiretta “aziendalizzazione” della contrattazione nazionale. Cioè, organizzazioni minori, datoriali e sindacali, stipulano CCNL a basso contenuto protettivo e di costo del lavoro che sono applicati a pochi o a pochissimi datori di lavoro di una certa zona geografica del paese, che operano in certo settore. A voler seguire intenti elusivi – prosegue la Nota – non c’è più bisogno di un contratto aziendale che deroghi in modo incontrollato il CCNL: si può costituire un’organizzazione, stipulare un CCNL al ribasso e farlo applicare a una dozzina di datori di lavoro. Tali organizzazioni sindacali e datoriali, tra l’altro, pubblicizzano il social dumping (riduzione del costo del lavoro che si ottiene dal vincolo a quel CCNL) e iniziano a operare a danno dei lavoratori, incidendo sulla competizione al ribasso nell’ambito salariale. I dati più recenti sullo sviluppo contrattuale del sistema italiano evidenziano che la percentuale di incremento dei depositi dei CCNL presso l’archivio CNEL dal 2011 (data del primo protocollo sulla misurazione della rappresentatività – giugno 2011) al 2021 è pari a circa il 170%.
L’art. 16 quater, l. 16 luglio 2020, n. 76, l. conv. 11 settembre 2020, n. 120 (c.d. decreto semplificazioni: la norma è frutto dell’iniziativa legislativa del CNEL) dispone che il contratto collettivo nazionale, identificato mediante un codice unico alfanumerico per tutta la PA, sia indicato nelle comunicazioni obbligatorie e nelle trasmissioni mensili UNIEMENS. Tale codice viene attribuito dal CNEL, secondo criteri stabiliti d’intesa con il Ministero del lavoro e l’INPS, con contestuale archiviazione digitale ordinata e univoca per tutte le pubbliche amministrazioni.
In particolare, anche al fine di schematizzare i numeri che si possono dedurre dall’archivio CNEL, secondo la Nota di commento, si possono enucleare i seguenti riferimenti:
1. Numero complessivo CCNL con codice unico CNEL/INPS: 1081;
2. Numero complessivo CCNL vigenti: 441;3
3. CCNL sottoscritti da CGIL, CISL, UIL vigenti: 91.
Secondo la Nota, si può mettere ulteriormente ordine agli archivi pubblici della contrattazione collettiva per procedere nella definizione di un modello teorico che permetta la lettura comparata tra contratti collettivi, nazionali e decentrati. Si tratterebbe di un passo ulteriore rispetto al codice unico dei contratti collettivi.
Alla luce del quadro appena rappresentato si deve altresì segnalare che il CNEL non ha il potere di selezionare i contratti collettivi che vengono depositati dalle organizzazioni sindacali e datoriali. Ha, invece, un obbligo di recezione e di archiviazione di tale contrattazione. Gli emendamenti proposti sono finalizzati da una parte, a arricchire l’archivio della contrattazione collettiva con quella di livello decentrato, territoriale e aziendale, e, dall’altra, quella di permettere al CNEL di selezionare, ai fini della composizione dell’archivio, la contrattazione collettiva, nazionale e decentrata, che è sottoscritta dalle organizzazioni considerate più rappresentative e che siedono al CNEL. Peraltro si osserva che gli art. 3 e 4 della l. 30 dicembre 1986, n. 936 permette di considerare la rappresentatività con riferimento agli elementi già elaborati dalla giurisprudenza (consistenza numerica delle organizzazioni sindacali/datoriali, ampiezza di azione sindacale, diffusione territoriale, partecipazione e stipulazione di contratti collettivi, etc.).
Si propone, inoltre, il deposito dei CCNL possa essere esercitato, anche disgiuntamente, da parte delle organizzazioni sindacali e datoriali che siedono al CNEL (almeno una delle due controparti). Il che determinerebbe un duplice effetto positivo. La contrattazione collettiva tutta, cioè quella nazionale e quella decentrata, sarebbe ordinata in un unico archivio pubblico, fruibile da tutti coloro che vi hanno interesse, codificata anche per i fini contributivi. Inoltre, il richiamo all’art. 3 e 4 della l. 30 dicembre 1986, n. 936 spingerebbe a mettere mano e a riordinare l’archivio, permettendo di selezionare i contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni considerate più rappresentative secondo i criteri giurisprudenziali ormai consolidati da anni, in attesa che i protocolli sulla misurazione della rappresentatività siano del tutto operativi. Il deposito disgiunto permetterebbe di archiviare anche i CCNL di cui una sola parte siede al CNEL. Tale archivio così riorganizzato consoliderebbe la propria funzione di unico punto di riferimento per individuare i contratti collettivi utilizzati per fini di certezza pubblica (norme per le ispezioni, la decontribuzione, i benefici normativi, etc.).
L’iniziativa del CNEL – se sarà recepita dal legislatore – dovrebbe consentire, sia pure in modo indiretto ma fondato su criteri oggettivi della rappresentatività, un più efficace contrasto della contrattazione collettiva esercitata in dumping; oltre a rafforzare l’archivio della contrattazione collettiva. È un’opinione personale, ma basterebbe lo svolgimento di questa funzione per giustificare l’utilità del CNEL, organismo di rilievo costituzionale, preso di mira negli anni scorsi dalla demagogia anti-istituzionale a lungo dominante “al tempo degli Unni”. Infine, rimane da trarre una considerazione. L’entrata in scena, in modo sempre più diffuso, della contrattazione pirata (anche se resta un’evidente sproporzione tra il numero dei contratti “farlocchi” e quello dei lavoratori a cui si applicano: il che è testimonianza di una sopravvalutazione del fenomeno) è stata determinata del più clamoroso autogol effettuato da settori sindacali minoritari che si fecero promotori del referendum manipolativo dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, da cui scaturì una sorta di primato al contratto applicato in azienda. Il fenomeno è ben definito nella Nota laddove si parla “di una sorta di indiretta <aziendalizzazione> della contrattazione nazionale”. È illusorio pretendere di superare questo handicap con un’improbabile legge sulla rappresentanza: un’operazione che presenta delle complessità sottovalutate. Ad avviso di chi scrive una legge sulla rappresentanza eserciterebbe una violenza al sistema delle relazioni industriali per come si è costituito dal dopoguerra ad oggi al di fuori dell’articolo 39 Cost. L’attuale sistema si fonda sui principi del reciproco riconoscimento, dell’autonomia e della libertà contrattuale. C’è una differenza profonda, ad esempio, tra il Testo unico sulla rappresentanza (un atto di autonomia contrattuale interna al sistema) e il varo di una legge. L’esperienza compiuta col sistema dei partiti dovrebbe indurci a salvaguardare un sistema di relazioni industriali che ha funzionato e continua, tutto sommato, a funzionare, assicurandone la gestione alle parti che di questo sistema sono state protagoniste.
Membro del Comitato scientifico ADAPT