contrattazione collettiva

Il rinnovo del CCNL pubblici esercizi, ristorazione collettiva e commerciale e turismo: un “segnale” per il settore

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Bollettino ADAPT 24 giugno 2024 n. 25

 

L’eterno dibattito sulla vitalità e sulla capacità di “resilienza” delle relazioni industriali, forse in questo caso il termine calza a pennello, vive nel corso delle tornate di rinnovo contrattuale i suoi momenti di sussulto che, ovviamente, non possono che essere evidenziati, con ammissione d’interesse di parte, dagli attori in gioco.

 

Al netto del coinvolgimento diretto di chi scrive, non può che essere evidenziato un dato di fatto positivo che è quello che riguarda l’impatto che ha il rinnovo del CCNL per i dipendenti da aziende dei settori pubblici esercizi, ristorazione collettiva e commerciale e turismo: il terzo contratto più applicato in Italia[1], con una platea di 330 mila imprese e un milione di occupati circa.

 

L’accordo sottoscritto lo scorso 5 giugno tra Fipe-Confcommercio, Legacoop, Confcooperative, Agci e Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs rinnova il CCNL dell’8 febbraio 2018 prevedendo un aggiornamento complessivo dei seguenti capitoli: pari opportunità contrasto alle violenze e alle molestie nei luoghi di lavoro, classificazione e inquadramento, congedi e tutela della genitorialità, welfare contrattuale e, ovviamente, aumenti retributivi.

 

 

Pari opportunità e contrasto alle violenze e alle molestie nei luoghi di lavoro

 

Non si può che partire da un dato essenziale che caratterizza i settori del contratto in questione e che riguarda la forte connotazione femminile dello stesso: se nei pubblici esercizi le donne costituiscono oltre il 50% degli occupati, addirittura nella ristorazione collettiva si arriva quasi all’80% degli occupati[2]. Ne consegue la rilevanza di previsioni contrattuali come quelle inerenti ai temi delle pari opportunità e al contrasto alle violenze nei luoghi di lavoro, a maggior regione in un contesto produttivo fondato non solo sulla relazione tra colleghi ma anche su quella con la clientela.

 

Le Parti firmatarie, anche in virtù dell’evoluzione della legislazione europea in materia di parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro di pari valore, attraverso il principio della cosiddetta trasparenza retributiva (Direttiva U.E. 2023/970/UE), hanno previsto l’istituzione, per le imprese con più di 50 dipendenti, di una figura di rappresentanza nominata congiuntamente dalle Organizzazioni sindacali, su indicazione delle lavoratrici e dei lavoratori, specializzata in questioni di genere, denominata Garante della Parità, al fine di garantire che tutte le persone che lavorano in azienda possano godere delle medesime opportunità, di tutelare il concetto di equità, anche dal punto di vista salariale, di superare qualsiasi pregiudizio dovuto alle eventuali diversità e di favorire l’inclusione di tutte le lavoratrici e i lavoratori.

 

Nello specifico, in materia di contrasto alle violenze e molestie nei luoghi di lavoro, è stata disposta la proroga del congedo già previsto dalla legge per le donne inserite nei percorsi di protezione con ulteriori 90 giorni di congedo (oltre ai tre mesi previsti dalla legge) e diritto a un’indennità pari al 100% della retribuzione di fatto.

 

Oltre a questo, la lavoratrice inserita nei percorsi di protezione, può presentare domanda di trasferimento presso altre sedi di lavoro, anche ubicate in altro comune o regione e, ove possibile, le associazioni datoriali di categoria firmatarie, anche tramite gli enti bilaterali, possono valutare la ricollocazione della lavoratrice in altre aziende associate, nel caso in cui l’azienda oggetto della richiesta di trasferimento della lavoratrice abbia un’unica sede di lavoro.

 

È stata, inoltre, prevista un’ora di assemblea sindacale retribuita sul tema delle violenze e molestie, aggiuntiva al monte orario previsto, per la quale le Organizzazioni Sindacali potranno coinvolgere anche soggetti esterni.

 

 

Classificazione e inquadramento

 

Pur mantenendo le declaratorie contrattuali e i dieci diversi livelli d’inquadramento, è stata realizzata una sostanziale rivisitazione del testo contrattuale che non subiva modifiche così corpose dal 1990 su un impianto logico testuale, e ovviamente organizzativo, introdotto negli anni 70.

 

È opportuno segnalare l’introduzione di alcune nuove figure e in particolare quelle riguardanti il settore del banqueting (di neo inserimento nel campo d’applicazione del contratto): due relative al quarto livello, una per il servizio di sala e una dedicata alla produzione dei pasti. Per entrambe, così come per l’altra figura sempre dedicata al banqueting, inserita, invece, al quinto livello e dedicata in via prevalente all’allestimento del servizio, si è voluto ricomprendere nel mansionario l’insieme dei compiti appunto di allestimento, disallestimento del servizio e trasporto dello stesso che caratterizzano appunto le attività tipiche del settore del banqueting.

 

Sempre al quinto livello si segnala l’introduzione dell’operatore della ristorazione commerciale organizzata in catena, figura caratterizzata da un’attività definibile di pluriservizio che essendo già presente negli assetti organizzativi delle aziende del settore della ristorazione commerciale, è stata codificata in maniera esplicita e puntuale all’interno del contratto nazionale.

 

Per ciò che riguarda l’addetto servizi mensa, figura già presente nel contratto, è stato rivisitato l’impianto che prevedeva le due figure già esistenti al sesto e al sesto livello super con il passaggio al sesto super in virtù di 12 mesi di anzianità nel settore. La rivisitazione in questione ha elevato a 15 mesi di anzianità nel settore il termine per il passaggio di livello ed è stata, inoltre, introdotta una norma di raccordo che riguarda gli addetti mensa in forza al momento della sottoscrizione del contratto.

 

 

Congedi e tutela della genitorialità

 

Il riferimento alla forte componente femminile che caratterizza il settore non può che evidenziarsi anche nelle disposizioni contenute nelle previsioni di sostegno alla genitorialità che si sono sostanziate non solo in un corposo adeguamento normativo, in virtù delle novità legislative intervenute nel corso della vigenza del CCNL del 2018, ma che ha preso forma soprattutto attraverso gli interventi normativi che riguardano la maturazione degli istituti contrattuali delle ferie, dei permessi, della tredicesima e della quattordicesima durante i periodi di maternità, paternità e congedo parentale (con una decorrenza diversa per la quattordicesima durante il congedo parentale).

 

Evidentemente, anche tali previsioni si inseriscono nella geografia anagrafica di un settore che oltre ad avere una forte connotazione femminile, ha anche una preponderante componente “giovanile” con il 60% circa degli occupati che hanno meno di 40 anni[3].

 

 

Aumenti retributivi e welfare contrattuale

 

Per ciò che attiene l’incremento salariale, le Parti firmatarie hanno convenuto una vigenza contrattuale di 3 anni e 7 mesi (1° giugno 2024 – 31 dicembre 2027) prevedendo un aumento a di 200 € parametrati sul 4° livello contrattuale (50 € il 1° giugno 2024, 40 € il 1° giugno 2025

40 € il 1° giugno 2026, 30 € il 1° giugno 2027, 40 € il 1° dicembre 2027) introducendo una differente decorrenza degli aumenti per le aziende della ristorazione collettiva (1° giugno 2024, 1° settembre 2025, 1° settembre 2026, 1° giugno 2027, 1° dicembre 2027).

 

È importante sottolineare come questa differenziazione trovi la sua ragion d’essere nell’unione d’intenti che le Parti firmatarie hanno voluto coerentemente codificare all’interno di una nota congiunta, con la quale si è posta l’attenzione sulle problematiche che condizionano il settore della ristorazione collettiva e che riguardano, tra le altre, l’aumento del costo delle materie prime e la difficoltà di recupero degli aumenti dei contratti nei confronti delle committenze.

 

Infine, non si può che rimarcare come le previsioni che riguardano l’assistenza sanitaria integrativa corrispondano ad un’esplicita volontà di politica sindacale di investire nel capitolo del welfare contrattuale in maniera sempre più considerevole.

 

È stato, infatti, previsto per ogni dipendente con decorrenza dal 1° gennaio 2027, il versamento di € 3,00 aggiuntivi mensili di contributo al Fondo Est a carico del datore di lavoro e per ogni quadro, sempre a carico del datore di lavoro, con decorrenza dal 1° gennaio 2025, €20,00 aggiuntivi annui di contributo al Fondo QuAS e, con decorrenza dal 1° gennaio 2026, ulteriori € 20,00 annui.

 

Questa rassegna non poteva perciò chiudersi senza un riferimento esplicito al tema del welfare contrattuale, che non rappresenta solo uno strumento organico di risposta alle note criticità del nostro sistema di welfare pubblico, attraverso interventi articolati di sostegno alle fragilità attuali e future della nostra società, ma che disegna anche un metodo delle relazioni sindacali su cui investire, quello della “bilateralità”, fondamentale per tenere insieme settori così articolati e compositi come quelli rappresentati da questo contratto. 

 

Andrea Chiriatti

Responsabile Lavoro – Area Relazioni Sindacali, Previdenziali e Formazione

Federazione Italiana Pubblici Esercizi

@AChiriatti

 

[1] XXII Rapporto annuale INPS

[2] Centro Studi Fipe su dati INPS

[3] Centro Studi Fipe su dati INPS

 

I salari contrattuali nel 2023. La fotografia offerta dal recente rapporto ADAPT sulla contrattazione collettiva in Italia*

I salari contrattuali nel 2023. La fotografia offerta dal recente rapporto ADAPT sulla contrattazione collettiva in Italia*

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Bollettino ADAPT 17 giugno 2024 n. 24

 
Nel 2023 i sistemi di contrattazione collettiva sono stati oggetto di particolare attenzione in Italia. A far discutere è stata la capacità della contrattazione collettiva nazionale di categoria di far fronte alla questione salariale, tornata nuovamente al centro del dibattito pubblico per via delle forti dinamiche inflazionistiche e della crescita della quota di lavoratori poveri. Criticità che portano a domandarsi se i contratti collettivi siano ancora oggi adeguati a fissare i minimi retributivi o se non sia il caso di ricorrere a un intervento per stabilire in modo inderogabile una tariffa minima. Anche gli orientamenti giurisprudenziali hanno contribuito a lanciare segnali di allarme sulla tenuta del sistema contrattuale. La Cassazione ha infatti ritenuto contrario al principio costituzionale di retribuzione sufficiente i trattamenti salari minimi previsti dalle federazioni di categoria di Cgil, Cisl e Uil nel settore della vigilanza privata e dei servizi fiduciari. Di un certo interesse è pertanto verificare come si sono comportate le parti sociali nei rinnovi dei contratti collettivi nazionali che rientrano nei sistemi di relazioni industriali più rappresentativi. Parliamo, per il 2023, di quarantaquattro testi contrattuali oggetto di analisi del X Rapporto ADAPT sulla contrattazione collettiva in Italia. Pur in un periodo di transizione, in attesa dei rinnovi del terziario, che sono poi sopraggiunti nel 2024, prima con il rinnovo di Confcommercio poi con quello della scorsa settimana dei pubblici esercizi (Fipe), aumenti significativi sono stati pattuiti nei settori chimica pmi (191 euro), autostrade e trafori (210 euro), grafici editori (252 euro) e occhialeria (268).

 

Decisamente più elevati sono stati gli incrementi retributivi del CCNL del credito (435 euro) dove, approfittando del buono stato di salute del settore, le parti firmatarie hanno convenuto un aumento del 15%, un dato più alto di quello degli altri rinnovi dove si registrano differenziali tra il 5 e il 12% circa. Non mancano ovviamente settori nei quali gli aumenti sono più ridotti – per esempio nella vigilanza privata (140 euro) o lavanderie industriali (155 euro) – e spalmati in plurime tranche dilatate nel tempo. Ma in termini generali non si può certo affermare, come ha fatto taluno, di essere di fronte a una perdita di rilevanza della contrattazione collettiva, per quanto ovviamente sia complesso trarre considerazione valevoli per tutti i settori. Ciascun contratto determina in autonomia le diverse voci che compongono i salari di base dei lavoratori che certo non possono essere identificati con i soli minimi tabellari. Sulla trasparenza dei trattamenti retributivi contrattuali pesa indubbiamente il non essere pensati per la comunicazione, con cifre tonde orarie omnicomprensive, come lo sono, per esempio, le tariffe fissate per legge da altri Paesi. Il nostro sistema contrattuale ha introdotto, in materia di retribuzioni, diverse componenti come la tredicesima, l’elemento di garanzia, il tfr, i crediti welfare e altre voci fisse considerate “paga base” anche se ulteriori e diverse dalle tariffe previste dal minimo tabellare.

 

Il rapporto ADAPT sul 2023 ha provato a segnalare questa complessa struttura retributiva (per qualcuno una giungla) calcolando tutte le tariffe minime riconosciute ai lavoratori. In questa prospettiva di lettura, è facile verificare come il salario minimo contrattuale corrisponda a una cifra diversa e ben più alta rispetto a quella dei minimi tabellari solitamente riportati nel dibattito pubblico e come, ancora una volta, i contratti collettivi siano sistemi complessi che non si prestano a semplificazione. Era questa, del resto, la lezione purtroppo oggi dimenticata di Ezio Tarantelli che nel 1978, nel suo libro su “Il ruolo economico del sindacato”, scriveva che un sistema di relazioni industriali è «un sistema complesso di regole non un sistema di regolamentazione del salario. Il volerlo ridurre a un sistema di regolamentazione del salario denuncia una comprensione solo parcellare di un sistema socio-politico ben più complesso». Equiparare tariffa minima contrattuale e tariffa minima legale è un errore di prospettiva: il contratto collettivo non si limita mai a stabilire il solo valore di scambio del lavoro ma concorre a definire l’insieme delle leggi di mercato che concorrono a scandire le dinamiche della produttività, le leve della organizzazione del lavoro, la valorizzazione della professionalità e ovviamente le istanze redistributive. Da qui l’invito a non demolire il sistema di contrattazione collettiva ma se mai a innovarlo mediante un piano nazionale di sostegno e relative leggi promozionali che è poi una delle ipotesi prospettate dalla stessa direttiva europea sui salari minimi adeguati che vede nella contrattazione la strada preferibile in una economia sociale di mercato per sostenere il sistema produttivo e tutelare i lavoratori.

 

Tariffa oraria complessiva e scostamenti da 60% salario mediano da 50% salario medio

(rapporto ADAPT 2023)

CCNL Tariffa oraria complessiva Scostamento da 60% salario mediano (€ 6,85) Scostamento da 50% salario medio (€ 7,10)
CCNL Industria metalmeccanica € 11,20 € +4,44 € +4,19
CCNL Piccola e media industria metalmeccanica e installazione di impianti (codice C018) € 10,47 € +3,62 € +3,37
CCNL Imprese artigiane dei settori metalmeccanica, installazione impianti, orafi, argentieri ed affini e delle imprese del settore odontotecnici (codice C030) € 9,54 € +2,69 € +2,44
CCNL Distribuzione moderna organizzata (DMO) (codice H008) € 10,02 € +3,17 € +2,92
CCNL Terziario, distribuzione e servizi (Confcommercio) (codice H011) € 10,02 € +3,17 € +2,92
CCNL Imprese della distribuzione cooperativa (codice H016) € 9,71 € +2,86 € +2,61
CCNL Turismo (codice H052) € 9,63 € +2,78 € +2,53
CCNL Pubblici esercizi, ristorazione collettiva e commerciale e turismo (Fipe) (codice H05Y) € 9,81 € +2,96 € +2,71
CCNL Impianti e delle attività sportive profit e no profit (codice H077) € 7,77 € +0,92 € +0,67
CCNL Imprese di acconciatura, estetica, tricologia non curativa, tatuaggio, piercing e centri benessere (codice H515) € 9,20 € +2,35 € +2,10
CCNL Istituti e imprese di vigilanza privata e servizi fiduciari (codice HV17) – Addetto ai servizi fiduciari € 7,03 € +0,18 € -0,07
CCNL Istituti e imprese di vigilanza privata e servizi fiduciari (codice HV17) – Personale tecnico, operativo e amministrativo € 8,39 € +1,54 € +1,29
CCNL Agenzie di sicurezza sussidiaria e degli istituti investigativi e di sicurezza (codice HV40) € 7,56 € +0,71 € 0,+46
CCNL Logistica, trasporto, spedizioni (codice I100) € 10,48 € +3,63 € +3,38
CCNL Imprese esercenti servizi di pulizia e servizi integrati/multiservizi (codice K511) € 9,14 € +2,29 € +2,04
CCNL Imprese artigiane servizi di pulizia, disinfezione, disinfestazione, derattizzazione e sanificazione (codice K521) € 8,98 € +2,13 € +1,88
CCNL Operai agricoli e florovivaisti (codice A011) € 7,17 € +0,32 € +0,07
CCNL Lavoro domestico (codice H501) € 5,68 € -1,17 € -1,42

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

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*pubblicato anche su Il Sole 24 Ore col titolo Un errore di prospettiva equiparare i minimi tabellari e contrattuali, 12 giugno 2024

 

III Rapporto UIL sulla contrattazione aziendale: un utile contributo alla conoscenza del fenomeno

III Rapporto UIL sulla contrattazione aziendale: un utile contributo alla conoscenza del fenomeno

Bollettino ADAPT 27 maggio 2024, n. 21

 

Il III Rapporto Digit@UIL sulla contrattazione decentrata, riferito al periodo 2022-2023, è stato pubblicato da pochi giorni. Esso si aggiunge ai periodici rapporti prodotti dalle altre centrali sindacali, FDV-CGIL e OCSEL-CISL, costituendo un ulteriore importante tassello per la ricostruzione dello stato della contrattazione aziendale in Italia. Resta vero, tuttavia, che le diverse metodologie di raccolta e archiviazione dei contratti, peraltro lontane dal rappresentare un campione scientificamente rappresentativo del fenomeno, rendono allo stato difficile la comparazione tra le informazioni raccolte dalle tre confederazioni sindacali e quindi le possibilità di generalizzare ragionamenti e valutazioni (per un confronto tra le evidenze complessive emerse dai rapporti di CGIL, CISL e UIL, si veda la Tabella seguente; per una sintesi ragionata su origine, impianto e contenuti dei vari rapporti di CGIL e CISL, si rinvia al IX rapporto ADAPT sulla contrattazione collettiva in Italia (2022), ADAPT University Press, 2023, pp. 139-152, e all’Atlante della contrattazione collettiva, ADAPT University Press, 2023, pp. 39-58).

 

Rapporti FDV-CGIL OCSEL-CISL Digit@UIL
Periodo di riferimento 2015-2017 (I), 2017-2019 (II), 2019-2021 (III) 2009-2011 (I), 2013-2014 (II), 2015-2016 (III), 2016-2017 (IV), 2017-2018 (V), 2019-2020 (VI) 2012-2023 (III)
Numero di contratti esaminati 5.755 (di cui circa il 13% sono territoriali o protocolli di secondo livello) complessivamente nei tre rapporti

 

N.B.: l’archivio CGIL contiene in realtà 4.961 contratti sottoscritti tra il 2015 e il 2021, ma alcuni di questi sono stati analizzati più volte per la sovrapposizione di alcune annualità oggetto dei singoli rapporti

12.687 (di cui circa 530 sono territoriali o di distretto/filiera) complessivamente nei sei rapporti

 

N.B.: l’archivio OCSEL contiene 14.911 contratti di secondo livello sottoscritti tra il 2009 e il 2021, ma alcune annualità (2012, 2021) non sono trattate nei rapporti

791 (solo aziendali)
Settori maggiormente coperti per numero di contratti (primi 3) Meccanico (13,4%), Credito e assicurazioni (11,4%), Commercio e turismo (11,1%) *

 

 

Commercio (23,35%), Trasporti (39,3%), Meccanico (17,7%) *

 

N.B.: le percentuali sono calcolate a partire dal IV rapporto, poiché da quel momento la copertura settoriale non è più calcolata sulla base della concentrazione di accordi ma sul numero di lavoratori coperti

Metalmeccanico (22,9%), Alimentare (12,3%), Chimico-farmaceutico (10,6%)
Temi maggiormente trattati (primi 5) Relazioni e diritti sindacali (50,6%); Trattamento economico (48,7%), Orario di lavoro (31,7%), Organizzazione del lavoro (27,6%), Inquadramento e formazione (26,5%) *

 

Ristrutturazione/crisi (42%), Salario (36,5%), Welfare (20,2%), Orario (18,5%), Diritti sindacali (16,3%) * Welfare e conciliazione vita-lavoro (27,1%), Organizzazione del lavoro e orario (19,9%), Relazioni industriali e partecipazione (15,4%), Salari di produttività e retribuzioni variabili (10,5%), Istituti economici (9,2%)

 

N.B.: le percentuali sono calcolate non sul totale degli accordi (791) ma sul totale delle clausole (4.087)

Localizzazione geografica Multi-territoriale/nazionale (51%), Nord (28,3%), Centro (12,1%), Sud e isole (8,4%) * Nord (42%), Gruppo (28,4%), Centro (23,6%), Sud e isole (5,3%) * /

* le percentuali fornite sono calcolate come media rispetto a quelle indicate nei diversi rapporti considerati

Fonte: elaborazione ADAPT dei Rapporti FDV-CGIL (dal I al III), Rapporti OCSEL-CISL (dal I al VI) e del III Rapporto Digit@UIL.

 

Nel III Rapporto Digit@UIL, l’indagine quantitativa è accompagnata da una lettura più qualitativa di alcune clausole contrattuali, nel tentativo di fornire un’immagine più ricca e completa dello stato della contrattazione aziendale nel nostro Paese. Restano margini di miglioramento nell’integrazione tra i due metodi di ricerca, con cui in futuro si potrebbero meglio approfondire gli spazi di interazione tra i diversi livelli di contrattazione nell’ambito di uno specifico settore, nonché misurare numericamente la portata delle tendenze tematiche registrate. I tentativi di analisi di alcune clausole contrattuali sono comunque apprezzabili poiché provano a superare un approccio meramente descrittivo alla contrattazione aziendale. Anche se, nell’ambito di un rapporto dall’oggetto così ampio, ogni valutazione sulla singola tematica sconta inevitabilmente il limite dell’impossibilità di un adeguato approfondimento. La presenza di box che sintetizzano alcune pratiche esemplificative così come la traduzione delle evidenze analitiche in direttrici operative, fanno sì che questo Rapporto sia utile anche agli operatori delle relazioni industriali.

 

L’archivio Digit@UIL sulla contrattazione aziendale. Le analisi contenute nel rapporto poggiano su un software informatico di archiviazione dei contratti collettivi aziendali, nato sette anni fa che si sviluppa su tre livelli:

– al primo livello, sono archiviati oltre 1100 contratti collettivi aziendali sottoscritti tra il 2012 e il 2023 e qui è possibile estrapolare i contratti sulla base dell’anno o della denominazione dell’impresa firmataria;

– al secondo livello, troviamo invece un totale di 37 CCNL firmati dalla UIL, che costituiscono la cornice entro cui si colloca il maggior numero di contratti aziendali archiviati;

– al terzo livello, abbiamo infine l’archivio Digit@UIL dove sono contenuti circa 800 contratti collettivi, che è possibile selezionare secondo:

– il CCNL di riferimento,

– le aree tematiche trattate (sono nove quelle disponibili: Ambiente e responsabilità sociale – salute – sicurezza, Appalti, Formazione e professionalità, Istituti economici, Mercato del lavoro e livelli occupazionali, Organizzazione del lavoro e orari, Relazioni industriali e partecipazione, Salari di produttività e retribuzioni variabili, Welfare e conciliazione vita-lavoro),

– gli specifici tipi di clausole contrattuali contenute (tra gli oltre 100 contemplati, come smart working, diritti di informazione, previdenza complementare, ecc.),

– la categoria sindacale firmataria,

– e la denominazione dell’impresa.

 

Al termine della ricerca, il software restituisce il testo del contratto collettivo e una scheda di sintesi che viene aggiornata sulla base dei rinnovi eventualmente avvenuti.

 

Uno dei punti di forza del sistema è sicuramente la previsione di un’area dove il singolo operatore sindacale UIL può caricare un contratto collettivo, che automaticamente verrà ricevuto dal team di ricerca che si occuperà di classificarlo. Questo permette di ridurre il numero di passaggi che portano alla catalogazione dei contratti collettivi, superando ad esempio lo scambio via email del testo contrattuale tra operatore sindacale, segretario di riferimento e team di ricerca sulla contrattazione, velocizzando e rendendo quindi più immediata la trasmissione di un contratto in archivio. Resta apparentemente preclusa la possibilità di digitalizzare e quindi estrapolare direttamente dall’archivio l’estratto contrattuale di interesse: possibilità che, invece, è ammessa dalla banca dati della Fondazione Hans Boeckler della confederazione sindacale tedesca DGB e che snellirebbe non poco i lavori di ricerca e analisi delle clausole contrattuali.

 

I contenuti dell’analisi. La prima parte del rapporto riguarda l’analisi quantitativa e qualitativa dei contratti collettivi aziendali presenti nell’archivio Digit@UIL. Con riferimento alle informazioni quantitative, ci si concentra sui 791 accordi archiviati sottoscritti dal 2012 al 2023 e si da conto delle categorie sindacali, dei settori e dei CCNL più rappresentati. In particolare, l’industria metalmeccanica e alimentare, e i settori chimico-farmaceutico e commercio, terziario e servizi sono quelli maggiormente presenti. Tra i temi più affrontati dalle oltre 4000 clausole contrattuali rinvenute, ci sono il welfare, l’organizzazione del lavoro, le relazioni industriali, il salario di produttività e gli istituti economici, nonché la formazione. Mancano invece annotazioni relative al livello di sottoscrizione dei contratti in archivio (gruppo, azienda, stabilimento, ecc.) e all’area geografica di applicazione (Nord, Centro, Sud e isole, multi-territoriale o nazionale). L’analisi quantitativa si concentra successivamente su alcuni settori tra quelli maggiormente coperti dalla contrattazione aziendale, guardando alle materie più negoziate sia a livello nazionale che decentrato. Di interesse è il dato della frequenza, al secondo livello negoziale del settore metalmeccanico, di materie come il welfare, l’organizzazione del lavoro e la formazione, che secondo gli autori testimonierebbe la capacità della contrattazione aziendale di fornire risposte ad alcune delle richieste (relative, ad esempio, alla riduzione dell’orario di lavoro, all’aggiornamento professionale, alla conciliazione vita-lavoro) presentate dai sindacati di settore per il rinnovo del principale CCNL. Tuttavia, la mancanza di una prospettiva di indagine più qualitativa in questa sezione del Rapporto non permette di cogliere il reale contributo della contrattazione aziendale allo sviluppo delle tematiche di interesse.

 

L’analisi qualitativa è contenuta nelle pagine che seguono, e si concentra sui contratti aziendali archiviati e sottoscritti nel solo biennio 2022-23, di cui però non è riportato il numero esatto. In particolare, si sottolineano cinque linee di sviluppo della contrattazione aziendale, che emergerebbero dalla lettura degli accordi. La prima riguarda il consolidamento delle funzioni delle istituzioni paritetiche, come metodo sempre più formalizzato e diffuso per l’inclusione della voice dei lavoratori nelle scelte organizzative e strategiche aziendali. La seconda attiene all’adattamento ai contesti lavorativi di crescente digitalizzazione, dei diritti sindacali sanciti dallo Statuto dei lavoratori, attraverso, ad esempio, l’impiego di piattaforme telematiche per lo svolgimento delle assemblee sindacali o le elezioni della RSU. La terza fa riferimento alla promozione della parità di genere e della conciliazione vita-lavoro. La quarta concerne la formazione dei lavoratori, che diventerebbe sempre più una componente interna alla relazione individuale di lavoro al pari della retribuzione, della sicurezza e dell’orario di lavoro. La quinta direttrice riguarda, infine, la regolazione delle forme di esternalizzazione del lavoro. Ogni linea di sviluppo è trattata attraverso la lettura dei contenuti degli accordi aziendali, che sono spesso osservati in relazione alle trasformazioni sociali e tecnologiche descritte in alcuni testi scientifici e all’evoluzione legislativa e giurisprudenziale. Terminano ogni paragrafo concernente ogni singola direttrice di sviluppo, diversi box riassuntivi di alcune buone pratiche contrattuali, suddivise per annualità (2022 e 2023).

 

Una seconda parte del Rapporto UIL approfondisce il tema dei premi di risultato contrattati negli ultimi anni. Dapprima si effettua una rielaborazione dei dati che emergono dai report periodici del Ministero del lavoro e si osserva, in particolare, che: dal 2020 al 2023 la platea di lavoratori beneficiari di un premio di risultato negoziato al secondo livello è cresciuta del 15% arrivando a circa 2,8 milioni di persone; nell’ultimo triennio, è cresciuto anche l’importo annuo medio dei premi di produttività contrattati, che nel 2023 ha raggiunto il valore di 1692 euro; progressivamente i contratti aziendali afferenti al settore dei servizi hanno superato quelli relativi all’industria. Quest’ultimo dato è spiegato in virtù del maggior numero di imprese operanti nel terziario, mentre non sarebbe prudente (non avendo a disposizione il dato relativo al numero di imprese dei servizi che applicano un contratto aziendale, rispetto al totale) parlare di una maggiore copertura della contrattazione di secondo livello nelle realtà del terziario rispetto a quelle dell’industria. Seguono poi due approfondimenti distinti, che però nella sostanza risultano particolarmente collegati, afferenti ai premi di risultato presenti nell’archivio Digit@UIL e contrattati tra il 2022 e il 2023, con l’obiettivo di evidenziare quelli che, rafforzando il legame tra contributo dei lavoratori, risultati ottenuti e compensi elargiti, costituirebbero una leva per la professionalità e la partecipazione organizzativa dei lavoratori. Nella parte terza del Rapporto UIL prosegue l’attenzione agli aspetti economici regolati dalla contrattazione aziendale, e in particolare è ospitata una riflessione sulla attuale disciplina fiscale di sostegno alla retribuzione variabile, al welfare e al coinvolgimento paritetico dei lavoratori.

 

La quarta e ultima parte del documento contiene alcune linee operative elaborate dal Servizio contrattazione UIL alla luce delle evidenze e riflessioni contenute nel Rapporto. Nello specifico, si sostiene la necessità di: 1) aggiornare il quadro della fiscalità agevolata in relazione alla premialità retributiva e al welfare, in particolare nella direzione di una detassazione totale del premio e dell’abbandono del principio di incrementalità dei risultati; 2) rafforzare la partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali aziendali anche con riferimento a materie di rilevanza strategica; 3) promuovere un intervento legislativo di sostegno a quanto stabilito dagli accordi interconfederali in materia di rappresentatività, al fine di contrastare il dumping contrattuale; 4) consentire la possibilità di costituzione di una rappresentanza sindacale dei lavoratori anche nelle aziende che impiegano almeno 5 dipendenti, nonché nell’ambito delle filiere o distretti produttivi che coinvolgono piccole e medie imprese; 5) modificare l’articolo 35 dello Statuto dei lavoratori, introducendo il concetto di unità produttive digitali; 6) favorire la fruizione dei diritti sindacali di nuova generazione, alla luce dello sviluppo delle nuove tecnologie; 7) aprire una discussione sull’articolo 39 della Costituzione, nella direzione di consentire a una legge ordinaria di declinare, sulla base di quanto stabilito dagli accordi interconfederali, i criteri per l’accertamento della rappresentatività delle organizzazioni sindacali e datoriali, assegnando, sempre alla contrattazione collettiva, le modalità di determinazione dei perimetri nei quali misurare tale rappresentatività.

 

Ilaria Armaroli

Ricercatrice ADAPT Senior fellow

@ilaria_armaroli

La retribuzione nella contrattazione collettiva spagnola: evidenze da un recente studio su 275 testi contrattuali

La retribuzione nella contrattazione collettiva spagnola: evidenze da un recente studio su 275 testi contrattuali

Bollettino ADAPT 20 maggio 2024, n. 20

 

Di sicuro interesse per gli studiosi delle dinamiche della contrattazione collettiva a livello anche comparato, è il recentissimo studio dal titolo La regulación de las retribuciones en la negociación colectiva elaborato in Spagna dall’Observatorio de Negociación Colectiva – gruppo di ricerca facente capo al sindacato Comisiones Obreras (CCOO) e coordinato dalla Secretaría de Acción Sindical y Empleo in collaborazione con la Fundación 1.º de Mayo – con il proposito di fornire un quadro chiaro e completo di tutte le voci presenti nei contratti collettivi che direttamente o indirettamente incidono sull’aspetto della retribuzione dei lavoratori.

 

Un progetto al quale hanno lavorato come ricercatori ben 42 docenti di diritto del lavoro provenienti da 16 diverse università spagnole, e nell’ambito del quale sono stati oggetto di analisi 275 contratti collettivi firmati nella stragrande maggioranza dei casi nel 2022 con una piccola percentuale nel gennaio 2023, e i cui contenuti interessano un totale di 2,1 milioni di lavoratori.

 

Considerando il livello di contrattazione, il campione risulta composto da 110 contratti collettivi di settore (che interessano 1,9 milioni di lavoratori, il 95% del totale) e 165 contratti collettivi di livello inferiore (109 mila lavoratori interessati, pari al restante 5%) di cui: 9 contratti di gruppo di impresa, 100 contratti aziendali, 52 relativi a unità produttive e 4 il cui ambito di applicazione è limitato ad una categoria o gruppo professionale specifico.

 

La scelta dell’ambito temporale di analisi riflette l’intento di indagare gli effetti conseguenti alla riforma del lavoro del 2021, che tanto ha inciso sulla contrattazione collettiva spagnola in punto di retribuzione con l’eliminazione, per questa materia, della priorità applicativa dei contratti aziendali o di gruppo di impresa in favore dei contratti collettivi di settore. I dati dimostrano, difatti, che la priorità applicativa assegnata ai contratti aziendali dalla riforma del 2012 aveva generato una nuova ondata di contratti di questo livello in cui il salario medio pattuito risultava di gran lunga inferiore rispetto a quello degli anni precedenti.

 

Lo studio offre dunque una panoramica della contrattazione collettiva spagnola in materia di retribuzione suddividendo l’analisi nei seguenti macrotemi.

 

 

La struttura della contrattazione collettiva e la disapplicazione del contratto in materia salariale

 

Come già anticipato, dai contratti collettivi analizzati è emersa la tendenza a rafforzare il ruolo dei contratti collettivi nazionali di settore come strumento atto a rendere quanto più possibile omogenee le condizioni di lavoro dei lavoratori, fermo restando l’applicabilità delle migliori condizioni che contratti di livello inferiore eventualmente prevedano, favorendo quella concorrenza non conflittuale che mira a dar risposte a situazioni concrete che possano presentarsi.

 

La maggioranza dei contratti collettivi oggetto di analisi, inoltre, prevede un riferimento alla disapplicazione del contratto collettivo (descuelgue), ammessa ex articolo 82.3 Estatuto de los Trabajadores (ET) rispetto a determinate materie, tra cui quella salariale, quando concorrano cause economiche, tecniche, organizzative o di produzione che giustifichino condizioni di lavoro diverse rispetto a quelle stabilite nel contratto collettivo applicabile. In alcuni casi il riferimento è un semplice rimando alla normativa, in altri si apprezza l’intento delle parti di dotare i lavoratori interessati di maggiori garanzie, anche con riferimento specifico all’aspetto salariale. O ancora, emerge in altri contratti lo sforzo di definire con maggior concretezza il contenuto della causa economica o un piano di azione che attutisca l’impatto della situazione congiunturale sul mantenimento dell’occupazione. In alcuni contratti, infine, si è optato per l’apposizione di un limite di durata massima della disapplicazione, se non anche il divieto di ricorrervi in maniera reiterata.

 

 

La determinazione e la struttura della retribuzione

 

Il punto di partenza per la determinazione della retribuzione è il salario base, vale a dire, il corrispettivo direttamente connesso alla prestazione lavorativa, fissato per unità di tempo o di lavoro dalla contrattazione collettiva. Si tratta di una voce che nessun contratto collettivo potrebbe mai escludere e per la quale vige il principio della irrilevanza del nomen iuris, nel senso che, nonostante l’ampio margine di cui godono gli attori della contrattazione nella quantificazione delle differenti componenti salariali, la natura degli emolumenti non dipenderà dalla denominazione assegnata dalle parti, bensì dalla loro reale essenza e finalità.

 

Sebbene tale voce, abbia un peso rilevante nel calcolo della retribuzione, altrettanto protagonismo rivestono, tuttavia, altre prestazioni di natura salariale, tese a garantire flessibilità e adattabilità alle esigenze delle imprese. Di queste si tiene conto nella comparazione tra il salario base e il salario minimo interprofessionale, il quale nel corso degli ultimi anni ha registrato in Spagna una crescita costante ed esponenziale, sino a raggiungere, per l’anno 2024, l’importo di 1.134 euro mensili, soglia che nessun contratto collettivo può oltrepassare al ribasso (in tema rinvio a L. Serrani, Incremento del Salario Minimo Interprofessionale e impatto sul lavoro: il caso spagnolo, in Bollettino ADAPT, 13 giugno 2022, n. 23).

 

È questa la ragione per cui i contratti collettivi in cui il salario base risulta sensibilmente inferiore al salario minimo interprofessionale – principalmente le attività di pulizia, manodopera o ausiliarie – sono poi accompagnati da premi quali anzianità, presenza, ferie o altro tipo di bonus necessari a raggiungere la retribuzione totale.

 

Un ulteriore effetto del progressivo incremento del salario minimo interprofessionale, di cui si ha avuto conferma dalla lettura dei numerosi contratti collettivi oggetto di analisi, è risultato essere quello dell’inclusione, ormai generalizzata, delle clausole di assorbimento e compensazione, che consentono di misurare il reale impatto delle revisioni periodiche annuali della retribuzione stabilita dal contratto collettivo per i casi in cui il lavoratore percepisse in precedenza un salario più alto. A ciò si aggiunga che i contratti collettivi possono autorizzare la compensazione anche tra voci della retribuzione eterogenee e non salariali, ragion per cui sono sempre più frequenti clausole dei contratti collettivi che, infrangendo il requisito dell’omogeneità, ammettono compensazioni e assorbimenti con maggiore ampiezza e indeterminatezza, indipendentemente dalla natura e dall’origine delle condizioni salariali. Non mancano, tuttavia, alcune eccezioni di contratti in cui continua a prevedersi una garanzia di revisione automatica verso l’alto.

 

 

Le clausole di revisione salariale nella contrattazione collettiva

 

Dall’analisi dei contratti collettivi è emerso come non tutti i contratti prevedano un incremento retributivo iniziale per gli anni successivi al primo, e ancor meno frequenti risultano le clausole di salvaguardia. La formulazione di tali previsioni, inoltre, risulta talmente eterogenea da dare adito, molto spesso, a problemi interpretativi in sede di giudizio, all’atto di determinare se il lavoratore abbia o meno diritto all’incremento o se al contrario sia tenuto a restituire parte di quanto indebitamente ricevuto.

 

I pochi contratti collettivi che prevedono clausole di salvaguardia, per di più, lo fanno spesso senza garantire ai lavoratori una reale conservazione del potere d’acquisto, come accade quando la clausola venga subordinata non solamente ai dati inflazionistici, bensì anche al raggiungimento di determinati risultati aziendali. Inoltre, tali clausole, oltre a poter avere effetto retroattivo, nel senso che si riferiscono all’incremento retributivo dell’anno già trascorso, possono essere inserite anche con effetto non retroattivo, destinate cioè soltanto a fissare l’incremento e il livello salariale per l’esercizio successivo, scelta che non risulta però la più adeguata in un contesto, come quello attuale, di forte inflazione.

 

Come avviene tradizionalmente in Spagna, inoltre, i contratti collettivi non riservano gli incrementi salariali a determinate categorie di lavoratori (ad esempio i dirigenti), ma li estendono a tutte le categorie professionali.

 

Gli esperti che hanno realizzato lo studio in oggetto suggeriscono, per il futuro, che le clausole di revisione salariale, tanto quella relativa all’incremento iniziale quanto quella di salvaguardia utilizzino criteri chiari, evitando redazioni ambigue ed imprecise che richiamino il ricorso simultaneo a variabili diverse, come ad esempio la previsione dell’inflazione e l’indice dei prezzi al consumo, o criteri di moderazione salariale e incremento retributivo concordato nel contratto collettivo. La scelta migliore sarebbe quella di individuare due variabili il più possibile precise, come ad esempio la differenza tra gli incrementi retributivi pattuiti e l’indice dei prezzi al consumo.

 

Non a caso, la maggior parte dei Paesi segue un modello di revisione automatica, indicizzando i salari in base all’inflazione piuttosto che ad altri indicatori come la produttività, i profitti o il PIL. Difatti, i dati dimostrano che in Spagna – ma la fotografia è simile più o meno in tutto il mondo occidentale – la crescita delle retribuzioni non è andata di pari passo con quella della produttività, se si considera che dall’anno 2000 mentre la produttività è aumentata del 14,9%, i salari si sono ridotti dell’1,1%. Ragion per cui la scelta più adeguata, secondo il parere degli esperti, continua ad essere quella di mantenere i modelli di revisione salariale ancorati al dato inflazionistico, e in prospettiva far sì che tali incrementi superino quel dato, consentendo così di recuperare, almeno in parte, quel potere d’acquisto che negli anni è andato progressivamente perduto.

 

 

Retribuzione accessoria in funzione del lavoro svolto e degli utili dell’impresa

 

Nella delineazione della struttura salariale spagnola, la contrattazione collettiva gioca un ruolo fondamentale, giacché è all’autonomia collettiva – o, in difetto, individuale – che la legge demanda il concreto sviluppo e la definizione specifica di quei contenuti minimi che si limita a fissare.

 

Dall’analisi dei contratti collettivi è, tuttavia, emersa una marcata disomogeneità nella modalità in cui viene affrontato il tema della regolazione delle condizioni economiche, giacché, anche quando ad essa venga dedicato un capitolo separato e specifico, manca, nella maggior parte dei casi, una differenziazione chiara e obiettiva tra retribuzione accessoria e altre prestazioni di natura non retributiva (extra-salariales), al punto che una stessa voce si vede rientrare talvolta nell’una e talvolta nell’altra categoria.

 

Inoltre, l’espansione del telelavoro o del lavoro a distanza ha portato con sé l’emersione di nuovi bonus e prestazioni, la cui natura e finalità richiede la massima trasparenza al fine di garantire la parità di diritti tra lavoratori in presenza e da remoto. Allo stesso modo, ove si escluda per i lavoratori a distanza il diritto a percepire determinati bonus o prestazioni, è necessario che le ragioni che giustificano tale scelta siano indicate e specificate in modo chiaro e preciso.

 

È questo solo un esempio dei cambiamenti in questa materia che derivano dalla trasformazione del mercato del lavoro. Così, prestazioni che fino a poco tempo fa erano centrali nell’ambito dei rapporti di lavoro, come ad esempio quelle per il lavoro straordinario, assumono adesso carattere eccezionale, tanto che ad esse si suole ricorrere, ormai, soltanto nei casi di forza maggiore o a fronte dell’impossibilità di assumere altro personale a copertura di quelle ore.

 

Distinta tra i vari contratti collettivi è anche la modalità di pagamento delle ore straordinarie, che avviene in alcuni casi mediante un contributo economico, mentre in altri mediante compensazione del tempo lavorato con altrettante ore di riposo aggiuntivo, compresa la previsione, talvolta, di una “banca delle ore” che consente ai lavoratori di accantonare momentaneamente le ore di lavoro straordinario in un “conto” individuale per poterne poi usufruire al bisogno. O ancora, in alcuni casi l’ammontare della retribuzione degli straordinari varia in funzione del gruppo professionale cui il lavoratore è assegnato.

 

La riduzione nell’uso degli straordinari, d’altra parte, risulta controbilanciata dall’aumento del ricorso a meccanismi atti a rendere più flessibile la prestazione, il che, dal punto di vista delle componenti della retribuzione accessoria, ha portato all’introduzione di prestazioni specifiche, come ad esempio per i cambi di turno, per orari di lavoro più lunghi, per disponibilità, ecc.

 

È stato riscontrato, altresì, un uso eccessivamente ampio del termine complemento, vale a dire, “accessorio” che in molti contratti è stato utilizzato anche per riferirsi ad alcune forme di assistenza sociale, come ad esempio le prestazioni aggiuntive erogate dal datore di lavoro rispetto alla sicurezza sociale per i casi incapacità temporanea.

 

Ben pochi sono, poi, i contratti che prevedono sistemi efficaci di partecipazione dei lavoratori ai risultati economico-finanziari delle imprese (nello specifico, il 3,63% del totale dei contratti), e di questi la maggioranza sono contratti aziendali, oltre a pochi altri casi di contratti collettivi di settore a livello provinciale. La modalità in cui viene calcolata tale remunerazione legata agli utili è l’EBITDA, o un importo fisso ove vengano raggiunti determinati profitti aziendali. Solo in un caso si tiene conto del credito d’imposta per le società per il calcolo degli utili. L’analisi ha inoltre rilevato che dei lavoratori compresi nei contratti collettivi che contemplano retribuzioni vincolate ai risultati aziendali, solo il 24,7% sono donne.

 

 

Retribuzione accessoria in funzione delle circostanze personali del lavoratore

 

Ancora una volta, la tendenza che emerge dalla lettura dei contratti collettivi analizzati è quella di una progressiva scomparsa della retribuzione accessoria in funzione delle circostanze personali dei lavoratori. Assai rari risultano i contratti che ancora contemplino tipologie di bonus legati, ad esempio, alle competenze linguistiche, ad uno speciale know-how, all’acquisizione di determinati titoli, ecc.

 

Se infatti, ad esempio, la conoscenza della lingua inglese, in passato, ha rappresentato molto spesso un requisito per l’inquadramento in determinati gruppi professionali, al giorno d’oggi è considerata, invece, per lo più, una competenza trasversale e generalizzata, esigibile per qualunque attività o posto di lavoro. Non a caso, i pochi contratti collettivi che continuano a prevedere una prestazione accessoria in funzione delle competenze linguistiche, lo fanno con riferimento a lingue diverse dall’inglese.

 

E la stessa sorte sembrerebbe spettare alla retribuzione accessoria a carattere “personale” per eccellenza, quella del premio di anzianità, giacché i contratti analizzati mostrano come anch’esso, in occasione dei rinnovi, sia stato talvolta tacitamente soppresso, altre volte sostituito con diverse prestazioni integrative che compiono la medesima funzione di riconoscere al lavoratore un contributo – che può essere di natura economica o meno – per la sua maggiore esperienza professionale e per il lungo arco di tempo dedicato al servizio dell’impresa.

 

Ad ogni modo, ove previsto, il premio di anzianità viene calcolato nella maggior parte dei casi mediante l’applicazione di una determinata percentuale rispetto al salario base dei lavoratori, scelta che pare la più adeguata in quanto viene così risolto il problema, poco affrontato dalla contrattazione collettiva nonostante la sua importanza, dell’indicizzazione degli importi riferirti a detti premi, visto che questo procedimento avverrà direttamente come conseguenza del periodico aggiornamento del salario base.

 

La tendenza alla scomparsa anche del premio di anzianità lascia salvo, tuttavia, come emerge da molti dei contratti collettivi analizzati, il diritto a tale prestazione accessoria nel caso in cui questa fosse già acquisita, mantenendola, dunque, come garanzia ad personam per quei lavoratori a cui fosse stata ormai anteriormente riconosciuta. Concetto, questo dell’“anzianità consolidata”, che finisce però per creare non pochi problemi in termini di disparità di trattamento rispetto ai nuovi assunti che, da contratto collettivo, già sanno che non potranno godere di tale diritto.

 

Non v’è dubbio, a parere degli esperti che hanno condotto la ricerca, che la tendenza alla scomparsa dei premi di anzianità e, in generale, della retribuzione accessoria in funzione delle circostanze personali del lavoratore, sia l’effetto delle nuove politiche salariali, che pongono ormai più l’accento sulla produttività e sulle componenti variabili e funzionali che la quantificano. E se è vero che in questo modo le imprese sono alleviate da costi fissi e periodici, non dovrebbe però venir meno il ricorso ad altre modalità premiali che sappiano valorizzare ed incentivare il senso di appartenenza del lavoratore all’azienda e la sua maggiore esperienza professionale, con un ritorno positivo in termini di motivazione e impegno nello svolgimento del lavoro.

 

E, difatti, la progressiva perdita di protagonismo del premio di anzianità ha dato origine alla creazione, da parte della contrattazione collettiva, di svariate formule alternative di prestazione economica, generando in tal modo un sistema retributivo complesso, eterogeneo e finanche caotico, in cui convivono e talvolta si sovrappongono prestazioni, bonus, premi, indennità dalle più varie denominazioni, indole e natura, tra le cui maglie risulta difficile districarsi. Ciononostante, volendo tracciare la principale tendenza emersa dall’analisi dei contratti collettivi e pur nella difficoltà il più delle volte di comprendere se si fosse di fronte ad una prestazione accessoria o di carattere non retributivo, quel che è risultato è che la maggior parte dei casi come “sostituto” del premio di anzianità sia stata introdotta una prestazione economica una tantum, consistente in una somma da versarsi in un’unica soluzione al raggiungimento di determinati scatti di anzianità o in occasione della risoluzione del contratto di lavoro.

 

 

Prestazioni di natura non retributiva

 

Con riguardo alle prestazioni di natura non retributiva, la contrattazione collettiva non mostra particolari novità, riscontrandosi una preminenza dei classici rimborsi delle spese sostenute per lo svolgimento del lavoro e relazionate con la mobilità geografica (ad esempio rimborsi per trasferta o trasporto), mentre scarsi sono gli esempi connessi alla transizione digitale o ecologica (il riferimento, nei rari casi in cui presenti, è a clausole relative alla promozione del trasporto collettivo).

 

Un’attenzione particolare è poi riservata alle prestazioni di natura non retributiva ove riferite all’ambito del telelavoro o lavoro a distanza, tese, nello specifico, ad evitare che i lavoratori siano chiamati a sostenere i costi della prestazione lavorativa secondo tale modalità. Non raggiungono compiutamente tale obiettivo, di conseguenza, quei contratti collettivi che si limitino a prevedere la consegna al lavoratore dei dispositivi con cui svolgere il lavoro a distanza, senza tener conto della compensazione effettiva che si impone con riferimento ai costi, ad esempio, dell’elettricità, della connessione alla rete internet o della luce.

 

O ancora, gli esperti invitano gli attori della contrattazione collettiva a valutare, nei casi in cui possa essere di interesse in funzione del settore di attività o dell’occupazione di cui si tratti, l’introduzione di premi che incentivino il ritardo nell’accesso alla pensione o forme di transizione graduale (come, ad esempio, un pensionamento parziale) al posto dell’uscita anticipata e definitiva dal mercato del lavoro.

 

 

Il principio di parità retributiva nella contrattazione collettiva

 

Per quanto importanti passi avanti siano stati compiuti in direzione del raggiungimento della parità retributiva tra lavoratrici e lavoratori, troppi ancora sono i contratti collettivi che non hanno eliminato ogni forma di discriminazione nella fissazione dei salari. Quanto residua di tale disparità di trattamento nella contrattazione collettiva spagnola, si rende evidente, in particolare, con riferimento alla configurazione dei sistemi di classificazione professionale. Il concetto di parità non risulta, difatti, citato espressamente in numerosi contratti collettivi, e quando lo si fa, nella maggior parte dei casi si tratta di una mera enunciazione di principi.

 

La persistenza di sistemi di classificazione professionale basati su categorie professionali o posti di lavoro rende più facile che le attività che registrano una maggiore presenza di donne siano anche quelle meno remunerate. Nella stessa logica, i sistemi di classificazione professionale che stabiliscono vari livelli salariali all’interno dello stesso gruppo professionale, contribuiscono a perpetrare ingiustificate disparità retributive di genere.

 

La contrattazione collettiva rappresenterebbe il luogo privilegiato per favorire l’eliminazione dell’uso di stereotipi di genere nei processi di selezione del personale, eppure, la maggior parte contratti collettivi analizzati non prevede misure puntuali di azione positiva, salvo alcuni rari casi in cui ci si ripropone quantomeno di studiare misure atte ad agevolare l’accesso delle donne a tutte le professioni, o ad assumere persone del sesso meno rappresentato, o ancora a tener conto, al contrario, del sesso più rappresentato nei casi di licenziamenti collettivi.

 

Sul fronte delle assunzioni a tempo parziale, si segnalano positivamente alcuni contratti collettivi che alludono ad una politica di utilizzo razionale ed equilibrato di questa tipologia di contratti – largamente utilizzata dalla popolazione lavorativa femminile –, imponendo, ad esempio, l’applicazione del principio pro rata temporis, o una durata settimanale non inferiore al 50%. Alcuni contratti, inoltre, prevedono che siano computate le ore supplementari lavorate durante l’anno ai fini dell’incremento dell’orario ordinario del part-time, qualora il lavoratore ne abbia interesse.

 

Rarissimi sono poi i contratti collettivi che includono nel loro seno veri e propri piani di uguaglianza di genere, dotandone il contenuto di efficacia giuridica. La chiave di volta potrebbe risiedere, in futuro, nel recepimento da parte della contrattazione collettiva, della disciplina di cui alla recente normativa in materia di parità retributiva di genere (Real Decreto 902/2020, de 13 de octubre, de igualdad retributiva entre mujeres y hombres), che ha introdotto disposizioni in punto di registro salariale e di auditoría retributiva (controllo delle retribuzioni effettuato per verificare se un’azienda paga allo stesso modo gli uomini e le donne che svolgono lo stesso lavoro o la stessa funzione). Al momento, poco o nulla è stato recepito, ma è probabile, o auspicabile, che la ragione risieda nel fatto che la recente adozione normativa, abbia impedito una più ampia e migliore accoglienza da parte della contrattazione collettiva.

 

In buona sostanza, lo studio mostra e dimostra, ancora una volta, l’importanza della ricerca scientifica che parta dalla lettura e analisi dei contratti collettivi, che sono i testi di riferimento per comprendere la reale evoluzione delle dinamiche in ambito lavoristico. Non a caso, sono stati 42 docenti di diritto del lavoro a voler sottolineare, con questa poderosa ricerca, quanto non basti in questa materia lo studio “accademico”, ma sia necessario andare in profondità nella lettura riga per riga di quanto elaborato dagli attori che ogni giorno vivono la dimensione del lavoro, così come ogni giorno la vedono evolvere e mutare.

 

Lavinia Serrani

Ricercatrice ADAPT Senior fellow

@LaviniaSerrani

Dal CNEL una lettura condivisa delle dinamiche del mercato del lavoro e della contrattazione collettiva*

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Bollettino ADAPT 22 aprile 2024 n. 16

 

Nel dibattito sui controversi temi del lavoro non mancano, da tempo, segnali di un progressivo degrado delle strutture organizzative dei corpi intermedi di rappresentanza e di mediazione sociopolitica per usare le parole di un acuto interprete della società italiana quale è Giuseppe De Rita. A preoccupare sono oggi le profonde divergenze nelle strategie – e prima ancora nelle visioni – di Cgil, Cisl, Uil che ci prospettano una Festa dei Lavoratori a metà, e cioè un Primo Maggio da “separati in casa”.

 

In questo scenario non mancano tuttavia segnali incoraggianti e anche concrete dimostrazioni della capacità delle tre confederazioni sindacali di tenere vivi i canali del dialogo. Degna di nota, da questo punto di vista, è la pubblicazione del XXV Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva, approvato all’unanimità dalla Assemblea del CNEL del 18 aprile.

 

Non che difettino, al nostro Paese, studi e rapporti istituzionali sulle dinamiche del lavoro. Si può anzi sostenere che l’eccesso incontrollato di informazioni – nel consentire di sostenere tutto e il contrario di tutto – abbia tolto ogni minima certezza rispetto alla urgenza di conoscere con precisione i reali andamenti del mercato del lavoro, della produttività e delle retribuzioni. È qui che si alimentano quelle divisioni che danno spazio a chi più alza la voce allontanando la politica dal merito dei problemi e dalle persone.

 

Le opinioni sul CNEL, sul disegno costituzionale ad esso sotteso e sui suoi 65 anni di vita, sono variegate e cambiano a corrente alternata. E tuttavia non esiste altro presidio istituzionale sui temi economici e sociali partecipato dalle rappresentanze delle forze sociali del mondo dell’impresa, del lavoro autonomo e del lavoro dipendente e di alcune organizzazioni dell’associazionismo sociale e del volontariato. Il rapporto CNEL sul mercato del lavoro non è pertanto un freddo documento statistico e tanto meno un esercizio accademico. Si tratta piuttosto dello sforzo della “gente della mediazione” di convergere nella conoscenza e, auspicabilmente, nella accettazione dei dati di realtà prima che si avviino fasi di decisione politica.

 

Parliamo dunque di finalità di enorme rilievo istituzionale, efficacemente scolpite nella relazione alla legge CNEL del 1986 firmata da Sergio Mattarella, ancora attuali e anzi imprescindibili per chi voglia contribuire a dotare il nostro Paese di informazioni complete e condivise su temi così centrali per la definizione delle politiche occupazionali e del lavoro e delle leggi in materia economica e sociale.

 

È pertanto un segnale decisamente positivo che il rapporto CNEL contenga quest’anno un esame pienamente condiviso delle luci e ombre del nostro mercato del lavoro prestando particolare attenzione al tema della inclusione e a quello della vulnerabilità. Nella elaborazione del documento sono state aggregate e discusse tutte le diverse fonti informative pubbliche ed è stato analizzato quell’imponente patrimonio documentale e informativo presente nell’Archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro del CNEL.

 

Il rapporto viene ora messo a disposizione delle Camere, del Governo e degli enti ed istituzioni interessati, quale base comune di riferimento non solo a fini di studio, ma soprattutto decisionali ed operativi. Un segnale di vitalità anche del CNEL, grazie prima all’impegno di Tiziano Treu nella passata consiliatura e ora al nuovo corso impresso con generosità da Renato Brunetta, che rilancia nei fatti la centralità di questo organo di rilevanza costituzionale quale sede del confronto e della collaborazione tra le forze sociali e tutti i soggetti istituzionali che raccolgono dati utili per il monitoraggio delle condizioni di lavoro e degli assetti normativi e retributivi espressi dalla contrattazione collettiva.

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

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*pubblicato anche su Avvenire col titolo Il ruolo del Cnel rilanciato con il XXV Rapporto, 20 aprile 2024

 

La contrattazione nazionale nel 2023*

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Bollettino ADAPT 22 aprile 2024 n. 16

 

Nei primi mesi del 2024 sono stati rinnovati alcuni tra i contratti collettivi nazionali di categoria più importanti. Terziario di mercato, studi professionali, industria alimentare sono solo alcuni dei settori dove le parti sociali sono intervenute per ridefinire le regole contrattuali e i trattamenti retributivi. Come certificano i dati elaborati grazie alle informazioni contenute nell’archivio nazionale dei contratti collettivi del CNEL il numero complessivo di lavoratori ancora in attesa di rinnovo è oggi di circa 5 milioni (nel 2023 erano circa 7,7 milioni). Entro la fine dell’anno potremo poi registrare ulteriori rinnovi di sistemi contrattuali storici quali quelli dell’industria metalmeccanica, della logistica e del turismo.

 

In molti hanno salutato la sottoscrizione di queste di intese come segno di un rinnovato protagonismo delle parti sociali. In verità la vivacità di questi mesi si pone perfettamente in continuità con le dinamiche della contrattazione collettiva nazionale di categoria degli ultimi anni, dalla ripresa della pandemia in avanti. L’ISTAT, nel suo studio sulle dinamiche retributive contrattuali, registra indubbiamente che il tempo medio di attesa di rinnovo, per i lavoratori con contratto scaduto, è aumentato dai 20,5 mesi di gennaio 2023 ai 32,2 mesi di dicembre 2023. Tuttavia, gli sviluppi della contrattazione collettiva vanno meglio seguiti in termini analitici, tenendo cioè conto delle dinamiche di settore: come attesta il CNEL i servizi di mercato registrano 41,9 mesi di attesa; il settore pubblico 24 mesi; il settore industriale, che non a caso segnala una crescita dell’indice delle retribuzioni contrattuali più alti della media complessiva, si situa sotto la media con un dato pari a 1,8 mesi.

 

Una conferma di queste tendenze si trova anche nel recente Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia, elaborato nell’ambito dell’Osservatorio “fareContrattazione” di ADAPT, che tratteggia le principali tendenze qualitative e quantitative della contrattazione collettiva in Italia nel corso del 2023.

Su un totale di 202 accordi sottoscritti nel 2023 – accordi che risultano depositati al CNEL e che rinnovano oppure aggiornano specifiche clausole di 171 tra CCNL (del settore privato e del settore pubblico) e accordi economici collettivi – sono stati ben 44 i rinnovi contrattuali sottoscritti dalle sole federazioni di categoria di Cgil, Cisl e Uil, per un totale di circa un milione e mezzo di lavoratori coperti, occupati prevalentemente nei settori dell’agricoltura (allevatori, consorzi agrari, consorzi di bonifica dirigenti e dipendenti), della chimica (gomma plastica, vetro, coibentazioni, piccola e media industria chimica), dell’edilizia legno e arredamento (industria legno-arredo e piccole e medie imprese del legno) e del credito. Ben 10 nuove intese sono state poi sottoscritte per regolare il rapporto di lavoro dei dirigenti, nei diversi settori.

 

Entrando nel merito dei contenuti, è sui trattamenti economici che, in una fase di gestione delle pesanti dinamiche inflazionistiche derivanti dalla crisi energetica, si è concentrata prevalentemente l’attività negoziale. Oltre la metà dei rinnovi ha previsto delle quote una tantum per coprire sul piano economico i prolungati – talvolta in modo cronico, come nel caso particolarmente mediatico del contratto collettivo dei servizi fiduciari – periodi di ultra-vigenza dei testi contrattuali previgenti, al fine di garantire almeno in parte il potere di acquisto dei lavoratori. Allo stesso fine sono stati costruiti meccanismi funzionali ad adattare nel tempo le retribuzioni agli andamenti inflattivi, come nel caso della “doppia pista salariale” del CCNL Legno-Arredo, con la quale le parti si impegnando a definire nuovi incrementi contrattuali ogni anno sulla base dell’andamento del dato Ipca generale comunicato dall’ISTAT.

 

Per il resto, è confermata la tendenza, risalente nel tempo ma consolidatasi nel corso dell’ultimo decennio, di una sempre più ampia frammentazione degli istituti retributivi per la quale, anche a fronte di una crescente esigenza di adattare i salari alle caratteristiche delle prestazioni lavorative, ai minimi tabellari si aggiungono indennità di posizione ed elementi aggiuntivi di diverso tipo, multiformi misure di welfare aziendale e diffusi elementi perequativi o di garanzia retributiva che trovano applicazione in tutte le aziende che non hanno una contrattazione collettiva decentrata.

 

Non tutti i rinnovi contrattuali, invece, sono intervenuti sulla parte normativa degli accordi collettivi. Sul punto, le parti sociali si sono limitate per lo più a interagire con le riforme legislative, per esempio sulla materia delle causali dei contratti a termine riformata dal decreto-legge n. 48/2023 (c.d. Decreto Lavoro), convertito in legge n. 85/2023, o a definire nuovi ambiti di flessibilità controllata, per esempio in materia di lavoro stagionale.

 

Episodici sono gli interventi in materia di orario e di organizzazione del lavoro; tematiche rispetto alle quali è riconosciuto un ampio margine di manovra alla contrattazione decentrata che comincia a sperimentare intese sulla c.d. settimana corta o altre forme innovative. Marginale è in questo campo il ruolo della contrattazione nazionale salvo alcune eccezioni, come quella del contratto del credito (sottoscritto il 27 dicembre 2022 ma ratificato nel 2023), in cui viene riconosciuta una riduzione dell’orario di lavoro settimanale di 30 minuti o quella del contratto collettivo dei dipendenti della Siae che introduce in via sperimentale la smart week, cioè la possibilità di svolgere la prestazione lavorativa in quattro giornate lavorative da 9 ore per ogni settimana.

 

Decisamente sullo sfondo, infine, rimangono istituti come quello dell’apprendistato, la cui disciplina collettiva è rimasta invariata in quasi tutti i rinnovi, salvo marginali modifiche a disposizioni di dettaglio (quote di conferma, malattia dell’apprendista, ecc.), e la formazione dei lavoratori, sulla quale non si registrano nuovi modelli di intervento dopo le fughe in avanti di alcuni contratti collettivi (meccanica ed elettrici) che hanno introdotto un diritto soggettivo alla formazione. Così come è stata rimandata nuovamente la revisione dei sistemi di inquadramento e classificazione del personale, rispetto ai quali i rinnovi contrattuali sono intervenuti soltanto per introdurre nuovi profili professionali ed eliminarne di vecchi o per convenire impegni programmatici a riformare la disciplina in futuro.

 

È su questi temi, su cui dovranno misurarsi i rinnovi contrattuali del 2024: i margini di azione sono ancora molto ampi per gli attori della rappresentanza che, per un verso, inseriscono da tempo nelle loro agende negoziali i problemi derivanti dalla transizione digitale e verde e dal diffuso skill mismatch ma che, al contempo, stentano ancora a investire, anche in termini di politica contrattuale, in quei capitoli dei contratti collettivi che più di altri consentirebbero lo sviluppo e la valorizzazione delle competenze professionali necessarie.

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

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*pubblicato anche su Contratti & contrattazione collettiva, n. 18/2024

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/200 – L’accordo aziendale di Holcim Italia: i punti chiave per il 2024-2026

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/200 – L’accordo aziendale di Holcim Italia: i punti chiave per il 2024-2026

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 15 aprile 2024, n. 15

 

Oggetto e tipologia di accordo

 

Il giorno 29 febbraio 2024 è stata siglata l’ipotesi di accordo integrativo aziendale tra la direzione di Holcim (Italia) S.p.a e il coordinamento delle RSU del gruppo, assistite dalle Segreterie Regionali della Lombardia di Feneal-UIL, Filca-CISL e Fillea-CGIL e dalle Segreterie Territoriali delle medesime federazioni (Como e Varese). L’accordo ha l’obiettivo di rinnovare il CIA del Gruppo Holcim Italia per il triennio 2024-2026 e di integrare alcune misure di welfare e formazione non presenti nel CCNL di settore.

 

Parti firmatarie e contesto

 

Holcim (Italia) S.p.a è la group company italiana di Holcim, azienda multinazionale operante nel settore dei materiali da costruzione. Il gruppo italiano si occupa prevalentemente di calcestruzzo, cemento e aggregati.

L’accordo, firmato dopo 8 mesi di trattativa tra le parti sopra citate, è stato accolto con commenti positivi, come riportato in alcuni articoli della stampa locale e in alcuni comunicati stampa, sia dall’AD del Gruppo Holcim Italia, che sottolinea gli aspetti legati alla sostenibilità e al welfare, sia dalle organizzazioni sindacali, che sottolineano invece gli aspetti retributivi, le misure legate al work-life balance e alle modalità di gestione del turnover.

 

Temi trattati / punti qualificanti / elementi originali o di novità

 

Sin dalla premessa si possono individuare due punti fondamentali dell’accordo: l’impegno verso la de-carbonizzazione del ciclo produttivo e una maggiore protezione sociale dei lavoratori e delle lavoratrici.

Per quanto concerne il primo punto, l’azienda, oltre a indicare la quota di capitale destinata alla ricerca, all’innovazione e allo sviluppo (45 milioni di euro per il triennio 2024-2026), si impegna a informare le RSU in merito allo sviluppo degli investimenti e si rende altresì disponibile a una collaborazione con le istituzioni per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni di CO2 entro il 2050.

 

Il secondo punto è quello più sviluppato all’interno del testo dell’accordo e tocca tre elementi principali: formazione, welfare e trattamento retributivo. Per quanto riguarda la formazione, nel triennio di validità dell’accordo vengono istituiti due momenti: uno tra le 14 e le 16 ore per dipendente in merito allo sviluppo delle professionalità e un altro, compreso fra le 6 e le 8 ore per dipendente, incentrato sulla sicurezza sul lavoro e sulla prevenzione degli infortuni. Viene inoltre istituito un periodo di affiancamento lavorativo per i lavoratori e le lavoratrici neoassunti in azienda che andranno a sostituire colleghi e colleghe che cesseranno l’attività lavorativa a causa del pensionamento.

 

L’area del welfare viene invece espansa con misure a sostegno del work-life balance con l’introduzione di permessi annui di 12 ore (che diventeranno 16 a partire dal 1° gennaio 2025) per i dipendenti con genitori over 70 che non hanno accesso a permessi analoghi. Inoltre, per ogni ora versata dai dipendenti nella Banca Ore Solidale, l’azienda si impegna a versare dei contributi che saranno definiti in futuro dalle parti. Un aspetto innovativo concerne l’implementazione di un servizio di lavanderia per tutti i lavoratori e le lavoratrici che durante le prestazioni indossano i dispositivi di protezione individuale. Tale misura, da un alto contribuirà ad alleviare il carico di lavoro domestico dei dipendenti e dall’altro permetterà di incentivare l’uso dei DPI in continuità con gli impegni presi dall’azienda in tema di sicurezza sul lavoro. Infine, viene allargato l’elenco delle motivazioni per le quali si può accedere all’anticipo del TFR prevedendo delle condizioni più favorevoli nei confronti dei lavoratori rispetto alla normativa vigente in materia.

 

A modifica del trattamento retributivo viene riconosciuto un superminimo non assorbibile per i lavoratori e le lavoratrici “in polifunzionalità”, ovvero, come descritto nel testo dell’accordo, “che svolgono mansioni a differente e maggiore contenuto professionale”. Si assiste dunque a un riconoscimento, anche sul piano economico, della professionalità dei dipendenti.

 

Infine, all’interno della sezione dedicata alle “Politiche di genere”, l’azienda, oltre a enunciare i principi di pari opportunità a fondamento di tali politiche, rinnova l’impegno nel mettere a disposizione un servizio di sostegno psicologico per i dipendenti e promette di definire, in accordo con le parti sindacali, un programma di formazione per attuare politiche di sensibilizzazione e prevenzione di fenomeni discriminatori.

 

Incidenza sul trattamento retributivo e sulle misure di welfare

 

Entrando nel merito del trattamento retributivo, in caso di polifunzionalità il superminimo sarà equivalente all’80% della differenza tra il livello di inquadramento e quello immediatamente superiore “quando la lavoratrice/lavoratore […] dispiega un contenuto di professionalità maggiore, anche se in modo non prevalente, del livello in cui è inquadrato”, o del 50% della suddetta differenza se i contenuti di professionalità non sono  totalmente sovrapponibili al livello superiore di inquadramento. Il superminimo sarà considerato assorbibile solo nel caso in cui il lavoratore o la lavoratrice venga inquadrata al livello superiore.

 

Al Premio di Risultato (PDR) vengono dedicate diverse pagine nelle quali si illustrano le percentuali di incidenza dei vari parametri e come questi vengono calcolati per l’attribuzione del premio. In particolare, è da notare come il parametro relativo alla formazione cresca in percentuale rispetto all’integrativo precedente, e garantisca un PDR al raggiungimento dell’obiettivo minimo dell’80% delle ore definite dall’azienda. Gli importi previsti dalle tabelle sono, per l’obbiettivo target, rispettivamente 2150, 2250 e 2400 euro per ognuno degli anni che compongono il triennio 2024-2026; gli importi totali sono ricavati dalla somma degli importi dei singoli parametri. I PDR rappresenteranno una componente variabile del salario e verranno erogati al raggiungimento dei singoli obiettivi come indicato nel testo dell’accordo. Non sono riportate delle distinzioni in merito alla tipologia contrattuale dei dipendenti che possono accedere al premio: questo significa che anche chi ha lavorato con un contratto a termine o in somministrazione ne ha diritto.

 

Un ultimo cambiamento è presente per i lavoratori o le lavoratrici iscritti al fondo di previdenza complementare Previgen, per il quale è previsto un doppio aumento dell’aliquota contributiva a carico dell’azienda, rispettivamente 3,10% dal 10/07/2024 e 3,40% dal 01/01/2026.

 

Valutazione di aspetti di innovazione rispetto al nazionale

 

La contrattazione di secondo livello è disciplinata dall’art. 1 del CCNL Cemento, Calce e Gesso Industria. Gli elementi trattati dal testo del rinnovo fanno riferimento a quanto presente nel CCNL, ma presentano anche degli elementi di originalità.

 

Gli articoli 2 e 2bis del CCNL sono un richiamo importante per il contratto integrativo. Il primo nella terza parte elenca i principi che guidano l’azienda nel percorso verso la sostenibilità e la responsabilità sociale d’impresa. Il secondo invece elenca le azioni positive per le pari opportunità e per far fronte alle discriminazioni di genere; rispetto a quest’ultimo il contratto integrativo aggiunge esplicitamente l’impegno ad implementare dei corsi di formazione volti a sensibilizzare e a prevenire tali discriminazioni.

 

Il tema del welfare è invece trattato all’articolo 61 del CCNL, rispetto al quale l’accordo per l’integrativo aggiunge i permessi per i dipendenti con genitori over 70 e il servizio di lavaggio indumenti aziendale. Per quanto riguarda la banca ore solidale, definita nella terza parte del suddetto articolo, come richiamato in precedenza, l’azienda si impegna a versare dei contributi aggiuntivi per ogni ora depositata.

 

Per quanto riguarda il PDR, l’accordo Holcim coglie la delega che viene fatta dal CCNL alla contrattazione integrativa, (art. 51, per definire gli obbiettivi e l’ammontare dei premi contenuti). Diverso è invece il riferimento alla polifunzionalità, che non trova un preciso riferimento negli articoli legati al tema del mutamento delle mansioni o eventuale promiscuità delle stesse (art. 31 e 32) e per il quale il contratto integrativo presenta un’innovazione rispetto alla disciplina di livello nazionale.

 

Valutazione d’insieme

 

Nel complesso, il rinnovo del contratto integrativo di Holcim Italia contiene significative innovazioni rispetto alla versione precedente e alle previsioni del CCNL Cemento. I comunicati che accompagnano la firma dell’ipotesi di accordo pongono molta enfasi sul tema della sostenibilità: tale elemento, tuttavia, ha un piccolo spazio nel testo, e vi sarà bisogno di future analisi per comprendere l’efficacia degli investimenti previsti dall’azienda per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione previsti nell’accordo stesso.

 

In un momento di espansione e differenziazione del gruppo Holcim Italia è di rilievo l’attenzione posta sulla polifunzionalità di lavoratrici e lavoratori coinvolti in attività differenti rispetto alla mansione di inquadramento.

 

Sempre nel campo della retribuzione, l’aumento dell’importo dei premi di risultato, se verranno raggiunti gli obiettivi previsti dall’accordo, contribuirà a salvaguardare il potere di acquisto dei lavoratori e delle lavoratrici. Dato che sia il PDR sia l’indennità di polifunzionalità non vanno a incidere sugli istituti retributivi, sarà necessario attendere il rinnovo del CCNL di settori, previsto per il prossimo anno, per avere uno sguardo completo sugli aspetti salariali dei lavoratori dell’azienda.

 

Davide Rossi

ADAPT Junior Fellow

@98Rdavide

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/199 – L’accordo IFOA: prospettive innovative su orario di lavoro e welfare aziendale

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/199 – L’accordo IFOA: prospettive innovative su orario di lavoro e welfare aziendale

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

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Bollettino ADAPT 15 aprile 2024, n. 15 

 

Oggetto e contesto

 

Il 15 febbraio 2024, IFOA ha stipulato con le rappresentanze sindacali aziendali, assistite da Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil, un nuovo accordo aziendale, superando e riunendo in un unico testo, integrativo rispetto alle previsioni del CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi, tutti i precedenti contratti collettivi di secondo livello sottoscritti nel corso degli anni. Nello specifico, con il nuovo accordo le parti mirano, da un lato, a superare il precedente contratto di solidarietà sottoscritto nel 2013 e tutte le intese ad esso collegate e, dall’altro, a consolidare prassi già in atto, a partire dalla regolazione del lavoro agile e dalle pratiche volte a garantire la conciliazione vita-lavoro.

 

Temi trattati / punti qualificanti / elementi originali o di novità

 

L’accordo si apre con la nuova disciplina dell’orario di lavoro in azienda, a cui dedica grande spazio. Nello specifico, l’intesa, nel superare il precedente contratto di solidarietà, prevede, rinviando alla sottoscrizione di accordi individuali ex art. 8, co. 2, D. Lgs. n. 81/2015, la trasformazione dei rapporti di lavoro a tempo pieno in rapporti a tempo parziale di durata pari a 38 ore settimanali. In questo senso, dunque, a tutti i fini normativi ed economici, l’orario di lavoro, una volta stipulati gli accordi individuali di trasformazione, sarà da considerarsi di 38 ore settimanali, con la conseguenza che, per il calcolo di tutti gli istituti – a partire dalla retribuzione – la cui determinazione avviene in base alla durata della prestazione lavorativa, avverrà un riproporzionamento sulla base di un impegno lavorativo quantificato in 38 ore anziché nelle 40 previste dal contratto collettivo nazionale.

 

Per quanto riguarda l’articolazione dell’orario, è precisato che la durata della prestazione lavorativa è distribuita su cinque giornate in maniera non omogenea, dal momento che dal lunedì al giovedì la giornata lavorativa ha una durata di otto ore e mezzo, mentre il venerdì di sole quattro ore. I lavoratori, inoltre, possono godere di fasce di flessibilità in entrata, dalle 8.00 alle 9.30, ed in uscita, dalle 17.00 (dalle 12.00 per il venerdì) in poi. È precisato, infine, che, nella giornata del venerdì, si prevede che i lavoratori eseguano la prestazione in modalità agile. Appare dunque evidente che l’articolazione dell’orario in IFOA permette una grande autonomia dei lavoratori nella gestione del proprio tempo di lavoro, un’autonomia che sembra confermata dall’obbligo, posto in capo agli stessi lavoratori, di rispettare l’orario, potendo anche effettuare, nell’arco di ciascun mese, recuperi compensativi tra le ore eccedenti e quelle mancanti rispetto all’orario previsto, con il solo vincolo di ricevere l’autorizzazione per eventuali recuperi superiori alle due ore giornaliere nonché effettuati al di fuori delle fasce di flessibilità.

 

L’intesa, poi, conferma quanto già previsto in azienda circa la regolazione del lavoro agile, identificato come strumento per incentivare una migliore conciliazione vita-lavoro e promuovere la genitorialità. Nello specifico, si prevede che ogni lavoratore abbia diritto ad eseguire, oltre che nella giornata del venerdì, la prestazione di lavoro in modalità agile in altre sei giornate al mese, da collocarsi esclusivamente tra il martedì e il giovedì. In ogni caso, però, il lavoratore è tenuto a concordare con il proprio responsabile la fruizione delle giornate di smart working, anche frazionabili in mezze giornate ove l’organizzazione del lavoro lo consenta. Ad alcune categorie di lavoratori (segnatamente: lavoratori con figli fino a 12 anni ovvero con figli affetti da disabilità; lavoratori affetti da disabilità; lavoratori affetti o a rischio contagio da covid; lavoratrici in stato di gravidanza; lavoratori residenti in luogo distante oltre un’ora di viaggio dalla sede di lavoro; lavoratori con genitori anziani non autosufficienti) è riconosciuta priorità nella fruizione di giornate di lavoro agile ulteriori rispetto alla misura massima di sei giornate al mese ovvero da collocare nella giornata del lunedì.

 

Infine, a chiusura delle disposizioni in materia di orario di lavoro, in virtù dell’ampiezza dell’articolazione oraria (che, previo accordo tra il lavoratore ed il suo responsabile, potrebbe coinvolgere, sia per esigenze del lavoratore sia per motivi organizzativi di IFOA, fasce orarie diverse da quelle normalmente previste) e delle peculiari esigenze organizzative che interessano l’azienda, l’intesa riconosce ai lavoratori un’indennità, detta di modulazione oraria, di 20 euro lordi erogata su 14 mensilità e utile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, affiancata dalla previsione di un superminimo individuale non assorbibile di 32 euro mensili.

 

Per quanto riguarda i profili retributivi, inoltre, l’accordo IFOA prevede anche la conferma dell’elemento (definito “elemento A”) retributivo integrativo, utile ai fini del calcolo di tutti gli istituti contrattuali – compreso il trattamento di fine rapporto – erogato per quattordici mensilità e parametrato, in base ai livelli di inquadramento, da un minimo di settanta euro ad un massimo di duecentootto.

Da sottolineare sono poi le previsioni in materia di welfare, a partire dal riconoscimento, per ogni giornata lavorata nel mese – ad eccezione delle giornate di lavoro inferiori a 4 ore -, di ticket restaurant di ammontare pari a 5 euro e dalla previsione di un piano di flexible benefits che prevede l’erogazione di un voucher di ammontare pari a 250 euro per lavoratore.

 

L’accordo, inoltre, interviene in materia di tutela della persona, della famiglia e della genitorialità, prevedendo e sistematizzando diverse misure di conciliazione vita-lavoro. Nello specifico, si prevedono tre giornate, anche frazionabili in mezze giornate, all’anno di permessi retribuiti per ragioni personali e familiari, che possono riguardare l’inserimento presso scuole dell’infanzia o asili e l’assistenza di figli o nipoti, un congedo aggiuntivo rispetto al congedo obbligatorio di legge per il padre lavoratore oppure altri eventi relativi a parenti o conviventi. Per quanto riguarda le lavoratrici madri, l’intesa prevede che, nei due mesi precedenti il parto e sino al terzo anno del figlio, possano concordare più incisive modalità di godimento della flessibilità oraria in entrata e in uscita nonché di fruizione delle giornate di lavoro agile, anche in deroga a quanto previsto dall’accordo stesso. Sempre in ottica di tutela della persona, inoltre, si prevede l’istituzione della banca ore etico-solidale, che permette, secondo quanto previsto dall’art. 24 D. Lgs. n. 151/2015, ai dipendenti di donare su base volontaria ore di ferie ai colleghi in situazioni di difficoltà.

 

Destano infine grande interesse due ulteriori previsioni. In primo luogo, l’intesa si occupa di promuovere e sostenere i percorsi formativi dei figli dei dipendenti, stabilendo particolari condizioni di favore per l’accesso ai servizi offerti da IFOA (tra cui spiccano corsi, colloqui, sostegno all’inserimento al lavoro e tirocini). In secondo luogo, le parti aziendali hanno istituito, per far fronte al diffuso aumento del livello di stress, ansia e disagio psicologico causato dalla sempre più difficile conciliazione vita-lavoro, un servizio di consulenza e orientamento psicologico, che consente a tutti i dipendenti interessati di poter fruire di un primo incontro di consulenza psicologica a titolo gratuito e di godere di tariffe agevolate per gli incontri successivi.

 

Valutazione d’insieme

 

L’analisi del contratto aziendale di IFOA permette di evidenziare due interessanti dimensioni che la contrattazione decentrata può fruttuosamente coltivare. Primariamente, come emerge anche dall’ampio spazio dedicato dallo stesso accordo al tema, è importante sottolineare gli importanti spazi di regolazione che legge e contrattazione nazionale delegano alla contrattazione di livello aziendale per quanto riguarda la disciplina dell’orario di lavoro, soprattutto nella sua dimensione organizzativa. Da questo punto di vista, come emerge dall’analisi svolta, l’accordo IFOA offre, anche in virtù delle peculiarità proprie dell’azienda, un interessante esempio di regolazione, in cui trovano una sintesi le diverse esigenze di autonomia del lavoratore nell’autodeterminazione dei profili temporali della prestazione lavorativa e di salvaguardia delle esigenze aziendali. In questo senso è da leggere, ad esempio, l’eliminazione delle timbrature in uscita, che sposta, nell’ottica di favorire la partecipazione del lavoratore, la misurazione della prestazione dal piano cronometrico a quello del raggiungimento dei risultati. Accanto alla centralità dell’orario, emerge la volontà delle parti di potenziare il welfare aziendale, prevedendo inediti strumenti volti a tutelare la persona che lavora in relazione anche a nuovi bisogni emergenti, come dimostra l’istituzione del servizio di consulenza e orientamento psicologico.

 

Francesco Alifano

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@FrancescoAlifan

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/198 – Il rinnovo del CCNL dell’Industria alimentare: tra aumenti retributivi e novità normative

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/198 – Il rinnovo del CCNL dell’Industria alimentare: tra aumenti retributivi e novità normative

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

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Bollettino ADAPT 15 aprile 2024, n. 15

 

Contesto del rinnovo

 

Nella notte del 1° marzo 2024 le quattordici Associazioni datoriali dell’Industria Alimentare insieme a Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil sono finalmente giunte alla firma dell’accordo di rinnovo del CCNL per l’industria alimentare, stipulato in data 31 luglio 2020 e giunto a scadenza nel novembre 2023. Il nuovo CCNL esplica i suoi effetti dal dicembre 2023 ed ha validità per la parte normativa ed economica fino al 30 novembre 2027.

 

La trattativa – svoltasi per sette lunghi mesi e conclusasi con quattro giornate finali di negoziazione no-stop – si è chiusa con grande gratificazione delle rappresentanze sindacali, le quali, così come emerge dalle dichiarazioni rilasciate dai tre segretari generali, si sono mostrate alquanto soddisfatte degli obbiettivi raggiunti sia per ciò che attiene la parte economica dell’accordo, quindi gli aumenti retributivi, sia per quanto riguarda le migliori condizioni di svolgimento della prestazione lavorativa in relazione alla questione dell’orario di lavoro e alla riduzione della precarietà.

 

Parte economica

 

Andando ad analizzare quelle che sono state le modifiche apportate al trattamento economico, va innanzitutto evidenziato come lo scopo perseguito dalle rappresentanze sindacali sia stato quello di ridare potere d’acquisto ai lavoratori della filiera alimentare eroso negli ultimi anni dal crescente fenomeno inflazionistico.

 

Per ciò che attiene al Trattamento Economico Minimo è stato predisposto un aumento progressivo dei minimi tabellari, il quale sarà erogato in cinque tranche, rispettivamente nei mesi di dicembre 2023, settembre 2024, gennaio 2025, gennaio 2026, gennaio 2027.

 

Tali aumenti, calcolati sul valore parametrale 137, corrisponderanno ad un aumento complessivo mensile nel quadriennio di 214 euro.

 

Prendendo invece in considerazione il Trattamento Economico Complessivo, agli aumenti previsti per il TEM si sommano gli aumenti dell’Incremento Aggiuntivo di Retribuzione (IAR), il quale, sempre determinato sul valore parametrale 137, sarà erogato in un importo pari a 55 euro a partire dal dicembre 2023, e in un importo pari a 11 euro a partire dal settembre 2027.

 

In un’ottica di sempre maggior riguardo alla condizione di welfare attuale, è stato previsto l’aumento della contribuzione a carico delle aziende ad Alifond, il Fondo di previdenza complementare di riferimento del settore, in caso di adesione al fondo da parte dei lavoratori. A partire dal 1° gennaio 2025, in caso di versamento da parte del lavoratore di una quota almeno pari all’1% della retribuzione assunta a base per la determinazione del TFR, il datore di lavoro sarà tenuto a versare una percentuale pari all’1,50% (+0,3 rispetto a quanto previsto nel regime precedente).

 

Seguendo questa scia di una sempre maggiore attenzione delle parti sociali alle forme di assistenza integrativa, è stato altresì previsto, sempre a far data dal 1° gennaio 2025, un aumento di 4 euro mensili dell’importo versato in qualità di finanziamento del Fondo sanitario integrato (FASA), con un’ulteriore implementazione di 2 euro/mese per dodici mensilità a decorrere dal 1° giugno 2029.

 

Parte normativa

 

Così come per la parte economica, sono state introdotte importanti novità anche in relazione a quella che è la disciplina collettiva cha va ad incidere direttamente sul rapporto di lavoro. In particolare sono due le innovazioni introdotte nella parte normativa di questo rinnovo ed entrambe riguardano alcune delle tematiche più calde del dibattito giuslavoristico attuale: l’orario di lavoro e l’utilizzo del contratto a termine.

 

Per ciò che attiene alla disciplina dell’orario di lavoro, che nella filiera alimentare non subiva modifiche da una trentina d’anni, si sono riuscite ad ottenere consistenti conquiste circa le ore di riduzione dell’orario di lavoro (ROL). La prima categoria a beneficiare di tale miglioramento sarà quella dei turnisti; è stata infatti prevista, a far data dal 1° gennaio 2026 una prima riduzione di 4 ore dell’orario di lavoro per tutti i dipendenti che svolgono turni da 18 e 21 ore, alla quale si andrà ad aggiungere, dal 1° gennaio 2027, un’ulteriore riduzione, sempre dell’ammontare di 4 ore. Per quanto riguarda i dipendenti non turnisti, sempre a partire dal 1° gennaio 2027, potranno godere di una ROL di 4 ore.

 

Accanto alla nuova disciplina dei ROL, nel rinnovo del CCNL si registra un’apertura alle attuali istanze di riduzione dell’orario di lavoro, poiché le parti assegnano alla contrattazione aziendale il compito di individuare meccanismi di gestione e fruizione dei riposi volti a garantire la riduzione collettiva dell’orario settimanale di lavoro.

 

Passando invece alla nuova disciplina circa l’utilizzo del contratto a tempo determinato, il rinnovo del CCNL dell’industria alimentare segna un importante intervento sul tema, in linea con gli spazi aperti alla contrattazione collettiva da parte del D.L. 48/2023 convertito poi in L. n. 85/2023. La nuova disciplina limita l’utilizzo del contratto a termine sia con riguardo al novero di casistiche in presenza delle quali è possibile ricorrervi, sia con riferimento ai limiti di contingentamento.

 

Per quanto riguarda le causali, ai sensi del novellato art. 19, co.1, lett. a, D. Lgs n. 81/2015, viene prevista la possibilità di utilizzo del contratto a termine, nei soli due casi di esecuzione di progetti, opere o servizi definiti e predeterminati nel tempo e non rientranti nelle normali attività dell’impresa e di realizzazione di progetti temporanei legati alla modifica e modernizzazione degli impianti produttivi e attivazione di nuovi processi produttivi.

 

È stato altresì ristretto il numero massimo di proroghe del contratto a termine stipulabile nei confronti di uno stesso lavoratore, che è passato da 5 a 4.

 

 Di grande rilevanza è anche la previsione della soglia percentuale del 25%, “da calcolarsi sulla base dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato occupati nell’impresa alla data del 1° gennaio dell’anno di assunzione”, quale complessivo limite per l’assunzione di lavoratori con contratto a termine e in somministrazione, sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato.

 

A queste che sono le due innovazioni di maggior peso, va ad aggiungersi un’ulteriore novità riguardo l’aspetto della formazione e che evidenzia una sempre maggior attenzione delle parti collettive nel cercare di voler combinare l’aspetto professionale con quello formativo: viene introdotta la possibilità di richiedere permessi ad hoc per un massimo di 40 ore, finalizzati alla frequenza di percorsi formativi oltre a quelli già precedentemente contemplati, a fronte dell’impegno da parte del lavoratore a rimanere in azienda nei 2 anni successivi.

 

Infine, in linea con le ultime pronunce della giurisprudenza (su tutte Cass. N. 9095/2023) che avevano ravvisato una discriminazione nella previsione di un comporto di malattia identico per lavoratori disabili e non, è stata introdotta una disciplina differenziata per quanto attiene al comporto per i lavoratori con disabilità accertata ai sensi della L. n. 68/99. Nello specifico si prevede un aumento di 90 giorni dei termini ordinari previsti per la conservazione del posto di lavoro durante la malattia per tutti i lavoratori con disabilità accertata, indipendentemente che l’assenza per malattia sia riconducibile alla patologia invalidante. A ciò si aggiunge l’onere per l’azienda di dare al lavoratore interessato, almeno 48 ore prima, comunicazione del raggiungimento del limite del periodo di conservazione del posto e, in ogni caso, 48 ore prima dell’adozione del provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro.

 

Parte obbligatoria

 

Studiando infine i cambiamenti introdotti nella parte obbligatoria del CCNL, è possibile notare in prima istanza la ridefinizione dell’ambito di applicazione del presente rinnovo, cioè l’indicazione della categoria contrattuale ad opera delle parti del contratto collettivo. Tale indicazione è preziosa perché, in questo modo, le parti hanno inteso definire il perimetro di applicazione del contratto, stabilendo quali imprese vi rientrano.

 

Emerge poi in maniera dirompente la volontà di “implementazione di un sistema di bilateralità”, alla quale si ricollega l’ampliamento delle funzioni e delle responsabilità poste in capo all’Ente Bilaterale di Settore (EBS), al fianco del quale, per la gestione di specifiche tematiche, le parti sociali si impegnano a fornire il loro diretto contributo, assistendolo in attività di analisi e ricerca. Viene assunto altresì l’impegno alla creazione, sempre su istanza e in accordo tra i sindacati e le associazioni datoriali, di appositi Osservatori di comparto merceologico al fine di rendere più funzionale ed efficace il lavoro di analisi condotto dall’EBS.

 

Ulteriori impegni vengono assunti per quanto riguarda il raggiungimento dell’obiettivo della parità di genere, di lotta ai fenomeni di violenza e mobbing sul luogo di lavoro tramite l’accordo sulla realizzazione di appositi incontri ed eventi di sensibilizzazione, formativi ed informativi. A dimostrazione di un sempre maggior riguardo alle tematiche appena citate c’è stata anche l’introduzione di un apposito paragrafo intitolato “Diversità e inclusione”.

 

Valutazione d’insieme

 

Il rinnovo del CCNL dell’industria alimentare si ascrive sicuramente in un filone positivo, di generale miglioramento delle condizioni di lavoro a cui sono sottoposti i lavoratori dipendenti della filiera alimentare. Pur non trattandosi di cambiamenti epocali, sia l’aumento del trattamento economico, quanto forse maggiormente le innovazioni riguardanti la disciplina dei contratti a termine e dell’orario di lavoro rendono l’accordo raggiunto ampiamente significativo e soddisfacente per i lavoratori del settore.

 

A queste modifiche di maggior peso fanno da corollario la maggiore sensibilità e il maggior interesse mostrato nei confronti di tematiche sociali dal carattere sempre più dirompente nella realtà odierna, quali il maggior riguardo alla parità, all’inclusione e alla conciliabilità famiglia-lavoro.

 

Marta Migliorino

ADAPT Junior Fellow

@martamigliorino

L’archivio del Cnel dei contratti collettivi*

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ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

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Bollettino ADAPT 25 marzo 2024 n. 12

 

Il Consiglio Nazionale della Economia e del Lavoro (CNEL) – per quanto visto ancora oggi, da molti, con sospetto o una malcelata sufficienza – è l’unica sede in grado di offrire un contributo istituzionale alla conoscenza della contrattazione collettiva. Presso il CNEL è infatti istituito l’archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro (art. 17 legge n. 936/1986). Come spiegava Sergio Mattarella, relatore in Parlamento della legge n. 936, l’istituzione dell’archivio è una «operazione finalizzata al compito di far esprimere alle organizzazioni sociali, tramite il CNEL, una periodica valutazione sull’andamento retributivo e sulla condizione complessiva del mercato del lavoro, specie sotto il profilo normativo della contrattazione. (…) Una sorta di check point in grado di far convergere le forze sociali nella conoscenza e, auspicabilmente, nell’accettazione di tali dati prima che si avviino fasi di consultazione sociale o di contrattazione collettiva».

 

In questa prospettiva – ancora oggi di particolare rilevanza e attualità – può allora essere utile sottolineare la recente pubblicazione sul sito istituzionale del CNEL (alla voce Documenti – Studi, Indagini, Ricerche) di uno studio che spiega non solo la genesi dell’archivio e la sua storia oramai trentennale, ma anche gli sviluppi più recenti che ne segnano un deciso potenziamento e rilancio (CNEL, L’archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro – Art. 17, comma 1, legge n. 936/19862024)Un documento che, seppure redatto con rigore scientifico, si rivolge agli operatori del mercato del lavoro e, soprattutto, alle stesse parti sociali con l’obiettivo di rinnovare la funzione dell’archivio, come sopra brevemente tratteggiata, e di facilitarne l’accesso non solo a fini di studio ma anche a sostegno della qualità e della razionalizzazione del nostro sistema di relazioni industriali. Di questo parlava, del resto, già un corposo studio dello stesso CNEL, redatto a pochi anni dalla entrata in vigore della legge n. 936, dove si rintracciano le Linee progettuali per la struttura e l’organizzazione dell’archivio dei contratti (CNEL, Archivio dei contratti, archivio delle nomine, banca dati, documento Cnel n. 15, 1992, V Consiliatura, relatore Renato Brunetta).

 

Va peraltro evidenziato che, in conformità alle originarie direttive della Commissione dell’informazione del CNEL, nell’archivio sono stati inizialmente depositati «i contratti e gli accordi di ogni livello e ambito relativi sia al settore privato che a quello pubblico» e i relativi «accordi di rinnovo» (art. 1 delle Direttive della Commissione dell’informazione sulla organizzazione dell’Archivio della contrattazione collettiva ai sensi dell’art. 17 della legge n. 936/86, dicembre 1990, contenute all’interno del già menzionato documento Cnel n. 15/1992). Con il tempo l’archivio nazionale dei contratti si è trasformato in un archivio dei soli contratti collettivi nazionali di lavoro anche se si registra lo sforzo, nelle ultime due consiliature, di riattivare la raccolta e sistematizzazione della contrattazione collettiva decentrata. In fase di lancio è, in particolare, una indagine campionaria del CNEL, finalizzata a studiare, con il concorso dei centri studi della rappresentanza datoriale e sindacale, le dinamiche dalla contrattazione aziendale di produttività dal 2016 a oggi.

 

Le originarie direttive della Commissione dell’informazione erano ovviamente condizionate dalle tecnologie del tempo e dalla circostanza che non si era ancora sviluppata e radicata nell’uso comune la rete internet (il primo collegamento italiano, come noto, è del 1986). L’elenco dei contratti e degli accordi depositati, con indicazione delle parti stipulanti, veniva pertanto periodicamente affisso in un apposito albo presso il CNEL e di esso veniva data notizia mediante la pubblicazione sul Notiziario della Commissione dell’informazione. Oggi non è più così. L’archivio, in bella evidenza sulla home page del sito istituzionale del CNEL (www.cnel.it), è interamente open access e, nel tempo, potrà essere ulteriormente potenziato, previo accordo tra le parti sociali, attraverso l’utilizzo mirato della intelligenza artificiale considerando che, nell’archivio, sono presenti oltre 150mila testi contrattuali di varia epoca, natura, livello.

 

Attraverso i Report periodici diffusi dal CNEL si è potuto cominciare a prendere consapevolezza del fatto che, nel nostro Paese, da almeno un decennio, è in corso un costante incremento del numero di contratti collettivi di lavoro di livello nazionale. Vero anche che, se è cresciuto quantitativamente il numero dei contratti collettivi, resta ancora dominante la contrattazione promossa da Cgil, Cisl e Uil che, seppure firmi solo 210 contratti collettivi nazionali di lavoro rappresenta il 97% del totale dei lavoratori coperti dai CCNL depositati.

 

Tra gli elementi qualificanti del sistema di classificazione utilizzato dall’archivio contratti del CNEL, in esito al costante raccordo operativo con il flusso informativo INPS, va infine annoverato l’indice che rileva il numero di lavoratori a cui si applica ogni singolo contratto collettivo, che oggi – diversamente dal passato – può essere reso disponibile alla pubblica consultazione. Le risultanze di questo incrocio di informazioni consentono di conoscere il “peso specifico” di ogni CCNL in un determinato settore, di individuare gli accordi più “rappresentativi” quantomeno in termini di diffusione e effettiva applicazione. Alla data del 15 marzo 2024 (vedi la nota tecnica di accompagnamento del 18° Report CNEL sui CCNL depositati) risultano depositati in archivio ben 1033 CCNL di cui 971 relativi al settore privato, 18 al settore pubblico e 44 accordi economici collettivi che riguardano alcune categorie di autonomi e parasubordinati. Grazie ai flussi Uniemens (media delle dodici dichiarazioni mensili rese dell’anno 2022 dai datori di lavoro all’INPS) e al codice alfanumerico CNEL dei CCNL è tuttavia possibile verificare con certezza che sono solo 99 i CCNL con applicazione sopra i 10.000 dipendenti e che questi pochi CCNL coprono la quasi totalità dei dipendenti del settore privato: 13.398.243 lavoratori, pari al 96,9% della forza lavoro del settore privato tracciata da Uniemens (esclusi agricoltura e lavoro domestico), là dove ben 645 CCNL (pari al 72,7% dei contratti depositati al CNEL) si applicano a meno di 500 dipendenti e, in totale, coprono solo lo 0,3% dei dipendenti.

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

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*pubblicato anche su Contratti & contrattazione collettiva, n. 13/2024