contrattazione collettiva

Le tendenze della contrattazione aziendale in Italia*

Le tendenze della contrattazione aziendale in Italia*

Bollettino ADAPT 26 febbraio 2024, n. 8

 

Il 2024 è già stato annunciato come l’anno dei rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro. Poca attenzione viene invece prestata alla contrattazione decentrata e soprattutto a quella aziendale che è un fenomeno ancora troppo poco conosciuto e monitorato. L’unica rilevazione ufficiale è quella del Ministero del lavoro, in relazione ai contratti decentrati oggetto di obbligo di deposito ai fini della fruizione di benefici pubblici, che però è una analisi di tipo meramente quantitativo che non entra nel contenuto dei contratti depositati. Che la rilevazione sia parziale lo dimostra in ogni caso il semplice fatto che, secondo l’ultimo report del Ministero del lavoro (febbraio 2024), sono poco meno di 10.000 gli accordi decentrati di produttività “incentivati” vigenti in Italia a fronte dei 114.000 contratti collettivi di secondo livello segnalati dal report sulla contrattazione collettiva del Ministero del lavoro francese (l’ultimo rapporto disponibile si riferisce al 2022) dove esiste un obbligo generale di deposito di tutti i contratti collettivi.

 

Un contributo alla conoscenza del fenomeno in termini sistematici, cioè in correlazione con la produzione contrattuale di livello nazionale, è dato dal rapporto ADAPT sulla contrattazione collettiva in Italia (giunto alla sua decima edizione) che consente di costruire le dinamiche della contrattazione aziendale dal 2012 al 2023. Il X rapporto ADAPT si concentra, in particolare, su oltre quattrocento accordi aziendali sottoscritti nel corso del 2023 da Cgil, Cisl e Uil. La maggioranza di tali accordi proviene dal settore del credito e delle assicurazioni, seguito dal settore metalmeccanico e delle telecomunicazioni. Del tutto non rappresentati invece, settori pur molto rilevanti per l’economia nazionale, come ad esempio il settore del turismo, della ristorazione, e dell’edilizia per i quali vige, di regola, una contrattazione di tipo territoriale. Da notare, inoltre, come la maggior parte degli accordi analizzati sia stata stipulata a livello aziendale (55%) o di gruppo (42%), con una distribuzione geografica che vede circa la metà degli accordi con copertura multi-territoriale, e numeri molto bassi per quanto concerne gli accordi unicamente applicabili nelle regioni del centro-sud. A livello tematico, le materie più frequentemente oggetto di negoziazione aziendale sono (a) l’organizzazione del lavoro; (c) il lavoro agile; (d) il salario di produttività; (e) il welfare aziendale; (f) la conciliazione vita-lavoro; (g) la formazione.

 

Il 25% degli accordi aziendali stipulati nel 2023 ha disciplinato la tematica della organizzazione dell’orario di lavoro, con una maggiore incidenza nei settori connotati da stagionalità o picchi di produzione (come, ad esempio, l’industria alimentare o il terziario, distribuzione e servizi). Frequente è la presenza di clausole volte a regolare e definire l’orario normale di lavoro (35%), le quali tuttavia talvolta prevedono una disciplina parzialmente diversa, in termini di collocazione, da quella approntata in sede nazionale. Molto diffuse, poi, sono le disposizioni concernenti la flessibilità multiperiodale, il lavoro a turni, oltre alle fasce di flessibilità di ingresso e uscita. Tra le disposizioni di portata più innovativa, si registrano quelle dedicate alla eliminazione totale o parziale della pratica della timbratura e quelle che sanciscono una riduzione dell’orario (rispetto a quanto previsto dalla contrattazione nazionale di settore) senza diminuzione del salario, talvolta anche tramite un’articolazione della settimana di lavoro su 4 giorni invece di 5 (Luxottica, Intesa San Paolo).

 

Con riguardo alla retribuzione di produttività, il 26% degli accordi introduce un premio annuale, infrannuale o ultrannuale legato all’incremento di specifici parametri, sia collettivi che individuali. In linea con le tendenze nazionali monitorate periodicamente dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, tali premi sono per la maggior parte legati a indicatori di redditività aziendale e produttività: deve essere segnalata, tuttavia, la crescente presenza degli indicatori legati alla sicurezza sul lavoro, alla formazione e alla sostenibilità ambientale ed energetica. Si conferma poi un forte interesse delle parti sottoscrittrici alla possibilità di convertire parte del premio in beni e servizi di welfare aziendale. La c.d. “welfarizzazione” del premio di risultato, infatti, è inclusa nell’85% degli accordi, molti dei quali offrono altresì incentivi aggiuntivi, chiamati “bonus di conversione” (che possono arrivare fino al 30% dell’importo convertito) per incoraggiare i dipendenti a scegliere tale soluzione.

 

L’interesse verso la tematica del welfare da parte di aziende è sindacati è confermata dalla forte presenza di misure di welfare occupazionale all’interno degli accordi analizzati (58%), con particolare attenzione alle misure di conciliazione vita-lavoro e alle politiche per le pari opportunità: queste ultime includono iniziative per la promozione della parità di genere e la tutela delle vittime di violenza di genere. Le misure di flessibilità organizzativa e oraria, incluso il lavoro agile, sono poi particolarmente diffuse (45%), e spesso dirette ai lavoratori con esigenze di cura dei figli, insieme a congedi e permessi. Per quanto concerne le misure di welfare aziendale non organizzativo, le più diffuse sono, come facilmente prevedibile, i buoni pasto, l’assistenza sanitaria integrativa e la previdenza complementare.

 

Coerentemente con le più recenti istanze sociali, circa il 20% dei contratti aziendali stipulati nel 2023 si concentra sulla regolamentazione di questioni legate alla tutela ambientale, e alla salute e alla sicurezza dei lavoratori. Gli accordi stipulati riflettono una diversificazione significativa sia delle aree di intervento sia degli strumenti utilizzati da sindacati e associazioni datoriali per guidare e regolare i processi di “transizione verde” e le questioni relative alla prevenzione dei rischi e alla sicurezza sul luogo di lavoro.

 

Infine, il 16% degli accordi aziendali del 2023 contiene disposizioni specifiche riguardanti la formazione dei lavoratori, prevedendo l’istituzione di organismi paritetici, definendo i contenuti e la platea di destinatari delle attività formativa e elaborando forme di riconoscimento e valorizzazione (anche economica) delle competenze acquisite.

 

In termini conclusivi, la varietà dei contenuti delle clausole all’interno della contrattazione aziendale del 2023 segnala un rinnovato attivismo delle parti sociali, in special modo per quanto concerne l’organizzazione del lavoro anche in termini di orario – forse spinte dalle numerose suggestioni provenienti dal contesto internazionale – e le misure di welfare occupazionale. Entrambi tali rilevazioni possono essere certamente ascritte alla tendenza prettamente post-pandemica relativa alla maggiore attenzione per la persona del lavoratore, ma anche a nuove politiche aziendali di attraction e retention, volte ad adattarsi ad un mercato del lavoro caratterizzato da uno spiccato mismatch tra domanda e offerta di lavoro.

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

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*pubblicato anche in Contratti & Contrattazione CollettivaIl Sole 24 ore, 23 febbraio 2024

 

La valutazione della maggiore rappresentatività comparativa dei CCNL secondo il TAR Lazio: presupposti e criticità

La valutazione della maggiore rappresentatività comparativa dei CCNL secondo il TAR Lazio: presupposti e criticità

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

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Bollettino ADAPT 26 febbraio 2024, n. 8

 

Con la sentenza del 30 ottobre 2023, n. 16048, la seconda sezione del TAR Lazio ha rigettato il ricorso di una società per l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione di una procedura a evidenza pubblica afferente all’affidamento di un servizio di contact center per il programma di razionalizzazione degli acquisti della Pubblica Amministrazione.

 

Tra i diversi motivi alla base della motivazione di rigetto del ricorso, in questa sede assume particolare interesse il quarto, il quale si lega al profilo della possibilità per l’operatore economico di scegliere di applicare un contratto collettivo nazionale diverso rispetto quello indicato dall’Amministrazione e al requisito della maggiore rappresentatività comparativa sul piano nazionale delle associazioni sindacali che lo sottoscrivono, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 30 comma 4, d.lgs. n. 50/2016 (oggi sostituito dall’art. 11 del d.lgs. n. 36/2023, c.d. “Codice dei Contratti Pubblici”).

 

Superando il precedente orientamento giurisprudenziale (cfr. Cons. St., Sez. III, 26 settembre 2022, n. 8300), il TAR statuisce come la valutazione del sindacato comparativamente più rappresentativo debba essere compiuta in relazione a uno specifico settore merceologico, realizzando una comparazione tra organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto contratti collettivi nazionali tra loro concorrenti in ragione di una sovrapposizione (talvolta anche parziale) dei rispettivi campi di applicazione.

 

Nel caso di specie, occorre anzitutto inquadrare brevemente la questione sul piano fattuale, con particolare attenzione alle censure mosse dalla società ricorrente alla decisione assunta dalla Pubblica Amministrazione, dalle quali scaturiscono i principi giurisprudenziale oggetto di interesse.

 

A detta della società ricorrente, l’impresa aggiudicataria doveva essere esclusa dalla gara sin dal principio, in quanto il CCNL scelto non avrebbe potuto trovare applicazione alla fattispecie in esame, in ragione del fatto che le associazioni sindacali ANPIT e CISAL non fossero “comparativamente più rappresentative”, bensì solo “maggiormente rappresentative”, risultando così lesivo di quanto disposto dall’art. 30 del d.lgs. n. 50/2016. Inoltre, l’impresa aggiudicataria non avrebbe fornito nemmeno adeguata dimostrazione nell’offerta economica che il CCNL applicato – il CCNL ANPIT-CISAL – fosse stato sottoscritto da associazioni comparativamente più rappresentative su base nazionale.

 

Tale lacuna, peraltro, non avrebbe potuto essere integrata successivamente tramite soccorso istruttorio, in quanto ciò avrebbe causato un intervento sul contenuto dell’offerta economica, non consentito dalla disciplina vigente in quanto lesivo del principio della par condicio degli operatori economici.

 

La lex specialis della procedura indetta disponeva espressamente che nel caso in cui l’operatore economico decidesse di non utilizzare il CCNL indicato dalla stazione appaltante nel bando – il CCNL Telecomunicazioni sottoscritto dalle organizzazioni sindacali Asstel, Fistel-Cisl, Slc-Cgil e Uilcom-Uil – esso avrebbe dovuto dare dimostrazione anche del fatto che il differente contratto collettivo applicato  fosse stato stipulato dalle associazioni datoriali e dei prestatori di lavoro “comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” e il cui ambito di applicazione fosse legato con l’attività oggetto dell’appalto svolto dall’impresa.

 

Tale disposizione risultava del tutto coerente con il quadro normativo di riferimento (art. 30, comma 4 del d.lgs. 50/2016, nonché art. 36 della legge n. 300/1970) e con l’uniforme orientamento giurisprudenziale. Difatti, in più occasioni la giurisprudenza amministrativa ha statuito il divieto in capo alla stazione appaltante di imporre come requisito di partecipazione alla procedura l’applicazione di un determinato CCNL, contestualmente riconoscendo come dalla libertà dell’esercizio dell’attività economica dell’impresa derivi la possibilità per lo stesso di prendere in considerazione un CCNL differente.

 

L’importante – e su questo punto si sofferma la sentenza commentata – è che l’impresa aggiudicataria dimostri che il CCNL prescelto non preveda condizioni peggiorative rispetto a quello individuato dall’Amministrazione e che sia sottoscritto da associazioni sindacali dotate del grado di rappresentatività richiesto dalla normativa.

 

La prima questione su cui il TAR Lazio ha voluto fare chiarezza riguarda la possibilità o meno per l’operatore di fornire la dimostrazione di conformità del CCNL prescelto al dispositivo normativo anche in un momento successivo rispetto alla presentazione dell’offerta economica.

 

Sul punto, occorre evidenziare due profili.

 

In primo luogo, come è noto, la disciplina dei contratti pubblici prevede la tassatività delle cause di esclusione dalla gara (art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50/2016, oggi artt. 94 e 95 del d.lgs. n. 36/2023), non essendo pertanto possibile per la stazione appaltante marginalizzare dalla procedura a evidenza pubblica l’operatore per motivi diversi rispetto quelli espressamente individuati nella normativa codicistica e nella lex specialis. Pertanto, l’assenza della previsione dell’esclusione per non aver fornito subito la dichiarazione di conformità ex art. 30 è un essenziale indicatore della possibilità di integrare tale aspetto successivamente. D’altronde, sulla scorta dell’uniforme orientamento giurisprudenziale, detto principio “è regola volta a favorire la massima partecipazione alle gare, con il divieto di aggravio del procedimento, e che mira, dunque, a correggere le soluzioni, diffuse nella prassi antecedente, le quali sfociavano in esclusioni anche per violazioni puramente formali” (così, ex multis, Cons. St., Sez. III, 7 agosto 2020, n. 4977; Cons. St., Sez. III, 1° luglio 2015, n. 3275).

 

In secondo luogo, la presentazione di chiarimenti ex post è legittima anche alla luce dell’applicazione della disciplina del soccorso istruttorio. In merito, si ricordi che detto istituto (art. 83, comma 9 del d.lgs. n. 50/2016, oggi art. 101 del d.lgs. n. 36/2023) può essere applicato per sanare le carenze di qualunque elemento formale dell’offerta, a condizione, come nel caso di cui si discute, che non si incida concretamente sul contenuto dell’offerta economica o tecnica, in quanto sarebbe violato uno dei principi cardine alla base della procedura a evidenza pubblica, nello specifico la “par condicio” dei concorrenti.

 

Quanto precede permette di approfondire la seconda questione oggetto di interesse, peraltro attualmente di crescente attenzione dopo l’entrata in vigore del nuovo Codice dei Contratti pubblici, consistente nel requisito della maggiore rappresentatività comparativa sul piano nazione dell’organizzazione sindacale stipulante il CCNL applicato dall’operatore economico.

 

Sul punto, il TAR Lazio supera di fatto l’orientamento precedente (cfr. Cons. St. n. 8300/2022, secondo cui la nozione di associazioni sindacali “comparativamente più rappresentative” include quei sindacati che – all’esito della comparazione con le altre associazioni sindacali che abbiano sottoscritto il CCNL concorrente – risultino più rappresentativi), riconducendo la determinazione della maggiore rappresentatività comparativa allo specifico settore merceologico di riferimento, attraverso la comparazione di organizzazioni sindacali sottoscrittrici di contratti collettivi nazionali tra loro «concorrenti» nel medesimo settore.

 

In merito, pare opportuno sollevare alcuni interrogativi.

 

Anzitutto, il citato comma 4 dell’art. 30 fa riferimento all’accertamento della rappresentatività comparata sia nei confronti delle organizzazioni dei lavoratori sia nei confronti delle associazioni datoriali; sul punto, si rileva come, nonostante il CCNL oggetto di accertamento sia stato sottoscritto sia dalle associazioni della CISAL che dell’ANPIT, la pronuncia non faccia alcun riferimento in merito all’ANPIT (cfr. pagg. 11 e 12 della sentenza).

 

Per quel che attiene all’affermazione della maggiore rappresentatività comparata della CISAL, il TAR motiva tale asserzione citando fonti di diritto di secondo grado – decreti della Presidenza del Consiglio e del Ministero del Lavoro – alla luce delle quali emergerebbe il profilo comparativo della rappresentatività su scala nazionale.

 

Si rilevi però che la rappresentatività dei decreti citati si riferisce a un contesto preciso, rappresentato dall’assegnazione al sindacato di funzioni e ruoli di partecipazione negli organismi pubblici – segnatamente il Comitato di Indirizzo e Vigilanza dell’INPS – ben diverso, pertanto, rispetto al profilo della sottoscrizione di un CCNL. In aggiunta, la valutazione è stata realizzata prendendo come parametro fonti risalenti al 2014, prive del profilo di attualità che parrebbe funzionale alla realizzazione di un’analisi sulla maggiore rappresentatività comparativa.

 

Infine, l’affermazione del TAR della maggiore rappresentatività comparativa del CCNL ANPIT CISAL non è seguita da alcun confronto del contratto scelto dalla società aggiudicataria con gli altri CCNL applicabili all’oggetto dell’appalto, all’esito del quale riscontrare che il contratto applicato sia effettivamente più rappresentativo sul piano nazionale. Più semplicemente, senza il raffronto tra i diversi CCNL applicabili sulla base dell’oggetto dell’appalto, come peraltro richiesto dalla normativa vigente, non risultano elementi in grado di accertare la maggiore rappresentatività comparativa di un dato CCNL.

 

Allo stesso tempo però, come statuito dalla pronuncia in epigrafe, per procedere a detta valutazione sarebbe stato necessario produrre in giudizio il CCNL con il quale realizzare l’analisi comparativa, essendo tale onere gravante sull’operatore economico e non riconducibile nel novero dei poteri di ufficio dell’organo giurisdizionale.

 

Difatti, al fine di ottenere la tutela della propria situazione giuridica soggettiva, la società ricorrente avrebbe dovuto indicare innanzi al giudice di prime cure il CCNL oggetto di comparazione, essendo insufficiente per tale ragione la mera citazione del precedente giurisprudenziale del Consiglio di Stato.

 

Edoardo Maria Poiani Landi 

Dottore in giurisprudenza presso l’Università Sapienza di Roma

 

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/188 – L’accordo Luxottica: un presidio di territorio oltre la “settimana corta”

Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/188 – L’accordo Luxottica: un presidio di territorio oltre la “settimana corta”

 La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del

Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia.

Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare –

potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it

 

Bollettino ADAPT 12 febbraio 2024, n. 6

 

Il 30 novembre 2023, Luxottica S.r.l., Luxottica Italia S.r.l., Luxottica Group S.p.a., Nextore S.r.l. (società del gruppo EssilorLuxottica) e Filctem-CGIL, Femca-CISL, Uiltec-UIL hanno siglato un corposo accordo aziendale, integrativo rispetto alle previsioni del CCNL per le aziende che producono occhiali e articoli inerenti all’occhialeria, recentemente rinnovato il 28 aprile 2023 (si veda, su tale recente rinnovo, A. Megazzini, Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/165 – CCNL occhiali e occhialeria: le principali novità, Bollettino ADAPT 19 giugno 2023, n. 23). All’interno delle premesse, le parti sottoscrittrici specificano come tale accordo costituisca una risposta alle dinamiche di contesto economico e geopolitico in cui l’azienda si trova attualmente ad operare, ma anche ai «processi di cambiamento culturali, individuali e sociali» che hanno un significativo impatto sulle necessità dei lavoratori impiegati presso Luxottica e non solo. A questo fine, le parti affermano che le novità incluse nell’accordo in tema di organizzazione del lavoro, conciliazione vita-lavoro e sostenibilità possano essere idonee a soddisfare tali esigenze, così come il miglioramento dei processi partecipativi dei lavoratori, da realizzare mediante lo sviluppo di un confronto continuo all’interno dell’azienda, è individuato come strategia per riconoscere i bisogni dei singoli e sperimentare soluzioni.

 

Temi trattati / punti qualificanti / elementi originali o di novità

 

Coerentemente con le esigenze esposte nelle premesse, l’accordo si apre con la descrizione del sistema di relazioni industriali aziendale, che si articola su due livelli di contrattazione, di gruppo e di singolo stabilimento, e, al contempo, prevede la presenza di diversi organismi, quali ad esempio il Comitato di governance del Welfare e le diverse Commissioni tematiche (es. Commissione Pari Opportunità, Commissione Organizzazione e orario di lavoro, etc.), partecipati, dal lato sindacale, da componenti delle RSU e da membri designati dalle Segreterie Territoriali. Previsione di significativa rilevanza è quella per cui tali commissioni hanno la possibilità, al fine di meglio approfondire i temi trattati, di farsi assistere da esperti esterni – opportunità simile a quella prevista per i Consigli di fabbrica all’interno delle aziende tedesche (par. 80, Betriebsverfassungsgesetz).

 

Il sistema di relazioni industriali di Luxottica è altresì integrato da una molteplicità di forme e strumenti volti a favorire la partecipazione dei dipendenti ai processi aziendali, già introdotti nel CIA del 2015 e confermati nel successivo accordo del 2019 (per una panoramica sui contenuti dell’accordo del 2019, si veda G. Pigni, V. Piccari, Storie di azione e contrattazione collettiva – Tutte le potenzialità del nuovo integrativo Luxottica: partecipazione, flessibilità e welfare, Bollettino ADAPT 22 luglio 2019, n. 28). Tra essi si segnalano uno sviluppato sistema di informazione e consultazione dei lavoratori, attuato anche tramite strumenti di comunicazione informatica, un c.d. «Comitato di partecipazione di Alto Livello», durante le cui riunioni i rappresentanti della direzione aziendale condividono con i rappresentanti sindacali informazioni sulle politiche industriali, le logiche commerciali e il processo di integrazione del gruppo, un piano di azionariato dei dipendenti, e i c.d. «Team sperimentali per il miglioramento continuo di reparto»: questi ultimi sono composti da un rappresentante della produzione, uno della qualità, e tre operatori scelti dai lavoratori dei reparti interessati, e si occupano di suggerire miglioramenti tecnici e organizzativi e di proporli alla Direzione Aziendale e alla RSU.

 

Certamente, però, i temi per cui il contratto aziendale stipulato presso Luxottica ha destato più attenzione nel dibattito pubblico sono quelli inerenti all’organizzazione del lavoro. Da questo punto di vista, le parti hanno inteso definire diversi modelli di gestione dell’orario di lavoro per raggiungere gli obiettivi aziendali e contemporaneamente per rispondere alle necessità dei lavoratori. Una volta stabilito che l’orario normale di lavoro è quello stabilito dal CCNL (40 ore settimanali) e definite le regole in materia di flessibilità multiperiodale, banca ore, permessi individuali retribuiti, lavoro straordinario e schemi di turnistica, a suscitare grande interesse sono state le clausole in materia di modelli orari differenziati, a cui i dipendenti possono aderire su base volontaria.

 

Un primo modello, già previsto dal precedente contratto aziendale, è rappresentato dal part-time incentivato a trentasette ore, ossia un sistema orario che garantisce, su base annua, una media di trentasette ore settimanali di lavoro, realizzata alternando trenta settimane in cui la prestazione lavorativa giornaliera ha una durata di otto ore e ventidue settimane in cui la giornata lavorativa è ridotta a sei ore. I lavoratori che decidono di articolare la propria prestazione in regime di part-time incentivato sono retribuiti mensilmente sulla base di trentasette ore medie settimanali, procedendo poi ad eventuali conguagli a fine anno qualora la media delle ore ordinarie retribuite sia inferiore o superiore alla media delle ore ordinarie effettive, e godono di un Premio di Incentivazione di 700 euro lordi (frazionato in dodici mensilità), riconosciuto a fronte dell’accettazione della clausola elastica (concernente eventuali modifiche al piano orario) contenuta nel contratto individuale.

 

L’intesa, però, al fine di rispondere alle nuove esigenze produttive e per permettere ai lavoratori di poter conciliare al meglio tempi di vita e di lavoro, prevede anche due nuovi modelli orari caratterizzati da una riduzione dell’orario a fronte del mantenimento della stessa retribuzione corrisposta per i lavoratori a tempo pieno. Anche in questo caso è bene premettere che si tratta di modelli sperimentali a cui i lavoratori possono aderire su base volontaria. Il primo modello è caratterizzato da un orario ridotto al 94,23% (l’orario medio su base annua è pari, quindi, a 37,69 ore), in cui a trentadue settimane lavorative articolate su cinque giornate da otto ore si affiancano venti settimane con orario ridotto a trentadue ore, distribuite su quattro giornate da otto ore. In questo caso, la riduzione si ottiene, per cinque delle venti settimane, mediante l’assorbimento di permessi individuali retribuiti, mentre per le altre quindici settimane è a carico dell’azienda. Un secondo modello prevede un orario ridotto al 95% (orario medio su base annua pari a 38 ore) e differisce dal primo unicamente perché, nell’ambito delle venti settimane con orario ridotto a trentadue ore di lavoro, sono sette quelle in cui la riduzione è realizzata mediante l’assorbimento di permessi individuali retribuiti e tredici quelle in cui la riduzione è a carico della parte datoriale.

 

In ogni caso, il contratto prevede che, poiché l’applicazione del modello orario sperimentale deve avvenire in maniera da non ledere, all’interno di aree omogenee preventivamente individuate, l’organizzazione del lavoro, l’effettiva applicazione dell’orario ridotto è condizionata al fatto che tutti i lavoratori addetti alla medesima area omogenea aderiscano alla sperimentazione oppure che vi aderiscano in una configurazione tale da non pregiudicare la fattibilità tecnico-organizzativa della prestazione lavorativa di coloro che non hanno aderito alla sperimentazione. Per questo motivo, dunque, l’accordo precisa che, finché non è raggiunta la soglia di omogeneità all’interno della singola area, non possono essere accolte le richieste individuali di adesione al nuovo modello orario. A tale previsione, che rischierebbe di ridurre drasticamente la portata innovativa della previsione, si accompagna un’altra clausola, volta a precisare che l’azienda ha la facoltà di procedere a spostamenti di reparto o di area per facilitare il raggiungimento dell’omogeneità applicativa all’interno della singola area e consentire l’attivazione degli orari sperimentali. In ogni caso, inoltre, le parti si obbligano ad incontrarsi nel caso in cui si registrassero particolari problemi di attuazione e comunque prevedono incontri di monitoraggio con cadenza trimestrale.

 

Oltre che attraverso l’adozione dei modelli orari qui descritti, le parti dell’accordo Luxottica adottano numerose altre soluzioni per favorire la conciliazione vita-lavoro dei propri dipendenti e, più in generale, il loro benessere. In particolare, le parti pongono attenzione sia alla dimensione individuale del problema che a quella collettiva. Al fine di favorire il benessere individuale, è espressa la volontà di trovare soluzioni individualizzate per i gruppi di dipendenti con le più disparate esigenze specifiche: a titolo di esempio, si dispone l’effettuazione di un’indagine di clima per individuare i migliori strumenti per favorire il c.d. “invecchiamento attivo” dei lavoratori over 50, tra cui sono elencate la job rotation o la ginnastica posturale. In termini di benessere collettivo, invece, Azienda e RSU si impegnano a monitorare lo stato del clima aziendale e ad adottare specifici interventi in caso di contrapposizioni e conflitti tra lavoratori e responsabili.

Inoltre, le parti individuano una vasta gamma di strumenti per i lavoratori genitori, quali permessi e congedi di paternità (5 giorni in più rispetto a quanto previsto dalla legge), permessi per l’inserimento dei figli all’asilo nido o alla scuola materna o in generale per la cura della salute dei figli, organizzazione oraria compatibile con le esigenze delle lavoratrici in rientro dalla maternità o dei genitori di figli con disturbi dell’apprendimento, aspettative brevi per fare fronte a documentate necessità familiari. Al fine di favorire l’uso dello strumento della Banca Ore etica, Luxottica si impegna a raddoppiare il numero delle ore donate da parte dei dipendenti.

 

Relativamente al tema della formazione, le parti introducono una serie di disposizioni migliorative rispetto a quanto previsto dal CCNL di settore, come ad esempio permessi aggiuntivi (sebbene non retribuiti) per gli studenti che devono sostenere la maturità o esami universitari, un incremento di 24 ore del monte ore per la fruizione del diritto allo studio previsto annualmente a livello nazionale (150 ore), utilizzabili anche per la frequentazione di percorsi formativi differenti da quelli elencati nel CCNL (ITS, master post-laurea). Interessante altresì la previsione che permette la conversione delle ore annue non utilizzate dai dipendenti per la formazione continua in borse di studio a beneficio dei figli degli stessi dipendenti, a sostegno di percorsi di formazione nell’ambito della cultura digitale.

 

In ultimo, sempre al fine di favorire l’invecchiamento attivo dei dipendenti, le parti confermano lo strumento della “staffetta generazionale”, introdotta in azienda già dall’accordo integrativo aziendale siglato nel 2015 (per una panoramica dei contenuti del CIA del 2015, si veda R. Arcidiacono, Integrativo Luxottica: un’organizzazione del lavoro “a misura di persona”, Bollettino ADAPT, 9 novembre 2015, n. 39).

 

Viene altresì dedicato un capitolo ai c.d. «Rapporti di lavoro qualificati», che include previsioni in tema di tipologie contrattuali e inquadramento professionale. Oltre a sancire che il contratto a tempo indeterminato rappresenta la forma di contratto privilegiata in Luxottica, poiché «in grado di garantire stabilità, professionalità e adesione ai modelli aziendali» le parti ribadiscono la necessità di rafforzare l’istituto dell’apprendistato professionalizzante agli stessi fini, mentre i contratti a tempo determinato e di somministrazione sono limitati ai casi di presenza di specifiche necessità produttive e tecnico-organizzative aggiuntive a quelle preventivate. In ogni caso, le parti stabiliscono la necessità di effettuare verifiche periodiche per valutare il ricorso alle diverse tipologie contrattuali (nonché delle PCTO e degli stage di inserimento) all’interno dell’azienda, anche attraverso il coinvolgimento tempestivo delle RSU.

 

L’inquadramento professionale all’interno di Luxottica è declinato coerentemente con quanto stabilito dal CCNL di settore, il quale prevede una classificazione basata su competenze (su cui si basano i passaggi di livello) e comportamenti organizzativi – misurati tramite schede professionali individuali – che determinano un riconoscimento economico denominato PPVA (premio di professionalità a valore aggiunto), che, nell’accordo Luxottica, ha importi superiori a quelli previsti dal contratto nazionale.

 

Infine, per quanto concerne la formazione e l’aggiornamento professionale, le parti dell’accordo individuano la necessità di interventi diversificati a seconda dei destinatari interessati – da definirsi in collaborazione con la Commissione bilaterale della formazione e il Coordinamento sindacale. Se alla generalità dei dipendenti sono rivolte le iniziative in materia digitale e tecnologica, per i responsabili di stabilimento di reparto e di linea è prevista una formazione maggiormente focalizzata su temi organizzativi, in particolare volta a “gestire in modo positivo e rispettoso” le nuove articolazioni di orario previste in azienda.

 

L’azienda appare altresì particolarmente attenta al tema della salute e sicurezza dei lavoratori. Alcune previsioni sono dirette alle figure preposte alla gestione di tale materia all’interno dell’azienda: vengono infatti aumentati i permessi per i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), i quali passano da 40 a 72 ore annue pro capite; inoltre, sia gli RLS che i RSPP dovranno essere coinvolti in attività di formazione – adattate alle peculiarità dei singoli stabilimenti – per almeno otto ore l’anno.

Allo stesso tempo, tuttavia, l’azienda afferma di volere implementare un progetto di Behavioural Based Safety (B-BS) basato sull’analisi quotidiana del comportamento dei lavoratori al fine di trovare le migliori soluzioni per salvaguardarne la salute e la sicurezza. Tale progetto necessita di una partecipazione attiva e volontaria dei lavoratori, i quali sono chiamati a fornire periodicamente opinioni e feedback ai propri responsabili sul tema in oggetto.

 

Incidenza sul trattamento retributivo e sulle misure di welfare

 

L’accordo in esame interviene anche in materia di welfare e retribuzione premiale. In particolare, per quanto attiene al welfare, le parti osservano che esso «fonda la sua ragione d’essere su una comprensione reciproca delle esigenze organizzative di flessibilità ed apprendimento continuo e dei bisogni dei lavoratori e dei loro nuclei familiari». Per queste ragioni, dunque, azienda e rappresentanze sindacali hanno inteso costituire un fondo volto a favorire l’accesso a beni e servizi per le fasce deboli, il Fondo Welfare Solidale per la Conciliazione, inizialmente finanziato con un contributo pari ad un milione di euro a carico dell’azienda e successivamente rifinanziato da contributi volontari erogati dai dipendenti a cui si sommano contributi di pari importo a carico dell’azienda. Questo nuovo fondo si aggiunge agli altri istituti già previsti dalla contrattazione aziendale in Luxottica, ossia il Sistema Welfare e la Cassa di solidarietà, i cui interventi, al fine di evitare sovrapposizioni, sono determinati dal Comitato Governance del Welfare e dal confronto tra il medesimo Comitato e la presidenza della Cassa. Le stesse parti, in ogni caso, rilevano l’esigenza di sviluppare e moltiplicare le iniziative di welfare implementate in azienda, includendo, oltre ai tradizionali strumenti di sostegno al reddito, misure in grado di porre «la persona al centro a 360°», attraverso la previsione di borse di studio o tutele sanitarie, fino a superare «i confini degli stabilimenti e delle sedi aziendali», erogando servizi di c.d. Welfare di Comunità, con iniziative quali il carrello della spesa, i pasti a domicilio, un’ampia copertura sanitaria o specifici percorsi culturali e sportivi.

 

Per quanto riguarda la retribuzione premiale, invece, le parti superano l’impianto dichiaratamente transitorio approntato in occasione della crisi pandemica dal precedente accordo aziendale in materia (in proposito si veda G. Pigni, Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/35 – Il sistema premiale di Luxottica alla prova della pandemia, in Bollettino ADAPT, 17 maggio 2021, n. 19) prevedendo l’erogazione del premio di risultato nel caso in cui, rispetto ai valori registrati nel 2023, si dovesse riscontrare, nel corso del 2024, l’incremento di almeno un valore tra quelli registrati dai sei indicatori “cancello” relativi ad obiettivi di produttività (riduzione del tasso di assenteismo e miglioramento del livello di servizio), qualità (riduzione degli scarti), efficienza (sostenibilità energetica) e riduzione dei costi fissi. Nei casi di erogazione del premio, il relativo ammontare è legato all’indice di bilancio, dato dal rapporto tra utile e fatturato netto, e agli indici di sostenibilità aziendale. Sulla base dell’andamento del primo indice, il premio potrà raggiungere la cifra di 4100 euro lordi annui, a cui potrà sommarsi un ulteriore importo da calcolare in base all’andamento del secondo indice. L’importo del premio così determinato è poi ulteriormente proporzionato sulla base delle ore di effettiva presenza al lavoro e incrementata del 10% in caso di anzianità aziendale di almeno 15 anni e di 11 euro per ogni sabato lavorato. È data, infine, ai lavoratori la possibilità di convertire tutto o parte del premio di risultato in beni e servizi di welfare.

 

Valutazione di aspetti di innovazione rispetto al nazionale

 

L’accordo siglato in Luxottica è utile per osservare come la contrattazione decentrata può interagire con quanto stabilito al livello nazionale. I molteplici aspetti di innovazione che apporta il contratto aziendale, infatti, possono essere letti all’interno dell’evoluzione della regolazione del mercato del lavoro individuato dal contratto nazionale dell’industria degli occhiali e dell’occhialeria, di cui, indubbiamente, Luxottica rappresenta uno dei principali attori. Nel corso degli anni, è stato dunque possibile osservare come, in questo particolare settore, il rapporto tra la contrattazione nazionale e la contrattazione aziendale non sia stato unidirezionale, ma, anzi, è da sottolineare che molte innovazioni elaborate dai rinnovi del contratto Luxottica sono poi state recepite dalle parti sociali in sede di rinnovo del CCNL occhiali e occhialeria. In questo modo, quindi, è possibile affermare che, nel settore in esame, non si è registrato soltanto un impulso che, dai rinnovi stipulati al livello nazionale, ha introdotto innovazioni anche sulle clausole contrattuali formulate al livello aziendale, ma anche una spinta verso la sperimentazione di innovazioni contrattuali che, dal livello aziendale, ha inciso sulle soluzioni adottate in sede centrale.

 

Un esempio può essere fornito dal premio di professionalità a valore aggiunto (PPVA), che, introdotto dal rinnovo nazionale del 2017, nel corso degli anni è stato oggetto di più interventi, soprattutto per quanto riguarda gli importi, che, dal contratto Luxottica, sono stati poi recepiti anche al livello nazionale. Tale dinamica, quindi, potrebbe ripetersi anche con il rinnovo Luxottica del 2023, che ha innalzato ulteriormente gli importi riconosciuti per il PPVA e che potrebbe, in futuro, influenzare le trattative per il rinnovo del CCNL.

 

Un’altra materia oggetto di particolari sperimentazioni ed esemplificativa della reciproca influenza tra livelli della contrattazione è rappresentata dall’orario di lavoro. In particolare, il contratto aziendale Luxottica sperimenta soluzioni di flessibilità diverse rispetto al CCNL ANFAO, prevedendo, ad esempio, limiti più stringenti per il ricorso alla flessibilità multiperiodale (maggiorazioni più elevate, limitazione della flessibilità multiperiodale alla giornata del sabato, prevedibilità dei periodi di supero, peculiari deroghe e permessi in favore di alcuni dipendenti) e peculiari modalità di flessibilità in favore del dipendente (si pensi alle particolari modalità di fruizione dei permessi individuali retribuiti che, unitamente alla quota di riduzione oraria posta a carico dell’azienda, possono dar luogo alle forme di settimana corta esaminate in precedenza). Anche queste clausole, dunque, in futuro potrebbero essere oggetto di trattativa in sede nazionale.

 

Valutazione d’insieme

 

In conclusione, è possibile osservare che l’accordo Luxottica ha suscitato un grande interesse nel dibattito pubblico per la previsione della sperimentazione della c.d. settimana corta, che, però, come visto in precedenza, presenta diverse limitazioni: la misura si applica soltanto a venti settimane lavorative nell’arco dell’anno ed è in parte a carico dell’azienda e in parte a carico del lavoratore (che ne beneficerà attraverso l’impiego di ore di permessi retribuiti); inoltre, poiché l’adesione alla sperimentazione è su base volontaria, è necessario che, all’interno di ogni area dell’azienda, si raggiunga una soglia di adesioni tale per cui non sia pregiudicata l’organizzazione del lavoro del reparto, rendendo potenzialmente vana la volontà di aderire alla misura del singolo lavoratore inserito in un’area in cui tale soglia non è raggiunta.

 

Nonostante questi fattori possono ridurre la portata innovativa dell’accordo, però, bisogna comunque rilevare che il contratto Luxottica è uno dei primi, insieme agli accordi siglati in Lamborghini (su cui si veda A. Zaniboni, Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/181 – Flessibilità e conciliazione vita-lavoro: le parole d’ordine dell’Ipotesi di Contratto integrativo aziendale di Automobili Lamborghini, in Bollettino ADAPT 18 dicembre 2023, n. 44) e Intesa San Paolo, (su cui si veda D. Porcheddu, Smart working e “settimana corta” in Intesa Sanpaolo: un esempio di “transizione digitale” negoziata, in DRI, 2023, n. 3, pp. 852-861) che pone al centro del dibattito mediatico in maniera dirompente la questione dei tempi di lavoro, indicando una delle possibili strade che, attraverso la contrattazione collettiva, le parti sociali possono percorrere.

Da rilevare, inoltre, come l’accordo Luxottica punti ad emanciparsi dalla dimensione esclusivamente aziendale, ampliando la propria portata anche all’ambito territoriale, in parte nell’ottica del ricambio generazionale (anche attraverso specifiche misure dedicate ai figli dei dipendenti) e attraverso le misure di c.d. “Welfare di Comunità” citate in precedenza.

 

In definitiva, molti sono i profili innovativi dell’accordo siglato in Luxottica, la cui portata va ben oltre l’eco mediatica generata dalla previsione della settimana corta, che pure resta una misura innovativa e, per certi versi, dirompente. Ma è da sottolineare che il contratto aziendale in esame ha mirato a regolare molti aspetti del rapporto di lavoro, dal welfare nella “comunità” aziendale alla partecipazione dei lavoratori passando per la retribuzione variabile, per cercare di offrire soluzioni inedite all’interno di un mercato del lavoro che, come ricordano le parti nelle premesse dell’accordo, è in continua trasformazione.

 

Francesco Alifano

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@FrancescoAlifan

 

Diletta Porcheddu

ADAPT Research Fellow

@DPorcheddu

 

Davvero esiste una proliferazione incontrollata e non monitorata di CCNL in Italia?

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Bollettino ADAPT 27 novembre 2023, n. 41

 

Con cadenza periodica si ripropone l’allarme sulla proliferazione dei contratti collettivi di categoria e degli attori sindacali e datoriali che li sottoscrivono. In questi giorni si è parlato, per esempio, del settore della metalmeccanica nell’ambito di una operazione “verità” sui trattamenti salariali compromessi appunto, tra gli altri fattori (pandemia, guerra, inflazione), dal feroce dumping contrattuale delle sigle minori.

 

Per questo settore i contratti depositati presso l’archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi del CNEL sono in effetti ben 48. Eppure, nonostante questa apparente proliferazione, non si può dire che il dumping selvaggio sia la regola, anzi. Analizzando i dati CNEL-INPS (provenienti dal c.d. flusso Uniemens), infatti, si scopre che, su oltre due milioni e mezzo di lavoratori impiegati nel settore metalmeccanico, ben 40 CCNL non sono applicati neanche a mille lavoratori. Ma non solo: a proposito dell’identità dei firmatari, i cinque contratti collettivi più applicati, che coprono, da soli, il 99,51% dei lavoratori del settore (parliamo dei CCNL Federmeccanica, che copre il 62,35% dei lavoratori del settore; CCNL Meccanica artigiana; CCNL Unionmeccanica; CCNL Confimi meccanica; CCNL Meccanica cooperativa) sono quelli sottoscritti congiuntamente da Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm-Uil (con la sola eccezione del CCNL Confimi meccanica, stipulato dalle sole Fim-Cisl e Uilm-Uil).

 

Lo stesso si può registrare anche in altri settori come, per esempio, quello della edilizia, dove, su 50 contratti collettivi depositati presso il CNEL, solo cinque si applicano a più di mille lavoratori e, su più di seicentomila lavoratori impiegati nel settore, nel 98,34% dei casi a trovare applicazione è uno dei tre contratti sottoscritti congiuntamente da Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal-Uil.

 

In egual modo, anche nel settore terziario, distribuzione e servizi, sul (consistente) totale di 96 CCNL depositati presso il CNEL, soltanto 16 contratti trovano applicazione per più di mille lavoratori. Inoltre, dei quasi tre milioni di lavoratori (2.828.475) l’83,20% è coperto dal CCNL stipulato da Confcommercio e Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil, di gran lunga il contratto collettivo più applicato, con un ulteriore 11,80% dei lavoratori comunque garantito da uno degli altri tre contratti nazionali di categoria stipulato da federazioni sindacali afferenti a Cgil, Cisl e Uil.

 

In sintesi, stando ai dati dell’archivio del Cnel, a fronte di un apparente proliferare di contratti collettivi nazionali, da un punto di vista sostanziale, che è poi quello che davvero conta nella politica sindacale e nelle dinamiche delle relazioni industriali e retributive, sono molto pochi – e di regola sottoscritti dal sindacato confederale – i contratti collettivi che hanno una maggiore applicazione.

 

Indubbiamente, quella della “maggiore applicazione” pare una nozione destinata a far discutere nel prossimo futuro. A questa, infatti, da più parti, si vorrebbe ancorare il riferimento per la definizione dei trattamenti economi minimi da garantire ai lavoratori che, secondo tali proposte, non dovrebbero mai essere inferiori a quelli pattuiti nei contratti collettivi «più applicati» nei diversi settori e categorie.

 

È tutto da comprendere, però, cosa con ciò si voglia intendere. Se il rinvio è al (singolare) contratto di categoria più applicato in ciascun settore economico e categoria ovvero ai (plurale) contratti collettivi maggiormente applicati; e, in tal caso, se il rinvio è ai tre contratti collettivi più applicati, ovvero ai cinque, e così via. Restando alla metalmeccanica, ad esempio, a tutti i lavoratori del settore, siano questi dipendenti di piccole e medie imprese, di aziende artigiane o di grandi imprese multinazionali, dovrebbe applicarsi solo il contratto collettivo più applicato, cioè quello di Federmeccanica, oppure il riferimento è ad una pluralità di contratti?

 

Così come è del tutto oscuro, nelle diverse proposte che si stanno susseguendo, il riferimento alle “categorie” e a chi possa legittimamente definire il loro perimetro, entro cui andrebbe cercato il contratto più applicato. In una recente pubblicazione di ADAPT University Press (AA. VV., Atlante della contrattazione collettiva. La geografia dei mercati del lavoro nel prisma della rappresentanza e dei sistemi di relazioni industriali, ADAPT University Press, 2023, spec. pp. 5-12), c’è stato un primo tentativo sistematico di mappatura dei contratti collettivi più applicati e degli attori della rappresentanza dell’impresa e del lavoro più rappresentativi. In questo caso, sono stati selezionati i contratti collettivi applicati a più di ventimila lavoratori per ciascuno dei settori economici, così come individuati dal sistema di classificazione ATECO 2007.

 

Questa grossolana selezione a fini conoscitivi, senz’altro utile per gli operatori delle relazioni industriali e per i professionisti della disciplina, non deve fare i conti con i limiti giuridici-istituzionali che, invece, devono essere necessariamente rispettati da una eventuale legge che voglia determinare i salari dei lavoratori sulla base dei contratti collettivi più applicati, dove peraltro il dato della maggiore applicazione non è sovrapposto necessariamente a quello della rappresentatività degli attori che firmano il CCNL.

 

Il problema (anche dell’emendamento della maggioranza al disegno di legge dell’opposizione sul salario minimo legale) è tutto qui: chi decide i perimetri contrattuali? Il legislatore? Il Ministero del lavoro? I rapporti di forza tra le parti contrattuali? L’articolo 39 della Costituzione, sul punto, è chiarissimo, e questo spiega perché, in regime di libertà di organizzazione sindacale (compresa la libertà di definizione della “categoria sindacale” prima e della “categoria contrattuale” poi, con quest’ultima che non può preesistere al contratto collettivo), la parte seconda dell’articolo 39 non è mai stata attuata. E ciò non significa sdoganare i contratti collettivi poco o nulla rappresentativi, ma implica che, per contrastare il fenomeno del dumping contrattuale, è necessario trovare strade e strumenti rispettosi del dettato costituzionale.

 

Francesco Alifano

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena
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Giorgio Impellizzieri

Assegnista di ricerca di Diritto del lavoro

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

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Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

Coordinatore scientifico ADAPT

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Conoscere per deliberare: quale impatto per lavoratori, sindacati e imprese di un salario minimo legale a 9 euro?

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Bollettino ADAPT 3 luglio 2023 n. 25

 

Sta facendo molto discutere la proposta di un salario minimo legale fissato a 9 euro. Il dibattito è, come al solito in Italia, fortemente polarizzato, tra chi è favorevole e chi è contrario. Una sorta di guerra di religione dove, tuttavia, nessuno entra nel merito del contendere se non in termini molto superficiali.

 

Occorre allora precisare che, stando al testo della bozza in circolazione dell’accordo appena raggiunto tra i partiti di opposizione, parliamo di un salario minimo orario di 9 euro lordi che indicherebbe il “trattamento economico complessivo, comprensivo del trattamento minimo tabellare, degli scatti di anzianità, delle mensilità aggiuntive e delle indennità contrattuali fisse e continuative dovute in relazione all’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa.

 

Se questa è la proposta, per capire l’impatto che questa misura potrebbe avere sul nostro mercato del lavoro, tanto rispetto alla questione del lavoro povero quanto in relazione al costo del lavoro e al rischio che un datore trovi conveniente abbandonare i contratti collettivi per attestarsi sul minimo legale, è in realtà sufficiente calcolare i trattamenti economici complessivi orari previsti per alcune delle figure più basse nella scala dei sistemi di inquadramento dei nostri contratti collettivi nazionali e fare un banale confronto. Questo lasciando ovviamente per il momento da parte il nodo, non secondario per chi sia interessato alla reale soluzione del problema, legato al numero complessivo di ore lavorate (incidenza del part-time), alla durata dei contratti (incidenza del lavoro precario) e all’uso distorto di alcuni schemi giuridici, tra cui i tirocini extracurriculari (incidenza del lavoro irregolare).

 

Ebbene, come indica la tabella 1 che segue, allo stato attuale la tariffa dei 9 euro lordi omnicomprensivi risulta inferiore a quella fissata dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Nel nostro caso abbiamo preso come riferimento, a titolo meramente esemplificativo, solo undici contratti collettivi nazionali tra i più applicati, tanto nei settori forti (per il rischio di sganciamento dal sistema contrattuale) che nei settori deboli (per valutare l’incidenza o meno della misura prospettata nel dibattito politico), ma il quadro non cambierebbe molto ampliando il campione.

 

Infatti, prendendo come riferimento le figure professionali più frequenti nei livelli di inquadramento più bassi, osservando la tabella 1 si registra un trattamento economico complessivo orario medio di 10,29 euro, che parte dai 9,25 euro di una guardia giurata inquadrata al quarto livello del CCNL vigilanza privata fino ad arrivare alla cifra di 11,34 euro di un operatore di laboratorio di livello E2 del CCNL chimica – farmaceutica.

 

TABELLA 1 – PROFILI PROFESSIONALI BASSI PIÙ FREQUENTI

CCNL Profilo professionale esemplificativo Minimo tabellare orario Con scatti di anzianità Con mensilità aggiuntive Trattamento economico complessivo
Chimica -farmaceutica Operatore di laboratorio livello E2 9,66 € 9,70 € 10,51 € 11,34 €
Logistica, trasporto merci e spedizione Riders con bici livello I 8,86 € 9,60 € 11,20 € 11,20 €
Metalmeccanica industria Manutentore livello D2 9,81 € 10,10 € 10,65 € 11,18 €
Industria alimentare Addetto macchina confezionamento livello 5 9,84 € 10,12 € 10,97 € 11,11 €
Terziario distribuzione e servizi (Commercio) Aiutante commesso livello V 9,14 € 9,38 € 10,94 € 11,01 €
Tessile abbigliamento Orditore livello 2 9,37 € 9,46 € 10,24 € 10,39 €
Distribuzione moderna organizzata Imballatore livello VI 8,51 € 8,75 € 10,21 € 10,25 €
Pubblici esercizi Commis di cucina livello 6S 8,14 € 8,51 € 9,92 € 9,92 €
Turismo Cameriere ai piani di albergo livello VI 8,01 € 8,37 € 9,77 € 9,77 €
Pulizia – multiservizi Addetto potatura livello III 7,73 € 8,09 € 9,43 € 9,43 €
Vigilanza privata  Guardia giurata fissa livello 4 7,68 € 7,93 € 9,25 € 9,25 €

Tutti gli importi indicati sono lordi.

Il trattamento economico complessivo è comprensivo di minimi tabellari, scatti di anzianità, mensilità aggiuntive e indennità contrattuali fisse e continuative.
A fini esemplificativi per gli scatti di anzianità si è ipotizzato il caso di due scatti maturati anche se i diversi CCNL li disciplinano diversamente (numero di scatti o cadenza differente).

 

Significativo, poi, che in tutti i contratti analizzati già soltanto considerando le ipotesi che prevedono minimi tabellari, due scatti di anzianità maturati e i ratei delle mensilità aggiuntive si superano i 9 euro lordi proposti e addirittura in cinque dei contratti presi in considerazione il trattamento economico risulta superiore ai 9 euro lordi già solo considerando i minimi tabellari (CCNL chimica – farmaceutica, CCNL metalmeccanica industria, CCNL industria alimentare, CCNL commercio e CCNL tessile abbigliamento).

 

Se finanche si volesse ricondurre l’analisi agli ultimi due livelli di inquadramento (che vengono nella realtà poco utilizzati) e a lavoratori da poco tempo in azienda (eliminando del tutto la componente degli scatti di anzianità), la situazione non cambierebbe molto.

 

La tabella 2 mostra il trattamento economico complessivo al penultimo livello di inquadramento e si nota che tra i contratti analizzati solo due contratti risultano inferiori, per pochi centesimi, alla soglia indicata dei 9 euro (CCNL pulizia – multiservizi e CCNL vigilanza privata). Al contrario, nove degli undici contratti analizzati anche in questa ipotesi poco frequente risultano garantire già oggi un trattamento superiore alla cifra fissata dalla proposta di salario minimo legale.

 

TABELLA 2 – PROFILI PROFESSIONALI AL PENULTIMO LIVELLO DI INQUADRAMENTO

CCNL Profilo professionale esemplificativo Trattamento economico complessivo
Metalmeccanica industria Manutentore livello D2 10,89 €
Industria alimentare Addetto macchina confezionamento livello 5 10,78 €
Chimica farmaceutica Campionatore livello E4 10,59 €
Logistica, trasporto merci e spedizione Guardiano livello 6 10,41 €
Tessile abbigliamento Orditore livello 2 10,30 €
Distribuzione moderna organizzata Imballatore livello VI 9,98 €
Terziario distribuzione e servizi (Commercio) Addetto carico/scarico livello VII 9,94 €
Pubblici esercizi Caffettiere barista livello VI 9,38 €
Turismo Cameriere ai piani di albergo livello VI 9,35 €
Pulizia – multiservizi Addetto pulizia livello II 8,59 €
Vigilanza privata  Guardia giurata livello 5 (dal 19° al 36° mese) 8,51 €

Tutti gli importi indicati sono lordi.

Il trattamento economico complessivo è comprensivo di minimi tabellari, mensilità aggiuntive e indennità contrattuali fisse e continuative (senza scatti di anzianità).

 

La tabella 3 indica infine, così da togliere gli ultimi dubbi sulla scarsa se non nulla incidenza in positivo della proposta in discussione, il caso del trattamento economico complessivo di lavoratori inquadrati all’ultimo livello del CCNL (utilizzato molto raramente nella pratica) e senza alcuna anzianità maturata.

 

Ebbene anche in questo caso in sei contratti collettivi su undici si supera la soglia dei 9 euro lordi omnicomprensivi. Ciò non accade in cinque settori (CCNL pubblici esercizi, CCNL turismo, CCNL tessile abbigliamento, CCNL pulizia – multiservizi e CCNL vigilanza privata) che peraltro sono quelli a più alta incidenza di lavoro irregolare e dove dilagano i cosiddetti contratti pirata. Inoltre, occorre evidenziare che nella pratica, e talvolta anche per previsione contrattuale (come nel caso delle guardie giurate del CCNL vigilanza), l’ultimo livello di inquadramento rappresenta spesso un mero salario di ingresso in attesa del passaggio al livello successivo dopo alcuni mesi di adattamento.

 

TABELLA 3 – PROFILI PROFESSIONALI ALL’ULTIMO LIVELLO DI INQUADRAMENTO

CCNL Profilo professionale esemplificativo Trattamento economico complessivo
Metalmeccanica industria Addetto servizi collaudo D1 10,31 €
Industria alimentare Addetto scarico e carico merci livello 6 10,10 €
Logistica, trasporto merci e spedizione Addetto movimentazione merci livello 6J 9,49 €
Chimica -farmaceutica Addetto carico scarico livello F 9,45 €
Distribuzione moderna organizzata Addetto pulizie livello VII 9,06 €
Terziario distribuzione e servizi (Commercio) Addetto alle pulizie livello VII 9,04 €
Pubblici esercizi Addetto pulizie sala livello VII 8,77 €
Turismo Commissioniere livello VII 8,76 €
Tessile abbigliamento Etichettatore livello 1 8,22 €
Pulizia – multiservizi Manovale livello 1 8,16 €
Vigilanza privata    Guardia giurata livello 6 (primi 18 mesi) 7,47 €

Tutti gli importi indicati sono lordi.
Il trattamento economico complessivo è comprensivo di minimi tabellari, mensilità aggiuntive e indennità contrattuali fisse e continuative (senza scatti di anzianità).

 

L’analisi qui condotta, oltre a confermare valutazioni di politica del lavoro che abbiamo sviluppato in altra sede (vedi i contributi raccolti in E. Massagli, D. Porcheddu, S. Spattini, Una legge sul salario minimo per l’Italia? Riflessioni e analisi dopo la direttiva europea, Materiali di discussione, 5/2022 e anche F. Lombardo, M. Tiraboschi, Le retribuzioni degli italiani: cosa davvero sappiamo?, in Bollettino ADAPT 13 giugno 2023 n. 22)  ci porta alle considerazioni di Luigi Einaudi nelle sue Prediche inutili: prima conoscere, poi discutere e solo dopo deliberare.

 

Un principio di buon senso purtroppo oggi dimenticato dalla politica, che cerca di risolvere problemi complessi a colpi di tweet e annunci improvvisati, ma anche dalle parti sociali che vengono accusate di una difesa corporativa dei propri interessi (e non di quelli di lavoratori e imprese) quando si oppongono al salario minimo per legge e a cui basterebbe presentare in dettaglio questi e altri dati per spiegare le buone ragioni della difesa dei vigenti sistemi di contrattazione collettiva (che certamente sono da migliorare) senza farsi dettare l’agenda da chi questi temi li conosce solo in superficie (M. Tiraboschi, Giusta retribuzione: chi detta l’agenda politica del lavoro?, in Bollettino ADAPT 3 luglio 2023 n. 25).

 

Francesco Lombardo
Assegnista di ricerca presso l’Università di Modena e Reggio Emilia

ADAPT, Università degli Studi di Siena
@franc_lombardo

 

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

Coordinatore scientifico ADAPT

@MicheTiraboschi

 

NOTA METODOLOGICA

 

Contratti analizzati

 

I contratti collettivi nazionali di lavoro analizzati nella presente indagine sono stati selezionati secondo il criterio della maggiore applicazione (e quindi coinvolgimento di un maggior numero di imprese e lavoratori) nell’ambito dei settori economici e produttivi di riferimento sulla base del database CNEL (Archivio dei contratti collettivi nazionali di lavoro depositati al CNEL, Aggiornamento al 24 maggio 2023).

 

L’indagine è stata svolta sui minimi retributivi dei CCNL aggiornati al 1° luglio 2023.

 

Per ogni contratto è indicato il codice alfanumerico unico dei contratti collettivi nazionali di lavoro di cui all’art. 16-quater della legge n. 120/2020 (c.d. decreto Semplificazioni) che ne assegna l’attribuzione al CNEL, che cura e gestisce l’Archivio nazionale dei contratti di lavoro pubblici e privati.

 

Oggetto della presente analisi sono i seguenti contratti collettivi:

1) CCNL industria metalmeccanica e installazione di impianti (codice univoco C011) sottoscritto da Federmeccanica (Confindustria), Assistal (Confindustria) (Parte datoriale) e Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm (Parte sindacale);

2) CCNL industria chimica-farmaceutica (codice univoco B011) sottoscritto da Federchimica (Confindustria), Farmindustria (Confindustria) (Parte datoriale) e Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec (Parte sindacale);

3) CCNL terziario, distribuzione e servizi (Confcommercio) (codice univoco H011) sottoscritto da Confcommercio (Parte datoriale) e Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs (Parte sindacale);

4) CCNL logistica, trasporto, spedizioni (codice univoco I100) sottoscritto da Aite, Aiti (Confetra), Assoespressi (Confetra), Assologistica, Fedespedi (Confcommercio), Fedit, Fisi (Confetra), Trasportounito, Confetra, Anita (Confindustria), Fai (Confcommercio), Federtraslochi (Confcommercio), Federlogistica (Confcommercio), Unitai, Conftrasporto (Confcommercio), Cna Fita, Confartigianato Trasporti, Sna Casartigiani, Claai, Confcooperative Lavoro e servizi, Legacoop Produzione e servizi, Agci Servizi (Parte datoriale) e Filt Cgil; Fit Cisl; Uiltrasporti (Parte sindacale);

5) CCNL pubblici esercizi (codice univoco H05Y) sottoscritto da Fipe (Confcommercio), Angem, Legacoop Produzione e servizi, Confcooperative Lavoro e servizi, Agci (Parte datoriale) e Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs (Parte sindacale);

6) CCNL distribuzione moderna organizzata (codice univoco H008) sottoscritto da Federdistribuzione (Parte datoriale) e Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs (Parte sindacale);

7) CCNL pulizie e multiservizi (codice univoco K511) sottoscritto da Fise Confindustria (ora Anip), Legacoop Produzione e servizi, Confcooperative Lavoro e servizi, Agci Servizi, Unionservizi (Confapi) (Parte datoriale) e

Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltrasporti (Parte sindacale);

8) CCNL vigilanza privata (codice univoco HV17) sottoscritto da Assiv (Confindustria), Legacoop Produzione e servizi, Confcooperative Lavoro e servizi, Agci Servizi (Parte datoriale) e Filcams Cgil, Fisascat Cisl (Parte sindacale).

9) CCNL industria tessile-abbigliamento (codice univoco D014) sottoscritto da Smi (Confindustria) (Parte datoriale) e Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec (Parte sindacale);

10) CCNL industria alimentare (codice univoco E012) sottoscritto da Federalimentare (Confindustria), Aidepi, Aiipa (ora confluite in Unione Italiana Food) (Confindustria), Ancit (Confindustria, Anicav (Confindustria), Assalzoo (Confindustria), Assica (Confindustria), Assitol (Confindustria), Assobibe (Confindustria), Assobirra (Confindustria), Assocarni (Confindustria), Assolatte (Confindustria), Federvini (Confindustria), Italmopa (Confindustria), Mineracqua (Confindustria), Unionzucchero (Confindustria) (Parte datoriale) e Fai Cisl;, Flai Cgil e Uila (Parte sindacale).

11) CCNL turismo Confcommercio (codice univoco H052) sottoscritto da Federalberghi, Faita, Confcommercio (Parte datoriale) e Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs (Parte sindacale).

 

Minimo tabellare

 

Di seguito le modalità di calcolo dei minimi tabellari orari indicati nel contributo.

1. CCNL metalmeccanica: paga base conglobata divisa per divisore orario contrattuale.

2. CCNL chimica farmaceutica: somma di minimo contrattuale ed EDR diviso per divisore orario contrattuale.

3. CCNL commercio: somma di minimo contrattuale e contingenza diviso per divisore orario contrattuale.

4. CCNL logistica: somma di minimo contrattuale (primi 6 mesi) ed EDR diviso per divisore orario contrattuale.

5. CCNL pubblici esercizi: somma minimo contrattuale e indennità di contingenza diviso per divisore orario contrattuale.

6. CCNL DMO: somma paga base, indennità di contingenza, terzo elemento, acconto futuro aumento diviso per divisore orario contrattuale.

7. CCNL pulizie e multiservizi: somma minimo contrattuale, indennità di contingenza ed EDR diviso per divisore orario contrattuale.

8. CCNL vigilanza privata: minimo conglobato diviso per divisore orario contrattuale.

9. CCNL industria tessile-abbigliamento: elemento retributivo nazionale diviso per divisore orario contrattuale.

10. CCNL industria alimentare: somma minimo mensile e indennità contingenza diviso per divisore orario contrattuale.

11. CCNL turismo Confcommercio: paga base nazione conglobata per divisore orario contrattuale.

 

Minimo tabellare con scatti di anzianità

 

Di seguito le modalità di calcolo dei minimi tabellari con scatti di anzianità indicati nel contributo.

1. CCNL metalmeccanica: somma di paga base conglobata e due scatti di anzianità diviso per divisore orario contrattuale.

2. CCNL chimica farmaceutica: somma di minimo contrattuale, EDR e due scatti di anzianità diviso per divisore orario contrattuale.

3. CCNL commercio: somma di minimo contrattuale, indennità di contingenza e due scatti di anzianità diviso per divisore orario contrattuale.

4. CCNL logistica: somma di minimo contrattuale (primi 6 mesi), EDR e due scatti di anzianità diviso per divisore orario contrattuale.

5. CCNL pubblici esercizi: somma di minimo contrattuale, indennità di contingenza e due scatti di anzianità diviso per divisore orario contrattuale.

6. CCNL DMO: somma di paga base, indennità di contingenza, terzo elemento, acconto futuro aumento e due scatti di anzianità diviso per divisore orario contrattuale.

7. CCNL pulizie e multiservizi: somma di minimo contrattuale, indennità di contingenza, EDR e due scatti di anzianità diviso per divisore orario contrattuale.

8. CCNL vigilanza privata: minimo conglobato più due scatti di anzianità diviso per divisore orario contrattuale.

9. CCNL industria tessile-abbigliamento: somma di elemento retributivo nazionale e due scatti di anzianità diviso per divisore orario contrattuale.

10. CCNL industria alimentare: somma di minimo mensile, indennità di contingenza e due scatti di anzianità diviso per divisore orario contrattuale.

11. CCNL turismo Confcommercio: somma di paga base nazione conglobata e due scatti di anzianità per divisore orario contrattuale.

 

Minimo tabellare con scatti di anzianità e ratei mensilità aggiuntive

 

Di seguito le modalità di calcolo dei minimi tabellari con scatti di anzianità e con mensilità aggiuntive indicati nel contributo.

1. CCNL metalmeccanica: somma di paga base conglobata, due scatti di anzianità e rateo tredicesima divisa per divisore orario contrattuale.

2. CCNL chimica farmaceutica: somma di minimo contrattuale, EDR, due scatti di anzianità e rateo tredicesima diviso per divisore orario contrattuale.

3. CCNL commercio: somma di minimo contrattuale, indennità di contingenza, due scatti di anzianità, rateo tredicesima e rateo quattordicesima diviso per divisore orario contrattuale.

4. CCNL logistica: somma di minimo contrattuale (primi 6 mesi), EDR, due scatti di anzianità, rateo tredicesima e rateo quattordicesima diviso per divisore orario contrattuale.

5. CCNL pubblici esercizi: somma di minimo contrattuale, indennità di contingenza, due scatti di anzianità, rateo tredicesima e rateo quattordicesima diviso per divisore orario contrattuale.

6. CCNL DMO: somma di paga base, contingenza, terzo elemento, acconto futuro aumento, due scatti di anzianità, rateo tredicesima e rateo quattordicesima diviso per divisore orario contrattuale.

7. CCNL pulizie e multiservizi: somma di minimo contrattuale, indennità di contingenza, EDR, due scatti anzianità, rateo tredicesima e rateo quattordicesima diviso per divisore orario contrattuale.

8. CCNL vigilanza privata: somma di minimo conglobato, due scatti di anzianità, rateo tredicesima e rateo quattordicesima diviso per divisore orario contrattuale.

9. CCNL industria tessile-abbigliamento: somma di elemento retributivo nazionale, due scatti di anzianità e rateo tredicesima diviso per divisore orario contrattuale.

10. CCNL industria alimentare: somma di minimo mensile, contingenza, due scatti di anzianità e rateo tredicesima diviso per divisore orario contrattuale.

11. CCNL turismo Confcommercio: somma di paga base nazione conglobata, due scatti di anzianità, rateo tredicesima e rateo quattordicesima per divisore orario contrattuale.

 

Trattamento economico complessivo

 

Di seguito le modalità di calcolo del trattamento economico complessivo orario comprensivo dei minimi tabellari, scatti di anzianità, mensilità aggiuntive e indennità fisse e continuative indicati nel contributo.

Di seguito le modalità di calcolo dei minimi tabellari orari con scatti di anzianità e con mensilità aggiuntive indicati nel contributo.

1. CCNL metalmeccanica: somma di paga base conglobata, due scatti di anzianità, rateo tredicesima e rateo elemento perequativo divisa per divisore orario contrattuale.

2. CCNL chimica farmaceutica: somma di minimo contrattuale, EDR, due scatti di anzianità, rateo tredicesima e IPO diviso per divisore orario contrattuale.

3. CCNL commercio: somma di minimo contrattuale, indennità di contingenza, due scatti di anzianità, rateo tredicesima, rateo quattordicesima e terzo elemento Milano (nelle tabelle 2, 3 elemento nazionale 2,07) diviso per divisore orario contrattuale.

4. CCNL logistica: somma di minimo contrattuale (primi 6 mesi), EDR, due scatti di anzianità, rateo tredicesima e rateo quattordicesima diviso per divisore orario contrattuale (nessuna indennità aggiunta).

5. CCNL pubblici esercizi: somma di minimo contrattuale, indennità di contingenza, due scatti di anzianità, rateo tredicesima e rateo quattordicesima diviso per divisore orario contrattuale (nessuna indennità aggiunta).

6. CCNL DMO: somma di paga base, contingenza, terzo elemento, acconto futuro aumento, due scatti di anzianità, rateo tredicesima, rateo quattordicesima ed elemento economico garanzia aziende meno 10 dip. diviso per divisore orario contrattuale.

7. CCNL pulizie e multiservizi: somma di minimo contrattuale, contingenza più EDR, due scatti anzianità, rateo tredicesima e rateo quattordicesima diviso per divisore orario contrattuale (nessuna indennità aggiunta).

8. CCNL vigilanza privata: somma di minimo conglobato, due scatti di anzianità, rateo tredicesima e rateo quattordicesima diviso per divisore orario contrattuale (nessuna indennità aggiunta).

9. CCNL industria tessile-abbigliamento: somma di elemento retributivo nazionale, due scatti di anzianità, rateo tredicesima e rateo elemento garanzia retributiva diviso per divisore orario contrattuale.

10. CCNL industria alimentare: somma di minimo mensile, indennità di contingenza, due scatti di anzianità e rateo tredicesima diviso per divisore orario contrattuale.

11. CCNL turismo Confcommercio: somma di paga base nazione conglobata, due scatti di anzianità, rateo tredicesima, rateo quattordicesima e trattamento economico mancata contrattazione II livello per divisore orario contrattuale (nessuna indennità aggiunta).

 

Nelle tabelle 2 e 3 sono stati effettuati i medesimi calcoli senza considerare però alcuno scatto di anzianità.

 

La tipizzazione nei contratti collettivi delle condotte disciplinari: un tema ancora aperto

La tipizzazione nei contratti collettivi delle condotte disciplinari: un tema ancora aperto

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Bollettino ADAPT 13 giugno 2023 n. 22

 

Tra le cause che prevedono la reintegrazione nel posto di lavoro, dopo la modifica dell’art.18 della legge n. 300/1970 introdotta dalla legge Fornero (l.92/2012), vi è quella del licenziamento adottato quando «il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili».

 

La stessa causale non compare tuttavia nell’art.3 del successivo decreto legislativo n. 23/2015, che si applica solo al personale assunto dopo il 7 marzo 2015.

 

La tipizzazione degli illeciti disciplinari cui è collegata la reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo risulta pertanto applicabile solo agli assunti fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23/2015.

 

Il comma 2 del’art. 3 dispone infatti che «esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento  per  giustificato motivo  soggettivo  o  per  giusta  causa in  cui  sia  direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il  giudice  annulla  il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione  del lavoratore nel posto  di  lavoro  e  al  pagamento  di  un’indennità’ risarcitoria» […]

 

Sulla vexata quaestio della [presunta] discriminazione tra vecchi e nuovi assunti, insorta per aver il legislatore del Jobs Act espunto dalle cause di reintegrazione le condotte per le quali i contratti prevedono sanzioni conservative, si sono ampiamente pronunciati i Giudici di merito, la Corte Costituzionale ed il Supremo Collegio, senza produrre una tesi definitiva (e soprattutto convincente).

 

Va premesso che la discriminazione (rectius: il diverso trattamento tra lavoratori) in ordine alle tutele in caso di licenziamento illegittimo, storicamente riguarda i lavoratori di aziende sotto e sopra la fatidica soglia dei 15 lavoratori, ed è stata affrontata (e più volte respinta) dalla Corte Costituzionale  a partire dalla storica sentenza n. 45/1965 ma anche, più recentemente, dalla sentenza n.183/2022 con cui la Corte ha affermato che spetta al legislatore «nel quadro della politica prescritta dalla norma costituzionale» adeguare le tutele in caso di licenziamenti illegittimi. Più in particolare, che «la possibile modulazione delle tutele contro i licenziamenti illegittimi è demandata all’apprezzamento discrezionale del legislatore, vincolato al rispetto del principio di eguaglianza, che vieta di omologare situazioni eterogenee e di trascurare la specificità del caso concreto».

 

Se questo orientamento sia ancora in linea con la realtà socio economica e col diritto vivente, a 50 anni dallo Statuto dei Lavoratori, è da più parti messo in dubbio (ed oggetto di ripetute rimessioni alla Corte, con diverse motivazioni, da parte dei giudici di merito), atteso che il discrimine tra piccole e grandi imprese, che stava all’origine delle scelte del legislatore dello Statuto, non si basa più sul numero dei dipendenti e sul fatturato, ma sul risultato economico dell’impresa. È evidente infatti che un’impresa tecnologicamente avanzata e con pochi lavoratori è spesso in grado di realizzare fatturati e utili maggiori di una grande impresa labour intensive.

 

Tornando sul punto, la questione posta dai commentatori più ostili alla riforma del Jobs Act riguardava l’asserita violazione della legge delega (legge n.183/2014) che avrebbe imposto al Governo (art.1 comma 7, lett. C) di individuare «specifiche fattispecie di condotte disciplinari che consentono la reintegrazione del lavoratore ingiustificatamente licenziato». Il legislatore delegato, tuttavia, assecondando le istanze delle imprese che invocavano certezze sui costi effettivi del licenziamento, avrebbe eluso [o comunque ristretto] l’ambito della delega individuando un’unica fattispecie (al netto delle predette ipotesi di nullità e discriminazione, comuni ad entrambe le discipline) che consente la reintegrazione sul posto di lavoro. In tal modo ignorando anche il ruolo della contrattazione collettiva, cui storicamente è affidato il compito di «tipizzare» la gravità delle condotte disciplinari e le conseguenze sanzionatorie per la loro violazione.

 

Per chiarezza espositiva va osservato che, indipendentemente dalle riforme e dalle intervenute pronunce, il giudice, nel rispetto ed a tutela della volontà negoziale, è comunque obbligato a tener conto delle condotte disciplinari (più o meno) tipizzate dalla contrattazione collettiva. Lo scontro interpretativo si è focalizzato pertanto sul fatto che la gravità delle condotte e la proporzionalità delle sanzioni applicate dal datore di lavoro, venivano (di fatto) sottratte al libero apprezzamento del giudice. Nella sua rigida formulazione, l’art. 3 del decreto legislativo n. 23/2015 chiede infatti al giudice di limitarsi a «costatare» la sussistenza o meno del fatto materiale, «rispetto alla quale resta estranea ogni [sua] valutazione circa la sproporzione del licenziamento».

 

Al contrasto dialettico è seguito una progressiva demolizione dell’art.3 da parte della giurisprudenza che, insinuandosi nell’incerta definizione del fatto «materiale» contestato, ha allargato le ipotesi di reintegrazione a quei comportamenti in cui il fatto, pur se materialmente accaduto, risulta, secondo il convincimento del giudice, privo di rilievo disciplinare per carenza dei presupposti soggettivi e/o oggettivi [con particolare riferimento alla sua imputabilità al lavoratore ed al nesso causale]. Fino ad affermare il principio nomofilattico, sancito dapprima con sentenza n.12174/2019 e successivamente con sentenza 12745/2022, secondo il quale non può ritenersi legittimo un provvedimento espulsivo «laddove le circostanze in cui si verifica il fatto siano di gravità tale da non giustificare il licenziamento», ovvero «non sia idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia che deve sorreggere il rapporto di lavoro in termini di affidabilità quanto ad un futuro adempimento della prestazione».

 

Queste decisioni, che da una parte restituiscono al giudice il potere-dovere di decidere la controversia secondo il proprio libero apprezzamento, anche indipendentemente dalla stessa previsione contrattuale, hanno contestualmente riacceso il contrasto istituzionale tra chi le leggi è chiamato a farle e chi è chiamato ad applicarle nel caso concreto. Che si traduce in un’incertezza che danneggia sia le imprese che i lavoratori.

 

Altra questione, che riveste tuttavia un carattere «metagiuridico», ma ugualmente importante ai fini della ricostruzione storica dei fatti su cui spesso si innestano le decisioni della giurisprudenza, riguarda la ragione per cui, nonostante le due riforme miranti a restringere le ipotesi di reintegrazione, le parti collettive (datoriali e sindacali) non si siano mai attivate per colmare il vuoto delle definizioni generiche delle condotte disciplinari inserite nei contratti collettivi.

 

Alcuni addebitano il fatto ad una semplice (e colpevole) trascuratezza di chi avrebbe dovuto provvedervi, o al fatto che, quando si procede al rinnovo di un contratto nazionale, le parti siano interessate solo al confronto su alcune materie che incontrano la sensibilità dei lavoratori (come il salario, la gestione dell’orario, le ferie ed i permessi).

 

Nulla di più sbagliato. Vero è che solo alcune questioni sono rese pubbliche in quanto trattate in assemblea «plenaria», a cui partecipano [senza diritto di voto e di parola] i lavoratori e la vasta platea dei sindacalisti che presenziano [ma che in buona parte non sottoscrivono] il testo del rinnovo. Il vero confronto sull’intero contratto da rinnovare avviene infatti nelle [separate] commissioni composte dai soli esperti, nominate da ciascuna delle parti stipulanti, sindacali e datoriali, che a loro volta riportano le conclusioni ad una commissione bilaterale ristretta, che decide, in termini di importanza, su quali punti portare avanti il rinnovo del contratto.

 

Le conclusioni «politiche» vengono infine affidate ad una ristretta commissione tecnica che ha il compito di stendere il testo finale, misurando termini e parole con quel linguaggio criptico, a volte ambiguo, in una parola «sindacale», che spesso (e volutamente) non è un modello di chiarezza ma serve a far passare quelle misure che possono essere mal «digerite» dalle rispettive controparti e dalle basi dalle stesse rappresentate.

 

Scartata quindi l’ipotesi di una [presunta] apatia delle parti collettive sul tema della tipizzazione degli illeciti disciplinari, resta una sola possibile interpretazione: nessuna delle parti aveva (ed ha tuttora) interesse a definire con precisione e dettaglio le “condotte” la cui violazione determina o esclude la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato.

 

Una formulazione troppo dettagliata, infatti, lascia inevitabilmente fuori altre ipotesi sanzionatorie, restringendo il campo d’azione della causale. Questo non conviene alla parte datoriale, che ha interesse ad avvalersi di una formulazione generica della condotta per poterla applicare, per estensione, a fatti analoghi. Per opposti motivi non conviene alla parte sindacale, che ha l’interesse contrario ad eccepire che un comportamento illecito, se genericamente formulato, non integra il requisito della tipizzazione, legittimando in tal modo l’opposizione al licenziamento disciplinare per «insussistenza del fatto contestato».

 

L’ambiguo comportamento delle parti, ed i conflitti che ne derivano in chiave interpretativa, restano dunque tra i motivi dell’altalenante orientamento della giurisprudenza, spesso additata a censore delle scelte politiche del Legislatore ma a volte costretta a surrogarsi alle sue lacune, fino a reinterpretare la volontà negoziale in modo contrario a chi quelle norme le ha scritte e votate.

 

Anche su questo punto il Supremo Collegio, fino al 2012 (vedasi: sentenza n.12365/2019), aveva fatto proprio un orientamento restrittivo esigendo una previsione esplicita dei comportamenti da punire con sanzione conservativa ed escludendo la possibilità di allargare il campo della reintegra attraverso l’analogia. A distanza di tre anni tuttavia, con la sentenza n.11665/2022 ha cambiato orientamento richiamando la necessità di rifarsi alla volontà negoziale che comporta un’interpretazione restrittiva delle ipotesi reintegratorie, interpretando il riferimento alle condotte meritevoli di sanzioni conservative ai soli casi esplicitamente tipicizzati come tali.  E ciò «anche nei casi in cui le parti introducono criteri valutativi della gravità della condotta con formule riassuntive».

 

Il tema resta dunque di nuovo aperto, riproponendo la necessità di por mano ai codici disciplinari in un clima di perenne conflitto interpretativo che lascia nell’incertezza le imprese e gli operatori del diritto, spesso chiamati a rispondere se un fatto addotto come motivo di licenziamento possa dar origine, in caso di soccombenza, a tutele indennitarie (e, nel caso, di quale gravità) o alla possibilità di reintegrazione del lavoratore sul posto di lavoro.

 

Una risposta utile potrebbe forse ricavarsi dalla stessa formulazione della norma, che esclude il licenziamento quando «il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili». Un codice disciplinare infatti, anche se generalmente frutto della contrattazione collettiva, può essere unilateralmente predisposto dallo stesso datore di lavoro.

 

In tale ultimo caso, tuttavia, è opportuno tipizzare il fatto in modo tale da non porlo in contraddizione con l’astratta fattispecie contrattuale, eventualmente allargando il codice disciplinare interno a tutte le altre condotte potenzialmente disciplinari, riconducibili cioè non solo alla normale diligenza ma anche, ad esempio, agli obblighi di sicurezza, alla normativa sulla privacy ed al modello organizzativo sulla responsabilità amministrativa dell’impresa.

 

Avendo presente che, trattandosi pur sempre di un atto unilaterale predisposto dal datore di lavoro senza il concorso della parte sindacale, la sua efficacia obbligatoria si acquista solo con l’accettazione scritta da parte del lavoratore, che tuttavia generalmente avviene al momento stesso della costituzione del rapporto di lavoro, senza quindi che lo stesso ne abbia preso preventiva visione.

 

In ogni caso può costituire un aiuto alla chiarezza, certamente non risolutivo, ma che toglie qualche dubbio in attesa che, chi ha il compito di farlo, fornisca maggiori certezze.

 

Antonio Tarzia

ADAPT Professional Fellow