contrattazione collettiva

Cassa integrazione, ferie e permessi tra giurisprudenza e contrattazione collettiva

Cassa integrazione, ferie e permessi tra giurisprudenza e contrattazione collettiva

Bollettino ADAPT 20 gennaio 2025, n. 3

 

Il Tribunale di Ascoli Piceno, con sentenza n. 351/2024, pubblicata il 22 novembre 2024, ha avuto occasione di occuparsi di una questione che spesso viene sollevata nel caso di ricorso ad ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro: la maturazione dei ratei di ferie e permessi (di CCNL) in caso di sospensione o riduzione dell’orario di lavoro.

 

Nel caso di specie, i ricorrenti, dipendenti o ex-dipendenti di una azienda che applica il CCNL per l’industria metalmeccanica e l’installazione di impianti (cod. CNEL C011), chiedevano al giudice la maturazione piena (ripristino o indennità sostitutiva) – per un periodo interessato da cassa integrazione guadagni ordinaria (CIGO) – dei giorni di ferie e permessi, nonché il risarcimento del danno. Gli stessi erano infatti stati calcolati dal datore di lavoro in termini di proporzione diretta rispetto alle ore effettivamente prestate.

 

Occorre preliminarmente rilevare come risulti incontestato il fatto per cui il ricorso alla CIGO venne circoscritto ad alcuni giornate e addirittura limitato ad alcune ore delle stesse (CIGO a riduzione), e non per l’intero periodo ed orario richiesti (non siamo quindi in presenza di una CIGO a zero ore).

 

Il Giudice muove l’iter argomentativo da principi enunciati da risalente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 3603/1986).

 

La Cassazione di metà anni ’80, seguita da altre pronunce (ad esempio, Cass. n. 10205/1991), aveva statuito come «il diritto al godimento delle ferie non è suscettibile di riduzione proporzionale alle ore non lavorate in relazione (…)» a casi di ricorso alla cassa integrazione, ripartendo peraltro l’onere tra il datore di lavoro (per la quota maturata nelle ore effettivamente prestate) e l’INPS (per le ore di CIGO). Diverso il caso della sospensione dell’orario di lavoro (c.d. CIGO a zero ore), ricorrendo la quale, nei relativi periodi, non maturerebbe il rateo di ferie (pur risalente, cfr. Pret. Lucca, 12 dicembre 1998).

 

La sentenza in commento richiama poi un particolare orientamento giurisprudenziale, di valorizzazione della contrattazione collettiva, secondo cui il principio sopra espresso «(…) non esclude che la disciplina collettiva (…) possa stabilire, con esplicita disposizione, che il diritto alle ferie maturi anche con riguardo a periodi del rapporto di lavoro durante i quali non vi sia stata effettiva prestazione di attività lavorativa» (Cass. n. 6872/1988).

 

Muovendo da tale assunto, il Tribunale ha accolto apoditticamente la tesi di parte ricorrente, che richiamava l’art. 10 (“Ferie”), sez. Quarta, Titolo III del CCNL applicato, sostenendo come esso preveda la maturazione integrale dei ratei di ferie, in caso di parziale prestazione lavorativa nel mese, ma comunque superiore ai 15 giorni.

Invero, si può anzitutto notare come l’articolo richiamato non si occupi di regolare, in maniera espressa, la maturazione delle ferie nelle ipotesi di riduzione o sospensione dell’orario di lavoro per cassa integrazione, come invece accade in altri CCNL. Si pensi, per rimanere nel Sistema Confindustria, alle clausole previste nel CCNL Tessile, abbigliamento, moda (cod. CNEL D014).

 

Esso si limita infatti a prevedere, per quanto qui d’interesse, che «Al lavoratore che all’epoca delle ferie non ha maturato il diritto all’intero periodo di ferie spetterà, per ogni mese di servizio prestato, un dodicesimo del periodo feriale di cui al primo comma. La frazione di mese superiore ai 15 giorni sarà considerata, a questi effetti, come mese intero. In caso di risoluzione del rapporto di lavoro al lavoratore spetterà il pagamento delle ferie in proporzione dei dodicesimi maturati. La frazione di mese superiore ai 15 giorni sarà considerata, a questi effetti, come mese intero».

 

Ciò pare certamente applicarsi ai tradizionali casi di assunzione e cessazione del rapporto di lavoro durante l’anno (il contratto dice: «Al lavoratore che all’epoca delle ferie non ha maturato il diritto all’intero periodo di ferie (…)»; «In caso di risoluzione (…)»), ipotesi per le quali (si badi all’inciso «a questi effetti») la frazione di mese superiore ai 15 giorni si considera 1/12 di rateo pieno.

 

Criterio però, almeno a parere di chi scrive, non automaticamente applicabile alle ipotesi di cassa integrazione.

 

Certamente poi l’articolo richiamato non riguarda i permessi annui retribuiti (PAR), regolati da diverso articolo (art. 5, sez. Quarta, Titolo III), che ugualmente non tratta in via espressa delle ipotesi di CIG e, più precisamente, non richiama neppure il criterio dei 15 giorni («(…) sono riconosciuti ai lavoratori, in ragione di anno di servizio ed in misura proporzionalmente ridotta per le frazioni di esso (…)»).

Nonostante ciò, il Tribunale, senza addurre idonee motivazioni (si legge: «Analogamente deve affermarsi per quanto riguarda i permessi, i quali devono ugualmente essere riconosciuti in favore dei ricorrenti»), ne parifica la regolamentazione a quella delle ferie.

 

Quello che qui preme evidenziare è l’assenza, nel percorso argomentativo adottato, di qualsivoglia valutazione (rectius interpretazione) in merito alle pattuizioni collettive poste a fondamento della domanda giudiziale.

È la stessa Cassazione del 1988 a ricordare, nel passaggio peraltro ripreso dal Giudice di Ascoli, come l’interpretazione della disciplina collettiva «(…) è riservata al giudice del merito, è censurabile in sede di legittimità per violazione delle regole legali  di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione (…)». Sotto questo profilo, sarà interessante valutare, se vi sarà occasione, eventuali posizionamenti in successivi gradi di giudizio.

 

Al di là della questione di merito, che conserva in ogni caso la sua valenza, emerge l’esigenza di una attenta valutazione e interpretazione delle clausole contrattuali, il che assume una sempre più preponderante centralità nel dibattito giuslavoristico e di cui forse non ci si preoccupa ancora a sufficienza in termini formativi e di approfondimento tecnico, in ogni sede.

 

Marco Menegotto

ADAPT Professional Fellow

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Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/253 – Rinnovo contrattuale del CCNL Agricoltura Contoterzisti attività agromeccaniche: le novità economiche e normative

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/253 – Rinnovo contrattuale del CCNL Agricoltura Contoterzisti attività agromeccaniche: le novità economiche e normative

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Contesto del rinnovo

 

Il 19 giugno 2024, in seguito alla scadenza del contratto avvenuta il 31 dicembre 2023, è stato sottoscritto a Bergamo il rinnovo del CCNL per i lavoratori dipendenti da aziende che operano nel settore delle attività agromeccaniche (contoterzismo in agricoltura). Il nuovo accordo valido sia per la parte economica che per quella normativa regolerà il quadriennio 2024-2027.

 

Dai dati dei flussi Uniemens 2023 emerge che il CCNL, avente codice CNEL A051, interessa un settore con un numero medio di lavoratori pari a 3.683. Le trattative per il rinnovo hanno visto il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali FAI-CISL, FLAI-CGIL e UILA-UIL, mentre per la parte datoriale, l’accordo è stato firmato dalla CAI Agromec.

 

Parte economica

 

L’accordo prevede un aumento complessivo di € 220,00 per il terzo livello (da riparametrare sugli altri livelli), distribuito in quattro tranche nel periodo di vigenza contrattuale: € 80,00 dal 1° giugno 2024, € 60,00 dal 1° giugno 2025, € 40,00 dal 1° giugno 2026 e € 40,00 dal 1° giugno 2027.

 

A partire dal 1° gennaio 2024 il rinnovo introduce un nuovo premio di continuità professionale che riconosce € 50,00 ai lavoratori che raggiungono i 5 anni di anzianità presso la stessa azienda. Questo nuovo premio si aggiunge alle somme già previste dagli scaglioni di anzianità stabiliti nel 2018: € 150,00 al raggiungimento dei 10 anni di anzianità e € 180,00 al raggiungimento dei 15 anni di anzianità.

 

A sostegno dei lavoratori e delle loro famiglie l’accordo aumenta i permessi retribuiti annui per la cura dei genitori anziani e l’assistenza ai figli fino ai 12 anni di età in caso di malattia, che passano da 18 a 24 ore.

 

Le novità riguardano anche l’ampliamento delle casistiche per la richiesta di anticipo sul TFR. I lavoratori potranno richiedere l’anticipo anche in caso di danni alla prima casa derivanti da calamità naturali o eventi catastrofici ed estinzione o riduzione del mutuo relativo alla prima casa.

Il CCNL dei contoterzisti in agricoltura prevede, all’articolo 42 e all’allegato 5, un contributo di assistenza contrattuale. Nel rinnovo del 19 giugno 2024 le parti si sono impegnate a rivedere la normativa sul contributo, con approfondimenti tecnici in corso per valutare la possibilità di riscuoterlo tramite una convenzione con l’INPS. In attesa di tale convenzione, è stato deciso di costituire un conto corrente bancario cointestato dalle organizzazioni che hanno firmato l’intesa per raccogliere i contributi. Questi dovranno essere versati trimestralmente o semestralmente entro il mese successivo alla scadenza di ciascun periodo.

 

Parte normativa

 

Altre novità riguardano l’ampliamento del periodo di prova per gli operai, assunti sia con contratto a tempo determinato che indeterminato. L’articolo 7 introduce le nuove durate, che risultano differenziate in base al livello di inquadramento: 12 giorni lavorativi per i lavoratori del 6° livello, 15 giorni per quelli del 5° e fino a 27 giorni per i livelli superiori, che comprendono il 4°, il 3° e il 2°.

Per gli operai con contratti a tempo determinato, inclusi gli stagionali impiegati all’esecuzione di più fasi lavorative nell’arco dell’anno, si stabiliscono durate non superiori a: 15 giorni per i lavoratori impegnati in mansioni complesse e altamente specializzate (livelli 2°, 3° e 4°), 10 giorni per chi possiede conoscenze tecniche e capacità professionali più specifiche (livello 5°) e 5 giorni per gli operai comuni (livello 6°).

 

All’articolo 8 dell’accodo, con riferimento alla classificazione del personale, si introducono nuove figure nei livelli 4°, 3°, 2° e 1°.  Al livello 4° si inserisce l’operatore specializzato nelle operazioni legate agli impianti energetici. Al livello 3° sono inclusi gli operai che, con adeguata formazione professionale, gestiscono i trattamenti fitosanitari e le operazioni connesse. Per il livello 2°, si includono gli impiegati che, pur operando in condizioni di autonomia esecutiva e con limitata iniziativa, devono possedere competenze tecniche specifiche attestabili con titoli di studio come quello di perito agrario o geometra. Infine, al livello 6° rientrano gli impiegati specializzati nella gestione dei dati informatici raccolti durante le lavorazioni.

 

Sul fronte della gestione dell’orario di lavoro, l’articolo 10 annuncia delle novità che garantiscono una maggiore flessibilità. In particolare, prevede che attraverso specifici accordi è possibile modulare la distribuzione dell’orario lavorativo rispettando un massimo di 48 ore settimanali e un limite di 24 settimane all’anno, su una base di 6 giorni lavorativi settimanali.

 

In materia di assistenza alla prole, si introduce per i lavoratori: 5 giorni di permessi non retribuiti per chi ha figli di età compresa tra i 12 e i 14 anni, in caso di malattia.

 

Anche il tema della sicurezza sul lavoro riceve un’attenzione particolare. Ai fini dei controlli e delle iniziative sindacali il ruolo dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) si rafforza. Essi devono essere informati di ogni ispezione degli Organismi di Vigilanza e coinvolti nella valutazione dei rischi derivanti dall’introduzione di nuove tecnologie.

 

Di notevole rilievo è quanto stabilito dall’articolo 29, il quale dispone che “Considerata l’importanza ed il ruolo strategico che la formazione riveste ai fini della valorizzazione professionale delle risorse umane, si riconosce il diritto soggettivo alla formazione, favorendo l’accesso di tutto il personale ai programmi di formazione professionale e riconoscendo a ciascun lavoratore un pacchetto di ore di formazione annua”. Infatti, all’articolo 10 è disposto che ai lavoratori che ne facciano richiesta saranno concesse, garantendo comunque il regolare svolgimento dell’attività lavorativa delle imprese, 12 ore annue di permesso retribuito per partecipare ai corsi di formazione attinenti anche a materie non inerenti alle mansioni svolte. I lavoratori che potranno fruire contemporaneamente di detti permessi non possono comunque superare il 5% del totale della forza occupata. Il lavoratore che usufruisca di tali permessi dovrà documentare l’avvenuta partecipazione al corso formativo.

 

Tra le altre novità normative, sono quelle che interessano le norme in materia disciplinare. Nello specifico si prevede che il lavoratore addetto all’utilizzo delle macchine agricole a cui viene sospesa la patente debba darne immediata comunicazione al datore di lavoro. Il lavoratore stesso ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, senza retribuzione né mantenimento di alcun istituto contrattuale.

 

Infine, si aggiorna il sistema di preavviso, includendo esplicitamente nella tabella dei termini anche i lavoratori inquadrati al livello 2°.

 

Parte obbligatoria

 

Tra le novità introdotte nella parte obbligatoria del rinnovo contrattuale vi è quanto disposto dall’articolo 2  in merito alla contrattazione integrativa territoriale, che avrà validità non più triennale, ma quadriennale.
Sempre all’articolo 2 dell’accordo, le parti concordano che non sarà possibile ripetere la negoziazione a livello integrativo per le materie già definite in modo esaustivo nel contratto collettivo nazionale, mantenendo la competenza su tali materie nella contrattazione collettiva decentrata. A tal proposito due sono le eliminazioni che sono apportate: l’eliminazione della materia relativa alla definizione dei casi in cui è ammessa l’assunzione a termine, indicata nella lettera a). e l’eliminazione che riguarda le casistiche in cui è consentita l’assunzione a tempo determinato, nello specifico la voce: “nonché nei casi previsti dalla contrattazione territoriale e con relative modalità”.

 

All’articolo 4 dell’accordo, invece, nella parte relativa alle relazioni sindacali sono elencati una serie di compiti a cui è tenuto il Comitato Nazionale Paritetico. Tra questi c’è il compito di esaminare sia le questioni relative alla previdenza dei lavoratori del settore, coinvolgendo anche gli istituti previdenziali, sia le eventuali controversie collettive che sorgono in merito all’interpretazione e applicazione del presente CCNL.

 

Le parti, inoltre, concordano sulla necessità di assicurare ai lavoratori del settore un adeguato trattamento di assistenza sanitaria integrativa ed esprimono la volontà comune di verificare, entro il 30 giugno 2025, la possibilità di costituire a livello nazionale un Fondo di assistenza Sanitaria Integrativa di settore.

 

Infine, con riguardo a quando già richiamato nella parte economica circa il contributo di assistenza contrattuale si precisa altresì che alle parti è concessa la possibilità di istituire il Comitato CAC  del “ comparto agromeccanico ( contoterzismo in agricoltura), formato da un componente ciascuno per Fai-CISL, Flai-CGIL e Uila-UIL e da alemeno due per CAI Agromec che avrà il compito di verificare l’effettiva operatività di quanto previsto dal presente accordo e dalle disposizioni contrattuali in materia e procedere al riparto delle risorse tra le stesse.  Suddetto comitato funzionerà secondo apposito regolamento da redigere entro il 30 settembre 2024, avrà durata di quattro anni e sarà tacitamente rinnovato di anno in anno se non disdetto da una delle Organizzazioni firmatarie. Infine, le parti si impegnano ad incontrarsi periodicamente per verificare l’andamento e la corretta attuazione degli impegni assunti con tale accordo.

 

Valutazione d’insieme

 

Nel complesso, il rinnovo del CCNL per i lavoratori dipendenti dalle imprese che esercitano attività agromeccaniche (contoterzismo in agricoltura) introduce diverse novità sia sotto il profilo economico che quello normativo. L’aumento dei minimi tabellari rappresenta un impegno importante volto a migliorare il potere d’acquisto dei lavoratori.

 

La possibilità di ricorrere all’anticipo del TFR in caso di danni da calamità naturali o per riduzione del mutuo rappresenta un chiaro segno di attenzione delle parti ad affrontare le difficoltà economiche impreviste che i lavoratori potrebbero incontrare in situazioni maggiore problematicità.

 

Matteo Santantonio

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

@santantonio_mat

 

Nunzia Tancredi

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

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Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/251 – L’accordo ponte ARIS: verso la stipula di un CCNL unico di settore

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/251 – L’accordo ponte ARIS: verso la stipula di un CCNL unico di settore

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Contesto del rinnovo

 

Nella giornata di sabato 24 gennaio 2024, è stata raggiunta un’intesa tra ARIS (Associazione Religiosa Istituti Socio Sanitari) e le tre federazioni sindacali FP CGIL, CISL FP e UIL FPL, riguardo la sottoscrizione di un accordo ponte economico applicabile al personale dipendente da CdR e RSA.

L’accordo entra in vigore a partire dal 1° marzo 2024 e rimane in vigore fino al 30 giugno dello stesso anno, è tuttavia destinato a conservare la sua validità fino alla stipula di un nuovo CCNL di settore.

Tale accordo si inserisce nelle more di un rinnovo del CCNL ARIS CdR e RSA, la cui stipula risale al dicembre 2012 ed è giunto a scadenza nell’ormai lontano 2018. Del CCNL di riferimento non faceva altresì parte la federazione FP CGIL, che, invece, entra ora nel sistema contrattuale, rafforzandolo.

Gli attori della rappresentanza del settore, dunque, hanno deciso di rispondere alle ormai improrogabili esigenze del personale dipendente dei Centri di Riabilitazione e delle Residenze Sanitarie Assistenziali, tramite la sottoscrizione di un testo dal valore temporaneo, destinato ad introdurre novità quasi solamente con riguardo al trattamento economico dei dipendenti.

 

Parte economica

 

Fulcro dell’accordo ponte in esame sono gli incrementi economici predisposti a beneficio del personale dipendente di CdR e RSA.  Viene previsto un aumento mensile lordo che si concretizza nell’attribuzione dell’Elemento Retributivo Aggiuntivo (ERA), quale nuovo elemento del trattamento economico complessivo. L’ERA verrà corrisposto per tredici mensilità in aggiunta alla normale retribuzione in vigore. Per tutti i lavoratori dipendenti non beneficiari del superminimo di cui all’art 56 del CCNL, è prevista la corresponsione di un ERA che varia sulla base della categoria di inquadramento professionale, e che comunque potrà raggiungere un valore massimo di 318,50 euro. È altresì prevista una maggiorazione dell’ERA per il personale inquadrato in specifiche categorie e che ricopre una delle qualifiche espressamente indicate all’interno della Tabella 2 di cui al punto 2 dell’accordo in esame.

Invece, per quanto riguarda il personale beneficiario del superminimo di cui all’art. 56 del CCNL, vale a dire tutti i lavoratori dipendenti impiegati con contratto a tempo indeterminato alla data di entrata in vigore del CCNL, è prevista la corresponsione di un ERA del valore di 40 euro lordi mensili, indipendentemente dalla categoria di inquadramento professionale di riferimento e/o dalla qualifica ricoperta.

 

Parte normativa

 

Così come anche definito dalle parti al paragrafo tre delle premesse di cui al presente accordo, avendo voluto redigere un accordo ponte economico, le parti sociali hanno trattato della parte normativa del CCNL in maniera estremamente esigua e del tutto residuale rispetto invece all’attenzione riservata alla parte economica.

Un primo intervento si è avuto con riguardo all’introduzione della possibilità per il personale dipendente di fruire della formazione in materia di sicurezza sul lavoro anche in modalità e-learning.

Secondo ed ultimo intervento sulla parte normativa del CCNL riguarda l’implementazione della disciplina del contratto a tempo determinato. Ai sensi di quanto previsto dal legislatore all’art. 19 comma 1 del D.lgs. 81/2015 e ss. mm., viene arricchito l’elenco, di cui all’art. 22 del CCNL, delle specifiche causali in virtù delle quali è possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.

 

Parte obbligatoria

 

Se, come si è detto, primario interesse sotteso alla conclusione del presente accordo ponte è stata la revisione della parte economica del CCNL, di altrettanta valenza appaiono gli obblighi cui si sono impegnati tanto le organizzazioni sindacali, quanto l’associazione datoriale ARIS.

In particolare, viene espressamente sancito l’impegno delle parti alla sottoscrizione di un contratto collettivo unico di settore che coinvolga le OO.SS. comparativamente e maggiormente rappresentative, e che veda altresì l’impegno e la partecipazione delle “Istituzioni pubbliche competenti”. Va specificato che, allo stato attuale, le due principali associazioni datoriali di settore, vale a dire ARIS e AIOP firmano congiuntamente il CCNL sanità privata riferito al personale non medico, ma hanno due CCNL differenti per quanto riguarda il personale delle case di cura.

 

Valutazione d’insieme

 

Per quanto l’Accordo ponte ARIS rappresenti un passo avanti per le lavoratrici e i lavoratori del settore sanitario dei CdR e delle RSA, si tratta di una soluzione estremamente limitata tanto nei temi affrontati quanto nelle soluzioni messe in campo.

Le migliorie apportate al trattamento economico sono in grado di rispondere solo parzialmente alle difficoltà di un settore che, come riportato nelle premesse dalle stesse parti sociali, “ha visto esponenzialmente aggravarsi la propria situazione economico-finanziaria”.

Nonostante il rinnovo in esame, dunque, a causa dello stallo remunerativo cui sono stati sottoposti i dipendenti dei CdR e delle RSA interessati, e i mancati adeguamenti normativi di valorizzazione delle loro professionalità, sembra che per assicurare migliori condizioni di lavoro ai lavoratori del settore ci sia ancora molta strada da fare.

 

Marta Migliorino

ADAPT Junior Fellow

@martamigliorino

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/249 – Il rinnovo del CCNL Terme: tra aumenti retributivi e rilevanti novità di carattere sociale

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/249 – Il rinnovo del CCNL Terme: tra aumenti retributivi e rilevanti novità di carattere sociale

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

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Bollettino ADAPT 20 gennaio 2025, n. 3

 

Contesto del rinnovo

 

Nella giornata di martedì 8 ottobre 2024 l’associazione datoriale maggiormente rappresentativa del settore termale, vale a dire Federterme Confindustria, e le tre principali sigle sindacali del settore, Filcams CGIL, Fisascat CISL e Uiltucs UIL, sono finalmente giunte alla firma dell’ipotesi di accordo sul nuovo CCNL del comparto termale che riguarderà ben 15.000 dipendenti del settore.

 

Il nuovo CCNL entrerà in vigore dal 1°ottobre 2024 e giungerà a scadenza il 31 dicembre 2027, continuando, tuttavia, a produrre i suoi effetti fino alla data di decorrenza del successivo accordo di rinnovo.

La trattativa – svoltasi per la durata di quasi un intero anno – si è chiusa con grande soddisfazione delle rappresentanze sindacali, le quali si sono dette entusiaste dell’impegno profuso per il raggiungimento di importanti obiettivi sia per quanto riguarda la parte economica dell’accordo, sia per quanto riguarda la nuova e migliorata disciplina in materia di condizioni di vita, di lavoro di migliaia di lavoratrici e lavoratori, soprattutto con riguardo al tema delle pari opportunità  e della tutela della genitorialità.

 

Parte economica

 

Focalizzando l’attenzione sulle modifiche approntate con riguardo alla parte economica dell’accordo, si sono registrati sostanziali aumenti dei minimi tabellari e importanti novità con riferimento all’assistenza sanitaria.

Per ciò che attiene ai minimi tabellari, all’art. 82 del CCNL è stato predisposto, in favore del IV livello di inquadramento professionale, un aumento retributivo lordo mensile complessivo pari a 200 euro, il quale sarà erogato in cinque tranche, tra ottobre 2024 e dicembre 2026. Di questi 200 euro i primi 60 euro verranno aggiunti a far data dalla retribuzione del mese di ottobre 2024, mentre, a partire da giugno 2025 verranno aggiunti 35 euro ogni sei mesi fino ad arrivare al 1° dicembre 2026.

Tale importo va riproporzionato per i tre livelli inferiori sulla base della scala parametrale attualmente in vigore.

 

Passando invece al tema dell’assistenza sanitaria, in un’ottica di sempre maggior riguardo al benessere psicofisico dei lavoratori, viene prevista l’istituzione di un sistema di assistenza sanitaria integrativa, o tramite la creazione di un fondo ad hoc, ovvero tramite l’adesione ad un fondo già esistente.

Secondo il disposto dell’art. 77 del CCNL, a partire dal 1° gennaio 2025 verranno automaticamente iscritti all’assistenza sanitaria integrativa tutti i lavoratori facenti capo al settore termale e assunti con contratto a tempo indeterminato. Per quanto riguarda il finanziamento dell’assistenza integrativa, è dovuto, per ciascun lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato ed a decorrere dalla data di iscrizione, un importo pari a 10 euro a carico dell’azienda e di 2 euro a carico del lavoratore. A tali importi va aggiunta la somma di 15 euro che l’azienda dovrà versare una tantum per ciascun lavoratore iscritto all’atto dell’iscrizione.

Il diritto all’assistenza sanitaria integrativa può essere esteso anche ai lavoratori titolari di un contratto a tempo determinato, che sia di durata superiore a tre mesi, e che ne facciano espressamente richiesta, per iscritto, all’azienda al momento dell’assunzione.

Le quote predisposte in favore dell’assistenza sanitaria integrativa sono da considerarsi, a pieno titolo, elementi del trattamento economico complessivo rappresentativi di un diritto irrinunciabile esistente in capo al lavoratore.

 

Parte normativa

 

Così come per la parte economica, anche sulla parte normativa sono stati portati a termine importanti risultati dall’alto valore sociale, i quali mostrano un’attenzione e un interesse sempre più crescenti in tema di pari opportunità e di tutela della genitorialità all’interno del settore termale.

Andando ad analizzare le novità introdotte in tema di pari opportunità, rispetto soprattutto a quanto previsto nella precedente versione del CCNL, innanzitutto viene maggiormente strutturata la linea da seguire in tema di parità uomo-donna, oltre alla previsione di misure specifiche che riguardano il tema della violenza e delle molestie sui luoghi di lavoro, con specifico riguardo a quelle di genere.

La prima novità in tema di pari opportunità, è l’istituzione, in tutte le realtà aziendali con più di 50 dipendenti, di una figura di rappresentanza ad hoc, nominata congiuntamente dalle OO.SS., specializzata in questioni di genere e denominata “Garante della parità”. Compito del Garante sarà quello di intervenire in favore del mantenimento e/o raggiungimento di condizioni di equità professionale tra lavoratori e lavoratrici.

 

A sostegno del lavoro portato avanti dal Garante, viene altresì istituita, presso l’EBITERME, una Commissione permanente per le pari opportunità.

Ruolo principe della Commissione è quello di studiare ed analizzare l’evoluzione qualitativa e quantitativa dell’occupazione femminile nel settore termale, al quale dovrà seguire la predisposizione di progetti di azioni positive finalizzate a favorire l’occupazione e la crescita professionale femminile, oltre che promuovere il reinserimento nel mercato del lavoro di donne e uomini che abbiano usufruito di congedi e/o aspettativa per motivi legati alla cura dei figli.

La Commissione ricopre altresì un ruolo nel contrasto e nella prevenzione di fenomeni di violenza, molestia e discriminazione legati alla questione di genere nel contesto lavorativo.

In aggiunta a ciò, le parti sociali si sono premurate di recepire interamente quanto disposto dal legislatore nella l. n. 4/2021 di ratifica della Convenzione OIL contro la violenza e le molestie sul luogo di lavoro.

 

A sostegno di quanto disposto a livello normativo, in accordo con RSA/RSU, viene prevista la realizzazione di eventi e materiale formativo ed informativo da destinare ai dipendenti al fine di prevenire e sensibilizzare sui temi legati alla violenza e alle molestie sui luoghi di lavoro. In tal senso viene prevista l’aggiunta di 1 ora l’anno di assemblea retribuita sul tema della violenza e delle molestie, che va ad integrare il monte orario previsto.

La maggiore sensibilità ed attenzione delle parti con riguardo al tema della violenza ha fatto sì che queste decidessero di recepire quanto previsto dall’art. 24, D.Lgs. n. 80/2015 in tema di congedo di cui poter usufruire in qualità di donna vittima di violenza di genere.

Viene dunque riconosciuta a tutte le lavoratrici inserite in percorsi di protezione relativi alla violenza di genere il diritto ad astenersi dal lavoro per un periodo massimo di tre mesi. Tale limite temporale, previsto dalla normativa nazionale, è stato integrato dalle parti con la possibilità di prorogare il congedo per un periodo di ulteriori tre mesi.

 

Altri grandi progressi sono stati raggiunti in tema di sostegno alla genitorialità.

In particolare viene previsto che i periodi di congedo parentale concorrono a tutti gli effetti sia alla maturazione dell’anzianità, delle ferie e dei permessi per riduzione d’orario, oltre che ai fini della maturazione e corresponsione della tredicesima mensilità e, a partire dal 1° gennaio 2027, anche ai fini della maturazione e corresponsione della quattordicesima.

Altra grande conquista in favore di un maggiore equilibrio vita-lavoro ed in particolare a sostegno delle lavoratrici e dei lavoratori con figli a carico che presentino certificati problemi nell’apprendimento, è la previsione di cui all’art. 20 del CCNL in cui le parti sociali si impegnano a sensibilizzare le imprese circa la possibilità di concedere orari di lavoro flessibili o addirittura una modifica temporanea del rapporto di lavoro, da full time a part time.

 

Parte obbligatoria

 

Studiando infine i cambiamenti introdotti nella parte obbligatoria del CCNL, è possibile notare come gli impegni assunti dalle parti firmatarie del rinnovo siano consequenziali alle maggiori novità introdotte nella parte normativa.

Emerge, infatti, in maniera dirompente come gli obblighi che le parti si riservano di adempiere siano principalmente legati al tema delle pari opportunità e ancor più al contrasto della violenza di genere sui luoghi di lavoro. Emerge la volontà delle parti sociali di essere parti attive nell’ “individuare le iniziative, di natura informativa e formativa, volte a contrastare, prevenire e non tollerare comportamenti discriminatori basati sulla diversità e in particolare violenze o molestie nei luoghi di lavoro”.

Viene siglato l’impegno tra gli interlocutori sindacali ad istituire tavoli tecnici, nel corso della vigenza del presente rinnovo, al fine di “analizzare in modo critico e proattivo” gli strumenti introdotti, così da valutarne l’idoneità e l’efficacia rispetto alle esigenze di settore che sorgono man mano.

Infine appare evidente l’obiettivo di voler arricchire il settore delle relazioni industriali di secondo livello. L’art. 44 del CCNL, rubricato “Malattia ed infortunio sul lavoro” amplia la sfera della contrattazione di secondo livello, prevedendo la possibilità di stabilire condizioni di miglior favore per i casi di malattia e infortunio non sul lavoro attraverso la contrattazione decentrata.

 

Valutazione d’insieme

 

Il rinnovo del CCNL dei lavoratori termali si ascrive sicuramente nel filone positivo di rinnovi che in quest’ultimo periodo hanno interessato il settore del turismo.

In generale si tratta di un rinnovo che certifica un complessivo miglioramento delle condizioni di lavoro, cui sono sottoposti le lavoratrici e i lavoratori delle aziende termali e dei centri benessere termali.

Se i cambiamenti dei minimi tabellari rappresentano sicuramente un dato rilevante, il vero valore aggiunto sembrerebbe essere rappresentato dall’introduzione di una ormai indispensabile assistenza sanitaria integrativa, novità di grande peso in termini di welfare.

E volendo continuare sul filone delle novità in termini di attenzione al benessere della forza lavoro, vanno sicuramente poste in rilievo le importanti novità introdotte riguardo alla parità, al contrasto alla violenza di genere e a protezione e promozione della genitorialità.

 

Marta Migliorino

ADAPT Junior Fellow

@martamigliorino

La regolamentazione dell’apprendistato nei contratti collettivi nazionali di lavoro

La regolamentazione dell’apprendistato nei contratti collettivi nazionali di lavoro

 

Bollettino ADAPT 9 dicembre 2024, n. 44

 

Le disposizioni di legge in materia di apprendistato riconoscono da tempo un ruolo centrale all’azione delle parti sociali. Il decreto legislativo n. 81 del 2015 opera specifici rinvii alla contrattazione collettiva su una pluralità di materie e, in considerazione di ciò, l’INAPP nel compiere la sua attività di monitoraggio verso i contratti collettivi (vedi, in tema, M. Colombo, G. Impellizzieri, M. Tiraboschi, Dove va l’apprendistato? Osservazioni e proposte a partire dall’ultimo rapporto Inapp-Inps, Bollettino ADAPT 25 novembre 2024) verifica se ed in che modo le Parti sociali hanno sfruttato gli spazi di regolamentazione aperti dalla legge.

 

L’apprendistato tra legge e contrattazione collettiva

Gli spazi regolatori che il legislatore riconosce alle parti sociali in materia di contratto di apprendistato, salvo il rispetto di alcuni principi inderogabili, sono piuttosto ampi, ai sensi dell’art. 42, co. 5 secondo il quale la disciplina di questo istituto «è rimessa ad accordi interconfederali ovvero ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative». All’autonomia collettiva è affidata, soprattutto, la definizione dei moduli e formulari dei piani formativi individuali, i livelli retributivi degli apprendisti e le quote di stabilizzazione. Nel regolare la materia, devono comunque essere rispettati i principi stabiliti dall’art. 42, comma 5, d.lgs. 81/2015 che – fra gli altri – regola aspetti legati alla retribuzione (come il divieto di retribuzione a cottimo per l’apprendista), limita il sottoinquadramento (al massimo fino a due livelli inferiori rispetto a quello di destinazione) e impone almeno la presenza di un tutor o referente aziendale. La legge, inoltre, riconosce la facoltà alla contrattazione collettiva di individuare, «esclusivamente per i datori di lavoro che occupano almeno cinquanta dipendenti» (art. 42, comma 8, d.lgs. 81/2015), limiti di contingentamento diversi da quelli legali. In ogni caso, titolari della contrattazione sono le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

 

Sono questi, del resto, gli ambiti rispetto ai quali il rapporto Inapp, al capitolo 3.5 dedicato a “La regolamentazione dell’apprendistato nei contratti collettivi nazionali di lavoro”, indaga se e come sono intervenuti i 148 rinnovi dei CCNL sottoscritti nel 2022. Sul punto, peraltro, va segnalata la scelta dell’Istituto di monitorare non solo gli accordi collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, cioè quelle selezionate dal legislatore per l’integrazione del dato di legge, ma l’universo dei rinnovi sopraggiunti nel 2022, senza distinguere le organizzazioni sindacali e datoriali firmatarie né indicando il codice alfanumerico Cnel che pur avrebbe permesso di “pesare” le tendenze della contrattazione collettiva così come individuate dal rapporto.

 

Il rapporto si limita ad indicare due settori prevalenti che si occupano dell’apprendistato. La maggiore diffusione della regolazione collettiva dell’apprendistato si registra soprattutto nel settore del Commercio, con 30 CCNL rinnovati in materia, seguito poi dal settore di Enti ed Istituzioni private (22 CCNL), dove a incidere non pare tanto l’attenzione degli attori della rappresentanza nei confronti dell’istituto quanto la (ben nota) proliferazione, non sempre genuina, di contratti collettivi di categoria in questi settori.

 

Cionondimeno, una segnalazione interessante di Inapp sul fenomeno emerge in ordine al dato della diminuzione del numero di contratti collettivi che non citano alcuna normativa inerente l’apprendistato o che rimandano a normative non più in vigore. Per contro, si rivela comunque in aumento il numero di CCNL che non regolano in alcun modo l’apprendistato (il numero da 33 è passato a 41). Questi CCNL identificano un’ampia percentuale pari al 28% del campione scelto dal Rapporto.

 

Larga parte di questi contratti collettivi (74 su 148) si occupano di disciplinare l’apprendistato professionalizzante e questo dato non ci stupisce affatto, poiché da anni ormai la tendenza del mercato del lavoro italiano mostra una netta prevalenza dell’utilizzo di questa forma di apprendistato sopra le altre due previste dalla legge.

L’apprendistato duale, cioè quello di primo e terzo livello, è regolato soltanto in 25 contratti sul totale del campione), tanto che una buona parte di questi contratti analizzati dà conto di una disciplina minima degli apprendistati duali e la totalità di questi non si discosta dalla percentuale di retribuzione prevista per legge a favore degli apprendisti.

 

La regolazione collettiva del rapporto di apprendistato

 

Il rapporto di monitoraggio si focalizza altresì su alcuni aspetti del rapporto di lavoro, evidenziando dove ed in che modo la contrattazione collettiva è intervenuta in maniera robusta ovvero ha provveduto ad effettuare semplici rinvii alle disposizioni nazionali o regionali che regolano la materia. Un primo elemento preso in considerazione è rappresentato dai sistemi di retribuzione prescelti dove si registra una presenza costante della disciplina predisposta dai CCNL.

L’art. 42, comma 5, lettera b, del d.lgs. n.81/2015, come anticipato, prevede la possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto a quello spettante in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro ai lavoratori addetti a mansioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al cui conseguimento è finalizzato il contratto di apprendistato (c.d. sotto-inquadramento) oppure in modo alternativo e non cumulativo, di stabilire la retribuzione dell’apprendista in misura percentuale e proporzionata all’anzianità di servizio (c.d. percentualizzazione). Dall’analisi dei contratti collettivi presi a campione è emerso come per l’apprendistato scolastico o di primo livello e l’apprendistato professionalizzante o di secondo livello le parti sociali abbiano prediletto il sistema della percentualizzazione mentre al contratto di apprendistato di ricerca e alta formazione, o di terzo livello, venga applicato il sotto-inquadramento.

 

Indipendentemente dal meccanismo prescelto, si rileva come i CCNL esaminati prevedano una suddivisione in sottoperiodi, del periodo inerente alla formazione, a cui corrispondono o il sotto-inquadramento o la percentualizzazione; elementi questi che variano in aumento secondo il passare del tempo. I sottoperiodi sono considerati il più delle volte in annualità ma non mancano le ipotesi che si riferiscono invece a mesi o semestri.

La percentuale viene determinata sulla base di alcuni parametri come, ad esempio, la durata del percorso di apprendistato, e comunque va da un minimo del 45 % per i primi due anni ed un massimo del 70% per l’ultimo periodo, in caso di apprendistato di primo livello; mentre in caso di apprendistato professionalizzante si registrano percentuali più alte (in alcuni casi nell’ultimo periodo si arriva al 100%, ma non mancano anche casi contrapposti come un CCNL noleggio auto con conducente e le relative attività correlate, di cui non si conoscono le parti firmatarie, che stabilisce una percentuale minima del 20 % ed una massima del 50 %. Per quanto attiene all’erogazione del trattamento economico riferibile alla formazione interna, nessun contratto collettivo si discosta dalla percentuale del 10% di quella dovuta normalmente.

 

Altro profilo oggetto di attenzione in sede di negoziazione collettiva è rappresentato dalle clausole di stabilizzazione. Un grande numero di contratti collettivi non le disciplina, limitandosi a rinviare alla normativa di rango nazionale e a confermare la percentuale del 20 % di assunzione degli apprendisti il cui periodo di apprendistato si sia concluso nei 36 mesi precedenti. Fanno eccezione due CCNL del trasporto e uno del commercio che applicano rispettivamente le percentuali del 60%, 30% e 30% per le imprese che hanno alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori.

 

Residuale, invece, è l’attenzione verso i profili formativi dell’apprendistato. Sebbene il contratto di apprendistato sia uno schema contrattuale che si discosta dagli ordinari rapporti di lavoro subordinato in virtù delle finalità economiche ed occupazionali che persegue e soprattutto per essere un contratto a fasi successive dove la formazione riveste un ruolo determinante, si evidenzia come la figura del tutor o referente aziendale ed anche il profilo della formazione nella quasi totalità dei CCNL presi in esame vengano scarsamente disciplinate e la materia venga demandata alla regolazione normativa di rango nazionale. Tuttalpiù, si è evidenziato che nell’apprendistato professionalizzante il monte ore della formazione aziendale viene definito in base al livello di inquadramento oltre che alla durata del percorso di apprendistato. In argomento si è visto che ai livelli più bassi corrisponde un incremento del numero di ore di formazione.

 

Omogenea ed uniforme è la disciplina riferibile al part time in apprendistato dove tutti i CCNL, ad eccezione del settore alimentare che stabilisce la percentuale del 50 %, richiamano la regola per cui il part time non può essere inferiore al 60 % dell’orario normale.

Infine, si è registrato un incremento da parte della contrattazione collettiva nel valorizzare il ruolo degli enti bilaterali, anche se sul punto non si registrano particolari novità ad esclusione del CCNL Edilizia che fra i compiti assegnati all’ente prevede, oltre al monitoraggio delle esperienze di apprendistato, anche quello di divulgazione delle esperienze più rilevanti.

 

Conclusioni

 

In conclusione, l’analisi condotta evidenzia il ruolo centrale, ma ancora non pienamente sviluppato, della contrattazione collettiva nella regolamentazione del contratto di apprendistato. Sebbene il legislatore offra ampi spazi di intervento alle parti sociali, molti CCNL si limitano a recepire le norme di legge senza introdurre significative innovazioni, con una prevalenza di attenzione all’apprendistato professionalizzante rispetto alle altre tipologie. Tuttavia, emergono problematiche rilevanti, tra cui la crescita dei contratti che non disciplinano affatto l’apprendistato e l’assenza di un’effettiva attenzione ai profili formativi e al ruolo del tutor aziendale, elementi centrali per il valore educativo dell’istituto.

 

È comunque complesso, se non azzardato, sviluppare ulteriori riflessioni sui risultati del rapporto in commento alla luce dell’opacità della contrattazione collettiva presa in considerazione, degli attori i firmatari e del numero di lavoratori e imprese coinvolte, che rende praticamente impossibile valutare l’effettività e l’impatto delle regolamentazioni collettive.

 

Federica Chirico

Apprendista di ricerca ADAPT

@fedechirico

 

Giulia Comi

Apprendista di Ricerca ADAPT

@giulphil

 

Nicoletta Serrani

ADAPT Labour Lawyers associate

@Nicserrani

 

Le conciliazioni in sede sindacale tra “formalismi”, oneri probatori e contrattazione collettiva

Le conciliazioni in sede sindacale tra “formalismi”, oneri probatori e contrattazione collettiva

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Bollettino ADAPT 2 dicembre 2024 n. 43

 

Non sono passate di certo inosservate le recenti pronunce della Corte di Cassazione riguardanti i presupposti affinché una conciliazione esperita in sede sindacale possa sortire gli effetti previsti dall’art. 2113, comma 4 cod. civ. e cioè l’inoppugnabilità delle rinunce e delle transazioni concordate dalle parti. I nuovi approdi giurisprudenziali, infatti, stanno facendo discutere tutti gli attori coinvolti nei processi di negoziazione dei c.d. verbali tombali, cioè quegli accordi in cui le parti del rapporto di lavoro dirimono in via definitiva ogni lite in occasione della relativa cessazione.

 

Con ordinanza 18 gennaio 2024, n. 1975, la Corte di Cassazione ha ritenuto che non sia necessario che la conciliazione sia sottoscritta presso una sede sindacale intesa nella sua dimensione “materiale”, essendo piuttosto sufficiente che il lavoratore (o la lavoratrice) sia pienamente informato e reso consapevole da un sindacalista circa le conseguenze giuridiche derivanti dalla sottoscrizione dell’accordo. In altri termini, ciò che è essenziale, ai fini della validità di una conciliazione in sede sindacale e della produzione degli effetti previsti dall’art. 2113, comma 4 cod. civ., è che il sindacalista aiuti il lavoratore a comprendere e valutare la convenienza dell’accordo rispetto all’oggetto della lite, accertandosi che la sua volontà non sia stata coartata o condizionata (anche) dal datore di lavoro. In tale quadro, nell’ordinanza la Corte precisa che la sede sindacale nella sua accezione fisico-topografica non rappresenterebbe un requisito formale ma solo “funzionale” ad assicurare al lavoratore l’esercizio di un libero convincimento, senza alcun condizionamento (cfr. punto 5 dell’ordinanza). Se, però, il lavoratore ha effettivamente ricevuto una adeguata assistenza sindacale, il fatto che poi l’accordo sia stato sottoscritto presso la sede aziendale (nel caso di specie, uno studio oculistico) non rileva, con conseguente idoneità dell’accordo a produrre l’effetto dell’inoppugnabilità previsto dall’art. 2113, comma 4 cod. civ.

 

Sennonché, qualche mese dopo, la Suprema Corte è ritornata sulla questione: nella ordinanza 15 aprile 2024, n. 10065, gli ermellini hanno sostenuto che la conciliazione in sede sindacale non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette. Secondo la Corte, i luoghi designati dall’art. 2113, comma 4 cod. civ.  sono tassativi e non ammettono alternative, «sia perché direttamente collegati all’organo deputato alla conciliazione e sia perché in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro» (cfr. punto 18 dell’ordinanza). Pertanto, la sede sindacale alla quale farebbe riferimento tanto l’art. 2113, comma 4 cod. civ. che l’art. 411, comma 3, cod. proc. civ., non va intesa solo come “luogo virtuale di protezione” del lavoratore, integrata dalla sola presenza del sindacalista, bensì anche come “luogo fisico-topografico”.

 

Nel registrare l’esistenza di due orientamenti tra loro parzialmente in contrasto – rispetto ai quali sarebbe auspicabile un intervento nomofilattico da parte della stessa Corte – v’è però da notare, in prima battuta, che l’eventuale verbale di conciliazione sottoscritto in una sede che non sia quella “fisica” dell’associazione sindacale non darebbe luogo automaticamente ad una invalidità dell’atto, essendo sempre possibile dimostrare che, in realtà, il lavoratore (o la lavoratrice) sia stato messo nelle condizioni di poter maturare il suo libero convincimento grazie ad una effettiva assistenza del sindacalista. È questa, del resto, la conclusione alla quale perviene l’ordinanza 18 gennaio 2024, n. 1975: se la conciliazione è stata conclusa nella sede sindacale intesa in senso “materiale”, posto che la prova della piena consapevolezza dell’atto dispositivo del lavoratore può dirsi in re ipsa o desumersi in via presuntiva «graverà sul lavoratore l’onere di provare che, ciononostante, egli non ha avuto effettiva assistenza sindacale»; diversamente, laddove la conciliazione sia stata conclusa in una sede diversa, l’onere della prova grava sul datore di lavoro, il quale deve dimostrare che, nonostante l’assenza di una sede protetta intesa in senso “fisico”, il lavoratore, grazie all’effettiva assistenza sindacale, ha comunque avuto modo di comprendere contenuto ed effetto delle dichiarazioni negoziali sottoscritte.

 

Posta in questi termini, dunque, la questione si sposterebbe semmai sull’eventuale ripartizione degli oneri probatori, anche perché non è sempre detto che per il solo fatto che la negoziazione dell’accordo si sia svolta presso una sede sindacale il lavoratore sia stato adeguatamente assistito ai fini del compimento delle dovute valutazioni che occorre fare in una fase in cui si sta per rinunciare definitivamente all’accertamento dei diritti connessi al rapporto di lavoro, molti dei quali inderogabili e quindi indisponibili. Pertanto, anche laddove dovesse accertarsi che la conciliazione sia stata conclusa non presso la sede sindacale ma in presenza di un sindacalista che abbia effettivamente assistito il lavoratore, l’accertamento dell’invalidità della conciliazione dipenderebbe dalla capacità del datore di lavoro di dimostrare che il lavoratore non ha subito alcun condizionamento e che sia stato adeguatamente assistito.

 

Inoltre, a non convincere del tutto il rigido orientamento assunto dalla Corte nella ordinanza 15 aprile 2024, n. 10065, sovviene la lettera della legge la quale, proprio con riferimento alla conciliazione in sede sindacale, riconosce un significativo spazio di regolazione alla contrattazione collettiva. L’art. 412-ter cod. proc. civ., infatti, prevede che la conciliazione può essere esperita «altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative». Dunque, il contratto collettivo – a qualunque livello esso sia sottoscritto (nazionale, territoriale o aziendale) posto che la norma nulla dice al riguardo – ha il potere di definire delle modalità conciliative proprie, che possono anche prescindere dalla fisicità del luogo, purché idonee a tutelare la posizione di debolezza negoziale del lavoratore, dati gli effetti che scaturiscono da un accordo di conciliazione ex art. 2113, comma 4 cod. civ. È in questa cornice concettuale che deve essere ricondotto il recente accordo collettivo territoriale sottoscritto a Treviso il 22 ottobre 2024, da Confindustria Veneto Est e le confederazioni sindacali locali Cgil, Cisl e Uil. Coltivando legittimamente il rinvio che l’art. 412-ter cod. proc. civ. depone in favore della contrattazione collettiva, l’accordo prevede espressamente che per “sede sindacale” deve intendersi «qualunque luogo e/o locale», inclusi i locali dell’impresa, o quelli dell’associazione datoriale firmataria, «che sia concordemente individuato quale sede di stipulazione della conciliazione da parte del lavoratore, dell’organizzazione sindacale che lo assiste, del datore di lavoro e di Confindustria Veneto Est», se coinvolta.

 

Allo scopo di garantire un adeguato livello di tutela al lavoratore, l’accordo prevede che l’organizzazione sindacale che assiste il lavoratore debba poter essere messa al corrente del luogo ove si svolgerà la conciliazione, in modo tale da poter verificare preventivamente se vi siano i rischi di particolari condizionamenti del lavoratore. Non solo; a presidio di una maggiore tutela del lavoratore, l’accordo prescrive anche la necessaria e contestuale presenza del sindacalista nel medesimo luogo in cui si trova il lavoratore al momento della conciliazione, anche quando questa si svolga da remoto. L’accordo, dunque, definisce una procedura nel pieno rispetto degli spazi di regolazione che la legge affida all’autonomia collettiva, senza che da questa possano desumersi particolari vincoli spaziali o procedurali. È in questo senso che si giustifica la scelta delle organizzazioni sindacali di non porre l’accento sulla dimensione fisica del luogo ma sulle procedure, evidentemente consapevoli anche del fatto che l’unico precedente giurisprudenziale a propendere per una concezione anche “fisica” di sede sindacale riguarda un caso in cui le parti del rapporto avevano conciliato senza seguire delle procedure definite da alcun accordo o contratto collettivo, seguendo piuttosto la prassi (cioè conciliare presso i locali aziendali e in assenza di una disciplina collettiva di riferimento che autorizzi una tale procedura prevedendo delle contromisure).

 

Nicoletta Serrani

ADAPT Labour Lawyers associate

@Nicserrani

 

Salario minimo e contrattazione collettiva: spunti dal Rapporto UNI Europa “Time for action!”

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Bollettino ADAPT 2 dicembre 2024 n. 43

 

Introduzione

 

L’articolo che segue si propone di analizzare il recente rapporto “TIME FOR ACTION!”, edito da UNI – Europa, la Federazione Sindacale Europea dei Servizi, che rappresenta in Europa 272 sindacati nazionali. Il report è inserito nell’ambito di un progetto più ampio, svoltosi da agosto 2022 ad agosto 2024 e coordinato dalla federazione, che è volto a individuare strategie per il rafforzamento della contrattazione collettiva nel settore dei servizi. Un obiettivo che, proprio con riferimento a questo ambito settoriale, assume una rilevanza centrale, considerato il tasso generalmente molto basso di copertura della contrattazione nei vari Paesi, in ogni caso ben al di sotto della soglia minima dell’’80% individuata dalla Direttiva UE 2022/2041 sui salari minimi adeguati.

 

Nel report è quindi fatta sintesi tra numerosi contributi di alcuni esperti nazionali sulla contrattazione collettiva e analisi di esperienze di policy attuate in diversi Stati europei, con l’obiettivo di arricchire il dibattito in merito alle strategie più efficaci da adottare a livello nazionale per lo sviluppo della contrattazione, nel solco degli obiettivi posti a livello eurocomunitario. Per fare ciò, sono individuati due macro – obiettivi: uno strutturale, cioè orientato all’apportare cambiamenti di policy volti a migliorare l’attività sindacale e i processi di sviluppo della contrattazione; uno culturale, volto allo sviluppo di una coscienza “comune”, nella società, sul valore del ruolo della contrattazione collettiva.

 

Il primo obiettivo è il più complesso da affrontare e si suddivide in tre ambiti d’intervento: l’incremento della capacità contrattuale degli attori coinvolti; la riforma dell’impianto normativo e organizzativo della contrattazione collettiva; l’efficacia e l’impatto degli accordi collettivi raggiunti. Tali ambiti sono a loro volta organizzati intorno a cinque aree tematiche, ricche di suggestioni e di proposte, su cui si sviluppa l’analisi. Parte delle misure suggerite dagli esperti sono riconducibili a un approccio più flessibile, il c.d. carrot approach (approccio della carota), altre invece a un approccio più incisivo, il c.d. stick approach (approccio del bastone).

 

Prima area d’intervento: capacità e forza contrattuale delle organizzazioni sindacali

 

Nella prima parte dell’analisi, vengono proposte alcune azioni di policy volte a rimuovere alcuni ostacoli che, attualmente, rendono più complesso l’esercizio delle attività delle organizzazioni sindacali.

 

In questa prospettiva, sono presentate alcune prime riflessioni in merito al requisito della rappresentatività, secondo il quale ai sindacati è riconosciuta la possibilità di negoziare i contratti collettivi nel caso in cui dimostrino di avere una certa consistenza e capacità di mobilitazione e di protezione degli interessi collettivi nel settore, territorio o azienda di riferimento. Il requisito della rappresentatività è disciplinato dai legislatori nazionali attraverso l’individuazione di soglie, le quali possono essere, a seconda dei casi, particolarmente stringenti (molto alte) o permissive (molto basse). Ognuna di queste eventualità può comportare problemi di natura diversa sul piano dell’azione sindacale: infatti soglie troppo alte renderebbero di fatto impossibile la partecipazione alla contrattazione delle organizzazioni; al contrario, soglie basse renderebbero troppo facile la costituzione di una rappresentanza e la partecipazione di questa al tavolo della contrattazione, aumentando così il rischio di yellow unions, ossia organizzazioni sindacali asservite agli interessi del datore di lavoro. Sulla scorta di alcune esperienze nazionali, vengono quindi suggeriti alcuni rimedi, che vanno dalla predisposizione di un sistema di rappresentatività automatica basato sulla firma di accordi collettivi (Croazia) alla creazione di un sistema di mutuo riconoscimento in cui gli accordi collettivi siano applicati a prescindere dal rispetto delle soglie di rappresentatività (Malta).

 

Una seconda questione problematica è rappresentata dalla presenza di discriminazioni sul luogo di lavoro: questo fattore può infatti ostacolare la partecipazione dei lavoratori alle organizzazioni sindacali, nel momento in cui vengano indotte le dimissioni o negate specifiche opportunità di carriera ai lavoratori sindacalizzati. Sono numerose le proposte di rafforzamento dei sistemi normativi che già prevedono sanzioni in merito, ad esempio attraverso l’estensione della protezione assicurata ai whistleblower e la predisposizione di politiche che portino alla stipulazione di patti a tutela della carriera.

 

Un terzo punto riguarda il tempo e le risorse a disposizione delle rappresentanze sindacali dei lavoratori per dirigere e organizzare le attività sindacali. In quest’ottica, si propone la disponibilità di utilizzo degli spazi e materiali aziendali (come uffici e computer), così come la previsione di aumenti salariali in virtù del numero di lavoratori rappresentati. È importante garantire ai rappresentanti l’incontro con i lavoratori, favorendone le condizioni, soprattutto in situazioni con un alto tasso di lavoratori da remoto, dispersi o mobili, ad esempio consentendo la presenza dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali al momento dell’assunzione, di modo da consentire la possibilità per il sindacato di farsi conoscere e da rendere consapevoli i lavoratori dei propri diritti.

 

Un quarto nodo problematico riguarda la costante presenza di forme di lavoro flessibile e precario, dato che i lavoratori assunti con tipologie contrattuali non standard sono disincentivati a unirsi alle organizzazioni sindacali.

 

Infine un tema critico che si riscontra in fase di applicazione degli accordi collettivi aziendali riguarda i soggetti beneficiari delle negoziazioni; di fatto gli accordi raggiunti ricadono sia sui lavoratori iscritti sia sui non iscritti, potendo così comportare una riduzione della partecipazione sindacale. Si tratta della questione dei c.d.free – riders, cioè dei lavoratori che non si iscrivono ai sindacati, potendo comunque beneficiare dei risultati delle negoziazioni. Per far fronte a questo nodo problematico, sono delineate tre possibili linee d’azione: limitare il costo dell’iscrizione ai sindacati, attraverso sgravi fiscali, indennità o rimborsi; prevedere “commissioni solidali” costituite da quote monetarie versate da ogni lavoratore e volte alla creazione di un fondo per la contrattazione collettiva che andrebbe a finanziare economicamente l’attività di contrattazione dei sindacati; prevedere l’applicazione degli accordi solo agli iscritti al sindacato firmatario, una soluzione che tuttavia sarebbe incostituzionale secondo gli ordinamenti di molti paesi. Infine una visione più stringente della tematica porterebbe alla creazione di un sistema obbligatorio d’iscrizione alle organizzazioni sindacali, così come attuato in Austria dove è prevista l’iscrizione obbligatoria dei lavoratori alla Camera del lavoro, la quale offre assistenza al lavoratore e fornisce servizi legali.

 

Seconda area d’intervento: il potere contrattuale e la partecipazione dei datori di lavoro alla contrattazione collettiva

 

Nell’ambito del report viene poi analizzata la questione del mandato delle organizzazioni datoriali, la cui mancanza mina la capacità (e volontà) dei datori di lavoro ad avviare le negoziazioni con le organizzazioni dei lavoratori. Problema urgente, soprattutto per le realtà multi –datoriali, che può essere risolto solo con l’intervento del’azione pubblica.

 

Su tale questione, sono suggerite due strategie di portata diversa.

 

L’approccio più morbido suggerisce l’introduzione di fondi, incentivi, co – finanziamenti, crediti fiscali e la possibilità di deroga ad alcune leggi, riconosciuti ai datori di lavoro che si impegnino attivamente nella contrattazione di settore. Tali incentivi hanno lo scopo di rendere disponibili maggiori risorse per i datori di lavoro, così che questi possano muoversi più liberamente nell’ambito delle regole poste attraverso la contrattazione collettiva. Inoltre, essendo necessaria la formazione dei soggetti coinvolti nelle trattative, soprattutto in ambiti multi – settoriali, è cruciale la previsione di corsi e la messa a disposizione di risorse, come la consulenza di esperti o il rimborso per i costi sostenuti in merito.

 

Diversamente si potrebbe prevedere l’obbligo di adesione obbligatoria alle organizzazioni datoriali, come accade in Austria e Slovenia, visione certamente più coercitiva che può avere l’effetto di richiedere un impegno maggiore ai soggetti coinvolti, senza predisporre risorse adeguate.

 

Terza area d’intervento: l’importanza della politica

 

In linea con quanto visto sopra, le politiche pubbliche possono rivestire un ruolo importante nello sviluppo dei processi di contrattazione collettiva, in particolare nell’ottica di favorire il raggiungimento di accordi compromissori. In questo senso la politica, oltre alla predisposizione di risorse conferite alle organizzazioni sindacali e finalizzate ad agevolare il loro operato, può assicurare la disponibilità di dati accurati e completi, supportando indagini statistiche settoriali, favorendo la trasparenza e ampliando il principio di buona fede cui s’ispirano le regole della contrattazione.

 

Secondo un approccio più flessibile, la politica può poi prevedere la creazione di “sedi” di negoziazione, finanziate e organizzate dallo Stato, dove i datori di lavoro e le organizzazioni sindacali possano incontrarsi per discutere; la messa a disposizione di esperti governativi, con un ruolo di mediazione; la previsione di benefit (es. sgravi fiscali) condizionati alla conclusione di un accordo collettivo. Inoltre, sempre la politica potrebbe obbligare le parti sociali a confrontarsi su determinati argomenti come salute, formazione e sicurezza, salario, equilibrio vita – lavoro, rischio occupazionale e schemi classificatori, come accade in Francia. D’altro canto, il processo di contrattazione può essere salvaguardato anche attraverso la previsione di obblighi in capo ai datori di lavoro, rendendo la contrattazione coercitiva, sia su determinati argomenti che in un’ottica generale, oppure attraverso la previsione di standard di settore, applicabili in caso di fallimento delle negoziazioni collettive (es. Nuova Zelanda, Australia). Inoltre in molti Paesi è stato introdotto il diritto unilaterale di ricorrere all’arbitrato, misura già applicata su richiesta di entrambe le parti, in caso d’impossibilità a raggiungere un accordo (es. Grecia).

 

Da ultimo, l’intervento della politica è cruciale in tema di diritto di sciopero, punto critico e fondamentale per il funzionamento del sistema e l’effettività della contrattazione collettiva. In questo senso, sarebbe auspicabile la previsione di minori restrizioni al suo esercizio, sia legislative, sia rimuovendo le barriere culturali: sempre più spesso, infatti, ciò che manca è la consapevolezza da parte dei lavoratori in merito al potere di questo strumento.

 

Quarta area d’intervento: riconoscimento ed efficacia degli accordi collettivi

 

La quarta area tematica sottolinea la necessità di rafforzare lo status giuridico degli accordi collettivi, soprattutto in relazione alle altre norme applicate in tema di diritto del lavoro. In questi termini, si parla di una necessaria chiarificazione del loro ruolo all’interno della gerarchia delle norme prevista nei vari ordinamenti e dell’introduzione del principio di favore, secondo cui in caso di concorso tra diverse norme, prevalgono quelle che prevedono un trattamento più favorevole al lavoratore.

 

Anche su questo aspetto, le strategie suggerite si distinguono tra carrot e stick approach.

 

Interventi più accomodanti incoraggiano l’ampliamento dell’ambito di applicazione dei contratti collettivi nazionali, rendendoli applicabili non solo ai soggetti firmatari, ma a tutti i lavoratori del settore attraverso la fissazione di standard minimi di lavoro con riguardo agli aspetti fondamentali del rapporto di lavoro, come l’ammontare degli stipendi e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Utile al fine sarebbe anche la previsione di clausole d’uscita e la restrizione nell’uso di clausole d’eccezione, in modo da rendere possibile derogare all’accordo solo con procedure e requisiti precisi, in maniera tale da limitare gli abusi. Inoltre potrebbero essere introdotti meccanismi pubblici che prevedano l’applicazione automatica degli accordi collettivi di settore in caso d’appalto pubblico o premiando la loro applicazione attraverso il sistema fiscale, estendendo la validità dei contratti collettivi applicati anche sui nuovi assunti (come nel caso tedesco). Nei Paesi dove non via sia un corpus normativo preesistente sul tema sul quale intervenire è auspicabile la stipula di accordi ex novo che applichino quanto descritto in precedenza.

 

Proposte più forti auspicano invece la creazione di corti del lavoro specializzate per rendere gli accordi collettivi obbligatori eil potenziamento dei servizi ispettivi del lavoro, al fine di monitorare con più efficacia lo sviluppo della contrattazione su alcuni temi cruciali.

 

Quinta area d’intervento: interventi culturali ed educativi

 

Infine, nel documento si sottolinea come sia fondamentale lo sviluppo di una consapevolezza culturale sul ruolo della contrattazione collettiva nei vari sistemi nazionali: per questo motivo, diversi esperti suggeriscono la creazione di meccanismi di controllo per monitorare l’estensione e il contenuto degli accordi collettivi, nonché l’introduzione di fondi alla ricerca, accademica e non, sui temi delle relazioni industriali, così che in questo modo si possa contribuire allo sviluppo del dialogo tra le parti sociali.

 

Per creare una “cultura” sul valore della contrattazione collettiva, non si può poi prescindere dall’ “educazione”: centrale, anche in questo campo, può essere il sostegno del sistema pubblico. Tra gli esempi virtuosi, si osserva come in alcuni Paesi siano stati istituiti servizi di avvio al lavoro, anche per migranti, e corsi di gestione aziendale per incentivare l’interesse alla contrattazione collettiva. Inoltre, è suggerito l’utilizzo di campagne pubbliche d’informazione sui benefici legati all’applicazione degli accordi collettivi.

 

Conclusioni

 

Il report analizzato chiarisce come la politica possa svolgere un ruolo cruciale nello sviluppo dei sistemi di contrattazione collettiva: essa può incoraggiare il confronto direttamente attraverso modifiche normative, ma anche indirettamente attraverso il sistema educativo. La creazione di spazi atti al dialogo tra parti sociali e la predisposizione di risorse ad hoc su questi temi, sono poi fattori imprescindibili al fine di sviluppare accordi collettivi che assicurino condizioni di lavoro dignitose ed eque per tutti i lavoratori.

 

Celeste Sciutto

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

@celeste_sciutto

 

La contrattazione decentrata in Francia nel 2023: il punto di vista della Dares

La contrattazione decentrata in Francia nel 2023: il punto di vista della Dares

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Bollettino ADAPT 11 novembre 2024, n. 40

 

Nel mese di ottobre 2024, la Dares, vale a dire il servizio di analisi statistica al servizio del Ministero del lavoro francese, ha fornito i dati relativi alla contrattazione collettiva d’impresa svoltasi nel corso dell’anno 2023.

Si tratta di un’analisi che, in aggiunta al report sulla contrattazione collettiva pubblicato annualmente dalla Direzione generale del lavoro del ministero, offre un focus su quello che è stato il dialogo sociale nel livello di contrattazione di maggiore prossimità.

 

L’analisi statistica condotta dà contezza dei risultati raggiunti dalla contrattazione collettiva in termini numerici, ma anche in termini qualitativi, di quali sono state le tematiche prevalentemente oggetto di negoziazione nel contesto d’azienda.

 

Al fine di comprendere la rilevanza dell’analisi fornita va precisato che il campione di riferimento, sono i testi frutto di contrattazione depositati attraverso la piattaforma Téléaccord presso le direzioni dipartimentali dell’impiego, del lavoro e della solidarietà (Dreets) entro il 31 dicembre dell’anno oggetto di studio, in questo caso il 31 dicembre 2023. Si tratta dunque di uno studio basato su dati parziali che potranno essere rivisti più avanti facendo un ricalcolo basato su quei testi siglati nel 2023 ma depositati successivamente al mese di dicembre.

 

Volendo offrire una panoramica precisa e che possa risultare utile, anche in un’ottica comparata col sistema italiano, va precisata la metodologia seguita dalla Dares nella stesura: viene dapprima fornita una panoramica generale della contrattazione d’impresa andando a verificare se ci sia stato un ampliamento od una contrazione del fenomeno rispetto agli anni precedenti. Una volta forniti i dati complessivi vengono posti in evidenza quelli che sono risultati essere gli istituti e i temi giuslavoristici maggiormente discussi dalle parti sociali e anche in questo caso viene evidenziata la tendenza avutasi rispetto agli anni passati.

 

Altro elemento che permette una piena comprensione del tenore del dialogo sociale è il fatto che viene ben reso chiaro se i testi sottoscritti sono nuovi contratti oppure delle semplici clausole addizionali che vanno ad integrare accordi preesistenti.

Altro importante dato su cui l’istituto di statistica pone l’attenzione è la modalità di adozione con la quale i vari accordi sono stati adottati, se si tratta, cioè, di contratti collettivi venuti ad esistenza e sottoscritti dai delegati sindacali presenti a livello d’azienda, ovvero la cui adozione è successiva allo svolgimento di un referendum sindacale.

 

Relativamente all’istituto del referendum sindacale nel contesto francese è necessario compiere un breve excursus esplicativo, che chiarisca il motivo per cui è rilevante il fatto che l’analisi condotta dalla Dares ci tenga a fornire delle percentuali precise circa la modalità di adozione degli accordi collettivi d’impresa. L’istituto del referendum sindacale, così come applicato oggi, è stato introdotto in Francia con legge n. 1088/2016; si tratta di uno strumento a cui può ricorrere il datore di lavoro e/o i sindacati nell’ambito del processo di contrattazione. A seconda della tipologia d’impresa interessata dalla procedura referendaria vi sono delle differenze nelle modalità di applicazione: nel caso di un’impresa con meno di 11 dipendenti è possibile ricorrere al referendum al fine di adottare un contratto collettivo in assenza di delegati sindacali, qualora invece si tratti di una realtà aziendale che occupa tra gli 11 e i 20 dipendenti è possibile ricorrere al referendum al fine di negoziare un accordo collettivo in mancanza di eletti all’interno del Comitato sociale e economico (CSE), vale a dire la rappresentanza sindacale in azienda; per tutte le altre imprese, invece, è possibile ricorrere al referendum soltanto per l’adozione di accordi minoritari.

 

Tornando ora al perché dei dati forniti dalla Dares sulla modalità di adozione dei vari contratti collettivi aziendali, è chiaro che si tratta di un dato che ci permette di comprendere in che contesto aziendale, dunque se si tratta di grandi o piccole imprese, si è svolta la contrattazione in modo maggiormente proficuo e riguardo a cosa.

 

Volendo entrare adesso nel merito del lavoro realizzato dalla Dares, il dato di partenza è che nell’anno 2023 l’attività di contrattazione di secondo livello si è tradotta nella sottoscrizione di 107.980 testi, registrando un lieve calo rispetto al 2022, ma comunque mantenendo un livello superiore alle cifre raggiunte prima dell’esplosione della crisi sanitaria COVID-19.

Di questi centomila e passa testi conclusi, ben 84.990 sono nuovi contratti collettivi e clausole addizionali, di cui 29.240 adottati all’interno di realtà aziendali con meno di 50 dipendenti, anche questo dato in lieve calo.

 

Di particolare rilevanza è il fatto che, sebbene più della metà di questi quasi 85.000 accordi sia stata sottoscritta da delegati sindacali, ben un quarto è stato frutto dello svolgimento di un referendum. Viene infatti riportato come nelle imprese con meno di 50 lavoratori dipendenti cresca il numero di testi adottati tramite procedura referendaria rispetto al numero dei testi adottati tramite la mediazione delle rappresentanze sindacali in azienda.

Si tratta di una tendenza che si conferma anche con riferimento ai temi centrali del dialogo sociale svoltosi nel 2023.

 

Il maggior numero di accordi conclusi a livello di contrattazione di secondo livello ha avuto ad oggetto il risparmio salariale. Si tratta del tema affrontato dal 40,3% degli accordi conclusi, i quali sono, per l’appunto, entrati in vigore principalmente a seguito di referendum. Questi numeri così elevati vengono giustificati dal pressante fenomeno inflazionistico e dalla conseguente normativa entrata in vigore a protezione del potere d’acquisto dei lavoratori, che inevitabilmente indirizza il dialogo sociale.

 

A dimostrazione di ciò è infatti possibile osservare come il secondo maggior numero di accordi conclusi si sia avuto in tema di salari e premialità.

Unico tema su cui, dalle statistiche fornite, è invece possibile rilevare un aumento rispetto al 2022, è quello del diritto sindacale e della rappresentanza, che è stato oggetto dell’11.9% degli accordi conclusi. Anche in questo caso si tratta di un risultato giustificato dal rinnovo dei componenti degli organi di rappresentanza sindacale a livello d’impresa, trascorsi cinque anni dall’ultima elezione.

 

È evidente, dallo studio statistico appena analizzato, come l’elemento di maggior valore che contraddistingue il lavoro portato avanti dalla Dares sia un punto di vista il più omogeneo ed esaustivo possibile che dà la possibilità ai protagonisti del sistema di relazioni industriali di avere una panoramica valida sul contesto della contrattazione di secondo livello. In tal senso, si tratta di tassello chiave di evoluzione e crescita del contesto giuslavoristico che in Italia risulta ad oggi assente. Come osservato recentemente (si veda M. Tiraboschi, Contrattazione decentrata: un mondo ancora da esplorare, in Boll. ADAPT 3 giugno 2024, n. 22), risulta chiaro come la disorganicità delle fonti di archiviazione e monitoraggio del fenomeno della contrattazione decentrata rappresenti un grande limite all’interno dell’odierno mercato del lavoro in Italia e in questo senso l’esempio francese appena analizzato potrebbe rappresentare un modello a cui fare riferimento come punto di partenza per un’evoluzione dell’oggi carente conoscenza del mondo della contrattazione di secondo livello nel nostro Paese.

 

Marta Migliorino

ADAPT Junior Fellow

@martamigliorino

La contrattazione collettiva in Francia: analisi del fenomeno dal 2012 al 2020

La contrattazione collettiva in Francia: analisi del fenomeno dal 2012 al 2020

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Bollettino ADAPT 14 ottobre 2024, n. 36

 

In Francia, così come in Italia, di anno in anno si assiste ad una progressiva trasformazione di quello che è il sistema delle relazioni industriali. Al fine di fornire un quadro chiaro, dettagliato e sistematico di queste evoluzioni, il Ministero del lavoro francese, a partire dal 2012, si è impegnato a stilare e pubblicare annualmente dei rapporti che analizzano l’andamento della contrattazione collettiva. Questi rapporti vengono poi presentati presso la Commission Nationale de la négotiation collective, commissione istituita con una funzione di supporto e consulenza dei ministri preposti alle tematiche del lavoro, rappresentando un punto di riferimento per tutte le successive riforme di carattere legislativo a tema giuslavoristico.

 

Il presente contributo mira ad offrire una sintesi esplicativa dei report pubblicati tra il 2012 e il 2020, evidenziando la metodologia seguita nella stesura dei report e le tendenze caratterizzanti la contrattazione collettiva in Francia.

 

Punto di partenza per offrire una visione il più lineare possibile dei rapporti in esame è l’analisi dell’evoluzione della struttura degli stessi. I report che vanno dal 2012 al 2017 si attestano su una lunghezza che va dalle 700 alle 800 pagine, mentre dal 2018 vediamo una consistente riduzione con un numero massimo di pagine che si aggira attorno alle 500. Vista la notevole corposità dei rapporti integrali, questi vengono pubblicati accompagnati da un documento di sintesi che offre in poche pagine i dati salienti estratti dal bilancio integrale, mettendo in evidenza gli elementi e i punti chiave del rapporto.

 

Tutti e nove i report presentano una uniformità nella struttura, con una lieve modifica a partire dal 2018: si aprono con una premessa in cui viene sottolineato il ruolo sempre più fondamentale della contrattazione nel contesto delle relazioni industriali e del diritto del lavoro. In particolare, viene fatto un sunto di quella che è stata la contrattazione collettiva nell’anno di riferimento, anticipando in breve e evidenziando i punti salienti di quella che sarà poi l’analisi fornita all’interno del report. Vengono principalmente esplicitate le motivazioni di carattere empirico, sociale, economico che hanno determinato un certo andamento della contrattazione collettiva.

 

Seguono quattro parti: una prima parte dedicata ad una panoramica sulla contrattazione collettiva nell’anno oggetto d’esame; una seconda parte dedicata all’analisi del contesto in cui si svolge la contrattazione, mettendo dunque in relazione i vari fenomeni di contrattazione rispetto al contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento; ancora una terza parte in cui nuovamente e più nel dettaglio si dà conto dei risultati prodotti dalla contrattazione collettiva in quello specifico anno, offrendo un’analisi tematica degli accordi collettivi conclusi e fornendo un censimento esaustivo degli accordi conclusi ai vari livelli di contrattazione; ed infine una quarta parte che raccoglie dossier tematici che vanno ad approfondire la discussione su degli argomenti legati trasversalmente a quelli propri oggetto di contrattazione.

 

Passando adesso all’analisi dei profili metodologici è possibile constatare come i vari rapporti vadano ad analizzare il fenomeno contrattualistico partendo dai singoli livelli di contrattazione. Le categorie di riferimento sono gli accordi conclusi a livello nazionale interprofessionale, quelli conclusi a livello dei singoli settori produttivi su vari livelli geografici (nazionale, regionale, dipartimentale, locale) ed infine gli accordi conclusi a livello d’impresa.

 

Con riferimento a ciascun livello di contrattazione viene compiuta dapprima un’analisi di tipo quantitativo, sia in termini relativi, osservando l’andamento del numero di accordi conclusi in ogni determinato livello, sia in termini assoluti, cioè guardando al numero effettivo di accordi conclusi in ogni specifico livello.

 

A questa prima analisi quantitativa se ne accompagna poi anche una di tipo qualitativo che va ad indagare quali sono i temi oggetto di contrattazione in ciascuno dei tre livelli e a quantificare il numero di accordi che intervengono sui diversi temi ad ogni livello.

 

A queste analisi di tipo quantitativo e qualitativo in merito ai temi trattati, si aggiunge un’analisi delle ragioni economico-sociali, nonché istituzionali che hanno spinto gli attori del sistema delle relazioni industriali ad intervenire su determinati aspetti. Viene esplicitato il contesto in cui si inseriscono i dati raccolti, basandosi anche sul contesto normativo e giurisprudenziale, oltre che francese anche europeo e internazionale.

 

Per quanto riguarda il campione oggetto di analisi all’interno di ciascun rapporto vengono presi in considerazione tutti i testi di natura convenzionale firmati entro il mese di dicembre dell’anno oggetto di studio, e che sono stati depositati presso il Ministero del lavoro e portati a conoscenza della direzione generale del lavoro entro il mese di marzo dell’anno successivo. Secondo quanto previsto dal disposto del Codice del lavoro in vigore in Francia, tutti i contratti collettivi siglati a ciascun livello di contrattazione devono essere registrati presso il ministero di riferimento, che provvederà alla loro pubblicazione. Questa procedura garantisce che il campione ivi considerato fornisca dati parziali da un punto di vista del periodo di pubblicazione di riferimento, ma al contempo sia altamente rappresentativo in quanto ricomprende la totalità dei testi negoziati.

 

Con riguardo all’analisi qualitativa e dunque all’individuazione delle tematiche che sono state maggiormente oggetto di contrattazione, anche qui è possibile riscontrare una certa sistematicità: tutti e nove i report analizzati presentano una uniformità su quelli che, di anno in anno, sono stati i temi oggetto di maggior interesse, permettendo di avere così uno studio evolutivo e di raffronto sul contributo apportato dalla contrattazione collettiva in un determinato aspetto del settore lavoro. Le tematiche ricorrenti sono:

– Il salario e le premialità;

– La pensione integrativa e la previdenza sociale;

– L’uguaglianza uomo-donna;

– Le condizioni di lavoro;

– La formazione professionale;

– Le modalità di svolgimento della contrattazione collettiva.

 

Andando infine ad indagare quelle che dallo studio dei report risultano essere le tendenze dettate dalla contrattazione collettiva in Francia, l’analisi dei report tra il 2012 e il 2020 mostra tendenze estremamente differenti nei tre livelli di contrattazione considerati. Queste tendenze di carattere quantitativo diversificate sono ovviamente giustificabili, in primis, alla luce del primato che la legge francese attribuisce alla contrattazione aziendale rispetto agli accordi conclusi a livello settoriale su quelle che vengono considerate le tematiche calde del diritto del lavoro, le quali vengono maggiormente influenzate dal mutare del contesto socio-economico, e secondariamente dalle differenti scadenze nelle quali incorrono i vari accordi conclusi.

 

Se si guarda al dato degli accordi siglati a livello interprofessionale su scala nazionale, viene registrata una tendenza altalenante che, però, a partire dal 2019 subisce invece una costante anche se non eccessivamente significativa crescita con una lieve ricaduta poi nel 2020. Questa tipologia di accordi ha l’aspirazione ad essere applicata a più settori produttivi e dunque a creare nuovi diritti in favore dei lavoratori dipendenti e a migliorare la flessibilità delle imprese. Tendenzialmente, tra le tre, si tratta della categoria di accordi collettivi precorritrice rispetto a future modifiche legislative in tema di diritto del lavoro. Dunque l’oscillazione del numero di questo tipo di accordi tra il 2012 e il 2020 è stata notevolmente influenzata dalla correlata attività legislativa svoltasi a livello statuale.

 

Per quanto riguarda gli accordi conclusi a livello di singolo settore produttivo, se nel 2012 appare come un livello segnato da un fenomeno contrattualistico fortemente dinamico caratterizzato dalla conclusione di un elevato numero di accordi, la situazione cambia sensibilmente a partire dall’anno successivo in cui si inizia a registrare una tendenza fatta di alti e bassi che per vari anni manterrà il numero degli accordi sotto la soglia del 1000, dato che viene riconfermato nel 2020.

 

Per quanto riguarda invece il livello di maggiore prossimità, relativo cioè agli accordi collettivi conclusi a livello di singola impresa, nei primi due report considerati, si è avuta una crescita rispetto ai livelli del passato, con la conclusione di circa 39.000 accordi, cifra che a grandi linee rimane costante fino al 2018, anno in cui si assiste ad un exploit nella crescita con cifre che toccano i quasi 80.000 testi conclusi. Questa tendenza ad una crescita importante viene mantenuta anche negli ultimi due anni oggetto di analisi, dove vengono raggiunti picchi da 100.000 accordi.

 

Lo studio dell’esperienza francese può senza dubbio essere utile per arricchire il dibattito italiano sui metodi di analisi della contrattazione collettiva. Lo strumento che, nel panorama interno, più si avvicina a questa tipologia di report sono i rapporti presentati annualmente dalla Commissione dell’informazione del CNEL, che vanno ad analizzare il mercato del lavoro e la contrattazione collettiva. Ciò che contraddistingue i report francesi e che invece sembrerebbe essere un profilo solo recentemente sviluppato in quelli italiani è proprio il fatto di presentare il mercato del lavoro attraverso la lente della contrattazione, che in Francia, così come in Italia, risulta essere elemento centrale del sistema giuslavoristico. Guardare alla contrattazione collettiva e alle sue connessioni con il mercato del lavoro, ma senza rinunciare ad un’analisi connotata da profondità e organicità, infatti, è il punto di forza che rende i report francesi strumento di comprensione prezioso del mondo del lavoro e delle sue dinamiche, e che, se adottato sistematicamente, potrebbe risultare vincente anche nel panorama, italiano.

 

Marta Migliorino

ADAPT Junior Fellow

@martamigliorino

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/224 – Il rinnovo del CCNL Cooperative alimentari: incrementi retributivi e principali novità normative

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 2 settembre 2024, n. 30

 

Contesto del rinnovo

 

Il 14 maggio 2024, è stato firmato il rinnovo del CCNL per i lavoratori dipendenti da aziende cooperative di trasformazione di prodotti agricoli e zootecnici e lavorazione prodotti alimentari. Per la parte datoriale il verbale è stato sottoscritto da Confcooperative-Fedagripesca, Legacoop Agroalimentare, Agci-Agrital, mentre per la parte sindacale hanno firmato l’intesa Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil. Il periodo di validità del nuovo CCNL si estende dal 1° dicembre 2023 al 30 novembre 2027.

 

I dati dei flussi UNIMENS pubblicati sul sito del CNEL rivelano che il rinnovo del CCNL (Cod. CNEL E016) coinvolge 15.257 lavoratori distribuiti su 681 aziende.

 

Le organizzazioni sindacali Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil, nell’ipotesi di piattaforma per il rinnovo del contratto, hanno evidenziato l’importanza del rinnovo come strumento chiave per promuovere lo sviluppo economico e sociale del Paese e del settore. Allo stesso tempo, lo considerano centrale nel definire soluzioni utili a tutelare il potere d’acquisto delle retribuzioni, difendendo i lavoratori dagli effetti dell’inflazione e assicurando loro una retribuzione equa e adeguata.

 

Parte economica

 

Il rinnovo della parte economica del contratto porta con sé importanti novità.

Riguardo al Trattamento Economico Minimo (TEM), le parti hanno concordato un aumento di € 214,00 per il parametro 137 (portando ad una crescita dei minimi tabellari mensili del 14,50%). Ogni livello di inquadramento ha associato uno specifico parametro. L’aumento determinato per il parametro 137 serve come base per calcolare gli aumenti retributivi relativi a tutti gli altri parametri associati ai diversi livelli di inquadramento. L’incremento verrà erogato in cinque tranche distinte: dicembre 2023 settembre 2024 gennaio 2025 gennaio 2026 gennaio 2027.

 

L’articolo 45 prevede, oltre all’aumento del TEM, anche un aggiornamento degli importi dell’Incremento Aggiuntivo di Retribuzione (IAR). L’aumento IAR, calcolato sul parametro 137, ammonta a € 66,00 complessivi ed erogato in due tranche, la prima di € 55,00 corrisposta a partire dal 1° dicembre 2023 e la seconda di € 11,00 corrisposta a partire dal 1° settembre 2027.

 

Si rileva inoltre che, sempre con riferimento al parametro 137, per le aziende che non hanno un accordo di contrattazione sul premio per obiettivi, a partire dal 1° gennaio 2027 l’indennità per la mancata contrattazione di secondo livello sarà pari a € 45,00, a seguito di un incremento di € 15,00 rispetto all’importo attualmente previsto.

 

Le parti intervengono anche in modifica dei trattamenti economici per le prestazioni di lavoro straordinarie del settore della macellazione. In particolare, a causa di specifiche caratteristiche della lavorazione e di vincoli normativi igienico-sanitari, è necessario completare la macellazione giornaliera programmata. Per le ore di straordinario dedicate a queste attività, è prevista una maggiorazione del 50%.

 

Un altro aspetto di particolare rilievo è l’incremento del contributo aziendale al Fondo di previdenza complementare per i lavoratori aderenti. A partire dal 1° gennaio 2025, la contribuzione subirà un aumento dello 0,30%, passando dall’1,20% all’1,50%.

 

Al fine di migliorare le prestazioni dell’assistenza sanitaria integrativa, è stato previsto un aumento del contributo aziendale da € 13,50 a € 15 mensili.

 

Parte normativa

 

All’articolo 9, nella sezione “Patto Formativo”, l’accordo prevede che, nel caso in cui il lavoratore esprima la volontà «di partecipare a corsi di specializzazione per acquisire competenze utili alle attività aziendali, anche se non immediatamente collegate alle mansioni svolte» o l’azienda desideri far partecipare i propri lavoratori a corsi per ottenere competenze difficili da reperire sul mercato, sia possibile ricorrere a ulteriori permessi retribuiti, rispetto a quelli già previsti dal CCNL, fino ad un massimo di 40 ore. Continua l’accordo, introducendo per via contrattuale un vero e proprio patto di stabilità «a fronte dell’impegno da parte del lavoratore alla permanenza in azienda per un periodo di due anni conseguenti il termine del corso».

 

Altre novità significative riguardano il periodo di prova, per i lavoratori del 4° e 5° livello, è stato esteso ad un mese e mezzo, invece, per i lavoratori del 6° livello, è stato esteso a 18 giorni lavorativi. E, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 7, comma 3, del D.lgs. 104/2022, le parti sociali prevedono il prolungamento del periodo di prova in caso di assenze per malattia, infortunio, congedo di maternità o paternità obbligatori, per una durata pari a quella dell’assenza. Anche le assenze per congedi facoltativi comportano un prolungamento del periodo di prova.

 

Di notevole rilievo è la nuova disciplina che regola l’utilizzo dei contratti a tempo determinato. L’accordo introduce le causali che permettono la stipula di contratti a tempo determinato con durata superiore a 12 mesi, pur sempre mantenendo il limite massimo di 24 mesi. Tali condizioni sono: l’esecuzione di progetti, opere o servizi definiti e predeterminati nel tempo che non rientrano nelle normali attività aziendali, realizzazione di progetti temporanei legati alla modifica e modernizzazione degli impianti produttivi e variazioni del prodotto conferito dai soci in cooperativa.

 

Escluso il lavoro stagionale, la stipula di contratti a termine, di somministrazione a termine e a tempo indeterminato non potrà complessivamente superare la soglia limite del 25% e «a decorrere dal 1 luglio 2024 tale limite è da calcolarsi sulla base dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato occupati nell’impresa alla data del 1 gennaio dell’anno di assunzione o nel caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento dell’assunzione del lavoratore a tempo determinato».

 

Le parti hanno concordato la possibilità di anticipare l’assunzione di personale a tempo determinato per la sostituzione di lavoratori in congedo di maternità, paternità o parentale fino a due mesi prima dell’inizio del congedo stesso, estendendo così il periodo rispetto a quanto previsto dall’articolo 4, comma 2, del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.

 

All’articolo 27 sono state introdotte novità in materia di riduzione dell’orario di lavoro (ROL). A partire dal 1° gennaio 2027 i dipendenti avranno diritto a ulteriori 4 ore di ROL, per un totale di 80 ore. Ai turnisti che svolgono la loro attività su tre turni per sei giorni alla settimana e su tre turni per sette giorni alla settimana, sono riconosciute ulteriori 4 ore a titolo di riduzione a partire dal 1° gennaio 2026 a cui se ne aggiungono altre 4 a partire dal 1° gennaio 2027.

 

Con riguardo alla flessibilità oraria a favore del datore di lavoro, invece, sono da attenzionare le nuove regole per il lavoro straordinario nel settore della mangimistica. Questo settore è caratterizzato da una normativa europea sulla gestione dello stoccaggio e della somministrazione dei mangimi, che influisce direttamente sulle attività delle cooperative alimentari. Di conseguenza, può essere necessaria una maggiore flessibilità lavorativa nella gestione dei mangimi. L’azienda potrà, eccezionalmente, utilizzare 8 delle 88 ore di flessibilità previste dal contratto collettivo per far fronte a questa particolare situazione, con una maggiorazione del 50% per i lavoratori.

 

Tra le novità introdotte dal rinnovo del contratto, particolare attenzione è riservata al tema del comporto di malattia per i lavoratori con disabilità certificata ai sensi della Legge n. 68/99. Riconoscendo la maggiore possibilità di ricadute a causa della loro condizione, le parti hanno concordato un aumento di 90 giorni a questo periodo. Durante questo periodo aggiuntivo di conservazione del posto di lavoro, non decorrerà né la retribuzione né l’anzianità per alcun istituto (in tema pare utile richiamare F. Alifano, Discriminazione per disabilità, comporto e contrattazione collettiva. Primi appunti ad un anno dalla pronuncia della Cassazione, Working Paper ADAPT, n. 7/2024).

 

All’articolo 55, lettera B), l’accordo ha introdotto importanti novità anche in materia di infrazioni disciplinari per i lavoratori in modalità di lavoro agile. Sono state infatti precisate le condotte che, se ripetute, possono portare al licenziamento (violazione delle disposizioni in materia di trattamento dei dati, utilizzo senza autorizzazione di strumenti informatici e/o telematici diversi da quelli assegnati, disconnessione non autorizzata durante l’orario di lavoro previsto nell’accordo collettivo, accordo individuale e/o nel regolamento aziendale in tema di lavoro agile, ecc.).

 

Infine, è stata introdotta la possibilità per le lavoratrici madri o lavoratori padri di minore con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1 della legge n. 104/1992, in alternativa al prolungamento del congedo parentale, due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino. La finestra temporale per usufruire dei permessi retribuiti per l’inserimento del figlio all’asilo nido/infanzia è stata estesa. Prima del rinnovo, era possibile fino ai 36 mesi di età del figlio; ora, è estesa fino ai 4 anni.

 

Parte obbligatoria

 

Tra le novità introdotte in merito alla parte obbligatoria, è da evidenziare l’ampliamento delle tematiche oggetto di informative. In particolare, l’articolo 6 della prima parte del CCNL, che sottolinea l’importanza del coinvolgimento di lavoratori e lavoratrici e delle loro rappresentanze nelle scelte strategiche delle imprese, introduce alla lettera C) nuove materie di confronto a livello di cooperativa, consorzio o gruppo. Tra queste, la procedura di segnalazione whistleblowing, formazione, salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, iniziative e misure volte al contrasto delle violenze di genere e del mobbing e, infine, interventi per facilitare il reinserimento di lavoratori e lavoratrici dopo l’assenza per congedi di maternità/paternità. Inoltre, è stata introdotta la possibilità di tenere un ulteriore incontro nell’arco di un anno rispetto a quanto già previsto.

 

Il rinnovo del CCNL prevede, all’articolo 7, lettera B, punto 2, nell’ambito della bilateralità, l’organizzazione e la gestione di nuove attività e servizi bilaterali in tema di welfare, con particolare riferimento a interventi a sostegno della genitorialità, promozione della formazione a livello aziendale e collaborazione con gli Istituti Tecnici Superiori (ITS). Queste misure includono anche il sostegno economico per le vittime di violenza e l’attivazione di coperture assicurative per il rischio morte a beneficio degli operai. Per sovvenzionare la gestione di queste nuove attività e servizi bilaterali, a partire dal 1° gennaio 2025 saranno applicate le seguenti contribuzioni mensili: € 1,50 per lavoratore per le attività di promozione della formazione aziendale e collaborazione con gli ITS; € 0,50 per lavoratore per le attività di sostegno economico alle vittime di violenza; € 2,00 per lavoratore per le coperture assicurative per il rischio morte a beneficio degli operai. Le contribuzioni dovranno essere versate al Filcoop sanitario.

 

L’accordo prevede inoltre la possibilità per la RSU di individuare al proprio interno un delegato alla formazione. Questo delegato avrà il compito di interfacciarsi con l’azienda per tutte le questioni relative alla formazione.

 

Valutazione d’insieme

 

La piattaforma sindacale aveva proposte molto ambiziose e il rinnovo del contratto, pur non avendo raggiunto tutti gli obiettivi prefissati (per esempio in materia di appalti e processi di re-internalizzazione, di aumento delle ore di permesso retribuito per gli RLS e di riduzione dell’orario settimanale a 36 ore a parità di salario), contiene comunque miglioramenti per i lavoratori. Tra questi, un significativo aumento delle retribuzioni minime e un potenziamento delle misure di welfare. Questi cambiamenti rappresentano un passo avanti verso condizioni di lavoro migliori per chi opera nelle cooperative di trasformazione di prodotti agricoli e zootecnici e nella lavorazione di prodotti alimentari.

 

Matteo Santantonio

ADAPT Junior Fellow

@santantonio_mat