contrattazione collettiva

Evoluzione e prospettive della contrattazione collettiva nella regolazione dell’orario di lavoro*

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Bollettino ADAPT 8 maggio 2023, n. 17

 

Dagli albori della rivoluzione industriale in poi, gli aspetti legati alla dimensione temporale hanno costantemente ricoperto un ruolo centrale nella regolazione del lavoro. Non è un caso che, al termine della prima guerra mondiale, l’appena costituita Organizzazione Internazionale del Lavoro abbia adottato, quale suo primo atto, la Convenzione n. 1/1919, volta a limitare le ore di lavoro ad otto per giorno e a quarantotto per settimana. In Italia il medesimo principio è stato sancito dal Regio Decreto-Legge n. 692 del 1923, che – fino all’entrata in vigore della Legge n. 196 del 1997 che ha fissato l’orario normale di lavoro in quaranta ore settimanali – si è occupato di disciplinare l’orario di lavoro.

 

Tra la disciplina degli anni Venti e la Legge del 1997, però, sono state le parti sociali a farsi carico delle istanze di regolazione (e riduzione) dell’orario di lavoro: con il contratto collettivo nazionale dell’industria metalmeccanica privata del 1970, ad esempio, è fissato, a partire dal 1° dicembre 1972 e per tutti i settori merceologici afferenti alla categoria contrattuale, il limite delle quaranta ore settimanali di lavoro. Non sorprende, quindi, constatare che, all’approvazione del Decreto Legislativo n. 66 del 2003 (il testo che oggi, in attuazione delle direttive europee sull’orario di lavoro, regola la materia), nella maggioranza dei settori l’orario lavorativo era già stato ridotto a quaranta ore o era addirittura inferiore (si prenda il settore chimico, per cui dal 1998 l’orario è di trentasette ore e quarantacinque minuti a settimana).

 

Attualmente, dunque, il Decreto Legislativo n. 66 del 2003 prevede che l’orario normale di lavoro sia articolato sulla base di quaranta ore settimanali, ma consente ai contratti collettivi di stabilire una durata minore o di riferire l’orario alla durata media delle prestazioni rese in un periodo non superiore all’anno (c.d. orario multiperiodale). La possibilità di intervenire regolando la variabile temporale, dunque, risulta una delle facoltà più importanti che il legislatore assegna alle parti sociali per disciplinare e organizzare il mercato del lavoro.

 

È in ogni caso da sottolineare che, storicamente, nel contesto italiano la contrattazione in materia di tempo di lavoro si è concentrata sulla richiesta, lato datoriale, di maggiore flessibilità oraria e, lato sindacale, di minore orario di lavoro. La rivendicazione di riduzione dell’orario, inoltre, trae argomenti anche dalla constatazione per cui, secondo le ultime stime dell’OCSE disponibili, relative al 2021, l’Italia è, con 1669 ore in media effettivamente lavorate all’anno per singolo lavoratore, tra i Paesi europei in cui si lavora di più, staccata da Portogallo (1649) e Spagna (1641), ma soprattutto da Francia (1490), Danimarca (1363) e Germania (1349). È però da sottolineare che la produttività, intesa come valore del PIL per ora lavorata, da anni non cresce in Italia come negli altri Paesi europei e, dunque, i tempi di lavoro più lunghi sarebbero frutto della scarsa produttività oraria. Sul punto, è anche bene evidenziare che la produttività è determinata primariamente da fattori di contesto: le ore di lavoro, infatti, sono meno produttive in un contesto, come quello italiano, in cui la produzione è ad alta intensità di manodopera e caratterizzata da un minor apporto delle tecnologie, testimoniato anche da bassi investimenti nella ricerca e nello sviluppo (1,3% del PIL contro il 2% di media UE). Non è un caso, dunque, che le rivendicazioni sindacali di riduzione dell’orario siano accompagnate da altre istanze di intervento, oltre che sui livelli occupazionali, anche sulla innovazione tecnologica, poiché, nell’ottica delle organizzazioni dei lavoratori, un minor orario di lavoro potrebbe essere compensato da una crescita dell’occupazione e degli investimenti in ricerca e sviluppo.

 

È inoltre da segnalare che, accanto alle tradizionali prestazioni lavorative cronometricamente delimitate, grazie allo sviluppo tecnologico sono in aumento i lavoratori che rendono la propria prestazione – utilizzando le parole della Legge n. 81 del 2017 in materia di lavoro agile – con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, la cui regolazione rappresenta una delle sfide delle parti sociali per governare il mercato del lavoro in trasformazione.

 

In sintesi è da rilevare che, se non appaiono attuali gli scenari di drastica riduzione dell’orario, come quella prospettata nel 1930 da John Maynard Keynes che aveva profetizzato una settimana lavorativa di quindici ore, è indubbio che il tema della regolazione del fattore temporale è centrale per lo sviluppo dell’intero mercato del lavoro, poiché, dalle scelte in materia, potrebbero derivare conseguenze anche su produttività e livelli occupazionali. Alle parti sociali e alla contrattazione, dunque, il compito di trovare il punto d’equilibrio.

 

Francesco Alifano

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@FrancescoAlifan

 

*Pubblicato anche su Il Sole 24 Ore col titolo Quali prospettive nella regolazione, 26 aprile 2023

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/158 – Il rinnovo del CCNL dei dirigenti del Terziario del 2023

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/158 – Il rinnovo del CCNL dei dirigenti del Terziario del 2023

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 8 maggio 2023, n. 17

 

In data 12 aprile 2023 è stato sottoscritto l’accordo di rinnovo per i dirigenti di aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi, tra Confcommercio-Imprese per l’Italia e Manageritalia, con vigenza fino al 31 dicembre 2025.

Il contratto era scaduto il 31 dicembre 2021, per il tramite di un accordo del 16 giugno 2021 che ne aveva prorogato la scadenza. Di fatto, nell’ambito di tale intesa le Parti avevano già introdotto delle importanti innovazioni di carattere normativo, in assenza di uno scambio economico.

Gli ultimi minimi contrattuali erano stati negoziati con l’accordo del 31 luglio 2013, in quanto nell’accordo di rinnovo del 2016, l’aumento retributivo, pari a 350 euro a regime, non incideva sui minimi ma veniva riconosciuto ai soli assunti al momento dell’erogazione delle tranches.

Queste sono le ragioni che hanno portato le Parti ad addivenire a una intesa di carattere prettamente economico, con uno sguardo anche alle misure di welfare contrattuale, che svolgono un ruolo primario nel contratto collettivo dei dirigenti.

 

I contenuti dell’intesa

 

L’aumento retributivo mensile stabilito dalle Parti è stato pari a 450 euro, a regime, disposto in tre tranches: 150 euro dal 1° dicembre 2023, 150 euro dal 1° luglio 2024, 150 euro dal 1° luglio 2025. I minimi contrattuali vengono incrementati per effetto dei suddetti aumenti, e, pertanto, dagli attuali 3.890 euro, si passa a: 4.040 euro dal 1° dicembre 2023, 4.190 euro dal 1° luglio 2024, 4.340 dal 1° luglio 2025.

 

A copertura del triennio 2020-2022, le Parti hanno poi riconosciuto un importo una tantum ai dirigenti in forza al 12 aprile 2023 e con un calcolo pro-quota nel corso del suddetto triennio, pari complessivamente a 2.000 euro e disposto anch’esso su tre tranches: 700 euro con la retribuzione di maggio 2023, 700 euro con la retribuzione di settembre 2023, 600 euro con la retribuzione di novembre 2023.

 

Di rilievo, anche la previsione delle misure di welfare, per un periodo sperimentale riferito alle annualità 2024 e 2025. Nello specifico, è prevista l’erogazione annuale della somma di 1.000 euro a titolo di credito welfare. Si tratta di importi spendibili in beni e servizi, in aggiunta a eventuali sistemi di flexible benefits già presenti in azienda, che il dirigente potrà utilizzare attraverso la Piattaforma CFMT. In tal modo, verrà consentito a tutte le aziende, anche a quelle piccole con un solo dirigente, di usufruire di servizi dedicati ai manager, valorizzando ulteriormente il welfare contrattuale già erogato dai fondi bilaterali disciplinati dal CCNL.

 

Per quanto concerne la previdenza complementare, viene adeguato il contributo integrativo previsto per il Fondo Mario Negri, a carico del datore di lavoro, dall’attuale 2,39% al 2,43%, a decorrere dal 1° gennaio 2024, e al 2,47%, a decorrere dal 1° gennaio 2025.

 

Valutazione d’insieme

 

L’intesa sottoscritta lo scorso mese ha una particolare rilevanza, poiché interviene in un settore che conta un numero di dirigenti che oscilla intorno ai 25 mila, occupati presso più di 9 mila imprese.

Sebbene il rinnovo sia giunto a sottoscrizione a distanza di più di un anno dalla scadenza del precedente accordo, tuttavia, le Parti si sono impegnate ad avviare le successive trattative almeno sei mesi prima del termine del 31 dicembre 2025, pertanto, entro il 1° luglio dello stesso anno, in modo tale da raggiungere in tempi più brevi le successive intese.

Ciò è rilevante altresì in considerazione del fatto che le misure di welfare introdotte sono di carattere sperimentale, con una scadenza prevista al termine del 2025.

E infatti, va evidenziato come nel contratto collettivo dei dirigenti del terziario, i trattamenti in materia di welfare rappresentano elementi fondamentali nell’ambito del sistema di tutele costruito tra le Parti, allo scopo di creare un contesto in cui il lavoro sia collocato in un sistema volto a perseguire il benessere complessivo della persona e l’impegno sociale.

 

Ruben Schiavo

Dottore di ricerca in Apprendimento e Innovazione nei contesti sociali e di lavoro

Università degli Studi di Siena

@ruben_schiavo

Contrattazione collettiva: una lezione dal caso francese

Contrattazione collettiva: una lezione dal caso francese

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Bollettino ADAPT 26 aprile 2023, n. 16

 

Il sistema di relazioni industriali francese ha subito importanti modifiche a seguito di alcune ordinanze adottate nel 2017, conosciute come le “ordonnances Macron”. Esse hanno contribuito alla definizione dei campi di competenza dei diversi livelli di contrattazione, di categoria e aziendale, facendo chiarezza rispetto alle numerose riforme legislative che, nel tempo, sono intervenute in materia.

 

Storicamente la contrattazione collettiva a livello aziendale ha avuto come funzione principale quella di adattare le disposizioni previste nella contrattazione di categoria. Con i numerosi interventi legislativi degli ultimi anni, la contrattazione a livello aziendale ha tuttavia assunto un rilievo sempre maggiore, tanto da essere diventato il livello di riferimento e, dunque, il contratto collettivo applicabile nella maggior parte dei casi, ad eccezione di alcune limitate ipotesi in cui prevale la contrattazione di categoria. Un recente studio (N. Delahaie, A. Fretel, H. Petit, N. Farvaque, K. Guillas-Kavan, D. Messaoudi, M. Tallard e C. Vincent, Le rôle de la branche après les ordonnances Macron: entre permanence et renouvellement, in La revue de l’ires, 2022) si è fatto carico di mostrare le conseguenze di tali riforme in termini cercando di fornire una risposta sull’effettiva prevalenza della contrattazione aziendale rispetto a quella di categoria.

 

Senza entrare nello specifico di ogni riforma intervenuta in materia, è bene ricordare il quadro normativo previgente. In Francia, infatti, la contrattazione collettiva di categoria ha, da sempre, giocato un ruolo fondamentale nella strutturazione delle relazioni industriali, mentre gli accordi a livello aziendale erano rimasti per lungo tempo limitati alle grandi imprese pubbliche. Lo scenario cambia, a partire dagli anni 80, quando vengono mosse critiche nei confronti delle negoziazioni di categoria, considerate poco efficaci dal punto di vista economico, mentre, al contrario, viene sottolineata l’efficienza della contrattazione collettiva aziendale, resa possibile dalla vicinanza della stessa ai lavoratori e alla loro realtà economica. In parallelo a queste pubblicazioni accademiche, da inizio anni Ottanta sono state portate avanti importanti riforme istituzionali, aventi l’obiettivo quello di promuovere la negoziazione aziendale. Tali riforme istituzionali (a partire dalle riforme note come leggi Auroux) sono state qualificate come movimento di decentralizzazione delle negoziazioni collettive (décentralisation des négociations collectives).

 

Le ordonnances Macron (ordonnance n° 2017-1387 del 22 settembre 2017, loi n° 2017-1340 del 15 settembre 2017) possono essere considerate come un epigono di questi orientamenti. Nelle stesse si scorge l’intenzione del legislatore di rendere ancora più dinamiche e libere le modalità di negoziazione a livello aziendale, ponendosi in continuità con gli interventi legislativi precedenti che hanno attribuito sempre più autonomia alla contrattazione a livello aziendale rispetto a quella di categoria. Da questo momento l’articolazione tra i due livelli di contrattazione collettiva non è più intesa secondo una gerarchia, ma come una suddivisione di competenze tra i due livelli. L’obiettivo è quello di uscire dalla logica della derogazione, per arrivare ad una completa autonomia tra la contrattazione collettiva aziendale e quella di categoria.

 

In seguito a tali modifiche, sono distinti tre blocchi di negoziazione, la cui disciplina appare utile delineare, per comprendere quali siano i reali effetti pratici. Nel primo blocco (bloc 1 – domaines réservés), sono previste un numero limitato di tematiche, in cui prevale la contrattazione di categoria se quella aziendale non prevede delle garanzie equivalenti. Nonostante il numero di tali tematiche con le ordonnances Macron sia aumentato a 13 (da 6, come era previsto dalla loi du travail del 2016), la contrattazione di categoria non può più bloccare (verrouiller) al proprio livello la tematica di negoziazione come era previsto precedentemente, ma può solamente prevedere delle clausole di imperatività, che dovranno essere rispettate dalla contrattazione aziendale, dovendo essa prevedere delle garanzie almeno equivalenti. Con tale nuova formulazione si è giunti alla creazione di una nuova nozione giuridica, quella delle garanzie almeno equivalenti, “garanties au moins équivalents”, che si è sostituita alla classica formula presente nel codice del lavoro delle disposizioni più favorevoli per i lavoratori (principio di favore).

Nel secondo blocco (bloc 2 – Domaines que la branche peut se réserver sous condition) sono previste quattro tematiche in cui la contrattazione di categoria ha la possibilità di verrouiller ossia di bloccare al proprio livello determinate tematiche, tanto che l’accordo a livello aziendale, concluso successivamente, non può prevedere delle disposizioni differenti, a meno che, anche in questo caso, non siano almeno equivalenti. Prima delle ordonnances Macron del 2017, i temi erano illimitati, vengono, dunque, significativamente ridotti i campi di applicazione delle clausole di verrouillage.

 

Al di fuori di queste tematiche l’accordo a livello aziendale è libero, (bloc 3). Viene dunque messa in rilievo la centralità dell’accordo aziendale, in cui possono essere previste delle disposizioni meno favorevoli per i lavoratori.

 

Possiamo, dunque, notare che formalmente viene rinforzato il ruolo della contrattazione di categoria (i campi in cui essa presentava un carattere imperativo erano solo 6, sono diventati 13), ma sparisce, de facto, la gerarchia strutturale tra i due livelli di negoziazione, in favore della loro autonomia. Non si tratta più di avere, dunque, un accordo aziendale che si adatta alla contrattazione di categoria, ma di sapere in quali casi si debba applicare un accordo e in quali l’altro. Secondo la dottrina francese, se le disposizioni previste a livello aziendale sono almeno equivalenti all’accordo di categoria, prevale l’accordo aziendale. Si considera dunque che la contrattazione di categoria intervenga solo a titolo eccezionale.

 

D’altro lato, sembra che il potere della contrattazione di categoria sia, in tal modo, eccessivamente limitato. Questa affermazione viene mitigata riprendendo una disposizione, attualmente in vigore, della loi du travail del 2016, che ha introdotto l’obbligo di creare una commissione paritaria permanente di negoziazione e di interpretazione (Commission paritaire permanente de négociation et d’interprétation – CPPNI), presso ogni categoria, con il compito di vegliare e redigere un bilancio annuale degli accordi adottati a livello aziendale e dei loro impatti sulle condizioni di lavoro dei lavoratori. Oggi tale obbligo è previsto all’articolo L2232-9 del code du travail, obbligazione poi rinforzata anche dalle ordonnances del 2017.

 

Nonostante i vari interventi a livello legislativo, nella prassi, la contrattazione di categoria resta per molto tempo il perno immutabile della contrattazione collettiva. Infatti, alcuni recenti studi (vedi in particolare Jobert, Saglio, La mise en oeuvre des dispositions de la loi du 4 mai 2004, 2005; Mériaux, Evaluation de la loi du 4 mai 2004 sur la négociation d’accords dérogatoires dans les entreprises, 2008) si sono soffermati sull’impatto delle varie riforme sulla contrattazione collettiva ed hanno messo in evidenza, soprattutto in seguito alla legge del 2004 (loi del 4 maggio 2004) delle pratiche di non ricorso alla negoziazione a livello aziendale. Vari sono stati i motivi rimarcati dagli studi in questione: una incompetenza ed una inesperienza di contrattazione a livello aziendale, in particolare in caso di realtà aziendali molto piccole, accompagnata ad una conoscenza non approfondita dei testi giuridici; una paura di trovarsi in situazioni in cui manca la sicurezza giuridica, dovuta soprattutto alla rapidità con cui le riforme di sono succedute nel tempo; una regolamentazione economica delle imprese che si basa di fatto sulla regolamentazione a livello di categoria. Vengono posti all’attenzione del lettore due importanti studi, il primo effettuato nel 2004 e il secondo nel 2010, in cui si analizza il ricorso alla contrattazione di categoria su una serie di tematiche. L’analisi di tali grafici mostra come le imprese abbiano continuato a privilegiare la realtà economica e sociale della contrattazione di categoria e anzi, a prescindere dal tema analizzato, nel 2010 si fa un ricorso maggiore alla stessa rispetto al 2004. La particolarità del contesto economico del 2010, successivo a un’importante crisi economica, ha indotto i datori di lavoro a cercare sicurezza e stabilità nella contrattazione collettiva di categoria, la quale è rimasta, dunque, una referenza necessaria per le parti.

 

È bene però sottolineare che non tutte le categorie agiscono nello stesso modo. Ci sono, infatti, dei settori che si mostrano molto più attaccati al ruolo di regolamentazione svolto della categoria, rispetto ad altri. Con ruolo di regolamentazione (rôle de régulation) si fa riferimento alle condizioni minime di lavoro e di impiego fissate dagli accordi di categoria. Un esempio può essere rinvenuto nel settore relativo alle costruzioni (bâtiment), nel quale la contrattazione di categoria è vista come il luogo più pertinente per la regolamentazione professionale, avendo tenuto conto della particolare fragilità della contrattazione aziendale. Ancora, nel settore relativo al commercio (commerce) gli attori riconoscono alla contrattazione di categoria una funzione essenziale nella regolamentazione della concorrenza. In questo specifico contesto, le parti richiedono rapidamente l’estensione degli accordi siglati, in modo che essi vengano rispettati anche dalle aziende non aderenti, con l’obiettivo di limitare gli effetti della concorrenza. Può essere infine portato l’esempio del settore relativo alle proprietà (propriété) che riconosce anch’esso alla propria convenzione collettiva di categoria un forte ruolo di regolamentazione.

 

Questi esempi vengono temperati da altre realtà, come quella relativa agli uffici (bureau d’études), in cui la contrattazione di categoria non svolge un marcato ruolo di regolamentazione. Spesso queste categorie sono caratterizzate da una debole tradizione di negoziazione collettiva, sia a livello di categoria che a livello aziendale. In questi casi, la dottrina francese ritiene che gli accordi di categoria presentino una struttura più accompagnatrice, che di regolamentazione. Tanto che essi incitano le imprese e le parti a muoversi in una determinata direzione, senza, tuttavia, imporsi; per questo motivo si parla di soft law.

 

Ciò che possiamo ritenere è che gli effetti sono variabili da settore a settore: il criterio dominante è rappresentato dalla necessità di avere minime condizioni di lavoro e di impiego che contrastino la concorrenza tra le aziende. Dunque, se il costo del lavoro è un elemento chiave della concorrenza in un determinato mercato, si crea una forte incitazione alla conclusione di accordi che presentino delle disposizioni minimali, migliorabili a livello aziendale, per evitare, nel caso specifico, pratiche di dumping sociale.

 

Premesso ciò, la contrattazione di categoria ha cercato di imporsi mediante strategie di adattamento e di rinnovo, per contrastare le disposizioni delle ordonnances Macron. In particolare, le parti sociali hanno dovuto aggiornare i contenuti degli accordi per mantenere il ruolo di regolamentazione della concorrenza. Nel contratto collettivo di categoria del settore commercio, recentemente rinnovato, gli attori, per armonizzare le condizioni economiche tra aderenti e non aderenti, hanno integrato alcuni elementi della contrattazione, non previsti né nel primo blocco né nel secondo, all’interno di una tematica sulla quale avevano, invece, il potere di intervenire. Nonostante le ordonnances Macron abbiano previsto, in casi similari, la possibilità di derogare tali disposizioni, le aziende si sono conformate alla contrattazione collettiva, riconoscendole dunque un importante ruolo normativo.

 

Un ulteriore rilevante effetto delle ordonnances Macron (quali conseguenze dell’insieme delle riforme adottate) è stato quello di riconoscere, con il tempo, ulteriori funzioni alla contrattazione collettiva. Tra queste può essere riconosciuto un importante processo di istituzionalizzazione della categoria, rendendola un vero e proprio centro di risorse (centre de ressource) per le imprese, mettendo a disposizione delle imprese una serie di strumenti in tale ambito. L’obiettivo è quello di offrire una serie di misure che accompagnino le imprese, come ad esempio offrire delle guide su determinati argomenti, discriminazioni, uguaglianze, messe a disposizione delle aziende. Esemplificativa è la categoria relativa alle proprietà (propriété), in cui dal 1990 è stata adottata una politica attiva per la formazione e l’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani. Questo ruolo è stato rinforzato dalle ordonnances Macron.

 

In conclusione, è possibile affermare che la contrattazione di categoria non sia affatto in fase di regresso rispetto alla contrattazione aziendale. Nonostante vi siano stati numerosi interventi aventi l’obiettivo di vincolare e rendere più fragile la contrattazione di categoria, quest’ultima rimane una norma di referenza nella definizione delle condizioni di lavoro nelle aziende. Di fatti, le ordonnances Macron non hanno nei fatti modificato la percezione della contrattazione di categoria.

 

Inoltre, lo studio in esame ha confermato le principali funzioni della contrattazione collettiva di categoria: in primis, il ruolo di regolazione della concorrenza, il quale tuttavia è stato indebolito, tanto che gli attori hanno dovuto trovare dei metodi alternativi per mantenere la propria capacità normativa. In secondo luogo, la possibilità di mettere a disposizione delle imprese delle risorse: in questo caso, sembra che la funzione sia stata perfino rinforzata, in particolare nel caso delle piccole imprese.

 

Infine, possono essere sottolineate due importanti difficoltà a cui si può andare incontro: in primo luogo è stata rimarcata la differenza nella pratica del dialogo sociale nei vari settori. Vi sono infatti alcune categorie in cui c’è una debole tradizione di dialogo sociale, tanto che la contrattazione di categoria si trova in difficoltà ad esercitare la propria capacità di contrattazione. Altre difficoltà nascono, poi, per quelle imprese appartenenti a gruppi che intervengono in più settori, le quali possono, dunque, rientrare in più convenzioni collettive di categoria. Cresce allora rapidamente il rischio di concorrenza tra le varie contrattazioni di categoria. Queste difficoltà, in realtà, non sono figlie delle ordonnances Macron, ma ciclicamente si presentano ad ogni intervento legislativo senza che alcuna soluzione sia prevista in materia.

 

Angela Zaniboni

ADAPT Junior Fellow

@angzanib

Rinnovo del CCNL ABI: la revoca di Intesa Sanpaolo e i possibili scenari

Rinnovo del CCNL ABI: la revoca di Intesa Sanpaolo e i possibili scenari

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Bollettino ADAPT  13 marzo 2023, n. 10

 

Ha fatto molto scalpore la notizia della revoca, lo scorso 27 febbraio 2023, del mandato conferito da Intesa Sanpaolo ad ABI per la negoziazione del CCNL di settore. Tuttavia, come specificato in un comunicato da un portavoce della Banca, si tratta di una revoca limitata alla sola negoziazione del rinnovo del contratto collettivo; Intesa Sanpaolo, infatti, resta a tutti gli effetti un associato all’ABI e la affiancherà, d’accordo con l’Associazione, «nel confronto con le organizzazioni sindacali nazionali a livello di settore, in una fase di particolare importanza come quella attuale», allo scopo di «fornire il supporto più adeguato» ai negoziati per tutelare il loro «modello organizzativo» e il «ruolo ricoperto da Intesa Sanpaolo nel nostro Paese» (Banche, Intesa resta in Abi ma revoca la delega per il contratto, in Il Sole 24ore, 2 marzo 2023).

 

La vicenda può essere sinteticamente riassunta come un altro caso di “OT-membership”, una tendenza frequentemente riscontrabile negli ultimi anni nella rappresentanza sindacale d’impresa, a partire dall’esperienza tedesca (cfr. T. Schulten, R. Bispinck, Varieties of decentralisation in German collective bargaining – experiences from metal industry and retail trade, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.INT, n. 137/2017, pp. 333-377, spec. p. 342: «however, many employers’associations have introduced a special membership status, know as “OT status” (OT = ohne Tarifbinding; not covered by the collective agreement’») e approdata anche in Italia (B. Caponetti, La rappresentanza datoriale: questioni e prospettive, in LLI, 2018, n. 4, p. 42). In altri termini, l’impresa associata ad una determinata organizzazione resta tale solo per accedere ai servizi associativi, revocando invece il mandato per la negoziazione del contratto collettivo.

 

In questo senso, viene da chiedersi come possa conciliarsi la posizione di Intesa Sanpaolo rispetto alle regole associative di ABI, che ai sensi dell’art. 2, comma 1 lett. d) dello Statuto, rappresenta i propri iscritti associati (e Intesa pare lo sia ancora) anche per la negoziazione del «regolamento dei rapporti di lavoro […] nei confronti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori».

 

In realtà, da una lettura sistematica delle disposizioni statuarie (tra le tante, l’art. 3, comma 7) è possibile desumere che l’ABI possa associare anche imprese del settore del credito che tuttavia non conferiscono il mandato all’Associazione per negoziare il CCNL. A questa particolare tipologia di associati però non è consentito, ad esempio, prendere parte alle procedure di nomina dei componenti del Comitato per gli affari sindacali e di lavoro, organo associativo deputato a negoziare il contratto collettivo di settore (art. 14, comma 1, lett. d); non è consentito inoltre prendere parte alla procedura di nomina dei membri per la composizione dei comitati tecnici (art. 23, comma 1).

 

Alla luce della revoca specifica comunicata da Intesa e viste le regole statutarie di ABI, viene allora da chiedersi anzitutto a che titolo la Banca parteciperà alle trattative per il rinnovo del CCNL, visto che se non conferisce mandato per negoziare il CCNL, non può nemmeno eleggere i componenti della delegazione trattante (né, a questo punto, potrebbe farne parte); inoltre, viene da chiedersi quali effetti (giuridici) deriverebbero dalla revoca del mandato a trattare.

 

Lasciando sullo sfondo le ragioni che hanno spinto ABI a palesare comunque un invito rivolto ad Intesa a prendere parte alle trattative, gli effetti giuridici che possono derivare da questa situazione sono diversi e vanno brevemente accennati.

 

Anzitutto, nelle more delle trattative del rinnovo del CCNL, Intesa Sanpaolo potrebbe non essere tenuta a rispettare quanto stabilito dal verbale di accordo del 28 febbraio 2023 sottoscritto da ABI, vista la revoca del mandato negoziale avvenuta il 27 febbraio 2023 (cioè il giorno prima della sottoscrizione del verbale di accordo). Ma l’aspetto più interessante quello connesso al termine delle trattative per il rinnovo del CCNL. Intesa Sanpaolo (ora svincolata da ABI almeno sotto il punto di vista dell’applicazione del CCNL) potrebbe infatti: (a) decidere di continuare ad applicare il CCNL; (b) diversamente, negoziare un apposito accordo a margine del CCNL, più adatto al modello organizzativo (come dichiarato); (c) in alternativa, cambiare CCNL una volta ritenuto che sia opportuno abbandonare il tavolo delle trattative per il rinnovo.

 

Possibile che la scelta della Banca possa essere spiegata alla stregua di una mancata soddisfazione verso il precedente rinnovo contrattuale rispetto al proprio modello organizzativo, che peraltro registrava la carenza di «una disciplina nazionale del lavoro ibrido» (G. Mieli, Bancari, un rinnovo all’insegna dell’innovazione tecnologica e dei profili sociali, in Bollettino ADAPT 7 gennaio 2020, n. 1)? L’evoluzione dei negoziati (e quello che ne deriverà) saprà dare sicuramente le giuste risposte.

 

Giovanni Piglialarmi

Ricercatore presso il Dipartimento di Economia “M. Biagi”
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@Gio_Piglialarmi

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/141 – Rinnovato il CCNL Lapidei Industria

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/141 – Rinnovato il CCNL Lapidei Industria

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

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potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 9 gennaio 2023, n. 1

 

Contesto del rinnovo

 

Il 24 novembre 2022 è stato sottoscritto l’accordo di rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro “per i dipendenti da aziende esercenti l’attività di escavazione e lavorazione dei materiali lapidei” da parte di Confindustria Marmomacchine, A.N.E.P.L.A., Feneal-Uil, Filca-Cisl e Fillea-Cgil. Dopo circa otto mesi di trattative dalla scadenza dello scorso contratto del 31 marzo 2022, interviene quindi il nuovo contratto nazionale di settore che coinvolge circa 5.000 aziende e oltre 50.000 addetti e decorre dal 1° aprile 2022 con scadenza al 31 marzo 2025.

 

Il contesto macroeconomico in cui si inserisce la negoziazione sindacale è fin da subito critico e incerto non solo per il settore ma anche per l’economia nazionale. Il conflitto tra Russia e Ucraina, scoppiato nel febbraio 2022, ha infatti generato una spirale inflazionistica che ha impattato imprese e lavoratori. L’inflazione, così, rimette al centro delle trattative la questione salariale dopo diversi anni in cui tale tematica appariva meno urgente. Del pari, le imprese subiscono l’erosione dei margini di profitto a causa dell’incremento del costo dei beni energetici, che rappresentano una tra le principali voci dei bilanci aziendali.

 

In questo scenario, non sono mancati momenti di criticità nella evoluzione della trattativa. Ciononostante, le Parti firmatarie, con forte senso di responsabilità e pragmatismo, sono riuscite a trovare di volta in volta un punto di equilibrio negoziale sui vari temi oggetto di confronto, senza pregiudicare il soddisfacimento dei rispettivi interessi collettivi e, da non trascurare, senza che sia stato necessario effettuare nemmeno un’ora di sciopero da parte delle segreterie nazionali delle OO.SS. stipulanti.

Sul piano dei contenuti, il rinnovo prevede una serie di novità rilevanti non solo dal punto di vista dei trattamenti economici, ma anche degli istituti contrattuali a contenuto normativo e obbligatorio.

 

Parte economica

 

Per quanto riguarda la componente economica, il rinnovo prevede un aumento del Trattamento Economico Minimo (TEM) pari a una somma complessiva di euro 123,00 lordi riferiti al parametro del livello C, a fronte di una richiesta in piattaforma sindacale presentata all’inizio del 2022 pari a euro 150,00. Detto aumento è distribuito in tre tranche, che decorrono dal 1° gennaio rispettivamente del 2023, 2024 e 2025: la prima è di 40,00 euro lordi, la seconda di 39,00 euro lordi, la terza di 44 euro lordi.

Con riferimento ai restanti aspetti economici del rinnovo, si prevede un aumento della contribuzione dello 0,40 % al Fondo Arco a carico dell’Azienda, suddiviso in due tranches di pari importo ed aventi decorrenza dal 1° luglio 2023 (prima tranche) e 1° luglio 2024 (seconda tranche) con mantenimento della natura volontaria e facoltativa dell’iscrizione al Fondo di previdenza complementare da parte del lavoratore. Pertanto, l’aliquota contributiva a carico azienda passa dal 2,50% della retribuzione utile al calcolo del T.F.R. al 2,70% a decorrere dal 1° luglio 2023, fino ad arrivare al 2,90% a decorrere dal 1° luglio 2024.

 

Considerato il periodo storico caratterizzato da un notevole aumento dei prezzi dell’energia, le Parti hanno previsto di riconoscere nel corso del mese di dicembre 2022 un importo pari ad euro 100,00 netti da erogarsi tramite fringe benefits (buoni spesa/buoni carburante) nel rispetto di quanto previsto dal DL 18.11.2022, n. 176, cd. Aiuti quater.

 

Inoltre, è previsto un aumento di 20,00 euro lordi annui sul valore dell’Elemento di Garanzia Retributiva (EGR) a decorrere dal 1° gennaio 2023, che passa quindi dagli originari 190,00 euro lordi a 210,00 euro lordi. A tal riguardo, è bene ricordare come tale emolumento spetta solo ed esclusivamente “a quei lavoratori che, nel corso dell’anno precedente, non abbiano percepito altri trattamenti economici individuali o collettivi, comunque, soggetti a contribuzione oltre a quanto spettante dal presente CCNL“.

 

Rimane invece inalterato l’ammontare di contribuzione al Fondo di assistenza sanitaria integrativa (Fondo Altea).

 

Parte normativa

 

Un tema di interesse per l’accordo di rinnovo è quello dei congedi laddove si prevedono, per i permessi per eventi e cause particolari, due giorni aggiuntivi di permesso retribuito al/alla lavoratore/lavoratrice straniero che dovesse recarsi nel suo paese di origine per determinati casi prestabiliti. Inoltre, è stato specificato che al lavoratore, al fine di favorire l’inserimento dei figli all’asilo nido/scuola materna, saranno riconosciute otto ore di permesso retribuito.

 

Altra tematica rilevante e sentita da ambedue le parti è stata quella dei Congedi per le donne lavoratrici vittime di violenza. In particolare, è stato stabilito che tali lavoratrici avranno diritto di astenersi dal lavoro per un periodo retribuito di ulteriori 6 mesi rispetto al periodo non inferiore a 3 mesi prescritto ai sensi dell’art. 24 D. Lgs. n. 80 del 2015 e che saranno agevolate, in ogni caso, nell’utilizzo di forme di flessibilità oraria e/o di modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.

 

Sulla malattia (artt. 72, 84 e 95) è stato stabilito che, su richiesta scritta dei lavoratori, l’azienda fornirà a questi ultimi la situazione relativa al comporto. Inoltre, sono state aumentate le percentuali di conservazione del posto e di durata dei periodi di trattamento economico dal 50% al 60% in caso di assenze per malattia dovuta a patologie oncologiche, emodialisi, infarto e trapianto di organi.

 

Da ultimo, in materia Appalti e Legalità (art. 30), è stato specificato che le Aziende appaltanti dovranno esigere da quelle appaltatrici il rispetto “dei contratti collettivi di lavoro, sottoscritti dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative a livello nazionale, del settore merceologico cui appartengono le imprese appaltatrici stesse” attraverso la stipulazione di una corrispondente clausola sociale. Inoltre, è stato elevato da cinque a dieci giorni il periodo di preavviso per la comunicazione preventiva da parte delle imprese appaltanti alla rispettiva RSU per l’avvio dei lavori di manutenzione affidati in appalto, con l’elenco delle ditte appaltatrici e i nominativi degli RLS ove nominati. Viene invece specificato che tale preavviso è ridotto a 24 ore solo in caso di urgenze “non programmata” intendendosi con tale locuzione la imprevedibile necessità produttiva sopraggiunta.

 

Parte obbligatoria

 

Sulla parte obbligatoria del rinnovo, gli attori negoziali del CCNL hanno convenuto di istituire il “Gruppo di lavoro sulla bilateralità”, che dovrà presentare alle parti sociali un progetto riguardante la costituzione di un “Comitato Bilaterale dei Materiali da Costruzione (CBMC)”, nel quale dovrà concretizzarsi il confronto su conoscenze e valutazioni per determinate tematiche. Tale Organismo bilaterale sarà composto da sei rappresentanti designati dalle OO.SS. e da sei rappresentanti designati da Confindustria Marmomacchine e ANEPLA.

 

Valutazione d’insieme

 

Per quanto riguarda il rinnovo in esame, si potrebbe affermare che l’accordo raggiunto a novembre 2022 rappresenti in una certa misura un avanzamento per il settore contrattuale, in quanto prevede aumenti salariali più alti dei precedenti rinnovi: basti pensare che si è passati da una percentuale di circa il 70% tra quanto richiesto in piattaforma dalle OO.SS. a quanto erogato nell’accordo di chiusura del contratto ad una percentuale di circa l’80%. È chiaro che, a tal fine, ha giocato un ruolo decisivo l’attuale periodo caratterizzato da un tasso inflazionistico che non si vedeva in Italia ormai da decenni. A ciò si aggiunga l’inserimento del bonus di 100,00 euro netti che mirano anch’essi a salvaguardare il potere di acquisto delle retribuzioni temporaneamente eroso dalla inflazione.

 

Ma anche relativamente alla parte normativa dell’accordo, si segnalano importanti novità sotto il profilo della tutela dei diritti dei lavoratori del settore. Al proposito, le Parti hanno decisamente optato per un miglioramento delle condizioni di favore derivanti da una normativa già comunque propositiva e migliorativa. Basti pensare in questi termini alle 8 ore di permesso retribuito aggiuntivo per l’inserimento all’asilo nido o alla scuola materna dei figli, così come all’introduzione della banca ore solidale per quei lavoratori in situazione di bisognoche necessitino di tale salvaguardia, per poi addivenire alle tutele in favore delle lavoratrici vittime di violenza con un incremento del periodo di astensione dal lavoro nonché dell’agevolazione della flessibilità dell’orario di lavoro.

 

Si può quindi concludere che le Parti sono riuscite, in uno spirito caratterizzato dalle ottime relazioni sindacali che del resto si evidenziano anche sui territori maggiormente rappresentativi del settore, a cogliere l’obiettivo di un miglioramento di tutte le condizioni contrattuali dei lavoratori che operano in un ambito sempre improntato al rispetto della sicurezza delle condizioni di lavoro senza tralasciare la tutela economica rispetto al sempre maggiore incremento del costo della vita.

 

Massimo Bani

Referente Lavoro e Previdenza

Confindustria Livorno Massa Carrara

 

Lorenzo Patacchia

Funzionario Relazioni Industriali

Unindustria Roma

@lor_patacchia

Il ruolo della contrattazione collettiva nell’organizzazione dell’orario di lavoro dei quadri e degli impiegati direttivi. Il caso del CCNL Chimico-Farmaceutico

Il ruolo della contrattazione collettiva nell’organizzazione dell’orario di lavoro dei quadri e degli impiegati direttivi. Il caso del CCNL Chimico-Farmaceutico

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Bollettino ADAPT 12 dicembre 2022, n. 43

 

In un rapporto di lavoro subordinato, il tempo di lavoro ha sempre rappresentato un elemento centrale in quanto ancora oggi, fatta eccezione per i dirigenti, la retribuzione mensile risulta commisurata alle ore di lavoro prestate e i contratti collettivi fissano, sulla base di norme di rinvio legali, maggiorazioni per lavoro notturno, eccedente, straordinario o festivo, assegnando quindi un valore diverso a ore di lavoro perché svolte in determinati periodi del giorno o dell’anno o perché aggiuntive rispetto all’orario normale di lavoro. La tradizionale distinzione tra locatio operis e locatio operarum, rispettivamente riconducibili a lavoro autonomo e lavoro subordinato, trova ancora un significato dal momento che, se nel lavoro autonomo l’oggetto della prestazione consiste in un’opera o un servizio, nel lavoro subordinato il lavoratore dipendente mette a disposizione del datore di lavoro le proprie energie e le proprie competenze prestando lavoro manuale o intellettuale che trova nel tempo di lavoro una sua quantificazione e, al tempo stesso, una tutela secondo le norme di legge e della contrattazione collettiva.

 

Tuttavia, nelle professioni che richiedono applicazione di conoscenze di alto livello o legate a ruoli gestionali, il tempo di lavoro non trova più un valore oggettivo della sua misurazione: ciò risulta sempre più attuale non soltanto per i dirigenti, ma anche per la categoria dei quadri e degli impiegati direttivi, figure che rientrano nel novero degli impiegati ex art. 2095 c.c. Se si pensa a figure prevalentemente gestionali o anche al lavoro creativo o di ricerca, il tempo di lavoro perde quel valore oggettivo dal momento che la sua quantificazione non trova una corrispondenza diretta in termini di aumento di volumi produttivi come potrebbe avvenire per una professione manuale. Oggi tali lavoratori prestano un’attività lavorativa in un determinato tempo messo a disposizione del datore di lavoro per svolgere una prestazione che debba raggiungere o garantire determinati obiettivi, o che talvolta consiste in una obbligazione di mezzi a partire da competenze elevate e da progetti da seguire. Si potrebbe affermare, in un certo senso, che il tempo di lavoro per queste categorie di lavoratori acquisisca un valore come il negativo di una fotografia, in quanto garanzia del diritto al riposo e al tempo libero del singolo e non più garanzia – per il datore di lavoro –  dello svolgimento di una prestazione che porta a risultati produttivi; in questo, la retribuzione di produttività risulta essere la migliore “cartina tornasole”, dal momento che, se gli strumenti per incrementare la produttività del lavoratore manuale sono riconducibili al lavoro a cottimo o a indicatori con un approccio quantitativo nei premi di risultato collettivi, per il personale direttivo si è progressivamente sviluppata una gestione per obiettivi (definita appunto MBO, e quindi Management by Objectives”) che sono strategici per l’azienda e slegati ad un oggettivazione del tempo di lavoro.

 

Conseguentemente, la disciplina dell’orario di lavoro affidata alla legge e alla contrattazione collettiva si è modificata con l’obiettivo di garantire maggiore flessibilità anche a figure come quadri e impiegati direttivi e di uscire da una logica di misurazione del tempo di lavoro che ricollega la retribuzione ad una quantità di ore prestate e non alla qualità del lavoro svolto, piuttosto che a determinati obiettivi raggiunti. In particolare, la norma di riferimento è l’articolo 17, comma 5 del D.lgs. n. 66/2003, la quale dispone che “Nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, le disposizioni di cui agli articoli 3, 4, 5, 7, 8, 12 e 13 non si applicano ai lavoratori la cui durata dell’orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell’attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi […]”. Le deroghe previste sono assai ampie, poiché di fatto vengono disapplicati gli articoli sull’orario normale di lavoro, sulla durata massima dell’orario di lavoro, sul lavoro straordinario, sul riposo giornaliero, sulle pause e sul lavoro notturno: ne risulta una disciplina assai scarna, in cui, fermo li rispetto dei principi generali della protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, restano solo le ferie e il riposo settimanale a trovare applicazione per i suddetti lavoratori. Il medesimo comma, inoltre, stabilisce un elenco a cui applicare le deroghe: dirigenti, personale direttivo delle aziende o altre persone aventi potere di decisione autonomo, manodopera familiare, lavoratori nel settore liturgico delle chiese e delle comunità religiose e prestazioni rese nell’ambito di rapporti di lavoro a domicilio e di telelavoro. Sulla norma è intervenuta la Circolare n. 3/2005 del Ministero del Lavoro, che, anzitutto, ha stabilito che l’elenco di figure professionali a cui applicare le deroghe è esemplificativo, e non tassativo; in più, il medesimo documento si sofferma sulla lettera a) del quinto comma dell’articolo 17 – “dirigente, personale direttivo aziendale o di altre persone aventi potere di decisione autonomo” – specificando che “nell’ampia formulazione della norma trovano ingresso nuove figure professionali che, sebbene prive di potere gerarchico, conservano, nel disimpegno delle loro attribuzioni, ampia possibilità di iniziativa, di discrezionalità e di determinazione autonoma sul proprio tempo di lavoro”. Tali indicazioni, peraltro, rispecchiano una posizione del Ministero del Lavoro già emersa con la Circolare n. 10/2000 (antecedente al D.lgs. n. 66/2003) che, sulla nozione di personale direttivo, ha evidenziato come la giurisprudenza sia costante nel ritenere che tale concetto “è comprensivo non soltanto di tutti i dirigenti ed institori che rivestono qualità rappresentative o vicarie, bensì anche – in difetto di una pattuizione contrattuale in deroga – del personale direttivo c.d. “minore”, ossia gli impiegati con funzioni direttive, i capi di singoli servizi o sezioni di aziende e, in definitiva, i capi ufficio ed i capi reparto che eccezionalmente possono svolgere persino attività manuali”. Inoltre, il Ministero ha puntualizzato come “l’inquadramento nella categoria del personale direttivo dipende dalla corrispondenza delle mansioni in concreto assegnate al lavoratore a quelle previste dalla disposizione definitoria di detto personale, non potendo derivare dal mero dato formale del conferimento della qualifica”.

 

In un simile scenario le Parti Sociali, nell’accordo interconfederale de l2 novembre 1997 che recepisce la Direttiva UE 93/104 in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, sono intervenute con una previsione tanto semplice quanto incisiva: infatti, nella parte dell’intesa relativa alle deroghe alla disciplina sulla durata settimanale dell’orario, la clausola dispone una deroga per il personale con funzioni direttive o da altre persone aventi potere di decisione autonomo sul proprio tempo di lavoro, “tenuto comunque conto di eventuali limiti fissati dalla contrattazione collettiva”. In tal senso, le Parti hanno sottolineato come la contrattazione collettiva possa autonomamente stabilire dei “limiti” alle deroghe poi previste dal D.lgs. n. 66/2003 e quindi hanno aperto esplicitamente alla possibilità che i contratti collettivi introducano una differente organizzazione dell’orario di lavoro per il personale direttivo. La giurisprudenza della Corte di Cassazione, al tempo stesso, ha fissato due principi in materia di limitazioni dell’orario di lavoro del personale direttivo: il primo interpreta il limite legale di cui all’articolo 17, comma 5 del D.lgs. n. 66/2003 e quindi guarda ai principi generali in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, mentre il secondo appare in linea con le previsioni dell’accordo interconfederale sopracitato e attiene al ruolo della contrattazione collettiva: “i funzionari direttivi, esclusi dalla disciplina legale delle limitazioni dell’orario di lavoro, hanno diritto al compenso per lavoro straordinario se la disciplina collettiva delimiti anche per essi l’orario normale e tale orario venga in concreto superato oppure se la durata della loro prestazione valichi il limite di ragionevolezza in rapporto alla necessaria tutela della salute e dell’integrità fisiopsichica garantita dalla Costituzione a tutti i lavoratori” (Cass. Civile n. 11929/2003; Cass. Civile n. 3038/2011; Cass. Civile n. 12687/2016).

 

Dal quadro normativo e giurisprudenziale delineato, integrato con le previsioni dell’accordo interconfederale e con la prassi amministrativa del Ministero del Lavoro, emerge una disciplina dell’organizzazione dell’orario di lavoro che trova nelle deroghe dell’articolo 17, comma 5 del D.lgs. n. 66/2003 un livello di tutela standard – in conformità alla Direttiva UE 2003/88 – sul quale può intervenire una disciplina collettiva o individuale di favore. Ai fini del presente contributo risulta dunque d’interesse guardare non tanto alla figura del dirigente, per il quale i contratti collettivi (si pensi, ad esempio, al CCNL Dirigenti Industria siglato il 30 luglio 2019) non intervengono sulla disciplina dell’orario di lavoro, ma ai quadri e agli impiegati direttivi, in cui una limitazione dell’orario di lavoro stride con l’autonomia e la natura delle mansioni svolte e del ruolo ricoperto in un determinato contesto lavorativo. La contrattazione collettiva nazionale è intervenuta in diversi settori per modellare l’organizzazione dell’orario di lavoro dei funzionari direttivi definendo il relativo inquadramento contrattuale e introducendo specifiche discipline in materia di maggiorazioni o riposi che integrano in melius le previsioni dell’articolo 17, comma 5 del D.lgs. n. 66/2003: diversamente, alla luce del quadro delineato, anche a quadri e impiegati direttivi si applicherebbe il contratto collettivo nazionale con i relativi limiti di orario di lavoro.

 

Un esempio concreto è rappresentato dal CCNL Chimico-Farmaceutico, che interviene in due aspetti: da una parte, nelle declaratorie contrattuali riconduce la Categoria A alla qualifica dei quadri e la Categoria B alla qualifica di “impiegati che espletano funzioni direttive”, e dall’altra all’articolo 9 lett. B) riconosce che tali lavoratori non siano soggetti a limitazione di orario e siano esclusi dall’applicazione delle maggiorazioni per prestazioni eccedenti e straordinarie, rinviando all’articolo 21, che rappresenta una disposizione apposita del CCNL. Tale articolo, tra le altre cose, riconosce a quadri e impiegati direttivi il diritto al godimento delle riduzioni di orario e introduce un’apposita maggiorazione “a fronte di prestazioni aggiuntive in giorno di sosta (il sabato, n.d.r.) o in orario di lavoro notturno” e limitatamente a “prestazioni espressamente richieste o comunque dettate da fattori esterni all’autonomia e discrezionalità di tali lavoratori”. Una simile previsione, in un certo senso, si innesta sulle deroghe previste dall’articolo 17, comma 5 del D.lgs. n. 66/2003 per ricostruire una disciplina speciale che esclude i lavoratori della Categoria A e B dalle ordinarie maggiorazioni per prestazioni eccedenti o straordinarie (non li esclude in caso di lavoro festivo o notturno ordinario),  ma riconosce comunque agli stessi maggiorazioni speciali in caso di lavoro aggiuntivo nella giornata di sabato o di notte che non sia dettato dall’autonomia e dalla discrezionalità degli stessi lavoratori.

 

L’esempio del CCNL Chimico-Farmaceutico dimostra l’importanza del ruolo della contrattazione collettiva nell’organizzazione dell’orario di lavoro di lavoratori la cui prestazione lavorativa risulta difficilmente inquadrabile nell’ordinaria disciplina legale ma che, al tempo stesso, può richiedere interventi ulteriori a tutela degli stessi non limitandosi ad un rinvio alle deroghe di cui all’articolo 17, comma 5 del D.lgs. n. 66/2003. In quest’ottica, spetta al sistema di relazioni industriali e quindi alle Parti sociali affrontare il tema dell’organizzazione dell’orario di lavoro, che può diventare un punto di forza per la qualità di un lavoro in cui il tempo perde quell’oggettività che ha connotato il Novecento industriale e richiede anch’esso un ripensamento e una ricostruzione a partire dalle peculiarità dei nuovi contesti sociali e di lavoro.

 

Lorenzo Citterio

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@CitterioLorenzo

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/140 – La centralità delle persone nel Contratto Integrativo Aziendale di ISEO Serrature S.p.A.

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/140 – La centralità delle persone nel Contratto Integrativo Aziendale di ISEO Serrature S.p.A.

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 12 dicembre 2022, n. 43

 

Oggetto e tipologia di accordo

 

Il 28 ottobre 2022 è stato siglato il Contratto Integrativo aziendale per i lavoratori della Iseo Serrature S.p.A., società italiana leder nella produzione e progettazione di sistemi di chiusura e soluzioni per il controllo accessi, che conta più di 1.300 dipendenti e possiede il principale sito produttivo in Pisogne (BS). Il contratto in commento integra le disposizioni del CCNL Federmeccanica-Assital per i lavoratori addetti all’industria metalmeccanica privata e alla installazione di impianti, applicato dall’Azienda ai propri dipendenti.

 

Parti firmatarie e contesto

 

L’accordo è stato sottoscritto dalla direzione aziendale e dalla Rappresentanza Sindacale Unitaria in seno all’azienda e rappresenta un passaggio significativo per la società bresciana, che si lascia alle spalle il delicato periodo emergenziale e post-pandemico e, a continuazione del processo di trasformazione aziendale, pone le basi per un modello organizzativo che riaffermi le persone di ISEO come un elemento centrale e strategico.

 

Temi trattati / punti qualificanti / elementi originali o di novità

 

Preliminarmente, dal punto di vista afferente strettamente le relazioni industriali, le parti riconoscono il processo di trasformazione e di cambiamento che sta attraversando l’Azienda, impegnandosi a rafforzare la propria attenzione su alcuni temi, che vanno dalla formazione al welfare, con specifici impegni presi dalle parti. Di particolare rilievo, sotto questo aspetto, risulta il riferimento alla creazione della cd. “cultura della sicurezza”, volto a migliorare la comunicazione tra gli RLS e l’Azienda, analizzando l’andamento degli infortuni ed elaborando appositi piani formativi e di miglioramento. Allo stesso tempo, merita attenzione l’impegno, in materia di “politiche di genere e pari opportunità”, ad integrare quanto già stabilito dalla contrattazione di primo livello (CCNL Federmeccanica – Assital), con l’adozione di un piano, a cadenza annuale, volto ad assicurare la rimozione degli eventuali ostacoli che impediscono la realizzazione di pari opportunità di lavoro e nel lavoro tra uomini e donne nonché una concreta partecipazione delle donne a occasioni di avanzamento professionale.

 

Entrando nel merito dei contenuti delle disposizioni contrattuali, un capitolo molto importante del contratto è dedicato alla formazione. In questo ambito, le parti confermano innanzitutto il valore strategico della stessa nell’organizzazione aziendale, con la previsione di specifici percorsi formativi, dichiarati come essenziali e prioritari. In primo luogo, verranno infatti favoriti percorsi di riqualificazione e/o di mantenimento professionale mediante attività – anche esterne – seminariali, di training in aula e di training “on the job” per tutti i lavoratori con incarichi di supervisione e del middle management, al fine di promuovere un ambiente di lavoro sano, ove tutte le risorse si sentano coinvolte, valorizzate e responsabilizzate al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Vengono poi fissati degli obiettivi di polivalenza e polifunzionalità che permetteranno ai lavoratori il proprio sviluppo professionale ed il miglioramento personale, intesi come lo sviluppo delle capacità di saper lavorare su linee produttive significativamente differenti tra loro nonché l’abilità di saper svolgere ruoli differenti dal proprio ruolo contrattuale. Infine, viene formalizzato l’impegno all’organizzazione di attività finalizzate all’aggiornamento, perfezionamento e sviluppo di competenze non esclusivamente tecniche ma aventi carattere trasversale, rilevanti sotto il punto di vista della vita quotidiana aziendale, come i temi relativi alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica, la digitalizzazione informatica, la conoscenza dei prodotti aziendali ed il mercato di riferimento nonché l’evoluzione dell’assetto organizzativo interno. Per l’erogazione della formazione “trasversale”, verranno dedicate 24 ore pro-capite per ciascun lavoratore.

 

Proseguendo nell’analisi delle previsioni contrattuali, occorre poi riferirsi ad alcune misure della parte dedicata alla “flessibilità oraria”. In questa sezione, al fine di salvaguardare la competitività ed il perseguimento del miglioramento dei livelli di puntualità e precisione, le parti prevedono l’introduzione del concetto di “continuità lavorativa”, concordando sulla fruizione di non meno di due settimane di ferie durante il mese di agosto. La terza settimana di agosto potrà essere fruita rispettando la percentuale di assenteismo – riferito alle sole ferie – pari al 40% garantendo l’operatività di ogni reparto. Viene altresì previsto che, al verificarsi di una contrazione dell’attività produttiva, si farà ricorso agli istituti contrattuali vigenti residui al 31 dicembre dell’anno precedente, fermo restando la possibilità di ricorrere alla Cassa integrazione guadagni (in via residuale), previo accordo da concordarsi tra le Parti. In caso di fluttuazioni stagionali o cicliche dell’intensità dell’attività lavorativa, viene poi concordata una specifica deroga per il superamento della soglia settimanale stabilita dal CCNL (pari a 40 ore settimanali), prevedendo altresì il ricorso al lavoro straordinario.

 

Sempre in relazione alla flessibilità oraria, le parti concordano l’adozione, compatibilmente con le esigenze tecnico, organizzative e produttive dell’azienda, di alcune misure, da concordare preventivamente col proprio responsabile di reparto/ufficio, quali  un regime di flessibilità in ingresso e in uscita di 60 minuti, frazionabili in 30 minuti, nonché un orario di pausa pranzo flessibile e, per ultimo, la possibilità di effettuare mezza giornata in home working e mezza in presenza in ufficio.

 

Una specifica sezione viene poi dedicata al tema della conciliazione vita-lavoro, con la previsione di alcune iniziative significative, quali l’analisi della fattibilità dell’istituzione dei venerdì brevi (4 ore) nei mesi di giugno e luglio, il miglioramento dell’ambiente di lavoro (mediante la previsione di un piano di intervento per l’installazione di impianti di raffrescamento atti a mitigare le calde temperature estive), la previsione di un potenziamento dei parcheggi della mensa aziendale e la previsione di un servizio sperimentale di lavanderia convenzionata per gli indumenti di lavoro del personale adibito ai reparti di manutenzione e torneria.

 

Sul fronte della comunicazione e del coinvolgimento dei lavoratori nelle dinamiche aziendali, sono invece previsti incontri collettivi di cadenza annuale (destinata alla generalità dei dipendenti, in macrogruppi di 120 persone) e di cadenza mensile (dipendenti in gruppi ristretti da 10-12 persone) nonché incontri individuali su richiesta con la funzione HR volti ad informare i lavoratori delle strategie aziendali, gli obiettivi generali da perseguire e per avere supporto nella gestione del rapporto di lavoro.

 

Sempre sul piano delle previsioni di carattere non economico del contratto, emerge infine una marcata sensibilità per il tema della sostenibilità ambientale, con l’impegno delle parti a studiare proposte per l’adozione di specifiche green practices per migliorare l’efficienza energetica, l’utilizzo elle energie rinnovabili e favorire il riciclo degli scarti aziendali.

 

Incidenza sul trattamento retributivo e sulle misure di welfare

 

La sottoscrizione del nuovo Contratto Integrativo Aziendale, rappresenta anche l’occasione per l’introduzione di un nuovo Premio di Risultato (P.D.R.) – a partire dal 2023 – composto da un elemento comune alla generalità del personale dipendente e da un elemento su base individuale volto alla determinazione del valore individuale finale del trattamento incentivante per ogni singolo dipendente.

 

Al fine della corresponsione del premio, dovrà essere raggiunto almeno uno tra i c.d. “indicatori cancello”, relativi rispettivamente al fatturato, al valore dei pezzi scartati e alla capacità dell’Azienda di rispettare le tempistiche concordate per le commesse. Il raggiungimento di almeno uno dei tre indici comporta la corresponsione del P.D.R., il cui valore viene commisurato anche dal numero degli indicatori raggiunti dalla collettività dei lavoratori. Nello specifico, laddove venga centrato uno solo degli “indicatori cancello”, ogni singolo lavoratore potrà accedere al trattamento incentivante nella misura massima di 2.000 euro lordi annui per l’area di stabilimento (diretti, indiretti, area tecnica e logistica), ovvero della misura massima di 1.600 euro lordi per l’area uffici (amministrazione, commerciale, personale e servizi generali, acquisti e IT). Tale cifra massima sarà suscettibile di aumento nella misura di 50 euro lordi ove vengano raggiunti due degli obiettivi cancello. Parimenti, nel caso vengano raggiunti tutti e tre gli obiettivi, il P.D.R. base subirà ulteriore aumento (rispetto alla somma spettante nel caso del raggiungimento di un solo indice), pari ad euro 200. Una volta che la platea di lavoratori acquisirà il diritto alla corresponsione del P.D.R., mediante il raggiungimento dell’indicatore cancello, lo stesso sarà aumentabile di un valore percentuale strettamente correlato all’indicatore “acceleratore” EBITDA, che aumenta il controvalore dell’incentivo, a seconda dell’incremento percentuale di EBITDA sul fatturato precedente, tra il +5% ed il +20%.

 

L’accordo prevede poi alcuni specifici criteri al fine della determinazione del valore finale del premio da corrispondere al singolo lavoratore. Da questo punto di vista, avranno diretta incidenza sulla quantificazione del premio da riconoscere in favore del singolo lavoratore: a) la percentuale di assenteismo dei lavoratori appartenenti alla medesima area, b) la percentuale di ore di assenza individuali del singolo lavoratore, c) un indicatore specifico dell’area di appartenenza del singolo lavoratore che sarà oggetto di concertazione da parte della commissione paritetica in seno all’Azienda.

 

Al trattamento incentivante sopra indicato, si collega il sistema incentivante S.T.R. (Short Term Rewards), di cui potranno essere beneficiari i dipendenti appartenenti alle categorie del CCNL Federmeccanica-Assital B2, B3 ed A1 che operano in ambito commerciale, tecnico e amministrativo con funzioni direttive di responsabilità ed in possesso di autonomia decisionale e di iniziativa. Gli obiettivi da raggiungere, ai fini della corresponsione del predetto trattamento, saranno suddivisi dall’Azienda in: a) obiettivi di risultato; b) obiettivi di progetto.

 

Entrambi i trattamenti incentivanti (P.D.R. e S.T.R.) potranno essere fruiti dai soggetti beneficiari in beni e servizi di “welfare aziendale”. Tale opzione resta facoltativa ed esercitabile esclusivamente dal lavoratore e la quota del P.D.R. e del S.T.R. convertibile in welfare varierà da un minimo di 250 euro ad un massimo di 1.500.”

 

Infine, occorre sottolineare che, per espressa previsione negoziale, il P.D.R. relativo al periodo da luglio a dicembre 2022 sarà erogato secondo modalità diverse rispetto a quelle appena presentate, precisate nel punto 12 dell’accordo.

 

Valutazione di aspetti di innovazione rispetto al nazionale

 

Rispetto al CCNL Federmeccanica-Assital – applicato dal gruppo bresciano – possono rilevarsi diverse peculiarità. In primo luogo, è evidente l’operazione di allineamento con l’ampia maggioranza dei contratti di secondo livello siglati nel settore, attraverso la previsione di un innovativo trattamento incentivante (P.D.R. e S.T.R.), in cui vengono stabiliti precisi criteri di accesso legati alla produttività e redditività dell’Azienda. Altro elemento innovativo che introduce il CIA in commento è indubbiamente rappresentato dalle deroghe all’orario di lavoro – notoriamente rigide nel settore – volto a perseguire modalità organizzative maggiormente flessibili e una più ampia conciliazione tra vita privata e professionale delle proprie risorse umane.  Infine, appare doveroso citare l’innovativo sistema della formazione così come declinato da ISEO, orientato a rafforzare le competenze trasversali dei lavoratori, (inerenti, ad es., a tematiche inerenti la sostenibilità, la conoscenza dei prodotti aziendali, il mercato di riferimento dell’azienda) ed a permettere lo sviluppo della loro polivalenza e polifunzionalità nella compagine aziendale.

 

Valutazione d’insieme

 

Il contratto collettivo di secondo livello commentato in questa sede può sicuramente essere definito pronto per affrontare le importanti sfide che attendono l’azienda nei prossimi anni. Va riconosciuto, infatti, lo sforzo delle parti per favorire la conciliazione vita-lavoro, mediante i plurimi e creativi strumenti inseriti in questo contratto di secondo livello, nonché la previsione di adeguati trattamenti incentivati volti al potenziamento ed alla salvaguardia della produttività dell’azienda. Si tratta di un impegno concreto, che viene previsto per “le persone di ISEO” (riprendendo il titolo di una autonoma sezione del CIA) riaffermando la presa di coscienza del sistema delle relazioni industriali attuale circa il ruolo centrale dei dipendenti nelle dinamiche aziendali.

 

Antonio Lamberti

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@ant_lamberti1

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/139 – La regolazione dello smart working post-emergenziale nel Gruppo Linde: un’interpretazione “restrittiva” del concetto di flessibilità

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/139 – La regolazione dello smart working post-emergenziale nel Gruppo Linde: un’interpretazione “restrittiva” del concetto di flessibilità

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 12 dicembre 2022, n. 43

 

Oggetto e tipologia di accordo

 

Il 25 luglio 2022 le Società Linde Gas Italia Srl e Linde Medicale Srl hanno stipulato un accordo di smart working con la Filctem-CGIL, la Femca-CISL e la Ulitec-UIL nazionali, in assistenza al Coordinamento Nazionale delle RSU aziendali dei rispettivi siti e al coordinamento delle OO.SS territoriali. Il Gruppo Linde è una multinazionale leader nel settore dei gas (anche medicali) e dell’ingegneria industriale con oltre 80.000 dipendenti in oltre 100 diversi paesi nel mondo.

Le parti in questione hanno un solido background di relazioni industriali partecipative – caratteristica tipica del settore chimico-farmaceutico in cui operano – il quale ha portato alla creazione di un proficuo dialogo anche riguardo al tema dello “smart working”. Al termine del confronto, le parti si sono trovate concordi nel riconoscere nel lavoro agile (termine forse più adatto a definire la modalità di esecuzione della prestazione oggetto dell’accordo) una buona pratica di attenzione all’individuo e di responsabilità sociale, in quanto si è riscontrato che tale modalità lavorativa può allo stesso tempo giovare alla salute dei dipendenti e contribuire alla gestione degli impatti ambientali. Tuttavia, in questa fase post-pandemica è emersa nelle trattative la necessità di valorizzare la condivisione e le relazioni umane che si creano anche grazie alla presenza fisica negli ambienti di lavoro.

 

Oggetto e tipologia di accordo

 

L’accordo si propone di regolare le nuove modalità di lavoro agile nell’ottica di una evoluzione pragmatica sia di quanto vissuto durante l’esperienza pandemica, sia, prima ancora, del regolamento aziendale adottato in via sperimentale nel novembre 2018.

Viene specificato che tale modalità di lavoro sarà applicabile a tutte le sedi aziendali, qualora sussistano le condizioni organizzative, tecniche e operative che lo permettano.

 

Temi trattati / punti qualificanti / elementi originali o di novità

 

Le parti dell’accordo in questione ritengono che, in questa seconda fase, sia appropriata e utile una regolazione dello “smart working” improntata al ritorno nelle sedi aziendali e a una interazione non più solo virtuale tra colleghi.

Coerentemente a quanto previsto dalla legge n. 81 del 2017 (art. 18, comma 1), nel primo paragrafo dell’accordo, infatti, viene subito evidenziato il requisito dell’alternanza tra svolgimento della prestazione all’interno e all’esterno dei locali aziendali: esso viene meglio esplicitato nel paragrafo successivo dove si specifica che la prestazione lavorativa potrà essere svolta in modalità agile per un massimo di due giorni a settimana (con la possibilità di aggiungere una ulteriore giornata nel corso di ogni mese).

 

A conferma del ruolo secondario che viene affidato al lavoro da remoto rispetto al lavoro in presenza, vi è la necessità di pianificare con largo anticipo le giornate nelle quali il lavoratore svolgerà la prestazione con tale modalità nonché la preventiva verifica della compatibilità della mansione del dipendente con il lavoro da remoto.

Le giornate di lavoro da remoto possono aumentare, a fronte di una espressa richiesta del dipendente, che può essere presentata tramite le RSU o l’organizzazione sindacale a cui aderisce, in caso di situazioni di fragilità o esigenze assistenziali in ambito familiare. Possono essere concessi fino a 3 giorni a settimana di “smart working” in caso di gravidanza o di genitorialità (fino a 6 anni di vita del figlio); negli altri casi di fragilità che rappresentino un limite al raggiungimento delle sedi aziendali o allo svolgimento della prestazione lavorativa all’interno delle stesse, il numero delle giornate lavorabili da remoto sarà deciso caso per caso. Qualora fosse necessario potrà sempre essere coinvolto il medico competente nel processo di valutazione.

 

In merito all’orario di lavoro dei lavoratori agili si riscontra nell’accordo una limitata flessibilità. In un primo momento viene enunciata la libertà per il dipendente di organizzare la propria giornata lavorativa come meglio crede (con il solo limite di durata dell’orario giornaliero e settimanale); subito dopo, tuttavia, l’accordo sancisce l’obbligo per il lavoratore di svolgere la propria prestazione all’interno della fascia oraria che va dalle 7:30 alle 18:30 e comunque nell’ambito dell’orario di servizio della funzione di appartenenza. Si specifica inoltre che l’attività lavorativa deve iniziare non oltre le 9:30 e che la pausa pranzo si svolgerà indicativamente tra le 12:00 e le 14:00. L’accordo prevede poi che per i dipendenti che svolgono attività di servizio, o comunque connotate dal carattere di indifferibilità, tali orari possono subire rimodulazioni o specificazioni, in quanto il mancato rispetto degli stessi potrebbe comportare nocumento in termini di responsabilità contrattuale della Società.

Viene garantito anche il diritto alla disconnessione tra le 18:30 e le 7:30, nella pausa pranzo e comunque oltre l’orario di lavoro giornaliero.

 

Quanto poi al luogo di lavoro si precisa che il lavoratore deve individuare un luogo idoneo che consenta il pieno svolgimento dell’attività lavorativa in condizioni di sicurezza e di riservatezza, anche in relazione ai dati aziendali. Si specifica, a questo proposito, che il dipendente deve adottare ogni accorgimento utile alla tutela dei mezzi, dei dispositivi e dei dati aziendali e che è vietato svolgere attività di lavoro agile in luoghi pubblici o aperti al pubblico e all’estero (sul tema del lavoro agile all’estero, vedi M. Menegotto, M. Mariani, Il lavoro agile all’estero: Profili lavoristici e previdenziali, Working paper ADAPT n. 10/2022, ADAPT University Press): sono tuttavia ammessi luoghi di co-working qualora presentino sufficienti condizioni di riservatezza.

 

Un ulteriore elemento interessante è, in tema di salute e sicurezza, la previsione di piani di formazione annuali che comprendono sessioni specifiche in merito ai rischi correlati allo svolgimento del lavoro agile. Si sottolinea come, anche in base a quanto appreso in questi contesti, il lavoratore è tenuto a cooperare nell’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore: egli deve tenere un comportamento consono ad evitare i rischi, anche per quanto concerne la scelta dell’ambiente e della postazione di lavoro e deve comunicare immediatamente all’azienda ogni eventuale incidente.

 

Valutazione d’insieme

 

L’accordo preso in esame si propone di adattare l’istituto dello smart working alla nuova realtà post-emergenziale.

Nel testo dell’accordo collettivo, spicca la scelta di valorizzare il ruolo delle RSU aziendali e delle organizzazioni sindacali nel processo di previsione di deroghe in caso di situazioni di fragilità. Ed è anche interessante osservare come, con la previsione dei piani di formazione annuali, il presente accordo si impegni a supplire alla scarsità di previsioni in materia di salute e sicurezza che caratterizza la legge 81/2017. Va rilevato che in questo senso si sono mossi anche molti altri tavoli di contrattazione collettiva (sul tema vedi D. Porcheddu, La tutela della sicurezza del lavoratore agile. Tra dubbi interpretativi e ruolo della contrattazione collettiva, Working Paper SALUS n. 3/2021, ADAPT University Press, pp. 16-22).

 

Infine, ciò che emerge in modo chiaro dal testo in esame è la volontà dell’azienda di ridare priorità a modalità di lavoro c.d. “tradizionali” nella fase post-emergenziale: viene infatti offerta ai dipendenti la possibilità di ricorrere al lavoro agile, in quanto evidentemente ne sono stati colti i molti vantaggi, ma con diverse limitazioni. Rispetto alle potenzialità offerte dall’art.18, comma 1 della legge 81/2017, che apre alla possibilità di eseguire la prestazione “anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro”, infatti, le Società Linde scelgono un approccio più rigido, il quale appare ancora ancorato alle tradizionali forme di organizzazione dei tempi di lavoro e di controllo datoriale.

 

Silvia Caneve

ADAPT Junior Fellow

@CaneveSilvia

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/138 – Il rinnovo del CCNL pulizie artigiane: adeguamenti salariali e nuove tutele sindacali

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/138 – Il rinnovo del CCNL pulizie artigiane: adeguamenti salariali e nuove tutele sindacali

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

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Bollettino ADAPT 5 dicembre 2022, n. 42

 

Contesto del rinnovo

 

Il 27 ottobre 2022 Confartigianato Imprese di pulizia, CNA Costruzioni – CNA Imprese di Pulizia, Casartigiani, Claai e i sindacati di settore Filcams-CGIL, Fisascat-CISL, Uiltrasporti-UIL hanno firmato il rinnovo del contratto collettivo nazionale per i lavoratori dipendenti delle imprese artigiane esercenti servizi di pulizia, disinfezione, disinfestazione, derattizzazione e sanificazione. L’intesa di rinnovo riguarda più di 21mila imprese artigiane e oltre 70mila addetti ed è stata raggiunta dopo una lunga trattativa tra le parti e un periodo di vacanza contrattuale che si è protratto dal 31 dicembre 2016, giorno della scadenza del precedente rinnovo. Tale CCNL –che avrà validità fino al 31 dicembre 2024– confluisce, in applicazione dell’Accordo Interconfederale del 26 novembre 2020, nella nuova macro area Servizi alle Persone e alle Imprese.

 

Parte economica

 

Per quanto riguarda gli aumenti retributivi, le Parti hanno trovato un accordo per un incremento dei minimi salariali di 120 euro lordi a regime per i lavoratori inquadrati al 5° livello. La richiesta dei sindacati è stata quella di seguire l’aumento previsto dal contratto pulizie industriali. L’aumento, illustrato con successivo verbale integrativo in data 2 novembre 2022, verrà erogato con 4 decorrenze: 60 euro a partire da novembre 2022, 30 euro da luglio 2023, 20 euro da luglio 2024 e 10 euro con la retribuzione di dicembre 2024. Inoltre, a copertura del periodo di vacanza contrattuale, per i soli lavoratori in forza alla data di sottoscrizione del rinnovo, l’accordo prevede un elemento distinto e aggiuntivo della retribuzione pari a 15 euro riconosciuto per 26 mesi consecutivi a partire dal 1° novembre 2022, pari ad un’erogazione complessiva di 390€. Viene poi incrementata l’indennità speciale che, calcolata per il 5° livello, consta di un aumento di 5 euro lordi a decorrere da novembre 2022 e di ulteriori 5 euro lordi da dicembre 2024.

 

A completamento della parte economica, occorre infine considerare le novità relative alla bilateralità del settore: per quanto riguarda la contribuzione, viene previsto che, dalle competenze di novembre 2022, troverà applicazione l’aumento di 4 euro per raggiungere gli 11,65 euro mensili versati a titolo di contribuzione all’EBNA, ai quali si aggiunge lo 0,60% -suddiviso 3\4 a carico del datore e 1\4 a carico del lavoratore- dell’imponibile previdenziale per FSBA così come previsto da Accordo Interconfederale 17 dicembre 2021.

 

Parte normativa

 

Con riferimento alla parte normativa, risulta di particolare interesse innanzitutto l’aggiornamento delle previsioni del contratto a tempo determinato, ora adeguate al d.lgs. 81\2015, così come modificato dai successivi provvedimenti normativi.

 

In primo luogo, viene previsto che, per l’ipotesi di assunzione a termine per sostituzione, l’affiancamento sia consentito per un periodo fino a 90 giorni di calendario tra sostituto e lavoratore sostituito. Vengono poi aggiornati i limiti quantitativi delle assunzioni di lavoratori a tempo determinato sulla base del numero di dipendenti a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno in questione, con quote che vanno dai 2 lavoratori, nel caso di imprese che occupano da 0 a 5 dipendenti, fino a un numero massimo di 8, per le imprese che occupano più di 18 dipendenti. Sono esclusi da tali limiti quantitativi i lavoratori assunti per sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto e per stagionalità, così come sono esenti da limitazioni i contratti a tempo determinato conclusi nei primi 12 mesi in ipotesi di avvio di nuova attività, per sostituzione di lavoratori assenti e per lavoratori con età superiore ai 50 anni.  Il termine di durata può essere di 12 mesi, estendibili a 24 per una delle causali previste dalla legge e per esigenze di professionalità e specializzazioni non presenti tra quelle disponibili in organico per particolari commesse.

 

Scorrendo sempre la parte normativa, occorre rilevare come le parti prevedano, all’art. 47, il licenziamento senza preavviso per il lavoratore che non si presenti sul posto di lavoro per 10 giorni continuativi, rendendosi irreperibile senza alcuna giustificazione.

 

Viene poi aggiornato l’impianto normativo sulla tutela della maternità e paternità, che consente ora di fruire del congedo parentale frazionandolo su base oraria in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga mensile immediatamente precedente a quello i cui ha inizio il congedo. Inoltre l’accordo, armonizzandosi ai contenuti del d.lgs. 105\2022, garantisce al padre il congedo obbligatorio di 10 giorni, mentre il diritto a 15 giorni di congedo matrimoniale retribuito è riconosciuto anche in caso di unione civile.

 

Parte obbligatoria

 

Per quanto riguarda la parte obbligatoria, il rinnovo recepisce innanzitutto la Convenzione ILO n.190 per il contrasto e la prevenzione di violenza e molestie nei luoghi di lavoro, con l’impegno delle parti a introdurre iniziative a carattere formativo e informativo realizzate attraverso assemblee sindacali territoriali e corsi finanziati anche da Fondartigianato.

 

Di particolare rilievo è inoltre la novità in materia di cessione di appalto, con la revisione delle modalità di confronto in occasione del cambio di appalto, nell’ambito del nuovo articolo 43.

 

Valutazione d’insieme

 

L’accordo, raggiunto dopo quasi 6 anni di vacanza contrattuale, costituisce un importante traguardo politico-sindacale per tutte le imprese rientranti nel campo di applicazione del CCNL, garantendo una più ampia flessibilità gestionale, nel rispetto delle specificità del settore. Continua quindi, grazie a un’importante risposta sul piano economico-normativo, il percorso di contrasto alle forme di dumping contrattuale effettuate nel settore delle pulizie e sanificazione, rafforzando altresì diritti e tutele sindacali dei lavoratori. Elementi rilevanti, che puntano a guidare la ripartenza del comparto, dopo un periodo di sofferenza e incertezza derivato dagli ostacoli posti dalla pandemia.

 

Mirco Proietti

ADAPT Junior Fellow

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/137 – Accordo Carel Industries: partecipazione, flessibilità e welfare

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/137 – Accordo Carel Industries: partecipazione, flessibilità e welfare

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

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Bollettino ADAPT 5 dicembre 2022, n. 42

 

Oggetto e tipologia di accordo

 

Martedì 8 marzo 2022, la Direzione di Carel Industries e l’RSU, assistita dalla segreteria territoriale della FIOM CGIL, hanno rinnovato il contratto integrativo per il triennio 2022-2024. Si tratta di un accordo importante e innovativo, capace di introdurre molti elementi di novità, in coerenza con gli attuali trend della contrattazione collettiva italiana e con l’ultimo rinnovo del CCNL del settore metalmeccanico.

 

Carel è un’azienda leader a livello mondiale nelle soluzioni di controllo per condizionamento, refrigerazione e riscaldamento e nei sistemi per l’umidificazione e per il riscaldamento adiabatico. Nata nei dintorni di Padova nel 1973, ad oggi Carel, con un organico di più di 1700 dipendenti, divisi in 31 filiali e 13 stabilimenti produttivi posizionati in diverse zone del pianeta, è una realtà in forte crescita del panorama metalmeccanico italiano.

 

Parti firmatarie e contesto

 

L’accordo sottoscritto dalle parti rappresenta, dunque, il rinnovo del contratto integrativo aziendale di secondo livello: un testo importante, che intende accompagnare la crescita della capacità produttiva dell’organizzazione, nonché intervenire sulla qualità dell’ambiente di lavoro in modo molto forte, incidendo non solo sul fattore retributivo stricto sensu, ma anche sull’ampia dimensione del welfare aziendale.

 

Individuando le principali aree di intervento dell’accordo in questione, è possibile distinguere tre principali direttrici: la rimodulazione della partecipazione in azienda attraverso l’inserimento di fattori di novità nella parte obbligatoria dell’accordo, la ricerca di soluzioni per una maggiore competitività e flessibilità della capacità produttiva e la volontà di offrire al dipendente un ambiente di lavoro attento al benessere e alle esigenze del lavoratore, con l’obiettivo di migliorare complessivamente la qualità della vita aziendale.

 

Temi trattati / punti qualificanti / elementi originali o di novità

 

Guardando più da vicino il testo sottoscritto, le tre macroaree di intervento vengono declinate nel modo seguente.

L’obiettivo di intensificare le relazioni tra i firmatari dell’accordo si traduce nell’istituzione di incontri trimestrali sull’andamento economico e occupazionale dell’azienda. Oltre a questi momenti di confronto, è importante sottolineare come il presente accordo dedichi ampio spazio alla formazione anche nella sua parte obbligatoria, non attraverso l’istituzione di una commissione tecnica bilaterale dedicata, bensì mediante la possibilità per l’RSU di richiedere incontri in cui proporre interventi formativi indirizzati alla popolazione aziendale.

La parte più innovativa di questo rinnovo, tuttavia, riguarda la creazione di un sistema di confronto su base settimanale relativo all’analisi dei Near miss e delle Unsafe conditions, a cui si affianca una serie di incontri trimestrali, in cui valutare le azioni implementate sul medio periodo. È previsto, inoltre, che queste occasioni di dialogo possano essere funzionali all’organizzazione di break formativi in tema di sicurezza.

 

Il secondo intendimento, ossia la volontà di acquisire maggiore competitività e flessibilità nei confronti delle esigenze di mercato, si declina come rimodulazione della turnistica e la regolamentazione delle pause: in questo senso, accanto alla possibilità di attivare il turno notturno e un numero concordato di sabati nelle modalità dello straordinario comandato nella necessità di reagire a un picco di ordini, l’accordo concede all’azienda anche la via per affrontare periodi di calo dei volumi, mediante lo strumento del turno con orario ridotto, attivabile mediante la copertura di una parte del turno con una quota di ore di permessi annui retribuiti.

 

La centralità della crescita della competitività aziendale è confermata anche dalla creazione di una struttura del premio di risultato che individua il suo indicatore più importante, in termini di peso sul payout finale, in un parametro che calcola la produttività attraverso l’utilizzo del Margine Operativo Lordo, ossia mediante un indice di natura prettamente finanziaria. A tale parametro si affiancano indicatori di efficienza, di qualità e di puntualità delle consegne.

Dal punto di vista della funzione motivazionale dell’istituto premiale in questione, occorre sottolineare come tale accordo premi anche l’overperformance dell’organizzazione, prevedendo un aumento significativo del valore nominale lordo del premio in caso di superamento degli obiettivi dell’organizzazione.

 

Il desiderio di migliorare la qualità della vita aziendale e il benessere dei lavoratori si concretizza in una molteplicità di interventi che introducono misure di welfare che, da un lato, intendono incrementare la qualità del bilanciamento vita/lavoro e, dall’altro, puntano ad aumentare il livello di servizio di alcuni aspetti essenziali della vita in azienda.

 

Il primo obiettivo è realizzato, ad esempio, attraverso l’inserimento della flessibilità giornaliera per il personale impiegatizio, l’incremento della percentuale di accoglimento di richieste di part-time e l’introduzione di una quota di PAR, a disposizione dei dipendenti senza residuo degli anni precedenti, per assenze per ragioni di carattere sanitario o sociale. L’accordo prevede poi in questo senso numerose misure a sostegno della genitorialità. In questo modo, con l’obiettivo di garantire il miglioramento del benessere del dipendente in questa fase delicata della sua vita, il testo sottoscritto dalle parti include due giorni aggiuntivi, rispetto alla normativa vigente in materia di congedi parentali, di permessi retribuiti per il padre genitore in occasione della nascita del figlio. L’integrazione dell’indennità di maternità per l’astensione facoltativa e la previsione di un contributo per l’asilo nido vanno nella stessa direzione. Il quadro è completato, in ultima analisi, dalla messa a disposizione di borse di studio e da una quota finalizzata al sostegno allo studio per i figli dei lavoratori che stanno frequentando Istituti Superiori o percorsi universitari.

 

Oltre a queste misure, l’accordo Carel intende impattare anche su aspetti importanti dell’ambiente lavorativo, come confermato dall’inserimento, all’interno dell’accordo, dell’impegno per il miglioramento continuo dell’area di lavoro del personale impiegatizio, attraverso, per esempio, soluzioni ergonomiche, e dell’espressione della volontà di confermare e consolidare il servizio di mensa per tutti i dipendenti.

 

Valutazione d’insieme

 

L’accordo Carel intende garantire e accompagnare il percorso di sviluppo dell’azienda nella consapevolezza che il raggiungimento di una maggiore flessibilità debba essere accompagnato da un percorso di “avvicinamento” nei confronti del dipendente. Tale percorso è costituito sia dall’intensificazione dei momenti di confronto, riguardanti, in particolar modo, la sicurezza, nonché dall’introduzione di molteplici interventi e misure di welfare.

L’attenzione alla partecipazione e al benessere in azienda esprime la consapevolezza dei firmatari in merito all’importanza di garantire la qualità complessiva della vita e del benessere del dipendente come persona, ossia di quella base esperienziale del lavoratore, che, nata al di fuori dei perimetri dell’organizzazione, permette all’organizzazione stessa di sviluppare le proprie performance e di raggiungere i suoi obiettivi.

 

Filippo Reggiani

Scuola di Dottorato di ricerca in Apprendimento e Innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@FilippoReggian3